La Ruta del fin del mundo
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Il viaggio
Si parte da Santiago de Cile con volo Lan Chile verso Punta Arenas. Sono tre ore e mezza di volo, dato che le due città distano circa 3000 km in linea d’aria. L’arrivo a Punta Arenas è piuttosto movimentato. L’aereo ondeggia e traballa parecchio a causa del vento, ma l’equipaggio non mostra alcun segno di preoccupazione evidente e, in effetti, l’atterraggio è tranquillo.
Appena scesi dall’aereo ci si rende conto del perché di tutti quei traballamenti in aria prima dell’arrivo: c’è un vento che ti porta via. Anche per questo la compagnia Lan Chile usa spesso per questa tratta degli aerei abbastanza grossi, tipo Boeing 757, invece dei normali Airbus o dei 737 che sarebbero già sufficienti per la distanza di corto raggio.
Punta Arenas
La capitale della Patagonia cilena, o meglio della provincia di “Magallanes y Antarctica Chilena”, è una cittadina di circa 100.000 abitanti posta sull’istmo davanti alla Terra del Fuoco. La città è battuta per 8-10 mesi all’anno da un vento fortissimo, in particolare durante l’estate australe (dicembre-febbraio). La prima cosa che si nota in aeroporto è il cartello che indica la velocità del vento: al mio arrivo segna “vento a 82 km/h”. Al momento non ci si fa caso, poi appena esci dall’aeroporto ti accorgi che è meglio tenere ben strette le borse e calcare i cappellini sulla testa, se no il vento te li strappa via.
A causa di una prenotazione Internet mal recepita, o mal eseguita, l’auto che avevo prenotato non è disponibile, ed Hertz e Avis non ne hanno altre. Per fortuna interviene in mio soccorso il funzionario della Recasur, un’agenzia locale, che per 50.000 pesos al giorno (80 Euro) ci dà una Toyota Corolla abbastanza grande. I prezzi sono allineati: il costo del noleggio auto sta su questi valori con qualunque agenzia.
Punta Arenas, vento a parte, si rivela una città piacevole e molto colorata, con edifici color pastello un po’ dovunque, mercatini degli indios che vendono per 3-4 euro delle belle sciarpe di alpaca e… nota curiosa, dei divertenti e vivaci murales “trompe-l’oeil” come quello che si vede in una delle foto.
Alloggiamo all’hotel Plaza, in pieno centro, per 51.000 pesos a notte, cifra del tutto ragionevole. Ci sono ottimi ristoranti, molti concentrati nella calle O’Higgins che è parallela al lungomare. Ottimo il ristorante “La luna” o anche l’Austral che è proprio di fianco. Menu a base di pesce, chiaramente. Questo è il posto più adatto per farsi una scorpacciata di “centolla”, cioè il grande granchio a 7 zampe del Pacifico, che però mi dicono essere in via di estinzione. Perciò al mio ritorno al ristorante ho cambiato menu puntando sul “Gran plato de la luna”, un eccezionale misto di frutti di mare in cui spiccavano delle enormi cozze verde scuro (choritos), che con 3 o 4 di quelle uno è già pieno, in mezzo a una cornucopia di almejas (vongole), locos (molluschi bivalvi), ostiones (capesante), camarones (gamberi), chipirones (calamari). Tutto questo ben di Dio, innaffiato con un ottimo sauvignon della Valle de Casablanca, per la modica cifra di 15.000 pesos (25 Euro).
La “Ruta del fin del mundo”
A Punta Arenas inizia (o finisce, questione di punti di vista) la RN 9 o “Carretera Austral”, che collega Santiago del Cile con il sud del Paese, lungo un percorso di circa 3500 chilometri. È una strada un po’ per modo di dire, perché in realtà il percorso è intervallato da numerosi tratti di mare da fare in ferry, uno anche piuttosto lungo. Il tragitto tutto via terra è possibile solo passando attraverso l’Argentina, percorrendo la Ruta 40 fino a Rio Gallegos sulla costa atlantica e poi rientrando in Cile poco prima della Terra del Fuoco. Se si noleggia una macchina a Santiago, questa opzione risulta poco conveniente a causa degli alti tassi di importazione temporanea del veicolo applicati dalla dogana argentina.
