La parte centrale della Via della Seta – Parte 2

Diario del tour Uzbekistan e Turkmenistan 14 - 25 aprile 2005 (Parte Seconda) 19 aprile La bella, ristoratrice dormita viene interrotta dalla sveglia alle 7,30 che annuncia una nuova solare giornata. Colazione a buffet, controlliamo che le valige siano state caricate sul pullman, e poi in attesa di partire mi soffermo a parlare col direttore...
Scritto da: lelebanfi
la parte centrale della via della seta - parte 2
Partenza il: 12/04/2005
Ritorno il: 25/04/2005
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
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Diario del tour Uzbekistan e Turkmenistan 14 – 25 aprile 2005 (Parte Seconda) 19 aprile La bella, ristoratrice dormita viene interrotta dalla sveglia alle 7,30 che annuncia una nuova solare giornata. Colazione a buffet, controlliamo che le valige siano state caricate sul pullman, e poi in attesa di partire mi soffermo a parlare col direttore dell’albergo. E’ lui che ci ha fatto preparare le prelibatezze che abbiamo degustato. Parliamo della situazione politica del paese e della pulizia nei locali pubblici; ci dice che in giro bisogna star attenti a quello che si mangia, il rischio di prendere qualcosa è elevato. Nel suo albergo tutto viene preparato da loro, dal pane, ai primi, ai secondi, ai dolci. Assolutamente non si fida a far preparare gli alimenti fuori dalla sua struttura. Ringraziamo il direttore per l’ospitalità che ci ha offerto e del fatto che si è prodigato con qualche autorità locale, affinché tutti i componenti del gruppo abbiano potuto entrare in Turkmenistan (inizialmente vi era il veto per tre persone, e solo grazie al suo intervento tutti abbiamo potuto visitare questo bel paese).

Si caricano le valige sul pullman e si parte per l’aeroporto, si recuperano i bagagli, check-in, attesa e, c’imbarchiamo su un Boeing 717. Il decollo, sempre molto “sprint” fa si che l’aereo si alza subito sulla verticale di Ashgabad che dall’alto appare in tutta la sua evoluzione urbanistica, è sempre più notevole il contrasto tra gli edifici sovietici e quelli moderni. Il verde è proprio tantissimo, si vedono pini a perdita d’occhio. Si vede il fiume che serve per le irrigazioni, alla periferia campi coltivati e poi … Il deserto rosso a perdita d’occhio (l’80 % del territorio turkmeno è deserto), ogni tanto piccole piante sorte qua e là, qualche laghetto, e mentre inizia la discesa attraversiamo una veloce perturbazione sabbiosa; la sabbia del deserto trasportata dal vento sbatte sulle ali dell’aereo. Poco dopo l’occhio rispazia lontano e vede solo deserto rosso costellato di piccoli arbusti che dall’alto appaiono piccole macchie verdi. In 40 minuti di volo arriviamo a Turkmenabat (LP 485).

Dall’alto la città si presenta con case ad un piano con tutt’intorno terreno coltivato, si vedono molte serre, ogni abitazione ha circa 1.500/2.000 metri quadrati di terreno coltivato. Il contrasto è molto forte deserto, fiume, campi coltivati.

Atterriamo all’aeroporto, lungo la pista vecchi ed inutilizzati, arrugginiti radar sovietici, che come degli scheletri immobili sono la testimonianza di un recente ma terminato passato.

Si recuperano i bagagli e ci dirigiamo verso i 3 pulmini che ci attendono per il trasferimento, con un percorso di 70 km, verso la frontiera con l’Uzbekistan. Dalle indicazioni di Maurizio, non dovremmo fare 4 ore di coda come nell’entrata, essendo già provvisti di visti il tutto dovrebbe essere più facile; speriamo bene.

Ci avviciniamo ai pulmini che sembravano nuovi, ma quando le portiere si aprono troviamo dei sedili in vinpelle, l’aria condizionata è data dai finestrini aperti e dalla velocità di marcia. Le strade sono piene di buche a volte enormi, il tragitto è a zig zag per evitarle. Si procede a velocità variabile, appena la strada è scorrevole la velocità aumenta, ma a volte le buche sono improvvise, inevitabili e fanno veramente sobbalzare.

Arriviamo ad un pagamento di un pedaggio, bisogna attraversare un fiume, il”fiume per eccellenza” il Amu-Darya (Oxus River), è il famoso fiume il cui alveolo era largo tre km, oggi non più di uno per il cospicuo prelevamento d’acqua per l’irrigazione dei campi.

Dopo una breve sosta, gli autisti comunicano con la guida, la quale c’informa che non possiamo proseguire a bordo dei pulmini, dobbiamo scendere ed attraversare il ponte a piedi; il ponte fatto di chiatte metalliche collegate una all’altra con delle semplici catene non potrebbe reggere il peso dei pulmini carichi di passeggeri.

Sul ponte transita rumorosamente di tutto, auto, camion. Quando passano tra una chiatta all’altra devono praticamente fermarsi e ripartire, il dislivello a volte è molto elevato e non permette un transito fluido. Comprendo che il nostro transito a piedi è il frutto di una delle solite “convinzioni” sovietiche, mi rammento sempre che sono un turista, e sorridendo proseguo.

Riprendiamo il viaggio, i posti di polizia aumentano, ogni incrocio importante è presidiato, le stesse domande: dove andate? Chi trasportate? Uno sguardo ai turisti e poi si prosegue.

Costeggiamo un canale, derivazione del fiume Amu-Darya, ogni tanto delle casupole con a fianco delle vecchie, arrugginite, ma funzionanti pompe sovietiche che servono per pompare l’acqua dell’irrigazione dal canale principale a quelli secondari. Il paesaggio è formato da una zona coltivata vicino al canale e poi deserto, deserto ovunque. Un deserto caratterizzato da cespugli e popolato da numerosi greggi di pecore.

Arriviamo alla frontiera poco prima delle 13 e, come in ogni paese comunista la pausa pranzo è un punto fondamentale nell’arco della giornata. Tutto si ferma ed anche qui, la frontiera viene chiusa dalle 13 alle 13,45 per permettere alla guarnigione di pranzare.

E’ un‘occasione per vedere uno spicchio di vita e di costume del Turkmenistan, poco distante dalla frontiera c’è un locale dove pranzano doganieri, camionisti, pastori, persone in transito. Approfittiamo anche noi della struttura e “degustiamo” i nostri cestini da viaggio. I turkmeni pranzano in modo tradizionale, verdure, zuppa, riso pilaf con carne di manzo bollita che spezzettata a piccoli pezzi, accompagnato da pane cotto al forno e da the verde. Il cibo viene cotto in un pentolone alimentato dal fuoco a legna, il riso cotto viene tenuto in caldo tramite copertura con un catino di metallo, la preparazione dei piatti avviene su un tavolo all’aperto. Cerco di fotografare la cameriera ma quando si accorge che impugno una macchina fotografica, ne suscito l’ilarità, non comprendo le parole che mi dice, ma il tono della voce e lo sguardo m’invita inequivocabilmente a riporre la macchina, con un sorriso di scusa la ripongo in tasca, ma la foto è fatta.

La struttura del posto di ristoro è formata da tre baracche di lamiera identiche a quelle dei nostri cantieri stradali, una serve per la cucina, una per il pranzo e la terza funge da dormitorio. I servizi igienici sono due baracche collocate nel deserto.

La tranquillità dei turkmeni è rotta dall’orda di italiani che simpaticamente fanno sentire la loro presenza.

Terminata la sosta pranzo risaliamo sui pulmini, a bordo dei quali transitiamo per il primo posto di polizia, alla dogana ci fermiamo, inizia la zona neutra, il corridoio è delimitato da più recinti di filo spinato. Recuperiamo le valige ed inizia l’attesa. Poco dopo il doganiere comincia a chiamare gruppi di 4 persone, entra il primo gruppo, le guardie ispezionano le valige e trovano dei tappeti. Un momento di tensione, vogliono sapere in quanti abbiamo i tappeti, altrimenti i controlli saranno accurati. Comunichiamo quanti di noi hanno acquistato tappeti ed il tutto procede con relativa velocità. Qui i formalismi sono sempre all’eccesso. Ritiriamo i passaporti con i visti, due ulteriori controlli, salutiamo Mussah la guida turkmena ed poi entriamo in un’altra parte di zona neutra. Qui ci attende una piacevole sorpresa, Nurik la guida uzbeka ci aspetta con il pullman. Carichiamo i bagagli, saliamo a bordo del pullman, dove il fresco dell’aria condizionata porta sollievo. Iniziamo le formalità per entrare in Uzbekistan, l’ennesima ed ormai scontata compilazione dei visti d’entrata e d’uscita.

Passiamo la frontiera e siamo sulla strada per Bukhara nella regione di Olet-Karakul, il paesaggio appare ricco di campi coltivati, l’irrigazione è notevole, assicurata dal canale che da ore stiamo costeggiando. Improvvisamente appare il bianco del deserto, la salgemma affiora anche qui, dopo qualche chilometro scompare e riappaiono le coltivazioni, e’ un susseguirsi ininterrotto di campagna, di coltivazioni di riso, di campi predisposti per la semina del cotone. La campagna viene irrorata e non annaffiata, uno spreco d’acqua enorme che pesa sul bilancio idrico dei fiumi. Ancora una volta le scelte socialiste dimostrano la loro limitatezza.

I contadini stanno già tagliando il primo raccolto di erba medica e di foraggio per gli animali.

Arriviamo a Bukhara (LP 232), l’albergo il Bukhara Palace è moderno, grande, forse la costruzione più alta della città. Prendiamo possesso della camera e troviamo che l’arredamento è identico all’albergo che abbiamo lasciato ad Ashgabad, il balcone della camera permette una vista sulla parte nuova della città, in lontananza si scorge la parte vecchia, ma non si vede molto, solamente dei deboli raggi di un avanzato tramonto si riflettono sulle cupole azzurro turchese, la scoperta della città incantevole, cosi viene definita dalle guide è rimandata al giorno seguente, la curiosità resta.

