La seconda volta nell’Ovest
1° giorno: Italia – Los Angeles (vía New York) Arriviamo puntualmente all’aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino, con un gruppo d’amici. Purtroppo due nostri amici provenienti in aereo da Napoli non arrivano a tempo e dovranno partire con il volo successivo. Un altro gruppo sta partendo dall’aeroporto di Milano Malpensa. Partiamo con voli Continental quasi contemporaneamente con i nostri amici del nord d’Italia e ci troveremo nel primo pomeriggio all’aeroporto di Newark, nel New Jersey. Seguiamo la procedura del controllo dei passaporti e anche se è un transito, ritiriamo la valigia per rimbarcarla subito dopo un altro controllo. Purtroppo Maria non ha ricevuto la sua valigia e denunciamo il fatto. C’incontriamo con i nostri amici provenienti da Malpensa e ci dirigiamo verso il gate per imbarcarci sull’aereo che ci porterà a Los Angeles. Sono quasi altre 6 ore di volo e appena dopo il tramonto atterriamo all’aeroporto internazionale di Los Angeles. Ritiriamo il bagaglio e attendiamo le navette dell’hotel che in pochi minuti ci portano nel tanto sospirato luogo di riposo. Dopo più di 15 ore di volo con 9 per il fuso orario, una bella doccia e un buon letto è tutto quello che possiamo desiderare. Alloggiamo al Continental Plaza Airport. 2° giorno: Los Angeles In questa fase d’assestamento per il fuso orario ci svegliamo abbastanza presto. Dopo colazione, un pullman ci preleva per condurci sul lungomare di Santa Monica. La spiaggia è larghissima e quasi deserta. Osserviamo chi pattina, chi corre in bicicletta, chi corre. Noi ci limitiamo a scattare alcune foto e sognare. Ripartiamo e ci dirigiamo verso l’aeroporto per prendere i nostri amici che ieri hanno perso la coincidenza da Napoli. Un fragoroso applauso li fa sentire i benvenuti. Viaggiamo in direzione del teatro cinese. In questo luogo tutti stanno a testa bassa per osservare sul pavimento le speciale gettate di cemento sulle quali sono state lasciate le impronte dei piedi, delle mani o la firma fatta con un legnetto. Per non parlare del marciapiede con impressi i nomi delle più famose stelle del cinema. In pochi secondi riaffiorano alla mente scene di film visti in passato. La prossima sosta sarà il Rodeo Drive a Beverly Hills. Mentre attraversiamo la strada, alcuni riconoscono all’interno del suo Suv il regista Spilberg. Una passeggiata tra queste vie evoca le scene del film di Pretty Women. La visione del mastodontico hotel che lo domina lascia solo sognare. Ma il sogno svanisce appena risaliamo sull’autobus che questa volta ci farà sostare nel centro della città di Los Angeles. Abbiamo davanti la City Hall e una magnifica fontana che emette i suoi getti idrici al filo del pavimento sul quale sono stati praticati dei fori. Dagli stessi fori è recuperata l’acqua che viene sparata ad un ritmo imprevedibile per un incantevole spettacolo a cielo aperto. Poco distante c’è il borgo prospiciente la chiesa di Nostra Señora de Los Angeles. Prodotti dell’artigianato messicano ci trascinano meglio nella tradizione locale. La giornata è finita con il sonno delle 5 della sera che ci ricorda che in Italia sono le due di notte.
3° giorno: Los Angeles La giornata è dedicata alla visita degli Universal Studios di Hollywood. Entriamo in massa e non ci separiamo perché ci dirigiamo a prendere un trenino, il Backlot Tram Tour, che ci condurrà nei luoghi dove periodicamente è possibile incontrare la registrazione di un film. Non è il nostro caso, ma osserviamo meravigliati i vari capannoni all’interno del quale rivediamo i personaggi già visti in famosi film o altre volte incredibili simulazioni come un terremoto, un’alluvione o l’ira di King Kong. Alla fine di questo percorso il gruppo si divide in gruppetti per fare la file nelle diverse attrazioni come quella d’E.T. Di Water World o di Jurassic Park. Alla fine della giornata siamo abbastanza stanchi da meritare una bella bistecca da “Sizzler” come quelle che solo qui sanno fare. E dopo questa bella riserva di proteine, tutti a letto perché domani inizia il grande viaggio tra le strade della California, Arizona, New Messico, Colorado, Utah e Nevada. 4° giorno: Los Angeles – Phoenix Dopo la prima colazione ci troviamo con le nostre valigie nella hall dell’hotel. Dovremo abituarci a ripetere quest’operazione per diversi giorni. Purtroppo la valigia di Maria non è ancora arrivata così che si deve arrangiare un po’ con qualcosa che si è comprata e un po’ con quello che le amiche le prestano. Questo evento ci dispiace molto e possiamo certo capire il disagio di una persona che proprio in vacanza ha il piacere di indossare certi capi. Alle 8 e mezza del mattino parte il nostro pullman e, dopo la vista di un paesaggio di villette, tipiche di Los Angeles, entriamo nell’area desertica. Il cielo terzo incornicia le rocce e la sabbia della distesa interrotta da rari cespugli. Si avverte subito l’effetto gruppo e la necessità delle fermate biologiche. Alle 10 ci fermiamo a Cabazon in California. Alcuni acquistano dei piccoli snak, altri alcuni souvenir. Il deserto continua e dopo altre 140 miglia ci fermiamo per un’altra bella bistecca nei pressi del fiume Colorado. Dopo pranzo continuiamo il viaggio ed entriamo in Arizona. È inevitabile a distanza d’alcune ore la sosta in un area di servizio per sgranchirsi un po’ le gambe e altro. Finalmente nel tardo pomeriggio s’ intravedono le torri del centro di Phoenix. Dopo tutte queste miglia percorse non vediamo l’ora di arrivare in albergo. Alloggiamo al “Comfort Inn of Scottsdale” e le camere sono molto confortevoli. Nella nostra camera da letto accanto ai letti matrimoniali abbiamo una vasca idromassaggio da due posti. Dopo una rapida doccia ci ritroviamo fuori per andare al vicino Scottsdale Fashion per vedere se possiamo trovare interessanti capi d’abbigliamento in saldo. Il mio proverbiale fiuto non è smentito. Consumiamo una fetta di pizza da “Sbarro” e torniamo in albergo per una bella dormita.