Il termine “Carretera Austral” è riferito specificamente agli ultimi 1700 chilometri, da Chaiten nella regione di Aysen (raggiungibile in ferry da Hornopirèn, dopo Puerto Montt, o dall’isola di Chiloè) a Punta Arenas.
All’uscita da Punta Arenas, lasciate le ultime casette colorate con i giardini fioriti di lupini rosa e lillà, un grande cartello verde ci informa che stiamo per iniziare la “Ruta del fin del mundo”, termine che in effetti mette un po’ di inquietudine. Il cartello descrive anche il cosiddetto “Circuito Aonikenk”, lungo il quale si spostavano le antiche tribù nomadi della Patagonia.
La “Ruta del fin del mundo” è il tratto finale della Carretera Austral. La strada raggiunge Puerto Natales (km 250), poi Cerro Castillo (km 310) e finalmente il Parque Torres del Paine (km 360). Il percorso si snoda tra praterie sconfinate, tocca laghi e fiordi che si insinuano tra una miriade di isolotti, costeggia la Cordillera Chilena con le vette perennemente innevate e per un tratto corre lungo il confine con l’Argentina. I paesaggi sono notevoli.
Ci si ferma spesso a scattare foto alle placide mandrie che pascolano nelle vallate o ai gauchos intenti a governare greggi. Il fondo stradale è in parte asfaltato, in parte in “ripio”, cioè terra nera pressata. In generale, il fondo è buono e non crea problemi di guida. Sul ripio si va come sull’asfalto, sulla ghiaia si può andare a 60-70 km/h senza problemi, salvo ovviamente i tratti di montagna. Lungo il percorso si incontrano pochissime macchine, al punto che quando si incrocia un veicolo è consuetudine un lampeggio di saluto con i fari o fare ciao ciao con la mano.
Gli Aonikenk
Aonikenk, o Tehuelches, cioè “persone coraggiose” è il nome delle antiche popolazioni aborigene che vissero in Patagonia. Erano divisi in tribù e vivevano cacciando guanachi e nandù con le bolas, oppure di radici e semi raccolti nei boschi. Dagli animali ricavavano anche i pochi vestiti che usavano per l’inverno: pelli di guanaco per coprirsi le spalle e strati cuoio legati ai piedi come calzature. Pare che fossero di statura notevole (una media di 1.75 per gli uomini) e di struttura fisica compatta. Da alcuni resti di tombe si è potuto stabilire che, come altri popoli, anche gli Aonikenk credevano nella vita dopo la morte e seppellivano i loro morti lasciando nella tomba o nelle grotte sepolcrali le armi del defunto, utensili e ornamenti.
Erano nomadi, e si spostavano secondo un circuito da est a ovest che appunto ha preso il nome di “Circuito Aonikenk”.
Puerto Natales
Puerto Natales (20.000 abitanti) è il primo centro abitato degno di tal nome che si incontra lungo la Carretera Austral in direzione Nord, a 250 km da Punta Arenas. La cittadina è piacevole, con le sue case di legno dipinte a colori pastello. Molto bello il lungomare che inizialmente penserete essere un lungolago, salvo ricredersi dopo essere stati informati che la città si affaccia su un fiordo. Si tratta del Seno Ultima Esperanza, un fiordo che si insinua fin qui dalle coste del Pacifico, al termine di 120 km scavati tra spaccature e insenature. Il porto di Puerto Natales è il capolinea meridionale dei traghetti che percorrono i fiordi della costa cilena dell’Oceano Pacifico.
Una passeggiata sul lungofiordo (termine che mi pare più appropriato) è imperdibile, specialmente al tramonto se avete la fortuna di beccare una giornata di sole. Tra gruppi di cigni bianchi dal collo nero che nuotano nelle acque calme del fiordo e le centinaia di sterne e cormorani appollaiati sul molo, con le vette innevate della Cordillera Patagonica sullo sfondo, vi colpirà subito lo spettacolare “Monumento al viento”, che raffigura un ragazzo e una ragazza in volo trascinati al cielo dalla forza del vento.