L’albergo è frequentato da comitive di turisti tedeschi e per noi italiani viene predisposta una sala a parte dove possiamo stare in tranquillità ed evitare il caos procurato dalle decine di teutonici presenti. La cena si svolge secondo i canoni classici, verdura, zuppa, di secondo ci portano un “tipo” di cotoletta alla milanese, the o Nescaffè. Decidiamo di far due passi lungo i viali intorno dall’albergo, caratterizzati da molte fontane ma alla sera inattive. Dall’Itala arrivano degli sms, hanno eletto il nuovo Papa, il Cardinale Josef Ratzingher è il nuovo Papa, Benedetto XVI, commentiamo velocemente la notizia che all’inizio sembra uno scherzo, ma quando rientriamo in albergo, le televisioni annunciano l’elezione del Pontefice. Mi addormento serenamente.

20 aprile Sveglia alle 7,30, colazione a buffet e partenza alle 8,45. Iniziamo la visita della città cosi tanto decantata. La curiosità sta proprio aumentando. Col pullman velocemente percorriamo i viali intorno all’albergo e giunti nella parte vecchia della città c’infiliamo in una strada sterrata, siamo arrivati, scendiamo e ci troviamo nel bel mezzo di un cantiere, stanno lavorando per la sistemazione di un parco, dove enormi alberi d’acacia fanno ombra. Ci avviciniamo ad una costruzione fatta di mattoni cotti, è il Mausoleo di Islmail Samani (LP 237) 892-942 d.C. L’architettura del mausoleo è particolare, pianta quadrata con un tetto che s’allarga quasi a formare un corona, la parte superiore è costituita da una cupola. I muri sono di 180 cm. Di spessore, nella parte alta dell’edificio appena sotto la cupola, esiste un camminamento che ha la funzione di far circolare l’aria fresca proveniente da nord. Tutta la costruzione è fatta di mattoni cotti, i pilastri portanti e decorazioni sono fatte con mattoni orientati in modo differente. All’epoca della costruzione, le decorazione in ceramica colorata non era ancora nota, sarà importata dagli arabi qualche secolo dopo. L’orientamento dei mattoni rende la struttura veramente armonica. Originariamente il Mausoleo era inserito in un cimitero ma nel 1922 i bolscevici, lo hanno distrutto per realizzare un parco dei divertimenti. I lavori in corso, di cui abbiamo attraversato il cantiere servono a riportare l’area alla sua iniziale sacralità eliminando quello che resta del parco dei divertimenti. Attualmente il Mausoleo è un luogo di pellegrinaggio e sono molti i pellegrini che vi giungono, bevono l’acqua del pozzo che sorge nelle vicinanze ed esprimono i loro desideri. Per far che questi siano esauditi fanno tre giri del Mausoleo in senso antiorario. Sembra strano che in una nazione dove la religione è stata repressa per anni, alcune forti tradizioni siano sopravvissute lo chiediamo a Nurik e ci spiega che queste tradizioni si sono conservate grazie al sufismo.

Il sufismo è una derivazione dell’islam, nasce in Arabia e si sviluppa molto in Asia, è molto diffuso a Bukhara. E’ caratterizzato da una vita asceta e la sua caratteristica è di far si che le persone possano resiste a qualsiasi condizione geo/politica. “Io sono solo in mezzo alla gente” è il motto dei sufisti (durante il tour, troveremo molti altri riferimenti).

Abbandoniamo il Mausoleo di Ismail Samani ed attraversando il parco, poco distante troviamo il Mausoleo di Chashma-Ayub (LP 237) “Gli occhi di Giobbe” , edificio del XII sec. Qui si vedono i primi esempi di decorazione con ceramica colorata. L’edificio presenta una doppia cupola, sono presenti file di 6 – 8 – 12 finestrelle orientate e posizionate in modo proporzionale al diametro della cupola. La leggenda racconta che il Profeta Giobbe, transitando in quel luogo, infestato d’acqua salmastra per la presenza di sale nel deserto, ha individuato la sorgente d’acqua potabile. Sorgente attiva ed ancor oggi ed è il punto di partenza della tubazione che rifornisce la cisterna d’acqua della città.

All’interno del Mausoleo un Sarcofago cui la leggenda vuole riposi Giobbe, ma Nurik ci illustra che un detto, che facendo riferimento al “Il libro dell’Islam” (i 1.200 detti del Profeta Maometto), nel sarcofago non vi sia il corpo di Giobbe.

Alle parerti sono appese alcune foto di cisterne d’acqua, che collocate ogni 40/42 km nel deserto permettevano ai cammelli ed agli uomini di potersi dissetare. Attualmente in Uzbekistan esistono solo 2 cisterne originali.

Terminata la visita della Mausoleo, Nurik, involontariamente, pronuncia una parola che nei giorni successivi si rivelerà magica: mercato! All’inizio del mercato vedo delle stoffe tradizionali ed alcune bancarelle di cibo. Poco interessato vado in cerca di qualcosa di caratteristico e lo trovo, la parte coperta è molto bella, inizio dal settore delle spezie, la si riconosce subito dal profumo profuso, i sacchi delle spezie sono accatastati in modo ordinato, anche l’occhio viene appagato da tanto ordine e dalla moltitudine di colori. Il settore successivo riguarda la frutta e la verdura, anche qui l’ordine regna sovrano, la frutta è accatastata con ordine e pulizia. Il settore del pane è caratterizzato dalla fragranza del pane appena sfornato, quello dei dolci è un’esplosione di colori. L’ultimo settore, in una parte a sé dedicata è la macelleria: ordinata e pulita. Avendo ben presente quanto visto in altri mercati, mi soffermo alcuni momenti a guardare tanto ordine e tanta pulizia. All’esterno è un susseguirsi di bancarelle con vestiti impreziositi di ricami dorati, di bancarelle dove vendono riso e legumi. Verso la parte esterna ci sono i venditori di attrezzi agricoli, e di pollame (anche qui vale quanto visto nel mercato di Ashgabad), alcune persone, su semplici stuoie espongono singoli utensili e raccorderai idraulica usata. Osservando bene le persone mi accorgo che sono presenti diverse etnie, tendenzialmente diminuiscono i tratti mongoli ed aumenta quelli turchi, le persone hanno la scura, i lineamenti sono belli e giovanili. Anche le persone anziane esprimono una bellezza unica.

Usciamo dal mercato e riprendiamo il pullman, poca strada e nuova sosta, siamo in prossimità della Moschea di Bobo-Hauz (LP 237), costruzione del 1718. La struttura iniziale era fatta con una serie di cellette ed aveva tre ingressi. Il portico ligneo è del 1917, costituito da 18 colonne in legno d’olmo. Alla decorazione del soffitto hanno lavorato gli artigiani provenienti dalle tre valli che caratterizzano la regione. Le decorazioni, raffinatissime, dei minbar, delle travi e del soffitto, attirano l’attenzione. Utilizziamo il binocolo per veder i particolari e restiamo veramente stupiti da tanta bellezza, le decorazioni sono a motivi floreali, uno spettacolo impareggiabile.

Attorno alla Moschea una donna agita un padellino da cui fuoriesce un fumo intenso con un odore caratteristico, acre e solo alla fine compare un leggero profumo d’incenso. E’ una zingara mendicante che chiede la carità in cambio della scacciata del malocchio. Nurik, dicendogli qualcosa l’allontana velocemente.

Frontale alla Moschea una vasca ottagonale, originariamente aveva la funzione di drenare dell’acqua delle fondamenta della Moschea, essendo un terreno ricco di salgemma, l’acqua veniva convogliata nella vasca in modo da non intaccare la struttura dell’edificio.

Successivamente la vasca fece parte di una serie di 80 che servivano come unico deposito d’acqua per la città, ma essendo acqua ferma questo creò grossi problemi di salute diffondendo di pestilenze e malattie varie.

Nel 1922 i bolscevici realizzarono un acquedotto ed interrarono le vasche. Oggi qualcuna è stata rimessa in funzione non tanto per l’uso dell’acqua potabile, ma per l’originaria funzione drenante.

Poco distante dalla Moschea vediamo l’imponente muraglia della cittadella l’antica fortezza chiamata l’Ark (LP 235). L’origine della fortezza risale al IX sec., costruita su una collina artificiale per dominare meglio il territorio ed aumentare le mura di difesa. La leggenda dice che il suo perimetro è stato delimitato tagliando in piccole strisce, in modo continuativo, una pelle di montone. La superficie è di 4 ettari. La cittadella fu distrutta dagli arabi e poi ricostruita, è a forma irregolare, infatti l’architetto ha realizzato il complesso posizionando le torri secondo la costellazione dell’orsa maggiore. L’altezza delle mura variano dai 16 ai 24 metri. L’ultimo restauro risale al XVII sec.. Nel 1922 i bolscevici hanno distrutto, a cannonate, l’80% della cittadella. Attualmente è visitabile solo la parte restaurata.

Il portale d’ingresso di sviluppa su tre piani al primo piano vi erano le guardie, al secondo i cuochi ed al terzo i musici che annunciavano con suoni di trombe, l’entrata e l’uscita dell’Emiro dal palazzo. Ai lati due minareti con stanze sviluppate su più piani.

All’inizio del XX sec. All’interno della cittadella abitavano 3.000 persone. Nell’antistante piazza esterna sorgeva la cancelleria ed il mercato, oggi completamente distrutti. All’entrata una serie di foto dei primi del ‘900 raffigurano com’era il mercato, gli ultimi emiri regnanti, alcune usanze dell’epoca fra quali i massaggi, i fumatori d’oppio, i portatori d’acqua.

Entrando sotto l’arco d’ingresso ed oltrepassando il portale, sulla sinistra si vedono le prigioni della cittadella. Anche qui valeva la regola vista a Khiva, tre giorni di permanenza all’interno e poi il prigioniero o era liberato o era giustiziato sulla piazza antistante la cittadella. La prigione è molto angusta, tetra, buia, sopra di essa vi era il posto dove sostavano i 28 cavalli dell’emiro ed il liquame degli stessi affluiva, tramite dei buchi posti nel soffitto, su chi sostava nelle celle. A destra dell’ingresso una serie di locali ospitavano gli artigiani ed ancor oggi sono dei negozietti di artigianato locale.

Percorrendo la salita, velocemente si arriva ad uno spiazzo dove si erge la Moschea della cittadella, la Moschea Juma (LP 235) realizzata nel 1712, è divisa in due settori, quello invernale (coperto) ed all’esterno quello estivo (con portico ligneo). Per la prima volta nell’arte, è stato usato uno specchio per le decorazioni, l’effetto è notevole, la profondità delle incisioni viene sensibilmente aumentata. Chissà lo stupore che suscitava simile lavorazione.