5° giorno: Phoenix – Holbrook Dopo la prima colazione a base di dolci ipercalorici carichiamo le valigie sul pullman per la partenza, eccetto Maria che non ha ancora ricevuto il suo bagaglio. La prima sosta avviene solo 15 minuti dopo la nostra partenza. Visitiamo il Paradise Valley Park. Lo spettacolo sono i saguari, cactus alti fino a 15 metri. L’autista ci avverte di stare attenti ai serpenti. Ci dirigiamo verso le piante più grandi per le solite foto di rito, ora con uno e dopo con l’altro. Dopo 120 miglia nel deserto dell’Arizona, tra sabbia, rocce, cespugli e un piccolo saguaro qua e la, arriviamo nella valle che ci conduce a Sedona. Le rocce e i suoi colori qui ci ricordano le avventure di Tex Willer. Il passaggio di alcuni cavalli con i loro cavalieri ci fa rivivere scene del vecchio western. Dopo una prima foto davanti ad una roccia particolare arriviamo a Sedona. È una città per gli artisti pieno di fascino indescrivibile. Una breve passeggiata fra le vetrine dei negozi d’arte e uno spuntino in un bar, partiamo di nuovo per vedere uno dei luoghi più belli del nostro pianeta. Stiamo per vedere il “Grand Canyon National Park”. Però prima d’entrare consumiamo un pasto veloce. Rivedremo questo spettacolo dopo 5 anni. Non ci si stanca di certo a vedere tanta maestosità. Allora vedemmo nell’adiacente teatro Imax uno spettacolo che ci narrava la storia del sito. Dopo aver pagato il biglietto d’accesso, ci siamo diretti ai vari punti d’osservazione. Come dice mia moglie di questo luogo: non abbiamo abbastanza occhi per guardare. La vastità ispira sensazioni indescrivibili che né una foto né un filmato sono in grado di raccogliere. Sciolto l’incantesimo, passiamo alle solito foto di gruppo, gruppetto o con l’una o l’altra coppia di amici. È bello soltanto respirare quella aria. Purtroppo non abbiamo riservato molto tempo anche perché dobbiamo passare dall’aeroporto di Flagstaff dove dovrebbe arrivare finalmente la valigia di Maria. Incredibile, invece di arrivare a Los Angeles, il bagaglio l’avevano mandata al reparto oggetti smarriti di Fiumicino. Vediamo il modesto e deserto aeroporto di questa cittadina, per vivere l’ennesima delusione, il bagaglio non è arrivato. Riprendiamo la mitica “66” per arrivare al nostro albergo ad Holbrook. Oggi abbiamo percorso 340 miglia. Siamo al migliore albergo del paesino “Econolodge” si chiama, e nelle vicinanze troviamo un ristorante per la cena. Mentre facciamo la breve passeggiata per tornare in albergo la pioggia colpisce il deserto dell’Arizona. Verso le 11 di sera, mentre stavamo per andare a dormire, il gruppo ma soprattutto Maria, ritrova l’allegria che fino a quel momento era ovattata. Un taxi proveniente da Flagstaff le ha consegnato il bagaglio. Dormiamo tutti più felici nonostante l’odore nauseabondo della moquette impregnata di fumo. 6° giorno: Holbrook – Santa Fe Durante la notte continua a piovere, ma adesso il cielo si apre e qualche spiraglio di sole s’intravede fra le striate nuvole. Tutti, dico per la prima volta tutti, carichiamo le nostre valigie sul pullman perchè ci sono anche quelle di Maria. Abbiamo scelto di dormire in questo luogo perché siamo vicini, appena 19 miglia al “Petrified Forest National Park”. Stiamo per gustare un’altra esperienza indimenticabile e appena siamo entrati nel parco, c’è sembrato di vivere in un paesaggio lunare. Ci pizzichiamo la faccia per capire se è vero o stiamo vivendo un sogno. A piedi percorriamo l’anello del “Cristal Forest” in cui possiamo vedere delle pietre multicolori, effetto della pietrificazione che sono disposte da sembrare alberi tagliati a fette. Piccoli detriti accompagnano l’esposizione. Anche qui puoi toccare con mano una meraviglia meno conosciuta e un po’ fuori dai normali circuiti turistici. Ci dirigiamo verso nord dove è stato costruito il “Visitor Center”. Da qui si può ammirare il “Painted Desert”, uno sfondo