Il lungomare, il monumento, gli stormi di uccelli, le montagne sullo sfondo, rendono questo luogo affascinante. Sedetevi su una panchina e lasciate correre lo sguardo fino alle vette innevate della cordigliera: magari, come me, vi troverete senza accorgervene a pensare a chissà che cosa. Forse al rapporto tra l’uomo e l’ambiente, forse alla vita nel sud del mondo, forse alla purezza della natura incontaminata. Dopo però, devo essere sincero, più prosaicamente ho pensato ad una bella cioccolata calda in uno dei tanti pubs di questa piacevole cittadina.
A Puerto Natales ci sono molte agenzie che organizzano tour di navigazione lungo il fiordo, oppure gite a Torres del Paine. Se volete, per 100 dollari tutto compreso vi portano anche in Argentina a vedere il ghiacciaio Perito Moreno, andata e ritorno in giornata.
Torres del Paine
Dopo Puerto Natales la RN 9 prosegue verso il Parque Torres del Paine, che si raggiunge dopo altri 120 o 150 km, secondo quale ingresso (“guarderia”) si sceglie, tutti in ripio o ghiaia.
Torres del Paine è un parco di montagna bellissimo. Molto più bello di Yosemite in California. Non posso paragonare invece con Yellowstone e Jasper, perché questi non li ho visti.
I panorami sono mozzafiato. Guglie di roccia, laghi di montagna, pinnacoli innevati, fiumi e cascate si aprono allo sguardo sorprendendo mille volte il visitatore. Le vette principali sono: Cerro Paine Grande (3050 m), Torre del Paine (2800 m), Cerro Paine Medio (2450 m), Cuernos del Paine (2800 m), Cerro Catedral (2200 m). Il vento e il ghiaccio hanno modellato i picchi del massiccio del Paine in forme e stratificazioni stranissime, che si possono vedere solo qui.
Dietro ogni curva, dietro ogni promontorio, aspettatevi una sorpresa: può essere una cascata, può essere un arcobaleno tra i monti, può essere un branco di guanachi, oppure un’aquila che vi volteggia sopra la testa, o un prato colorato di fiori simili alle stelle alpine. Oppure può essere anche una folata di vento che ti porta via, oppure una doccia imprevista a causa degli spruzzi dell’acqua sollevati dal vento… anche questo fa parte della visita.
Torres del Paine si gira bene in macchina, lungo strade di ghiaia che non creano nessun problema di guida anche con un’auto normale come quella che avevo io.
Entrando dalla Guarderia Sarmiento, il giro percorre la Valle Francés, che offre vedute spettacolari dei “Cuernos del Paine”, poi si costeggia il lago Nordenskjold con un eccezionale mirador proprio sotto il Cerro Paine Grande, e quindi attraversa un altro avvallamento che porta al lago Pehoè.
Il panorama con la vista delle vette è sublime se avete la fortuna di vedere il massiccio sgombro di nubi illuminato dalla luce del sole al tramonto.
Altri tratti che non potete mancare
– il circuito dell’area nord-est del Parco, che costeggia il Rio Paine e raggiunge Laguna Amarga, Laguna Verde e Laguna Azul. Sul percorso si incontra la stupenda cascata “Salto del Paine” sempre avvolta in un arcobaleno generato dalla luce del sole tra gli spruzzi d’acqua
– il circuito ovest, che porta al lago Grey e all’omonimo ghiacciaio. Ne parlo più diffusamente a parte perché l’argomento merita uno spazio per sé.
– il circuito nord che passa dietro le guglie che danno il nome al parco e consente di raggiungere l’eccezionale Mirador Las Torres posto proprio sotto le guglie di roccia che danno il nome al parco
– il circuito sud che porta al lago Sarmiento e alla guarderia Rio Serrano.