Proseguiamo il giro della parte visibile della cittadella e dopo l’ingresso da una porta troviamo frontale un muro, cui dobbiamo girare intorno per entrare in un cortile, era la Sala dei Ricevimenti, funzionante fino al 1911, fin quando regnò l’ultimo emiro. Anch’essa distrutta dalle cannonate dei bolscevici, è stata ricostruita nel 1997 in occasione del 2.500 anniversario della fondazione della città di Bukhara. Della sala originale rimangono solo le colonne di marmo che reggevano il portico sotto il quale stava il trono dell’emiro. Sui bianchi muri rifatti, solo pochi resti delle maioliche originali, i colori sono blu, bianco e verde, il giallo fu introdotto dalla dominazione araba. La sala è rettangolare il trono, posto sotto il portale ligneo è frontale all’ingresso, ma dalla porta non è visibile in quanto un muro separa l’ingresso dal trono stesso. Chi accedeva alla sala, doveva entrare in ginocchio col capo abbassato dirigendosi verso l’emiro, solo quando l’emiro lo consentiva poteva alzare la testa. Per uscire, doveva in ginocchio camminare all’indietro, sempre a capo abbassato. Chi voltava le spalle all’emiro, seppur inconsapevolmente, era decapitato.

Attualmente la sala è un’esposizione di oggetti artigianali, alcuni dozzinale (vedi coltelli) altri, di alto interesse artigianale, quali i tessuti di cotone ricamati. L’arte del ricamo viene tramandata da madre in figlia. Il ricamo esprime il carattere della ricamatrice, se usa colori vivaci, significa che è fantasiosa, se realizza un ricamo fine, significa che è paziente. I tessuti ricamati vengono utilizzati come copriletto, come addobbo delle abitazioni, come arredo.

Usciamo dalla Sala dei ricevimenti, camminando tranquillamente senza paura d’essere decapitati e, girando a sinistra entriamo nel cortile della palazzina degli appartamenti dell’emiro dove ogni giorno l’emiro si affacciava alla finestra dell’abitazione per il saluto mattutino e tutti gli abitanti della cittadella erano presenti per ricevere il saluto. Attualmente questi locali sono destinati a museo il giorno di chiusura è il mercoledì (oggi è mercoledì, quindi i musei non sono visitabili). Vicino agli appartamenti una piccola porta è inserita nel muro di cinta, da li l’emiro si affacciava per vedere le esecuzioni che avvenivano nella sottostante piazza.

Proseguiamo il giro della cittadella ed arriviamo in un cortile completamente lastricato, è leggermente inclinato, non capisco come mai, poi osservo meglio, siamo all’altezza dei due minareti della porta d’ingresso, quindi siamo sopra il passaggio principale. Guardo bene e vedo nel pavimento inclinato i buchi che finiscono sul soffitto delle celle sottostanti.

Usciamo dall’Ark, transitiamo per la piazza Registan “luogo sabbioso”, seguiamo le mura della fortezza in senso antiorario e girato sulla sinistra, appaiono come d’incanto delle cupole di azzurro turchese (il nome azzurro turchese, deriva dal fatto che furono i turchi ad importare il colore da loro inventato). Il riflesso del sole le rende splendenti, una visione mozzafiato e siamo ancora distanti da tanta magnificenza. Ci avviciniamo colti da una grande curiosità, solo la voce di Nurik che ci avverte di non dar retta a chi chiede soldi, ci distoglie, momentaneamente da tanto stupore.

Dopo aver percorso poche centinaia di metri arriviamo ad piazza, fronte a noi, su tre lati si apre, grandioso, il complesso della Moschea, della Madrasa e del Minareto.

Il Minareto di Kalon (LP 235) risale al 1127, ha un’altezza di 47 mt, le fondamenta hanno un diametro di 10 mt, all’interno la scala circolare è fatta di 105 scalini. All’esterno le decorazioni sono fatte con mattoni orientati in 12 fasce differenti. In alto, alla base della cupola conica, sono presenti 16 finestrelle. Il Minareto fu risparmiato dalla furia distruttrice di Gengis Khan per la sua bellezza (una leggenda parla di un evento legato alla superstizione del grande condottiero che ne impedì la distruzione).

Accediamo alla Moschea di Kalon (LP 235), la Moschea Grande, le cui fondamenta risalgono al X sec. Originariamente esisteva una Moschea in legno, ma venne distrutta da Gengis Khan, l’attuale ne è la ricostruzione. All’interno le pareti sono interamente ricoperte di decorazioni con piastrelle colorate e scritte in arabo (dell’arabo esistono 7 diversi tipi di scritture oltre al persiano). La Moschea, attualmente in uso come luogo di culto, contiene fino a 12.000 persone.

Frontale alla Moschea, la Madrasa di Mir-i-Arab (LP 235), costruita in 6 anni, fu in funzione fino al 1924. Riaperta da Stalin nel 1948 come ringraziamento per la cavalleria che combatté nel 1943. Cavalleria costituita esclusivamente da mussulmani e, come ringraziamento per il coraggio dimostrato in battaglia, Stalin fece la “donazione” di riaprile la Madrasa.

Nurick ci spiega che nell’epoca del socialismo, ai dirigenti del partito, era vietato frequentare Moschee e Madrase, chi di loro, per qualsiasi ragione le frequentava veniva espulso dal partito.

Della Madrasa visitiamo solo il portone e l’atrio, in quanto essendo una scuola funzionante è proibito l’accesso ai turisti. Attualmente nella scuola accedono circa 100 studenti all’anno, il corso di studio dura 4 anni. Si studia, teologia, geografia mussulmana, una lingua straniera, la scrittura araba (una delle sette forme). Terminato il quadriennio si può acceder all’università di Tashkent, per poi successivamente poter andare in altri paesi sunniti.

Vicino al Minareto sorge la vecchia Madrasa di Amir Khan (LP 235), era costruita con un’acustica eccellente, infatti l’insegnate restando sotto la cupola e parlando con tono normale era udibile da tutti gli studenti presenti nella sala.

Il luogo veramente suggestivo che fa emergere l’orgoglio profondo di un grande popolo, Nurik ci dice che uzbeko significa “Padrone di sé stesso”.

Rientriamo in albergo per il pranzo, ho l’azzurro delle cupole e delle decorazioni negli occhi, ripasso mentalmente quanto visto nella giornata, dal Mausoleo di Ismail Samani, alla Moschea di Bobo-Hauz, all’Ark, al complesso della Moschea Grande, è stato un crescendo di emozioni. Chissà che ci aspetta dopo pranzo…

Il pranzo è tradizionale, verdure, zuppa di bietole, pollo, the verde.

Un po’ di riposo che serve per completare gli appunti presi, rileggere la guida per memorizzare i siti visti e si riparte per la parte antica di Bukhara.

Il pomeriggio inizia dal punto dove abbiamo terminato la mattinata, dietro la Madrasa di Mir-i-Arab, è posta una costruzione in mattoni con tantissime cupole di varie dimensioni. Nurik ci spiega che l’edificio, il Taqi-Zargaron risale al XVI sec. Era la “Cupola dei gioiellieri”. Originariamente questi edifici erano posti al crocevia dei quartieri. Si chiama Taqi “Mercato aperto” ed originariamente ogni cupola delimitava lo spazio riservato ad ogni singolo artigiano. L’edificio presenta 36 cupole più quella centrale, significa che vi erano 36 artigiani che lavoravano e commerciavano in quel posto, un vero crogiolo di gente, d’arte, di cultura, di tradizioni. Attualmente vi sono una serie di negozi, piccoli e grandi di articoli artigianali, tappeti, tessuti serici, coltelli raffinati, borse, gioielli, cappelli, spezie, bevande. Mi fermo a degustare una tisana fatta di sei tipi diversi d’erbe, il sapore mi piace, ne acquisto un sacchetto.

Usciamo dal Taqi e poco distante visitiamo la Madrasa di Abul Aziz Khan (LP 234) del XVII sec., le decorazioni sono originali, un misto di disegni floreali e geometrici, realizzate in stile persiano. E’ tra le più belle di tutto l’Uzbekistan. L’edifico è un pò tralasciato, destinato agli sciiti, filone islamico che qui trova pochi seguaci. Il minbar ed il portale d’ingresso in stucco sono stati restaurati nel 1930, la stanza degli studi comuni racchiude decorazioni in arte cinese.

Nel cortile vediamo la cella dell’insegnate, è caratterizzata da un soppalco che divide verticalmente lo spazio. Gli allievi stavano sotto, l’insegnante sopra.

Entrando, alla sinistra della porta, vi è il piccolo forno che serviva per la cottura dei cibi, frontale lo spazio posto sotto l’impalcatura dove si accomodavano gli allievi per ascoltare le lezioni, impartite dal maestro che sedeva sopra. A destra della porta una semplice scala di mattoni, permetteva l’accesso alla parte riservata all’insegnate. Le pareti superiori sono decorate in stucco colorato, in fondo alla stanza una serie di nicchie fungevano da libreria e da custodia degli oggetti quotidiani.

Usciamo dalla Madrasa di Abul Aziz Khan e proprio frontale vi è la Madrasa di Ulugbek, nipote di Tamerlano, edificata nel 1417. L’edificio è una delle tre Madrase esistenti al mondo realizzate con le decorazione dell’arco acuto e delle colonne portanti in stile Timurida. Ovvero le colonne e l’arco acuto hanno un torciglione che sale in modo continuo, quasi a rappresentare un serpente che avvolge tutta la colonna. Le decorazioni sono in mattonelle di maiolica policrome (blu, verde, bianco). Lasciamo la Madrasa e ci dirigiamo verso il Tim, il mercato chiuso. Poco prima ci fermiamo in un negozio di un artigiano che fabbrica coltelli e forbici. Il proprietario con orgoglio ci dice che ha lavorato in Italia ed in Svizzera, parla discretamente l’italiano. Produce forbici particolari che servono per i ricami, coltelli tradizionali e coltelli da cucina con lama al tungsteno dal taglio molto efficiente. Acquisto qualche pezzo da portare in Italia. Proseguiamo ed arriviamo al Tim, il mercato chiuso, la forma esterna è identica al Taqi, il mercato aperto visitato precedentemente, ma la caratteristica è che questo tipo di mercato alla sera veniva chiuso e riaperto la mattina successiva. Attualmente all’interno è presente un laboratorio artigianale per la produzione e la lavorazione della seta. Ci soffermiamo a vedere la tessitura dei tappeti effettuata con un telaio in legno. La tintura del filo di seta per le stoffe avviene raggruppando il filo in piccole matasse e in modo predeterminato colorate a più colori, secondo del disegno che si vuole realizzare. Le matasse così colorate vengono tessute. I telai sono organizzati in bastoni, quelli manuali vanno da un minimo di 2 bastoni ad un massimo di 12. Quello in funzione ne ha 8. In una giornata di lavoro si produce circa 4 mt di tessuto. Prima di uscire da questo artigiano, ci soffermiamo a bere del the che ci viene gentilmente offerto.