roccioso rosa in un’altra atmosfera surreale. Il luogo è anche molto apprezzato per gli acquisti fatti: cappelli, collane e vasetti, prodotto dell’artigianato locale. Terminata la visita riprendiamo la “66” in direzione New Messico. Purtroppo un incidente stradale avvenuto davanti a noi ci fa perdere circa un ora di tempo. Qui nel deserto non sono abituati a guidare con la pioggia. Finalmente possiamo ripartire e alle 2 e mezza arrivare ad Alburquerque, famosa per l’annuale raduno mondiale di palloni aerostatici. Abbiamo una fame tremenda e un notevole ritardo sulla tabella di marcia. Ci diamo mezz’ora di tempo per il pranzo. Avete mai visto 47 persone scendere da un autobus, entrare in un supermercato in gruppo, scegliere i prodotti per il pranzo e dopo 30 minuti ripartire? Noi ci siamo riusciti. Sarà stata la fame, ma ancora ho nel mio palato il sapore di quella porzione di baguette con il formaggio che alcuni nostri amici sardi si erano portati da casa. Alcune ore più tardi arriviamo a Santa Fe. Facciamo una doccia veloce in albergo e poco dopo ci ritroviamo in centro per visitare la città. Il nome dello stato ci fa veramente pensare di essere in Messico. Le costruzioni o adobe sono tipiche del paesaggio centroamericano. Si vive anche il clima di tranquillità tipiche dei luoghi. Osserviamo l’edificio pubblico più antico degli U.S.A. Un solo piano con un portico anteriore nella piazza principale. Nelle vicinanze negozi d’arte e di souvenir. Molti pittori trovano la loro ispirazione in questo luogo magico. La serata termina con una cena in un ristorante messicano.
7° giorno: Santa Fe – Durango Dopo che Maria ha ricevuto la valigia i malumori sono passati e il temporale di ieri è stato dimenticato. Oggi dovrebbe essere una giornata interessante per la vista del Pueblo di Taos. Tra circa un ora dovremmo essere lì. Come al solito mi siedo nelle prime file del pullman controllando il necessario e mi accorgo che l’autista ha sbagliato strada andando nel lato opposto. Glielo faccio notare e lui mi assicura che quella che dico io è una strada per auto e non per pullman. Non mi sembra una valida giustificazione, ma non ci sono argomenti per convincerlo altrimenti. Finalmente dopo circa un’ora, quando dovrebbe essere arrivato a Taos, si perde in un paese che è tutt’altra cosa dalla parte opposta rispetto a Santa Fe. Quella mattina che in un’ora dovevamo arrivare a Taos, ne impieghiamo tre e mezza perdendoci in mezzo alle montagne della zona. Siamo davanti ora al vecchio paese di Taos. Stiamo per entrare dentro questo villaggio, quando i vigili del paesino ci fermano per farci pagare il biglietto d’ingresso. Ci chiedono per entrare nel villaggio $ 10 a persona, e in più 10$ per ogni macchina fotografica e altri 20$ per ogni telecamera. Va bene che è una cosa caratteristica ma la cifra, non solo a me, ci sembra eccessiva. Loro dicono che a Disneyland il prezzo è più alto, ma mi sembra che non si possa fare un paragone. Nessun museo americano è così caro. Io torno indietro e tutti fanno lo stesso. Siamo subito ripagati nella zona moderna della città. Assistiamo in diretta alla parata d’inizio anno, in altre parole la presentazione delle varie squadre e scuole con le loro automobili o camioncini variopinti e caratteristici. Nel pomeriggio ripartiamo in direzione dello stato del Colorado. Purtroppo oggi l’autista non è in vena e sta riprendendo la strada per tornare a Santa Fe. Perdiamo un’altra ora per convincerlo dell’errore e finalmente si rimette sulla strada corretta. Passiamo alcuni canyon nella penombra del tramonto e ormai solo alle 8 di sera arriviamo a Durango, la Cortina d’Ampezzo del Colorado. È una città molto alla moda. Pernottiamo al Confort Inn, un hotel con un nucleo centrale e poi gli alloggi con ingresso indipendente nella stessa via. Purtroppo arrivando con tre ore di ritardo non possiamo visitare la città. Troviamo vicino all’albergo un locale per la cena e stanchi andiamo a letto. 