Tutti questi percorsi si fanno in auto senza problemi. In moltissimi punti si aprono sentieri di trekking, che richiedono dai 30-40 minuti (come quello che si snoda lungo la costa sud del lago Grey e porta al Mirador Grey), a due ore (es. quello per raggiungere il Mirador Las Torres: fatelo perché i paesaggi lì sono eccezionali). Chi vuole può anche visitare l’intero parco a piedi, seguendo il percorso di trekking detto “W” da fare in più giorni, noto agli appassionati di escursionismo di tutto il mondo. Lungo i sentieri più battuti sono collocati numerosi rifugi dove si può alloggiare.
Alla visita del Parque Torres del Paine bisognerebbe dedicare almeno 3 giorni, che è una durata che permette di vedere quasi tutto, coniugando giri in auto con passeggiate nei punti più spettacolari e riservando mezza giornata per l’imperdibile navigazione sul lago Grey. Alcuni si fermano solo due giorni, e alcune agenzie propongono addirittura tour da un giorno solo: queste soluzioni di visita sono assolutamente insufficienti.
Il biglietto di ingresso al parco vale 3 giorni, durante i quali potete entrare e uscire a piacere quante volte volete da qualunque ingresso.
Lago Grey e Glaciar Grey
Per il secondo giorno di visita abbiamo prenotato la gita in barca sul lago Grey. Ci presentiamo puntuali alle 8 al molo dell’hosteria Grey ma subito ci avvisano che stamattina la barca non uscirà, perché il vento soffia a 90 km/h. In queste condizioni governare l’imbarcazione è impossibile, per cui il capitano ha annullato il tour sul lago. Effettivamente, non ci si può nemmeno affacciare sul molo, perché si rischia di essere portati via dal vento.
La solerte impiegata dell’agenzia di navigazione ci rassicura: per la mattina dopo è previsto vento non oltre i 30 km/h, per cui chi vuole può decidere di mantenere l’iscrizione e ripresentarsi. Come facciano a prevedere persino la velocità del vento in queste lande di montagna australi dove il tempo cambia ogni mezz’ora, è un mistero. Molti iscritti infatti storcono il naso e rinunciano. Io invece mi fido e accetto il rinvio.
Il giorno dopo, alla stessa ora, il vento è 28 km/h! Previsioni azzeccate in pieno. C’è persino un pallido sole. Alle 8 e mezza si parte per la navigazione sul lago Grey. Dei 40 iscritti del giorno prima, siamo rimasti solo in 10. Pochi ma buoni.
Sul lago vediamo subito i primi iceberg che si sono staccati dal ghiacciaio, trascinati dal vento fino in prossimità del molo. Due condor ci osservano guardinghi. Il ghiacciaio è in fondo al lago, e si raggiunge dopo circa un’ora di navigazione sull’acqua grigio-verde appena increspata dall’imprevista bonaccia.
La barca costeggia pareti di roccia a strapiombo, tra le quali ogni tanto si aprono spettacolari vedute del massiccio Paine visto da Ovest. Mano a mano che ci si avvicina al fronte del ghiacciaio, si moltiplicano gli ooohh di stupore miei e dei compagni di viaggio. Davanti al ghiacciaio si rimane a bocca aperta. Dal Cerro Condor e dalle montagne del Parque Nacional Bernardo O’Higgins, che confina a nord-ovest con Torres del Paine, scendono tre lingue di ghiaccio separate tra loro da contrafforti montuosi. In totale il ghiacciaio si estende per 5 km e il fronte sul lago è alto una trentina di metri. I blocchi di ghiaccio assumono colori dal bianco all’azzurro intenso, secondo la quantità d’aria che rimane inglobata durante la solidificazione dell’acqua. La lingua più bella è quella centrale, che si è solidificata formando una serie di spettacolari guglie di ghiaccio azzurro e turchese.
Il capitano ferma spesso la barca davanti al ghiacciaio, per permetterci di scattare le foto o semplicemente per lasciarci ammirare lo spettacolo naturale. Mentre siamo lì con lo sguardo rapito dai pinnacoli di ghiaccio e dallo scenografico contorno di montagne innevate, il collega del capitano ci chiama a raccolta. Sorpresa: davanti al ghiacciaio Grey ci hanno preparato un brindisi con il pisco, la bevanda alcolica a base di distillato d’uva con limone tipica dei paesi andini. Salute!