Il giro prosegue e vediamo il secondo bazar, il Taqi-Telpak Furushon, la “Cupola dei cappellieri” edificio del XVI sec. Allora sede dei produttori di cappelli in astrakan, oggi una parte è destinata ad un bagno turco perfettamente funzionante. La costruzione, in mattoni, è caratterizzata da un lungo corridoio le cui estremità davano una sulla città vecchia e l’altra sui quartieri popolari. All’interno negozi di artigianato, i socialisti hanno concentrato tutti i negozi di artigianato all’interno degli edifici storici, siano essi Moschee, Madrase, caravanserragli od altro.

Attraversiamo una via e sulla piazza antistante troviamo, in un’ampia buca scavata dall’attuale livello della strada, la Moschea più antica della città denominata “negozio degli idoli”, edificata nel X sec. Come tempio zorastrano. Il livello d’entrata della Moschea è risalente al XII sec. La decorazione in maiolica blu è il terzo esempio storico di piastrelle colorate. L’entrata era caratterizzata da 4 pilastri tra cui si apriva una discesa che conduceva al fuoco sacro. Con la dominazione araba, la Moschea fu trasformata in un negozio di souvenir, da qui l’origine del nome. Attualmente è un museo dei tappeti uzbeki.

Proseguiamo il giro ed arriviamo al terzo bazar, il Taqi-Sarrafon la “Cupola dei cambiavalute” era il punto di riferimento di tutti i mercanti che arrivavano in città per il cambio della valuta. Oggi anch’essa adibita a sede per negozi di prodotti artigianali. Adiacente all’edificio vi è la prima banca locale costruita dai russi nel XIX sec.

Poco distante troviamo il caravanserraglio, struttura risalente al XVII sec. L’edificio ha pianta quadrata; la dimensione è lo standard del caravanserraglio dell’Asia centrale. Al centro un cortile aveva la funzione di racchiudere gli animali in vendita (una ventina) con adiacenti le stanze per i loro padroni. Un piano rialzato con camminamento permetteva l’esposizione di merce e di schiavi, al piano superiore si contrattava la vendita e l’acquisto di tutto quanto era presente nel caravanserraglio. Sia al piano rialzato che al superiore sono presenti delle celle dove la gente poteva riposare e sostare qualche giorno. Con l’avvento dei bolscevici le cellette sono state “convertite” in locali per artigiani; attualmente sono presenti, ricamatrici di tessuti dorati, ebanisti, miniaturisti, cesellatori, ricamatori di seta.

Frontale al caravanserraglio vi è il “complesso intorno alla vasca” con la Moschea Nadir Divanbegi (LP 234), del 1622. Edificata dall’allora ministro delle finanze. Frontale alla Moschea una vasca di 16 per 20 mt, contenente acqua proveniente dal fiume, è torbida, ma dei ragazzi fanno ugualmente il bagno. Intorno alla vasca dei giganteschi gelsi, il più vecchio risale al 1475, gli altri sono del XV e XVI sec. Dopo la vasca vi è la statua bronzea di Hoja Nasruddin, un personaggio che appare nei racconti sufi di tutto il mondo. Alla sinistra della Moschea la Madrasa di Nadir Divanbegi, del XVI sec. È costituita da 150 stanze e poteva contenere fino a 300 studenti. Frontale alla Moschea la Khanaka (ostello) di Nadir Divanbegi, edificata nel 1622, inizialmente come caravanserraglio poi convertita in ostello. La facciata in maiolica policroma offre uno spettacolo inusuale con la raffigurazione di animali derivanti dalla mitologia locale. L’interno del complesso è costituito dalle celle dell’ostello, trasformate in negozi d’artigiano, il cortile è pergolato con viti. Sotto il pergolato sono posti dei tavoli; ci fermiamo per la “classica” cena (verdure, frutta secca, zuppa ravioli di sapore orientaleggiante che rammenta la cucina cinese). Al calar del sole inizia lo spettacolo folckoristico con musica tradizionale, danze e balletti. E’ piacevole cenare con lo spettacolo musicale intervallato da una sfilata di moda di una stilista locale che utilizza tessuti tradizionali per realizzare degli abiti di taglio moderno. Un gradevole binomio, la cui piacevolezza soddisfa il pubblico sia maschile, più interessato alle modelle, sia quello femminile affascinato dagli abiti di raffinata fattura. Il successo è confermato dagli applausi e dall’affluenza di pubblico femminile al negozio a fine spettacolo.

Al termine della serata affiora la stanchezza della giornata, la frescura porta una gran voglia di riposo. Anche nei volti degli artigiani si colgono i segni di fatica. Comprendo appieno il ritmo lento che caratterizza tutte le attività. Il clima determina dei ritmi di vita completamente differenti dai nostri, il sole ed il vento costante sfiancano il fisico e la psiche, la frescura serale è di sollievo e d’aiuto.

Rientriamo in albergo e prepariamo le valige per l’ennesimo trasferimento, domattina lasceremo Bukhara per dirigerci a Samarcanda. La mitica, unica, fantastica Samarcanda. Il viaggio, finora, è stato un crescente di meraviglie e d’emozioni; Samarcanda rispetterà le attese? Al cuore non resta che battere velocemente in attesa di nuove, stupefacenti emozioni.

21 aprile Sveglia elle 7,30, colazione a buffet, carichiamo le valige sul pullman ed alle 8,30 partiamo. Uscendo dalla città di Bukhara ci fermiamo a veder la Moschea di Chor-Minor (LP 238) “la Moschea dei 4 minareti”. L’edificio sorge nella parte vecchia della città e per raggiungerla dobbiamo percorrere le vie interne, non asfaltate e circondate da abitazioni caratteristiche ad un piano solo. La Moschea realizzata nel 1807, fu fatta costruire da un ricco commerciante locale. E’ così chiamata, per i 4 minareti che sorgono agli angoli della stessa. Di fianco alla Moschea vi sono le celle ospitavano gli studenti: guardando l’entrata dell’edificio sono tre dalla parte destra ed una dalla parte sinistra. Nei pressi della Moschea vi è una vasca.

Ritorniamo al pullman e partiamo per Shakhrisabz, la città di Tamerlano.

Viaggiando in pullman noto come vengono realizzate le case con la tecnica tradizionale. Un telaio in legno costituisce la struttura portante dell’abitazione. Il telaio è diviso in quadrati, ed all’interno dello stesso, posizionati in modo obliquo ad intervalli regolari sono posti dei pali in legno. Lo spazio viene riempito con i mattoni in argilla e paglia, legati tra loro con argilla, l’intonaco è fatto d’argilla e dipinto con calce.

Uscendo dalla città costeggiamo inizialmente dei campi coltivati, poi incontriamo il deserto bianco di salgemma e poi l’infinito deserto rosso. Attraversiamo la ferrovia, posta a 12 km da Bukhara, realizzata nel 1877, l’emiro di Bukhara non ha voluto che la ferrovia raggiungesse la città, solo successivamente ha fatto costruire una linea secondaria che congiunge la stazione alla città. Costeggiamo un’infinita recinzione nel deserto, è la riserva naturale delle gazzelle di Bukhara, una specie protetta che più avanti riusciamo a vedere. Il viaggio prosegue tra villaggi le cui abitazioni sono tradizionali col tetto a terrazza e moderne col tetto in eternit. Dopo 2 ore di viaggio ci fermiamo per una sosta. Il locale è per i viaggiatori, una specie di “autogrill del deserto”, cucinano pane nei forni tradizionali, la zuppa viene fatta cuocere in paioli di ghisa rotondi infilati nel piano cottura ed alimentate dal sottostante fuoco a legna, dentro vi è acqua e carne che già cuociono, di fianco catini di ferro smaltato contengono carne, verdure e le spezie d’aggiungere. C’è un banco frigorifero dove sono esposti carne e latticini da vendere. Degustiamo una focaccia dal gradevole gusto, la condiamo con peperoncino e l’accompagniamo con dello yogurt locale, bevendo the verde.

Riprendiamo il viaggio. Il paesaggio è caratterizzato da campi verdi, da piantagioni d’albicocche e di meli. Le montagne s’avvicinano sempre più e s’intravedono le cime innevate. Il deserto è nel periodo della fioritura, lo spettacolo è unico ed indescrivibile se non come una sterminata, unica, infinita distesa di verde e fiori.

Arriviamo a Shakhrisabz (LP 228) la città di Tamerlano, il grande conquistatore del XIV sec., percorriamo alcuni viali della città. Essere turisti in luoghi sconosciuti significa anche perdere temporaneamente l’orientamento e la dimensione temporale dei luoghi che si visitano essendo trasportati, come per magia, in luoghi che hanno una loro storia secolare.

Il pullman si ferma in un posteggio, ampi viali caratterizzano la zona, giardini con fontane. Percorriamo alcune decine di metri e vedo giardinieri che sono addetti alla manutenzione del verde e all’improvviso, alla nostra destra appare un imponente “rudere”, comprendo che è il sito archeologico che visiteremo.

Delimitate da una cancellata il cui acceso è riservato ai pagatori del biglietto, appaiono nella loro imponenza due enormi, mastodontiche colonne. Appena oltrepassata la cancellata, delle basse strutture coperte di ondolux sembrano proteggere qualcosa d’importante e spinto dalla curiosità m’avvicino, osservo bene vedo la pavimentazione: sono mosaici di raffinata fattura. Una bellezza ed un gusto paragonabile ai miglior mosaici romani esistenti. Un estensione che a giudicare dai cartelli e dalle recinzioni presenti dovevano esser vastissima. Pavimentare il deserto!!! Anche se in prossimità del palazzo reale, Tamerlano doveva avere delle idee veramente grandi per realizzare tanta magnificenza. Sempre più curioso mi avvicino al gruppo che, con Nurik ha già percorso qualche metro. Siamo in prossimità delle due colossali colonne in mattoni rivestite di fine maiolica colorata. E’ la “Porta Bianca” iniziata nel 1380 e terminata nel 1404 (24 anni per l’edificazione) è l’entrata di quello che era il palazzo d’oro di Tamerlano, la sua residenza reale, posta al centro del suo immenso regno, simbolo di potenza assoluta. L’imponente portale ha due colonne alte 38 mt, le cui fondamenta sono profonde ben 22 mt. L’arco a sesto acuto era alto 54 mt. Le dimensioni sono veramente imponenti e solo un grande re poteva pensare a tanta magnificenza. Il palazzo era interamente decorato, nelle varie sale erano presenti tutti gli stili esistenti nel XIV sec. Tamerlano ha voluto i migliori architetti di tutte le terre conosciute per edificare quello che sarebbe stato il suo smisurato, magnifico, irripetibile, lussuoso palazzo.