8° giorno: Durango – Page Questa mattina la colazione è insolitamente abbondante. Metà del gruppo è andato per sbaglio a mangiare la colazione nell’hotel vicino. Nel buio della sera prima non hanno riconosciuto il luogo. Facciamo una passeggiata nelle vie centrali. Sembra di essere nel set di un film western. Poco dopo sentiamo il fischio di un treno e il tintinnio delle sbarre del passaggio a livello che si sta chiudendo. A passo d’uomo sta arrivando una vecchia locomotiva a vapore che trascina un treno di carrozze predisposte per gustare il bel panorama. Sarebbe bello vivere quest’escursione in treno, ma è l’ora della partenza per la prima tappa del giorno. Non dobbiamo viaggiare molto, tanto che alle 9,19 entriamo nel “Mesa Verde National Park”. Dall’ingresso alla quota dell’altipiano inferiore, saliamo fino a quello superiore che si trova intorno ai 3.000 metri sul livello del mare. L’altipiano è interrotto da piccoli canyon all’interno del quale gli indiani locali hanno costruito i loro alloggi. Ci dirigiamo a piedi verso il “Cliff Palace” una costruzione in mattoni appoggiata su un costone di roccia e coperto da una di queste in una sorta di culla protettiva. Il deplian rilasciato all’ingresso del parco, ci lascia immaginare come secoli fa, gli abitanti del luogo utilizzavano l’altipiano, sopra le loro case per le culture. Solo all’ingresso del Cliff ci avvertono che il suo ingresso doveva essere prenotato giorni prima. Purtroppo non possiamo scendervi dentro, ma soltanto vederlo dall’alto. Anche qui non possiamo fare a meno di riprenderci con i cappelli locali e immaginarci una diversa quotidianità. Tutti siamo soddisfatti della vista e facciamo una sosta al “Terrace Gift Shop”. Compriamo alcuni oggetti dell’artigianato locale. Poi riceviamo in dono da due sorelle del gruppo un piccolo vaso che ritengo molto prezioso. Parliamo di una ceramica di Santa Clara, una ceramica nera fatta a mano con dovizia nella scelta dell’argilla e cottura al forno a legna con procedure molto particolari… Ripartiamo dall’altipiano con la nostalgia di lasciare questo incantevole luogo e tornante dopo tornante ritorniamo a valle e riprendiamo la 160 in direzione ovest. Passiamo a pochi km da un luogo dove una persona può fisicamente stare in 4 stati contemporaneamente: l’incrocio fra l’Arizona, il New Messico, il Colorado e l’Utah. Dopo 130 miglia arriviamo a Kayenta in Arizona. Avevamo programmato un incontro con gli indiani anasasi del luogo. Dopo aver scambiato esperienze e lasciato i nostri doni, ci siamo diretti verso nord e dall’Arizona siamo entrati nell’Utah. Percorriamo appena 40 miglia da Kayenta per arrivare al “Monument Valley Navajo Tribal Park”. Dopo il pagamento dell’ingresso si continuano a vedere solo deserti e alcuni monoliti di roccia qua e là. Scolliniamo e si presenta alla nostra vista uno spettacolo incredibile. Una volta parcheggiato il pullman, ci dirigiamo a piedi ai punti di osservazione. Osservo il volto di mia moglie che sta piangendo dalla gioia e dall’emozione. Finora avevamo visto questo luogo sulla carta patinata, ma ora davanti a noi si potevano osservare questi monoliti rocciosi alti 600 metri con 300 metri sotto di colletto di terra e rocce sbriciolate, collocate con una perfetta armonia in un deserto interrotto da modeste aree verdi. Il tempo non ci consente un giro a cavallo, o con un fuoristrada o addirittura piazzare una tenda per vivervi almeno una notte, ma la mente può velocemente viaggiare pensando a tutte le cose che avremmo potuto fare in quello splendido luogo. Ci attendono ancora 155 miglia per arrivare al luogo del pernottamento. Durante il trasferimento nei nostri occhi rimane stampato quel paesaggio che sarà certamente difficile dimenticare. Arriviamo a Page per dormire all’Econo Lodge. Un paese tranquillo nel deserto.