La gita sul lago Grey è costata 90 dollari a persona, ma davvero ne è valsa la pena.
Gli animali del Parque Torres del Paine
Come in ogni parco degno di tal nome, anche a Torres del Paine è molto facile avvistare gli animali che lo popolano: vedrete senz’altro numerosi branchi di guanachi, e con ogni probabilità anche i nandù, uccelli patagonici che non volano, parenti più piccoli degli struzzi africani. Io ho avuto la fortuna di vedere parecchie aquile di Magallanes, una coppia di ibis, i condor, i queltehue che sono delle specie di tortore locali e i fenicotteri prima dell’ingresso al parco. Praticamente, gli unici animali patagonici che non ho visto sono i puma, che si muovono solo di notte, e gli huemules, i cervi di questa regione, che sono molto schivi e mi dicono anche sempre più rari.
Gli animali sembrano avvezzi alla vista dell’uomo e delle auto, e generalmente non mostrano segni di insofferenza. I guanachi (che appartengono alla medesima famiglia dei cammelli) hanno un comportamento singolare: piazzano 2 o 3 maschi in un punto elevato, che fanno da guardie vigilando sulle femmine e sul resto del branco, eventualmente ordinando la fuga in caso di pericolo. Se vi avvicinate con circospezione, molto semplicemente staranno lì a fissarvi con uno sguardo più stupito che preoccupato. Ma attenti, non avvicinatevi troppo, perché i simpatici camelidi hanno il vizietto di sputacchiare qua e là per intimorire chi rappresenta una minaccia potenziale, e vista la portata dello sputo si rischia di fare la doccia.
Alloggiare a Torres del Paine
Gli alloggi all’interno del parco si trovano in corrispondenza delle varie “guarderie” di entrata, oppure in altri punti lungo la strada. Gli hotel, generalmente detti “hosterias”, sono cari. Nel mio caso, ho dormito per 2 notti all’hosteria Lago Toro, vicino alla guarderia Serrano, per 125 dollari a notte in doppia, che è una delle opzioni più economiche. Altre soluzioni vanno dai 180-200 dollari e oltre (es. hosteria Lago Grey o hosteria Pehoè), fino ai 7-800 dollari a notte dell’Hotel Explora, vicino al Salto Grande del Lago Pehoè. Tutto è caro a Torres del Paine: aspettatevi di spendere 3-4 Euro per una bottiglietta d’acqua, o tre euro per un litro di benzina. Però bisogna considerare che non ci sono strade camionabili, che non c’è la corrente elettrica, che nel parco non ci sono coltivazioni e che quindi bisogna portare qui tutto ciò che serve. Il posto più vicino da cui far arrivare vettovaglie è Puerto Natales, a oltre 100 km.
Ogni hosteria ha un proprio ristorante, oppure ci sono delle “parrillas” (griglierie) come quella eccellente che ho trovato a 100 metri dall’hotel, posta proprio davanti ai “Cuernos del Paine”. Mentre mangiavo, una stupenda aquila di Magallanes è calata nel prato davanti alla vetrata del ristorante, evidentemente in caccia di qualche roditore.
Il clima a Torres del Paine
Tutte le guide che parlano di Torres del Paine riportano un detto: “qui si possono susseguire le 4 stagioni in un giorno solo”. Verissimo: se le vette delle montagne sono avvolte dalle nubi, non preoccupatevi: nel giro di un paio d’ore le vedrete libere. Se invece le vedete sgombre da nubi, affrettatevi a scattare le foto, perché dopo poco tempo potrebbero scomparire alla vista. Se piove, pazienza, tanto prima o dopo smette e esce il sole.
Quello che c’è sempre in questo periodo dell’estate australe è il vento: da forte a fortissimo a intollerabile, non manca mai. Le foto dovrebbero dare un’idea. D’inverno invece il vento è meno forte oppure addirittura assente.