Di quello che rimane, si può vedere solo parte delle colonne del portale con motivo a spirale, serpeggiante, fatte con mattonelle di maiolica finemente lavorata. La porta Bianca del palazzo d’oro è chiamata così perché che nel portale vi sono delle decorazioni fatte con piastrelle bianche finemente lavorate (parzialmente visibili solo nella parte interna dell’arco). Il palazzo proseguiva con un primo cortile, destinato agli ospiti, cortile circondato da costruzioni ricoperte da piastrelle in maiolica decorata e dal pavimento in mosaico. Un secondo cortile aveva facciate (sempre in maiolica) rappresentanti figure di tutte le specie animali e vegetali conosciute. Il terzo cortile conteneva l’abitazione di Tamerlano, completamente decorata con piastrelle bianche ed oro.

Si può salire su uno dei pilastri portanti il portico ad arco acuto, visto che sono qui decido di salire. Dall’alto la vista spazia sui giardini sottostanti, sulle abitazioni, sulla città e sul deserto coltivato, poco lontana l’imponente catena montuosa del Palmir con le sue vette innevate.

Usciamo dal sito archeologico ed attraversando l’enorme giardino con al centro un’enorme statua bronzea di Tamerlano, arriviamo al pullman. Ripartiamo e transitiamo dall’antico mercato, edifici che sorgevano al crocevia delle strade, vediamo l’ultimo rimasto edificato nel 1907.

Poco dopo il pullman rallenta gira a sinistra e vediamo degli edifici dalla cupola azzurra ed altri in mattoni. Scendiamo ed attraversando una porta accediamo al Complesso di Khazrati-Iman (LP 228) attualmente ospita una Moschea ristrutturata XIX sec. Dedicata ad un Iman vissuto nel VIII sec. L’edificio parzialmente distrutto da Gengis Khan, oggi ha un cortile con dei platani secolari (700, 400 e 200 anni).

Adiacente alla Moschea vi è la tomba di Jehangir, figlio di Tamerlano, unica costruzione rimasta e facente parte del complesso “seggio del potere”, anch’esso distrutto da Gengis Khan, oggi posto di meditazione e di preghiera.

Leggermente appartata, si trova la Cripta di Tamerlano. La cripta è stata trovata solo nel 1963, realizzata in mattoni cotti, le pareti sono rivestite di versetti del corano. Il sovrano desiderava esser sepolto qui. Durante una spedizione invernale contro la Cina, a causa di un colpo di freddo, decede. Il corpo fu trasportato a Samarcanda, ed essendo i passi montani impraticabili perché innevati, venne tumulato nella seconda città dell’impero. Abbandoniamo il luogo e dopo poche centinaia di metri accediamo al complesso della Moschea di Kok-Gumbaz (LP 228), la Moschea della “Cupola blu”. Tutto il complesso è sotto la protezione dell’Unesco. La Moschea e la Madrasa sorgono in una parte delimitata da un alto muro, si accede da un cancello ferreo. La Moschea è stata restaurata di recente, solo una piccola parte dei dipinti è originale, ma la calcite presente nei muri affiora dalle decorazioni deturpandole.

Frontale alla Moschea vi è il Mausoleo dello sceicco Shamseddin Kulyal, eretto nel 1374, era un ex Madrasa, all’interno vi è il sarcofago di Shay Shamseddin, il primo capo spirituale di Tamerlano. Il monumento, parzialmente ricostruito aveva originariamente una copertura in giada verde.

A fianco vi è un altro edificio, il Mausoleo Saidon, contenente i discendenti dello sceicco Saidon. Attualmente luogo di culto e di venerazione. Il sarcofago dello sceicco viene ritenuto miracoloso, la copertura è fatta da una pietra nera e la credenza è che questa pietra sia curativa. I fedeli pongono dell’acqua sulla pietra, la lasciano li tre giorni e poi la bevono. La pietra appare parzialmente levigata dallo sfregamento perpetuato dai fedeli nel corso dei secoli (è scientificamente provato che dopo tre giorni l’acqua assorbe dei Sali minerali presenti nella pietra).

Per il pranzo andiamo in una casa privata posta sulla strada verso Samarcanda, pranziamo su un’unica enorme tavolata, antipasti di verdura (dove troviamo il rabarbaro ed il giuggiolo), zuppa, misto di carne stufata con rape, carote e patate.

Fuori dall’abitazione di bambini sono incuriositi della nostra presenza, regaliamo delle caramelle (prese in abbondanza sui voli aerei interni) in cambio di fotografie e ripartiamo a bordo del pullman. Il nastro d’asfalto corre fra la steppa, le colline sono verdi, alcune cime sono ancora innevate, l’inverno sta per terminare e la fioritura primaverile rende verde deserto e colline, fra qualche mese lascerà lo spazio ad un paesaggio completamente brullo. Ogni tanto qualche villaggio caratterizza il paesaggio, lo spazio è veramente sconfinato. Ad un certo punto sosta “idraulica”, i servizi igienici sono all’aperto su una collina. Veniamo circondati da un’orda di bimbi, le caramelle terminano, è un’ottima occasione per scattare delle foto, i tratti somatici dei bimbi, i colori dei loro vestiti, lo sguardo attento, sono una “preda ambita per un fotografo”.

Proseguiamo il viaggio ed arriviamo a Samarcanda (LP 218), mentre percorriamo viali immersi nel verde, Nurik illustra velocemente la storia della città, l’attenzione è alta, finora è sempre stato un crescente di magnificenza. Samarcanda sorge in un’oasi nel desolante, vastissimo deserto rosso asiatico. Il saluto della città ci è dato da un’imponente cupola azzurra scanalata. Poco dopo arriviamo all’albergo Afrosiab, è posto nelle vicinanze del centro storico. Sistemate le valige una parte del gruppo decide di fare un giretto per un primo assaggio dell’antica città. Io salgo in camera, dal balcone si ha una vista unica su edifici dalle cupole azzurre, con una serie di minareti, non so che siano, potrebbero esser Moschee o Madrase, ora la curiosità di saper cosa sono è lasciata in secondo piano dal tramonto che s’avvicina, col binocolo guardo gli edifici di mattoni sormontati dall’azzurro turchese della maiolica, il tramonto colora di rosso i mattoni, il sole risplende sulla maiolica azzurra delle cupole, illumina i minareti evidenziando il verde, il bianco, l’azzurro. Lo spettacolo è di una suggestività unica, mozzafiato, cerco di non perdere nessun momento di tanto splendore, col binocolo le immagini sono ingrandite e permettono di veder particolari, sfumature, che ad occhio nudo sarebbero perse. Rimango a scrutare questi edifici finché il sole fa capolino dietro le colline lasciando la città illuminata solo dai lampioni.

Rientra il gruppo, si scende nel salone per la cena, finalmente dopo alcuni pasti tradizionali il gruppo può rifarsi mangiando a piacimento. Vedendo i piatti del buffet, antipasti, primi, secondi, formaggi, affettati, l’unica pietanza che ha un successo molto limitato è la minestra che continua a ribollire sul fuoco.

Dopo cena facciamo un giretto nella vicina piazza Registan, la piazza appare in tutta la sua maestosità, tre edifici interamente ricoperti di maiolica policroma lasciano esterrefatti per la loro eleganza, anche se è sera e le luci illuminano parzialmente il contesto, lo spettacolo in corso “luci e suoni” fa intravedere i colori dei palazzi. Ma il vero spettacolo lo farà il sole quando, illuminerà le maioliche policrome. Lasciamo piazza Registan e ci dirigiamo verso un complesso totalmente illuminato, avvicinandoci la vista di tanta raffinatezza lascia incantati, minbar, colonne, capitelli, archi, facciata tutto di maiolica finemente decorata. Rientriamo ma è difficile addormentarsi con tanta armonia negli occhi. Il pensiero va a coloro che attraversavano il deserto, percorrendo la via della seta ed arrivavano, sporchi, assolati, assetati in un’oasi di tanto incanto. Le cupole azzurre dovevano vedersi da lontano ed oltre ad essere un punto di riferimento significava anche trovare gente, cibo fresco, acqua, frescura. Il sogno di “mille ed una notte” si stava avverando, sono a Samarcanda, la città regale per eccellenza, la città meta ambita da ogni viaggiatore di ieri e di oggi. Samarcanda, fonte d’ispirazione di tante storie e di qualche canzone. La voglia che arrivi mattina per visitarla illuminata dal sole è tantissima.

22 aprile La città da il benvenuto al sole, mi alzo e col binocolo guardo i palazzi che vengono illuminati. La giornata si presenta ricca d’emozioni, la sveglia suona alle 7,30, ma da tempo sono in piedi. Colazione veloce, non voglio perdere tempo a mangiare, c’è tanto da vedere, ho fretta, ma il gruppo ha i suoi tempi. Conosciamo la guida che ci accompagnerà per la città si chiama Shahlo, ha 25 anni, è mamma di un bimbo di 4. Parla correttamente l’italiano e la sua funzione è quella di seguire i vari gruppi nella città di Samarcanda. Il turismo sta arrivando ed allora delle guide “in erba” vengono affiancate alle guide esperte per imparare l’arte del mestiere.

Mentre ci dirigiamo verso l’osservatorio di Ulugbek, Shahlo ci racconta velocemente la storia di Samarcanda. Originariamente ubicata su una collina distrutta e ricostruita per 11 volte. La città ha subito 3 grandi invasioni, Alessandro Magno (che incantato della bellezza della città, la risparmiò dalla distruzione), gli arabi, ed infine Gengis Khan che la distrusse completamente e da cui la città non si eresse più nello stesso posto, complice anche l’alveolo del fiume che si era spostato. L’antica Samarcanda sorgeva, su colline poste alla sinistra del fiume, Tamerlano la fece erigere a destra nell’oasi che si stava creando.