9° giorno: Page – Las Vegas Dopo colazione siamo quasi tutti pronti per la partenza sull’autobus o a terra nei pressi. Un ottima clientela per una indiana locale che ci presenta i prodotti del suo artigianato. Le donne del gruppo sono attratte dalla fattura delle collane turchesi montate in argento. Ci spostiamo di poche miglia per passare con un ardito ponte sopra il fiume Colorado e fermarci nel piazzale del “Glen Canyon Dam”. Lo sbarramento di questa diga forma il Lake Powell. L’acqua è statica e le rocce dalle molteplici varietà di marrone che vi si specchiano sembrano perfino artificiali. Ogni tanto un motoscafo rompe la monotona visione. Ad ovest lo sbarramento della diga incute un diverso timore per l’opera dell’uomo che vuole fare a gara con la forza della natura. Questa area geografica richiederebbe alcuni giorni per coglierne incantevoli particolari, ma il programma c’impone di ripartire. Percorriamo la “Vermilion Cliff” per 130 miglia. Ad un certo punto l’asfalto diventa dello stesso rosso d’alcune rocce circostanti. Alle 11.48 siamo all’ingresso est dello “Zion National Park” dell’Utah a 1.737 metri sul livello del mare. Le rocce hanno una conformazione incredibile. Ci fermiamo ad une delle prime piazzole per osservare una dorsale di roccia che assomiglia alla pelle di un elefante. La roccia accanto ha una conformazione differente. I colori cambiano continuamente. Passiamo nel fondovalle di un canyon che nelle sue pareti con pochi centimetri di terra fa crescere la vegetazione. Uno spettacolo incantevole. C’è l’imbarazzo di dove fotografare. Dopo una lunga galleria e un paio di tornanti facciamo un’altra sosta. Su alcune pareti ci sono degli archi che sembrano scavati da chissà quale fantasioso artista. L’immaginazione spazia velocemente per immaginare questo luogo d’inverno con la neve oppure in un tempo passato. Partiamo di nuovo per fermarci al “Visitor Center” per consumare uno spuntino e comprare le cartoline più interessanti. Osservando i souvenir possiamo avere una visione degli oggetti e della storicità del sito. Sono quasi le tre del pomeriggio e ripartiamo in direzione del Nevada. Sulla sinistra, appena usciti dal parco, incontriamo un teatro Imax per narrare le storie ad esse correlate. Il pullman viaggia rapido su questo deserto. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Las Vegas. Il pullman, pur arrivando da nord, percorre tutta l’autostrada per entrare nella “Strip” da sud e farci vedere l’attrazione maggiore di tutta la città: gli alberghi a tema. Anche il nostro è in questa strada e dopo lungo girovagare ci fermiamo per due notti all’hotel “Circus Circus”. Con i nostri bagagli ci sistemiamo al nono piano di una delle tre torri dell’albergo. I corridoi sono molto ampi e le camere stesse non sono da meno. L’autista del pullman ci ha salutato ed è tornato dalla sua famiglia a Los Angeles. Dopo una doccia e un riposino ci troviamo verso le 19,00 nella hall dell’albergo per la cena. Con appena 10 dollari entriamo nel self service dell’albergo. Ora possiamo mangiare tutto quello che vogliamo, dagli antipasti al dessert. Alle 20.00 siamo pronti per uscire nella prima passeggiata notturna. Ci sono alcuni spettacoli interessanti che potremo vedere dalla strada tra pochi minuti se ci sbrighiamo. Siamo davanti all’hotel Treasure Island. Il tema dell’albergo sono i pirati e il soggetto dello spettacolo è la loro guerra contro il Britannia, la nave che difende l’impero. Le navi sono delle dimensioni reali e le cannonate che si tirano, anche se caricate a salve sono vere. Alla fine della battaglia dopo duelli con la spada, cannonate e bordeggi una delle due navi affonda per riemergere magicamente alcuni minuti dopo. Alla fine dello spettacolo la folla si disperde e poco più in la vediamo un vulcano con una cascata intorno, che erutta fuoco e fiamme a suon di tuoni. Tutto finto questa volta con un grande effetto scenico. Che contrasto passare dai parchi naturali che abbiamo visto fino alla mattina a questi costruiti dell’uomo per il suo divertimento. Entriamo nella hall del Mirage per un impegno preso. Ci rifacciamo la foto fatta cinque anni prima nello stesso punto. È molto bello ritornare nei luoghi dove siamo già stati. Questa sera siamo tutti un po’stanchi, forse perché abbiamo alle spalle una settimana di viaggio itinerante. Quello di stasera è il settimo albergo che abbiamo cambiato dall’inizio del viaggio. Entriamo nella galleria del Caesar Palace con l’intento di tornare indietro alla fine della sua visita. Sembra di camminare tra le strade dell’antica Roma, per non dimenticare la città dove viviamo. Le gambe ci riportano al “Circus Circus” per dormire senza il pensiero della sveglia in questo comodo albergo. 10° giorno: Las Vegas Abbiamo deciso che in questa giornata ognuno fa quello che gli pare. Ci dividiamo così a gruppetti per vedere la città di giorno. Apprezziamo il calore dell’asciutto di quest’altipiano collocato a circa 1000 metri sul livello del mare. Anche in questa città si possono fare acquisti e così acquisto una camicia PRL a soli 30 dollari. Pranziamo con un pezzetto di pizza sapendo che stasera ci rifaremo con la cena. Ci troviamo con Serena e insieme a mia moglie visitiamo il “The Venetian”. L’architettura esterna ed interna non lascia dubbi sul suo tema. Saliamo con una scala mobile al piano superiore e sbarchiamo in un grande salone affrescato come in un vero palazzo veneziano. Entriamo in un percorso simile a quello delle calle veneziane dove al centro viaggiano delle gondole sospinti dai caratteristici gondolieri con la tipica maglietta a strisce bianche e rosse orizzontali. A controllare la zona, coppie di carabinieri a piedi e senza stellette. Alla fine del percorso, com’è logico pensare si arriva a Piazza San Marco. Da ambo i lati, le strade sono arricchite di negozi d’ogni tipo. Torniamo in albergo per riposare un po’ e per affrontare meglio la notte che sta per venire. Alle 6 della sera ci ritroviamo in un gruppetto nell’hall dell’albergo, mentre i circensi vi si esibiscono ininterrottamente. C’incamminiamo a piedi sulla “Strip” che nel frattempo accende gradualmente le luci per affrontare una nuova notte all’insegna del divertimento. Camminiamo in direzione dell’hotel Mirage per la cena. Ci mettiamo in coda per entrare ad uno dei più cari self service della città. Paghiamo 31$ per due e mangiamo di tutto fino all’inverosimile. Per i primi piatti e lo chef mi cucina la pasta del tipo che voglio e me la salta in padella con il condimento da me scelto. Dopo mi cucina un filetto di manzo con le spezie che scelgo. I dolci… Adesso per smaltire abbiamo bisogno di una bella camminata.