La temperatura nei giorni di inizio febbraio in cui sono stato io oscillava dai 12-13 gradi di giorno a 3-4 gradi di notte. In gennaio, cioè piena estate, mi hanno detto che hanno avuto qualche giornata caldissima oltre i 25 °C, mentre in inverno spesso la temperatura scende sottozero.
La jineteada di Cerro Castillo
Uno dei rischi che si possono correre durante la visita al Torres del Paine è quello di rimanere senza benzina. Distributori nel parco non ce ne sono, per cui gli albergatori e i ristoratori si sono fatti furbi e tengono scorte di carburante per i turisti che rimangono col serbatoio vuoto. Solo che vendono la benzina a 2000 pesos al litro (un po’ più di 3 €), quando il prezzo normale alla pompa è tra 750 e 800 pesos.
Dato che giudico questo prezzo esagerato, decido di uscire dal parco e prendere la strada in direzione sud, verso Puerto Natales, Mi dicono che nel villaggio di Cerro Castillo, a 1 ora di macchina, c’è benzina. Così è: non al distributore, ma anche qui presso dei privati. La vendono a 1000 pesos al litro, molto più che alla pompa ma comunque è un prezzo accettabile vista l’assenza di distributori nella zona.
La gentile signora che ci dà la benzina ci informa che sta per iniziare una “jineteada”, cioè la gara di monta di cavalli bradi. Cambio di programma immediato: decidiamo di non perdere lo spettacolo e ci fermiamo a Cerro Castillo per assistere al rodeo.
Il pomeriggio comincia con una esibizione del campione brasiliano di addestramento di cani pastore (“perros ovejeros”) Sergio Magalhaes. Stupefacente la performance della cagnetta Tina, una volpina alta un soldo di cacio capace di dominare un intero gregge di grandi “corderos magallanicos” con il solo sguardo e i movimenti secchi e felpati.
Segue l’esibizione delle “corraleras”, le cavallerizze locali che avevano partecipato al rodeo femminile del giorno prima. Prima del rodeo maschile c’è lo spazio dedicato ai bambini: il “chanchito”, cioè la gara a chi acchiappa un maialino da latte liberato nel prato, e la gara di monta degli enormi “corderos”, le pecore di Magallanes. Poi l’altoparlante ci informa che sta per iniziare il rodeo, a cui partecipano cavalieri di molte estancias della regione, più alcuni provenienti dalla vicina Argentina, da Río Gallegos, El Calafate, 28 de Noviembre e Río Turbio.
Vincerà il premio principale nella categoria “Recado completo” il gaucho Luis Avilés, della Estancia Rigor y Coraje, davanti all’immigrato croato Bossi Kusanovic della Estancia Campana e all’argentino Gustavo Cossio della estancia 28 de Noviembre.
Lo spettacolo è stato rallegrato dell’esibizione del gruppo folcloristico “Arreboles de la Patagonia”, con vocalizzi affidati ad una grande interprete di musica ranchera, la osornina Karla Galarce.
A conclusione dell’evento, non poteva mancare un omaggio al sacerdote Carlos Ampuero Alvarez, ex direttore del Liceo Monseñor Fagnano e designato recentemente come Superiore Provinciale Salesiano a Valparaíso.
Saluto finale della Alcaldesa (sindachessa) di Cerro Castillo, Anahí Cárdenas Rodríguez, e del presidente del locale Club de Rodeo, Cristián Cárdenas, con ringraziamenti a tutti i partecipanti, cavalieri, artisti, istituzioni che hanno collaborato alla realizzazione dell’evento, e al numeroso pubblico che ha sottolineato con applausi e incoraggiamenti le esibizioni dei concorrenti.
Queste note le ho tratte da un giornale locale.
Un divertente e interessante pomeriggio di domenica in Patagonia, che mi ha ricordato un po’ le feste di paese e un po’ l’apertura dell’anno oratoriano a cui partecipavo da piccolo.