Arriviamo ai piedi di una collina sulla cui sommità sorgeva l’osservatorio astronomico di Ulugbek (LP 222), nipote di Tamerlano, che regnò per 40 anni. Lui il sovrano di un popolo di nomadi e di combattenti dedito più alla scienza che battaglia, fu oggetto di un complotto da parte di ministri e di religiosi, che privilegiavano l’azione allo studio. Durante un pellegrinaggio alla Mecca, fu fermato, arrestato e decapitato. Il tutto con un editto firmato dal figlio, anch’esso caduto nella trappola delle caste. Infatti il figlio che si era reso firmatario del padricidio, per una legge interna non poteva governare ed a sua volta venne impiccato. La dinastia di Tamerlano fini di regnare avendo creato un vasto impero e sviluppato una consistente conoscenza scientifica. Alla morte di Ulugbek, il suo osservatorio fu completamente distrutto, solo parte dei suoi studi e manoscritti furono salvati da alcune persone, portati segretamente in Persia, nei secoli tradotti in latino e greco, ed oggi dopo varie peripezie sono visibili al Britisch Museum di Londra.

L’osservatorio era circolare, realizzato su tre piani più i sotterranei, era maestoso, visibile da tutta Samarcanda. Oggi non resta che la circonferenza esterna e la parte interrata del sestante in granito con quale Ulugbek ha individuato 1.018 stelle. Il sestante lungo 40 mt era in mattoni ricoperto di marmo, sul quale marmo Ulugbek annotava le stelle e la loro posizione. L’osservatorio aveva un diametro complessivo di 46,40 mt.

Di fianco all’osservatorio è presente un museo sull’astronomia, eretto dai russi per ricordare gli scienziati dell’Asia Centrale. L’edificio è a pianta ottagonale, nella cupola, tinteggiata d’azzurro, sono visibili le stelle con i rispettivi segni dello zodiaco. Nella parte inferiore del museo è stata ricostruita la storia di Tamerlano e la nascita di Ulugbek, predetta dai veggenti come un grande personaggio. Vi sono raccolti dei capolavori artistici ritrovati di Samarcanda e le mappe dell’antica Via della Seta.

Abbandoniamo l’osservatorio e ripercorrendo la strada verso la città girando a destra ci fermiamo nei pressi di alcune colline, dove sorgeva l’antica città di Samarcanda. Su un piazzale sorge il Museo di Afrosiad (LP 222) che visitiamo, all’interno un plastico che ricostruisce l’imponente struttura della città, difesa a nord dall’avvallamento realizzato dal fiume Siah, le mura fortificate s’estendevano a sud, formando un pentagono irregolare. Le varie muraglie dividevano la città in settori. Nella parte più lontana dal fiume abitava il popolo. Nella seconda vi erano i guerrieri ed i depositi di viveri, nella terza abitavano i ricchi ed infine, nella parte più inaccessibile abitavano i regnanti. La realizzazione dei settori e delle fortificazioni difensive erano fatte sfruttando ottimamente gli avvallamenti e la configurazione naturale del terreno.

Nelle varie sale del museo, ripercorriamo la storia di Samarcanda, iniziando dai reperti risalenti al neolitico, ad un forno per la cottura della ceramica del IV sec., alla sala dedicata ad Alessandro Magno contenente delle formelle con i sigilli degli artigiani, monete, armi, suppellettili, colonne elleniche e vari plastici per conoscere l’evoluzione della città. La parte successiva è dedicata alla religione zorastrana con la ricostruzione del fuoco sacro. Si arriva alla dominazione araba, con l’introduzione dell’islam. Per diffondere la nuova religione gli arabi detassarono chi si convertiva, questo ebbe una facile presa sul popolo, ma non durò molto, le tasse furono presto ripristinate. In altre sale sono conservate monete, gioielli in argento, pietre dure finemente lavorate, avorio intarsiato, dadi in osso, utensili, terracotta, ceramiche policrome e marroni (lavorazione tipica di Samarcanda).

Accediamo alla sala più bella del museo. La Stanza del Re. Di forma rettangolare, alle pareti (quella centrale e le due laterali) affreschi realizzati con colori naturali, dalla cromaticità unica, dove spiccano le tonalità del bianco, dell’azzurro, del rosso. La bellezza e l’intensità dei colori ricordano i geroglifici egiziani. Gli affreschi, raffiguranti animali ed uomini sono stati, per motivi religiosi, ricoperti dagli arabi e, riportati alla luce solo recentemente.

Da sinistra verso destra, il primo affresco che rappresenta il Corteo Nuziale; vi sono uomini vestiti elegantemente tra cui spiccano il principe e la promessa sposa che porta i doni di dote. L’affresco è ricco di animali, tra cui risaltano cavalli ed elefanti (provenienti dall’India).

L’affresco della parete centrale rappresenta il Ricevimento degli ambasciatori, vi sono raffigurati diversi personaggi stranieri e locali, ognuno sfoggiante abiti di rappresentanza o imperiali, che portano regali. Sull’affresco sono presenti scritte narranti vari avvenimenti.

Sulla terza parete, l’affresco è diviso in due moneti, il primo rappresenta la principessa con le proprie ancelle su una barca ed il secondo rappresenta il principe in una scena di caccia.

La particolarità è che gli affreschi alla sinistra (il Corteo Nuziale), ed alla destra (Caccia e barca), vedono raffigurati un principe ed una principessa, ma le figure sono poste in modo che s’intreccino diagonalmente all’interno della stanza.

Usciamo dal museo e recandoci sulle colline adiacenti visitiamo gli scavi archeologici della vecchia città di Samarcanda, da dove si domina tutta la parte nuova fatta edificare da Tamerlano e da cui spicca l’enorme cupola azzurra della Moschea.

Rientriamo in città e ci dirigiamo verso la Moschea grande, posizionata adiacente al mercato per consentire ai commercianti di pregare quando fosse il momento appropriato, la Moschea sorge su una collina ma noi scendiamo nella sottostante valle e proseguiamo a piedi, costeggiamo un cimitero, ad un certo punto l’entrata. Siamo giunti al Shar-I-Zindah (LP 221) la “Tomba del Re vivente”, un insieme di tombe risalente al XV sec. All’ingresso, sulla sinistra, la Moschea del XX sex. Il posto è un luogo religioso, meta di pellegrinaggio, è pieno di gente devota, tre pellegrinaggi in questo luogo equivalgono ad uno alla Mecca. E’ uno fra i più suggestivi posti dell’intersa Asia.

Vi è una successione continua d’edifici sepolcrali con cupole azzurro turchese, le facciate decorate con raffinate piastrelle di maiolica risalente al XV sec. Nella parte destra venivano sepolti gli uomini in quella sinistra le donne.

Il luogo seppur esteso è un immenso cantiere, da anni era in stato d’abbandono totale ed ora è in corso una notevole opera di restauro su tutte le tombe, si notano le facciate originali degradate dove il paziente lavoro da certosini dei restauratori cerca di restituire l’antica magnificenza.

Visitiamo una Moschea con all’interno dei resti di dipinti policromi risalenti al XV sec. Negli anni del socialismo le moschee erano utilizzate come magazzini e l’abolizione di ogni religione ha fatto si che la gente perdesse ogni simbologia religiosa, ed ancora oggi fa fatica ad orientarsi, questa difficoltà è visibile nei minareti adibiti a luoghi per l’accensione delle candele e nella preghiera dei mussulmani dove l’orientamento nella preghiera non sempre è verso la mecca. Proseguiamo la visita del complesso fatto di un susseguirsi di edifici di raffinata eleganza. Riscendiamo le scale e prima di uscire visitiamo l’interno di un cortile, dov’è il pozzo in cui la leggenda vuole che riposi un santo locale che è stato decapitato, ma lui incurante del fatto ha raccolto la testa appena mozzata e se ne andò a stare in fondo al pozzo, da qui il nome del complesso “Tomba del Re vivente”. Persino Gengis Khan fu impressionato dalla storia e volle mandare due suoi servi a vedere se era vero che in fondo al pozzo vi era in santo, la leggenda dice che uscirono ciechi. Anche Tamerlano fece scendere un suo servo a testa in giù. Si racconta che fu ospite per tre giorni del Re vivente sepolto in fondo al pozzo, ma prima del ritorno al mondo il Re lo avverti di non dire nulla altrimenti sarebbe divenuto cieco. Salito in superficie Tamerlano voleva sapere ciò che aveva visto, il servo avvertì Tamerlano che se avesse raccontato quanto visto sarebbe divenuto cieco e muto. Tamerlano gli dette due possibilità o parlava o lo avrebbe ammazzato, ma gli promise che se fosse divenuto cieco e muto, lui stesso si sarebbe occupato della sua famiglia. Il malcapitato racconto tutto ed appena terminato il racconto gli scese una lacrima dal viso; divenne cieco e muto. Tamerlano, mantenne la promessa e fondò la scuola per ciechi e muti.

Lasciamo l’imponente complesso e velocemente ci dirigiamo alla Moschea che sorge sulla collina, la Moschea di Bibi-Khanym (LP 220), del XIV sec. La Moschea dev’essere stata visibile ad enorme distanza vista l’imponenza del portale d’ingresso alto ben 35 mt. Fu realizzata in soli 5 anni di intenso ed articolato lavoro. Entriamo e ci fermiamo nel cortile, per la sua costruzione, furono fatti arrivare dall’India degli elefanti per trasportare dalle vicine montagne i blocchi di marmo utilizzati per la realizzazione delle colonne interne. Originariamente tutti gli edifici l’interni alla Moschea erano collegati da portici con colonne di marmo lavorato. Nel 1897 un terremoto distrusse la Moschea ed anche se attualmente ricostruita, ma non nella versione originale, delle colonne originali ne restano poche.

Nel centro del cortile vi è un enorme leggio di granito, qui un tempo veniva posato il Corano più antico del mondo, fatto con fogli in pelle di gazzella, rilegato in oro, dal peso di trecento chilogrammi. Era il Corano che Osman, il genero di Maometto e terzo successore del profeta stava leggendo quando fu assassinato. Il suo sangue intrise il libro e lo rese sacro. Il libro fu “portato” dai russi a San Pietroburgo, ma negli ultimi anni è stato ridonato all’Uzbekistan ed ora è nel museo del Corano a Tashkent.