Così la prima fermata è allo stesso hotel Mirage per vedere una coppia di tigri albine che vivono in un habitat adatto creato per loro adiacente all’hall. A seguire è doverosa un’altra passeggiata all’interno dell’hotel Caesar Palace con ambientazione dell’antica Roma, e a poi, giusto per rimanere virtualmente in Italia, dell’hotel Bellagio, ricca di fiori come del paese sul lago di Como. Usciti camminiamo fino all’hotel New York New York. L’esterno è una sintesi del paesaggio osservabile da alcuni punti panoramici della città vera e l’interno una sintesi delle viuzze dei quartieri più storici della città. L’albergo successivo che visitiamo è l’Excalibur con ambientazione medievale. L’esterno evoca i castelli dell’era storica e l’interno i saloni delle corti feudali. La stanchezza inizia a farsi sentire e diverse donne del nostro gruppo desiderano tornare in albergo. Ormai però che siamo arrivati fino a qua, decidiamo di visitare l’ultimo albergo della serata, il Luxor in ambientazione egizia. L’esterno è una grande piramide in vetro alta più di 100 metri. Sulla sua sommità una punta luminosa è visibile da molte decine di km di distanza. Attraverso una sfinge si accede all’ingresso principale. Appena entrati nell’edificio il colpo d’occhio è da rimanere a bocca aperta. La piramide è cava al suo interno e le camere sono sospese nel vuoto seguendo l’inclinazione della piramide. Gli ascensori viaggiano in diagonale e ogni stanza ha le finestre inclinate per una migliore visione del cielo. Il perimetro interno del fabbricato evoca con un fosso navigabile da feluche il fiume Nilo, al centro della costruzione un contorto dedalo ci viuzze per negozietti e attrazioni varie ricorda la casba de Il Cairo. Una costruzione sorprendente. Una volta usciti dall’hotel Luxor con un taxi torniamo al nostro hotel per dormire. Domani dovremo alzarci ad una buona ora. 11° giorno: Las Vegas – Chicago (Houston) Alle 7.30 del mattino ci troviamo, di nuovo con le valigie in una zona esterna dell’albergo dove alcune navette ci vengono a prendere. Ci trasferiamo all’aeroporto internazionale Mc Carran. Dopo le normali operazioni d’imbarco ci dirigiamo con puntualità all’imbarco per il decollo. Una volta sull’aereo mentre rulliamo sulla pista passa sotto i nostri occhi in lontananza, l’allineamento degli alberghi che fino ad ieri abbiamo visitato, ci stanno la sciando un bel ricordo. Mentre l’aerea si solleva da terra la nostra visione di Las Vegas dall’alto permette ai nostri occhi l’ultimo spettacolo cittadino, la sua estensione che borda con villette e piccoli condomini il nucleo centrale, striscia centrale del divertimento internazionale. Lo spettacolo aereo continua sorvolando il Gran Canyon e le sue dighe. Poco dopo appare un profondo circolo dal diametro di 1200 metri: è il “Meteor Crater” nell’Arizona. Da ora in avanti per me si vede da lontano solo deserto, finche prima dell’atterraggio il comandante annuncia che siamo entrati nel Texas e stiamo per atterrare nell’aeroporto di Houston. Una volta scesi dall’aereo ci rendiamo conto che il prossimo volo ripartirà dallo stesso terminal. Ci spostiamo solo per andare comprare qualcosa che metta a tacere i nostri morsi della fame. Saremmo pronti per salire sull’aereo se non venisse annunciato che per una perturbazione sulla tratta non è possibile per il momento partire. In questi casi dobbiamo solo armarci di pazienza. Finalmente con tre ore e mezza di ritardo decolliamo in direzione dell’Illinois. Ad un certo punto del volo ci troviamo in mezzo ad un bel temporale. Ormai non è più possibile tornare indietro. L’aereo non sò bene quale ballo ballasse, tanto è vero che ogni tanto si udivano degli urli. Poi l’atterraggio con discesa a palla di cannone, a discesa rapida per arrivare all’aeroporto intercontinentale di Chicago. Ci accoglie una pioggia battente con violente raffiche di vento. Uno degli aeroporti più trafficati del mondo era in concreto deserto, eravamo arrivati solo noi. Il pullman che ci doveva prelevare era stato avvertito del ritardo e così si è presentato puntuale per il transfert all’hotel Essex Inn. Cerchiamo nelle vicinanze un luogo dove cenare e al ritorno andiamo tutti a letto molto stanchi del viaggio e del disagio vissuto e per alcuni anche della paura dell’aereo che è riaffiorata. Ma il pilota, come tutta la classe si è dimostrata all’altezza della loro professionalità.