Traversata dello stretto di Magellano
Dal molo di Punta Arenas ogni giorno alle 9 salpa il ferry “Crux Australis” che collega il continente con Porvenir, la cittadina più importante della Terra del Fuoco cilena, attraversando lo stretto di Magellano. La traversata dura dalle 2 ore e mezza alle 4 ore, secondo le condizioni del mare e del vento. Il biglietto costa 40.000 pesos (circa 65 €) per veicolo con persona a bordo. Durante la traversata conviene stare fuori sul ponte, vento permettendo: in questo modo, se il cielo è abbastanza libero, si possono vedere le montagne innevate della Sierra Balmaceda, del Cordon Baquedano e dell’Alto del Boqueròn, che fanno da cornice alla città di Porvenir.
Intanto, lungo la scogliera, leoni marini vi osservano speranzosi di ricevere qualche boccone (graditi gli scarti del pesce). Le foche sono anche più intraprendenti: non temono di avvicinarsi a nuoto fino a qualche decina di metri dal ferry e sollecitano l’attenzione con schiamazzi gutturali.
La pinguinera del Seno Otway
In Terra del Fuoco arrivano nel periodo estivo, tra ottobre e marzo, molti gruppi di pinguini provenienti dall’Argentina e persino dal sud del Brasile, secondo quanto asseriscono i guardiani dei parchi.
I “pinguini di Magallanes” sono di taglia piccola (sono alti al massimo 70-80 cm) e sono abilissimi nuotatori. Nella Terra del Fuoco ci sono due colonie principali dove i pinguini si radunano per la riproduzione: al Seno Otway (circa 3000 esemplari) e sulla Isla Magdalena (circa 10000 esemplari). La colonia del Seno Otway è facilmente raggiungibile in auto da Punta Arenas, prendendo la strada per Puerto Natales e deviando dopo circa 12 km su una strada sterrata in direzione ovest. Dopo altri 30 km circa si arriva alla pinguinera. I pinguini scorrazzano liberamente per la battigia e per il tratto di costa retrostante, cercando il punto migliore per scavare nella terra la buca che servirà da tana per la coppia e per i piccoli. A volte ti passano persino tra le gambe e bisogna stare attenti per schivarli, onde evitare di essere beccati dalla coppia di pinguini preoccupata per l’incolumità della prole.
Altri pinguini sguazzano nella baia giocherellando o in cerca di calamari e krill, che rappresentano il loro principale nutrimento.
Da marzo in poi, quando i freddi del sud patagonico cominciano a farsi sentire, i pinguini di Magallanes fanno a nuoto il lungo percorso a ritroso verso le zone di origine, cioè la penisola di Valdés in Argentina, le coste del Mar de La Plata in Uruguay e raggiungono persino quelle del sudest del Brasile.
Antarctica Chilena? Chissà…
La Patagonia è in assoluto la regione continentale più a sud del mondo. Punta Arenas sta a 53° 10’ di latitudine Sud, e un po’ più in giù, in fondo alla Terra del Fuoco, c’è Capo Horn a 55° 58’. Tanto per avere un’idea, Capo Agulhas che è il punto più a sud dell’Africa è a 34° 50’, e il punto continentale più a sud dell’Oceania è Invercargill in Nuova Zelanda a 46° 25’. Considerando anche le isole, South West cape nell’isola di Stewart in Nuova Zelanda si trova a 47° 00’ di latitudine sud.
L’Antartide è solo a un’ora e mezza di volo dalla Patagonia. A Punta Arenas mi sono informato sulle possibilità di raggiungerlo. Molte agenzie di viaggio offrono pacchetti di vario tipo per il viaggio nel Territorio Antartico Cileno. Ci si può andare in nave (tour di 5-7 giorni A/R) o in aereo. E’ addirittura possibile una visita di 1 giorno andata-ritorno, con partenza da Punta Arenas alla mattina presto, volo aereo fino alla base Frey in Antartide, tour di 6-7 ore in loco sulla banchisa e sugli zodiac, e ritorno in città per la sera. Il tutto per la modica cifra di 3000-3500 dollari per un giorno…
Valparaíso e la costa del Pacifico
Anche se non c’entra niente con la Patagonia che è l’oggetto di questo book, non posso non parlare della visita a Valparaíso.