Lo stile del complesso è particolare, la facciata, molto elevata, si presenta con due alte colonne affiancate, e storicamente introduce un nuovo stile architettonico in Asia centrale. Dall’esterno l’altezza della facciata riesce a nascondere l’imponente cupola della Moschea posta all’ interno al cortile.

Accessibile solo dall’interno del cortile la Moschea è stata restaurata solo nella parte esterna, la facciata è caratterizzata da maioliche, l’ampia cupola è di un azzurro turchese incantevole. L’interno è in un notevole stato d’abbandono, sono visibili poche tracce di affreschi e decorazioni.

Sulla costruzione della Moschea tutte le guide raccontano una leggenda: Tamerlano voleva che Samarcanda diventasse la più bella città del mondo e prima di partire per una nuova impresa ordinò che venisse eretta una Moschea in onore di sua moglie, la bella principessa d’origine mongola, Bibi-Khanym. Partito Tamerlano, Bibi-Khanym seguì personalmente la costruzione della Moschea, ma l’architetto incaricato della costruzione s’innamoro della principessa e la minacciò di non concludere i lavori se lei non le dava un bacio. L’architetto chiedeva e la principessa rifiutava, ma era anche preoccupata del fatto che i lavori non proseguivano. Finché un giorno cedette e si lasciò baciare. Il bacio fu talmente focoso che sulla guancia di Bibi-Khanym rimase una bruciatura. Quando Tamerlano ritornò a Samarcanda, volle la sua sposa, ma lei si presentò con il viso il coperto da un velo, lui chiese delucidazioni, lei inventò scusa, ma lui non ne volle sapere e tolse il velo, vide la bruciatura, chiese spiegazioni ed andò su tutte le furie. Tamerlano impose che tutte le donne portassero il velo, da qui secondo la leggenda, l’origine dello chador. E dei due poveretti?? Qui la leggenda si divide a seconda dei racconti, una parte vuole che la povera Bibi-Khanym, fosse uccisa e che l’architetto, invece scappò, l’altra parte invece vuole che l’architettò fosse ucciso e Bibi-Khanym, sopravisse alla gettata dal Minareto. Leggenda? Di fronte alla Moschea vi è il Mausoleo di Bibi-Khanym (LP 220), tentiamo di entrare per visitarlo, ma il custode è inflessibile si accede solo pagando l’entrata ed anche fotografare, come in tutti i siti sono a pagamento, 1.000 sun (30 cent.), non pago, ed esco dal mausoleo fotografando ugualmente l’esterno.

Vi è del tempo dedicato allo shopping, ne approfitto per visitare l’attiguo mercato locale, girando tra il settore della frutta, degli alimentari, dei tessuti l’esplosione di colori mi permette di fare qualche foto. Finalmente un posto senza tanti turisti e frequentato solo da locali.

Proseguiamo la giornata con la sosta pranzo, ci fermiamo in un locale ubicato fuori dal centro di Samarcanda, è un locale tipico “abbellito” con luci psichedeliche. Ormai ci stiamo abituando ai sapori tradizionali, antipasto di verdure, zuppa? No, non arriva la classica zuppa di verdura, ma una zuppa con dei ravioli che assomigliano molto a quelli cinesi. Ravioli in brodo, farciti di carne di montone, con aggiunta di aglio e cipolla. Buoni e graditi. Vino locale dal sapore asprognolo, di secondo vi sono enormi spiedini di carne alla griglia (manzo, pollo, maiale, montone). I servizi igienici del locale nascondono una vera sorpresa, troviamo delle semplici e pulite “turche”. Nell’antibagno un’enorme voliera contiene dei pappagallini che ravvivano con i loro gridi, l’intero locale.

Riprendiamo la visita della città e transitando per il settore universitario, noto come molti adulti indossano spesso l’abbigliamento tradizionale, gli uomini portano lunghi vestiti, gli stivali di pelle con soprascarpe per il fango, i cappelli neri di astrakan, alcuni indossano lo zuccotto nero con decorazioni bianche, simbolo dei mussulmani, alcuni portano lo zuccotto bianco simbolo del pellegrinaggio alla Mecca. Le donne indossano i colorati vestiti tradizionali, in testa portano foulard ed ali piedi calzano ciabatte. Gli studenti vestono in modo occidentale.

I tratti somatici evidenziano persone la cui pelle è cotta dal sole, si notano bene l’origine turkmena ed uzbeka delle persone. Gli uzbeki hanno gli occhi a mandorla, i turkmeni hanno una carnagione marrone/olivastra, ed hanno gli occhi più grandi. A volte la vecchiaia è precoce, a volte la bellezza dei lineamenti rende incomprensibile l’età. Rientriamo nella parte antica della città e sostiamo presso l’edificio che la sera prima abbiamo visitato tutto illuminato, è il Mausoleo di Guri Amir (LP 221), la Tomba di Tamerlano, edificio del XV sec. Edificato inizialmente per Ulugbek (nipote di Tamerlano), ma l’improvvisa morte del sovrano e l’impossibilità di trasportare il corpo a Shakhrisabz, dove aveva fatto costruire la sua tomba, fece si che fosse seppellito a Samarcanda. Il luogo fu tramandato ai posteri come “tomba dell’emiro”.

All’interno del Mausoleo i sarcofaghi, di Tamerlano, di due suoi figli, del suo maestro, di Ulugbek. Quello di Tamerlano è in nera nefrite, gli altri in marmo grigio, è presente parte dell’originale coperchio della tomba di Tamerlano, fatto di giada fu asportato e poi riportato qui.

Un lungo bastone con in testa una coda di cavallo è piantato in una nicchia laterale, serve per tenere lontani gli spiriti maligni.

Alle pareti, partendo dal pavimento, un rivestimento di onice lavorato ha un effetto riflettente diffondendo una tenue luce, le pareti proseguono con stucchi e decorazioni dorate, disegni simbolici tra cui emergono l’albero della vita di Ulugbek e le stelle.

La parte interna della cupola è di cartapesta, l’esterno è in muratura rivestita in maiolica azzurro turchese, con 64 striature (simboleggiano i 63 anni di Tamerlano più uno della gestazione). Nelle pareti si aprono 4 enormi nicchie, dove proseguono le decorazioni. La dimensione delle nicchie è la massima realizzabile per non compromettere la tenuta complessiva della struttura. Un’opera architettonica abbellita con decorazioni che furono depredate nel XVIII sec. Dai persiani, i quali raschiarono tutto l’oro dal muro. Solo oggi dopo un attento e minuzioso restauro, lo splendore è stato riportato all’origine.

Durante la dominazione sovietica Samarcanda è stata preservata da sostanziali e distruttivi interventi urbanistici come avvenuto in altre città, in quanto non era stata nominata capoluogo di regione. I russi negli anni successivi all’indipendenza si sono datti da fare per restaurare gran parte dei monumenti presenti in città.

Lasciamo il Mausoleo di Tamerlano e a poca distanza, il pullman si ferma; siamo in piazza Registan (LP 220). La piazza illuminata dal sole è veramente stupefacente, affascinante, incredibilmente splendida, unicamente bella. Tre Madrase una a sinistra, una centrale ed una a destra delimitano lo spazio della piazza lasciando un solo lato libero, quello d’accesso e d’uscita. Registan significa “Luogo sabbioso”, inizialmente era un centro commerciale e dal XV sec. È divenuto anche un centro culturale. Fu Ulugbek a costruire la prima Madrasa, quella posta alla sinistra che porta il suo nome. Nel XVII sec. Venne edificata la seconda Madrasa (la Madrasa dei Leoni), opposta a quella esistente, uguale alla precedente, l’unica differenza erano le decorazioni sulla facciata, quella di Ulugbek con le stelle (denominata Madrasa delle Stelle) e quella frontale dove per la prima volta, compaiono figure di animali di significato zorastrano, s’intravede un leone tigrato simbolo del male che lotta con una gazzella simbolo del bene. Sempre nel XVII sec. Fu edificata, al posto del caravanserraglio esistente (il più grande del mondo) che situato fra le due Madrase chiudeva un lato della piazza, la terza Madrasa (la Madrasa della Moschea d’oro). Siccome tra le tre Madrase non vi era una Moschea, fu inglobata nella Madrasa stessa. La Moschea, all’interno, era rivestita completamente d’oro, prelevato, anche in questo caso, nel XVIII sec dai persiani.

Visitiamo le Madrase cominciando dalla Madrasa dei Leoni, le celle all’interno sono poste su due piani, caratteristica architettonica di Samarcanda, interamente decorate con maioliche (le precedenti Madrase erano parzialmente decorate). Le celle hanno le porte basse con sopra dei versetti del Corano, chi doveva accedere alla stanza, doveva leggere il versetti e poi chinarsi, in senso di rispetto. Queste Madrase erano per le persone ricche, quindi il ripetere i versi del Corano ogni volta che s’entrava nelle stanze, era un metodo “originale” per imparare i versetti stessi. Chi terminava gli studi all’interno della Madrasa, poteva acceder all’insegnamento delle scienze, un’antica forma di università.

Le celle sono trasformate anche qui in negozi d’artigianato, ed all’interno di una cella troviamo un musicista che suona strumenti tradizionali. Ci soffermiamo ad ascoltare il suono degli strumenti simili a chitarre, uno fatto di legno di gelso (la struttura) con pelle di pesce (la copertura della cassa armonica), un altro interamente di legno di gelso (suonato esclusivamente dalle donne), un altro è sempre di legno di gelso ma decorato finemente con ossa di agnello (suonato esclusivamente da uomini), un altro è fatto di legno di gelso con la cassa armonica ricoperta di pericardio (la pelle del cuore) di bue e decorato con madreperla, il flauto di legno (che, col suo suono caratteristico, evoca la musica della sofferenza), il tamburello avente la struttura in legno e la cassa di pelle di bue con anelli di ferro all’interno (per l’accompagnamento) strumento usato dalle ballerine. Il legno di gelso, parte fondamentale di questi strumenti, produce un suono caratteristico, molto nervoso. La dimostrazione prosegue con strumenti a corda ed infine la tromba caratteristica dell’Asia, con cui, dalle mura di Bukhara, veniva annunciata l’uscita e l’entrata dell’emiro dal palazzo.

Alla fine della dimostrazione, acquistiamo dei CD di musica tradizionale.

Proseguiamo il giro nella Madrasa con la visita all’aula invernale. La parte inferiore è in maiolica, mentre la parte superiore è decorata con dipinti recentemente restaurati, oggi sede di un laboratorio di tappeti artigianali.