12° giorno: Chicago Durante la notte il forte vento ha spazzato le nuvole e la mattina si presenta fresca perché ventosa con l’influenza del lago ma soleggiata. Fuori ci aspetta un pullman per accompagnarci in un giro panoramico della città. La prima fermata la facciamo davanti al famoso acquario della città. Da questa penisola in mezzo al lago si può ammirare tutta la città con il suo altalenarsi di grattacieli dalla mirabile fattura architettonica. La seconda fermata è al “Navy Pier”, un molo ristrutturato e progettato per la vita dei bambini. Anche chi non lo sa, dai giardini percepisce la permanenza in un luogo simile con statue bronzee di bambini che giocano. Poco più in la, una scultura unica alta alcuni metri che rappresenta una scarpa di donna con tacco, ma la cosa più sorprendente è che è composta da tante scarpe da donna col tacco della stesso modello in formato regolare. Che fantasia! Dopo alcuni spostamenti ci rendiamo conto di uno strano fenomeno. Agli angoli delle strade, nelle piazze o in altri luoghi strategici osserviamo delle mucche in PVC in dimensioni naturali. Questi oggetti sono stati forniti grezzi agli sponsor che hanno provveduto a modificarle nelle posizioni più incredibili oppure semplicemente a dipingerle come opere d’arte a cielo aperto. Evocano aree geografiche, artisti famosi, bandiere o ciò che la fantasia artistica ispira in quel momento. Perché una mucca. Dicono sia stata la fortuna di Chicago che una sera quell’innominata mucca urtasse la lanterna che incendiò la sua stalla e da lì tutta la città. Grazie a quella ricostruzione i più grandi architetti a livello internazionale poterono esprimere la loro professionalità nella città. Siamo arrivati al luogo della terza fermata davanti al “Sears Tower”, uno dei grattacieli più alti del mondo. Pare che la differenza la facciano solo i pennoni. Alziamo gli occhi al cielo, le nuvole al passaggio riflettenti sulle pareti a specchio degli edifici ci danno una sensazione di sbandamento con la parvenza che i grattacieli oscillino proprio in quel momento sotto la potente forza del vento. La fermata successiva è alla torre dell’acqua, unico reperto archeologico della città scampato al famoso incendio della mucca. Dopo un ulteriore giro nella prima periferia per ammirare alcuni parchi ricchi di aiuole e fiori, si dirige verso l’hotel, ma noi e altri del gruppo ci fermiamo nel centro. Una statua di Pablo Picasso in acciaio domina una di queste piazze, altre da altri artisti. In questa piazza si pubblicizza un famoso formaggio fresco e si dispensano ricchi e abbondanti assaggi che per noi sono pranzi. Continuiamo tutto il pomeriggio a passeggiare per le vie del centro ammirando le solite mucche artistiche, palazzi d’ogni ordine architettonico e negozi per tutte le curiosità. Ceniamo in un locale architettonicamente spiritoso e a piedi torniamo all’hotel. Anche domani avremo una giornata piena. 13° giorno: Chicago – New York Dopo colazione lasciamo le camere e portiamo le valigie in una che ci hanno riservato come deposito. La mattinata è libera. Prendiamo l’autobus della città in direzione sud per andare a visitare il “Museum of Science and Industry”. Oggi l’ingresso è gratuito e noi lo sapevamo e così ci provvedono un biglietto gratis per entrare. C’è tutto quello che il tema del museo può lasciarci immaginare. Vecchi treni sommergibili, aerei, trenini elettrici e così via. Tra le cose che attirano la nostra attenzione sono le navicelle spaziali originali come la cabina dell’apollo 14. Pensare che due persone erano racchiuse in quello spazio angusto ci fa rabbrividire. Pienamente soddisfatti di ciò che abbiamo visto torniamo in hotel perché alle 1,30 un pullman ci porterà all’aeroporto. Alle 4,00 del pomeriggio parte il nostro aereo per Newark, nel new Jersey. Dal finestrino si gode uno spettacolo molto bello volando sopra il lago e le costruzione che vi si affacciano. Dopo due ore e un quarto di volo arriviamo a New York. Visto l’orario non ci rimane che consumare una cena e dormire al Palace Hotel nel New Jersey. 14° giorno: New York Dopo la colazione, il pullman attraversa il tunnel sotto il fiume Hudson per transitare a Manhattan e ad attraversare l’omonimo ponte che porta a Brooklyn. Questo è un quartiere molto tranquillo dal quale si vede uno splendido paesaggio verso Manhattan. Dopo aver salutato alcuni amici che abitano lì, con un piccolo gruppetto di 9 unità che come noi abbiamo già visto New York, attraversiamo a piedi il ponte di Brooklyn. Al centro del ponte, in posizione sopraelevata rispetto alle due carreggiate di marcia, viaggia un percorso pedonale. È una passeggiata piacevole su un robusto tavolato di legno sopra al quale possono passare anche le biciclette. In corrispondenza dei piloni centrali osserviamo le lapidi storiche che ne datano la costruzione. Passato il ponte ci dirigiamo verso sinistra