Valparaíso, “Valpo” per i suoi 1.200.000 mila abitanti, a 1 ora e mezza di autostrada (120 km) a nord di Santiago, è la più bella, interessante e caratteristica città cilena. Si può considerare divisa in due parti: la città bassa, che si affaccia sulla baia, e la città alta, arroccata su una serie di colline dette “cerros”.
Le variopinte case della parte alta sono abbarbicate su dei contrafforti a strapiombo, al punto che per arrivarci invece degli autobus ci vogliono gli “ascensores”, cioè funicolari che si arrampicano su pendenze del 60% e più. Con gli ascensores si raggiungono i vari cerros della città alta, che secondo i locali sarebbero ben 44. Tutti i cerros sono interessanti, ma alcuni di essi sono speciali perché letteralmente tappezzati da bellissimi murales dipinti da artisti di strada. Alcuni murales si vedono nelle foto. I cerros più ricchi di murales, e più adatti per una passeggiata, sono il Cerro Concepciòn e il Cerro Alegre (che si raggiungono con l’ascensor Concepciòn) e il Cerro Bellavista (che si raggiunge con l’ascensor Espiritu Santo). Sul Cerro Bellavista c’è anche la casa dove visse Pablo Neruda.
Appena a nord di Valparaíso, in fondo alla stessa baia, c’è il centro turistico e residenziale di Viña del Mar, poi si susseguono alcune piacevoli cittadine con kilometri e kilometri di spiagge sul Pacifico: Reñaca, Concòn, Horcòn, Puchuncavì, Maitencillo e ancora più a nord i centri esclusivi di Papudo e Zapallar, pieni di stupende ville con pinete, giardini e campi di golf . L’unico problema è che l’acqua è fredda, perché la corrente di Humboldt che sale dall’Antartico qui fa sentire ancora forte il suo effetto refrigerante. I cileni comunque non ci fanno caso e si buttano. Io dopo avere immerso il piede ho sentito dei brividi, l’ho ritratto e mi sono accontentato di godermi il sole del tramonto sulla spiaggia di Concòn.
Questo tratto di costa del Pacifico è pescosissimo. La stessa corrente che raffredda l’acqua crea un ecosistema estremamente favorevole per lo sviluppo di alghe e di plancton. I pesci più buoni sono la corvina (tipo il nostro branzino, solo che qui la più piccola è 2 kili), la reineta (non abbiamo l’equivalente), il lenguado (sogliola), il congrio (grongo), tremendi dentici oceanici color rosso fuoco da 8-10 kg come quello che si vede nelle foto e poi ci sono i calamari giganti. Tanto per dare un’idea di quanto sono giganti: le mamme qui danno ai bambini bistecche di calamaro impanate, grandi e spesse come una fiorentina.
Se uno preferisce i frutti di mare (“mariscos”), trova di tutto: cozze, vongole, capesante, molluschi vari, gamberi e gamberoni di ogni tipo e taglia. Ci sono anche le aragoste, che però arrivano dall’arcipelago di Juan Fernandez in mezzo all’oceano. Decine di ristorantini di pesce si susseguono sul litorale, con immancabili pellicani appollaiati fuori in attesa di qualche scarto, e gabbiani voraci che cercano di prendere il boccone al volo prima che arrivi ai pellicani. Ho mangiato all’ottimo ristorante Calipso di Concòn, ma penso che molti altri siano equivalenti.
Cile on the road
Per l’ottima qualità della rete stradale, per la facilità a trovare servizi sulla strada, per la precisa segnaletica, per la scarsità di traffico al di fuori delle città, per la correttezza dei conducenti, per la varietà e quantità di luoghi e centri di interesse che si incontrano, il Cile è un ottimo paese da girare “on the road”. A mio avviso, secondo solo agli Stati Uniti. Prima di questo viaggio che ho descritto qui, ero già stato in una occasione nel centro-sud fino all’isola di Chiloè, e un’altra volta al Nord a Iquique e Arica, e nel deserto di Atacama, fino a Putre e al lago Chungarà al confine con la Bolivia. Sempre in auto, sempre tra paesaggi stupendi e sempre senza alcun problema.
Grazie per avere letto questo racconto!
Luigi
Luigi.balzarini@tin.it