lasciandoci a destra il municipio della città. Nella strada parallela più avanti dove una volta c’erano le torri gemelle e il globo metallico opera di Jo Pomodoro, c’è un convenientissimo negozio alto soltanto quattro piani, chiamato Century 21 dove si possono fare acquisti sensazionali. Dobbiamo sempre darci una regolata perché rispetto all’Italia i prezzi sono invidiabili. Verso il fiume Hudson ci piace vedere il “Winter Garden”, una volta di cristallo e acciaio alta circa 40 metri sotto al qual è contornato un anfiteatro in granito che affaccia su 16 alte palme e il fiume sullo sfondo. Dopo uno spuntino ci trasferiamo a Chinatown per vedere se anche qui possiamo fare degli affari. Da qui in Canal Street, prendiamo la metropolitana che ci porterà nei pressi del Lincoln Center dove spiccano il teatro dell’opera e due enormi dipinti di Marc Chagall apprezzabili dalle vetrate. All’esterno del centro ci sediamo ai bordi della fontana circolare per essere abbagliati dal riflesso del sole sul marmo. Con una breve camminata lungo la Broadway arriviamo al Columbus Circle dove abbiamo alle sei della sera l’appuntamento con gli altri che ci passano a prendere con il pullman. Torniamo in albergo e contenti della bella giornata, dopo una cena e una piccola passeggiata andiamo a dormire. 15° giorno: New York Oggi è l’ultima giornata piena del viaggio. Dopo colazione il pullman ci porta a “Time Square”. Ci verrà poi a riprendere la sera. È sempre gradevole fare una passeggiata attraverso queste strade. Non possiamo visitare New York senza passare attraverso la fifth Avenue, sia per vedere le vetrine delle grandi firme che grattacieli di notevole pregio architettonico. Questa passeggiata fino al Central Park e il suo ritorno ci portano alla destinazione finale per oggi: il MOMA, uno dei musei d’arte moderna della città, non solo per la pittura ma anche per l’architettura. Certi dipinti mi entusiasmano, che emozione vederli dal vero e non più sui libri di scuola. Personalmente però, sono particolarmente attratto dai plastici d’alcune opere come la “Casa sulla Cascata” progettata da Lloyd Wright. Rimaniamo fino alla chiusura ritornando anche a vedere alcune opere già viste. Ci spostiamo vicino a “Time Square” che al tramonto diventa più bella perché i grandi schermi televisivi risaltano sempre di più davanti ad una folla sempre più numerosa. È piacevole solo osservare il movimento delle persone davanti al susseguirsi delle immagini sviluppate su tanti monitor differenti. Il pullman è arrivato e possiamo tornare all’albergo e preparare la valigia per l’ultima volta in questo viaggio. 16° giorno: New York – Italia Dopo colazione il pullman è pronto per condurci nel cuore del New Jersey dove abbiamo prenotato una visita con guida in italiano allo “Stanley Theatre”. Questo locale ha rischiato la demolizione se non era acquistato per farne una sala dei congressi con 4.500 posti complessivi. È stato completamente ristrutturato in un tempo record di 10 mesi e riportato all’antico splendore con i suoi marmi originali, ottoni e lampadari di cristallo nell’hall. Il salone principale riporta ai lati le facciate dei palazzi veneziani in tridimensionale, il palco rappresenta la volta del ponte del Rialto e il soffitto intonacato accoglie al buio un cielo stellato e la proiezione di nuvole da una parte all’altro della sala, un fascino romanticamente europeo in un edificio riportato alla sua piena funzionalità. Dopo la visita il pullman ci conduce di nuovo a Manhattan. In queste poche ore che ci rimangono prima del volo di ritorno cerchiamo di soddisfare le richieste di alcuni gruppetti che vorrebbero tornare a fare un po’ di shopping al Century 21. Mentre siamo lì, chi non è interessato all’acquisto fa una passeggiata nella vicina Wall Street fino alla statua del famoso toro. L’ultimo appuntamento è una fermata davanti alle Nazioni Unite per scattare alcune foto davanti ai simboli o alle statue più significativi per ognuno. Nei percorsi cittadini possiamo gustare, a motivo del notevole traffico, tanti piccoli quartieri che durante la festa sono più rilassati. Arriviamo giusto a tempo all’aeroporto di Newark per la partenza aerea che ci riporterà in Italia. Abbiamo appena il tempo per salutare i nostri amici che prendono il volo per Milano Malpensa, per pregustare la prima parte di tristezza, lasciare i nostri amici. Andiamo al nostro gate con il resto del gruppo e c’imbarchiamo per quest’ultimo volo che ci riporterà in Europa.
17° giorno: Italia Il volo arriva puntuale nella mattinata a Roma. Telefonicamente abbiamo il riscontro che anche i nostri amici sono arrivati tranquilli ma sconsolati come noi a Milano. Arriviamo rispettivamente alle nostre case, abbastanza stanchi per una bella dormita, così ci addormentiamo mentre le scene di un incredibile viaggio ripassano nella nostra mente. Già pensiamo al prossimo?