Usciamo dalla Madrasa dei Leoni, e fatti pochi metri, entriamo nella Madrasa della Moschea d’oro. Il cortile presenta una struttura di celle ad un piano, anch’esse rivestite di maiolica policroma. Accediamo alla Moschea d’oro, l’interno è stato completamente rifatto dopo l’asportazione dell’oro. La visione lascia incantati, decorazioni d’oro ovunque. Nella Moschea è presente un piccolo museo locale, si possono vedere le foto della piazza antistante le Madrase col vecchio mercato, parte dei primi lavori di restauro e reperti vari. Vi è anche un’accurata descrizione della lavorazione della maiolica e delle varie tinte minerali utilizzate per la colorazione.

Accediamo all’ultimo edificio, la Madrasa di Ulugbek (la Madrasa delle Stelle), il cortile come nella prima Madrasa visitata è a due piani, la costruzione è anch’essa rivestita interamente di maiolica. Accediamo ad una cella chiamata “La stanza della sposa”, alle pareti sono appesi gli abiti della sposa, la tradizione vuole che la signora appenda alle pareti ricoperte di tessuti tutti gli abiti che possiede per mostrare la sua ricchezza ed il ruolo sociale ricoperto.

Proseguiamo la visita delle stanze della Madrasa ed accediamo alla “Stanza dell’insegnate” dove alloggiava ed ascoltava musica l’insegnate. L’arredamento è costituito da una poltrona, da tavolini e sedie dove sorseggiavano il the oltre che da una serie di giacigli.

Terminato il classico giro con la guida, il gruppo è libero. Ci fermiamo per i negozi presenti nelle tre Madrase, non tanto per l’acquisto di prodotti artigianali (alcuni veramente interessanti) ma per rimanere immersi in tanta armonia multicolore. Nelle pareti ricoperte di maiolica blu, verde, azzurra la vista spazia, i motivi sono molti, ma l’occhio volendoli vedere tutti si perde, la mente fa fatica a memorizzare tanti motivi decorativi, per fortuna la macchina fotografica è un aiuto prezioso, cerco la luce giusta e scatto foto. Il pensiero è agli studenti delle scuole coraniche che potevano studiare e vivere fra tanta pace e simile incanto.

Il rientro in albergo è veloce, poche centinaia di metri separano piazza Registan dall’hotel. Dal balcone della camera uno sguardo alla città illuminata dalla luce elettrica è dovuto, nel cielo si stagliano le figure degli edifici che solo la sera prima non sapevo identificare, ma che ora so riconoscere per nome, per fisionomia, per posizione.

La cena è caratterizzata dal 15° anniversario di matrimonio di Antonio ed Enza. Per loro è stata una organizzata, a loro insaputa, una tavolata comune (opera di Maurizio). La sorpresa gli aspetta appena entrati in sala. Terminata la cena a buffet, Filippo “abbigliato” di tutto punto con due “ancelle” legge una poesia da lui composta, dedicata ai due festeggiati. La poesia è scandita dal ritornello “che bello, che magnificenza, che splendore” (riferimento esplicito alle esclamazioni di stupore di don Maurizio). La poesia terminava ricordando tutti gli sposi presenti in sala. Poi arriva la torta ed il vino dolce, una festa indimenticabile in un paese così lontano da Rovello. Qualcuno si commuove, gli sposi riescono a malapena a ringraziare della bella ed inaspettata sorpresa.

Anche il direttore dell’albergo, di origine tedesca, è contento e pubblicamente ringrazia gli italiani per la presenza e per la piacevole serata che sta trascorrendo anche lui. Tra l’altro ha offerto torta e vino dolce.

Dopo cena parte del gruppo esce per un giretto, io mi soffermo in albergo a far due chiacchiere. Uno sguardo verso il Mausoleo di Tamarlano illuminato, la luce è strana, guardo il cielo, la luna è nascosta dalle nuvole, pioverà? 23 aprile La sveglia suona puntuale alle 8,00, ma da tempo sono alzato e sto proseguendo la scrittura del diario e la lettura della guida LP, il cielo è sempre nuvoloso e produce un’altra immagine della città.

Colazione ed alle 9,00 partenza per proseguire il tour. Essendoci fermati più giorni possiamo vedere una parte che solitamente al turista frettoloso non è visibile. In pullman, in tragitto verso la parte centrale della città transitiamo accanto al “mercato della manodopera”, un posto dove chi è senza lavoro si posiziona li ed aspetta qualcuno gli faccia un’offerta, un nostro, artigianale, improvvisato “ufficio di collocamento”.

Più avanti passiamo dinanzi a delle scuole, vediamo dei ragazzi intenti a pulire un giardino, chiediamo delucidazioni e Shahlo, ci spiega che tutti gli studenti, di ogni scuola di ordine e grado due sabati al mense sono impegnati nella pulizia totale della scuola. Interna ed esterna, compresi viali, e giardinetti.

Notiamo donne che comminano per strada con ombrelli aperti, la guida ci spiega che è una tradizione uzbeka per la proteggere la pelle dal sole in modo che rimanga più chiara possibile.

Dopo qualche minuto il pullman si ferma presso un cancello di ferro, è aperto, entriamo ed accediamo ad un prato che sembra più un pascolo. All’interno dello spazio recintato sorge quella che un tempo era “la casa del piacere”. E’ una costruzione in stato di semi abbandono posta fuori dal classico circuito turistico, un edificio da ristrutturare completamente,. Nella facciata sono visibili resti di decorazioni in maiolica, all’interno tracce di affreschi blu e arancio su sfondo bianco. E’ visibile l’accesso ad una cripta sottostante il pavimento centrale, dove sono stati ritrovati sarcofaghi di donne. Storicamente la casa di piacere, a seguito di lamentale dei vicini per il troppo chiasso era stata trasformata in un mausoleo, forse da qui l’origine dei sarcofaghi.

Proseguiamo il tour e nei pressi di un cimitero, visitiamo la Moschea “dentro la città”, una Moschea attualmente in uso, con la funzione quotidiana oltre alla grande cerimonia del venerdì. Collocata nella parte vecchia della città la Moschea è del XVII sec. Restaurata nel XX sec. Le moschee invernale ed estiva sono collocate all’interno di un cortile dove vi è una grande vasca circondata da ippocastani secolari. Shahlo, la guida di Samarcanda, si sofferma a parlare di usi, costumi e modelli di vita dell’Uzbekistan, descrivendo bene il rapporto che hanno le ragazze con la società moderna.

Vicino alla Moschea vi sono donne che, come abbiamo già incontrato a Bukhara sono zingare ed armate di pentolino con dentro erbe accese, scacciano il malocchio in cambio di denaro.

La Moschea è inserita in un’area destinata a cimitero, Shahlo ci spiega la struttura e l’evoluzione delle tombe del cimitero. Inizialmente i defunti venivano sepolti sotto un semplice tumulo di terra, successivamente sono arrivate le recinzioni al tumulo, poi sono comparse lastre di marmo con le scritte ed ultimamente lastre in marmo con scritte e foto. Una curiosità sulla sepoltura, i mussulmani vengono sepolti, da sempre, nella terra nuda avvolti in semplici lenzuoli di cotone o tappeti. Il tumulo non rappresenta l’esatto punto di sepoltura, ma il corpo giace alla base della tomba stessa.

Proseguiamo il giro della città, ed arriviamo presso la Moschea “fuori dalla città”, intesa come città costruita da Tamerlano, oggi è un edificio conglobato nella vastità della città. L’edificazione risale al XVIII sec. Ci avviciniamo alla Moschea estiva, posta frontale ad una fontana e circondata da alberi. La pavimentazione della piazza è in rifacimento e stiamo camminando in un unico cantiere. Un guardiano ci ferma, se vogliamo proseguire dobbiamo pagare 1.000 sun per “il pedaggio” d’ingresso. Spieghiamo che la guida sta facendo il biglietto per visitare la Madrasa, ma il guardiano prosegue imperterrito nella richiesta di denaro. Visto che la Moschea estiva, anche se decorata recentemente è ben visibile dall’esterno, decidiamo di non pagare la somma richiesta, scattiamo alcune foto dal piazzale ed andiamo a visitare la Madrasa. La facciata è completamente in maiolica, blu, verde, bianca e gialla ha delle figure che ricordano la Madrasa dei Leoni, attraversiamo il grande portone d’ingresso e ci troviamo all’interno di un cortile con l’edificio ad un piano. Era l’unica Madrasa per religiosi, qui avveniva lo studio completo del corano. La struttura è ben conservata, essendo posta fuori dalla città l’ubicazione logistica ha evitato un suo degrado derivante sia dall’incuria, sia dall’utilizzo improprio imposto dai bolscevici. Attualmente la Madrasa, è in fase di completo restauro, fra due anni è prevista la vera apertura al pubblico e le celle del cortile saranno destinate ai negozi d’artigianato. Possiamo reputarci fortunati d’aver visto questo complesso ancora nella fase originale, prima che diventi, come le altre, un punto di rivendita d’articoli artigianali. L’interno della Moschea è tutto bianco escluso il minbar.

Lasciamo la Moschea “fuori dalla città” e ci dirigiamo verso la zona dell’albergo, che è adiacente alla zona universitaria. Al proprio confine sorgono, a breve distanza due chiese, quella cristiana e quella ortodossa. Il pullman si ferma vicino alla Chiesa cristiana, scendiamo per visitarla. La Chiesa è chiusa, un cartello avvisa dell’orario delle Sante Messe. Sostiamo un attimo ad osservare questa costruzione di mattoni rossi con alcune statue bianche sulla facciata quando, dall’altra parte della strada appare un Padre Francescano che, sorridente si dirige verso noi. In uno stentato italiano ci saluta cordialmente, è contento che qualcuno faccia visita alla sua Chiesa. Velocemente apre il cancello e la Chiesa e noi possiamo entrare. L’edificio è stato costruito nel 1916, da prigionieri di guerra polacchi deportati che vivevano in città. Oltre agli ex prigionieri vi erano altri polacchi che, in questa regione lavoravano per l’armata dello zar ed erano presenti con le loro famiglie. Durante il dominio zarista i polacchi che protestavano, venivano “trasferiti” nelle sperdute e desolate pianure dell’Asia centrale. Questo a fatto si che la presenza di tanti polacchi portasse alla costruzione di chiese cristiane nelle maggiori città (attualmente esistono chiese cristiane a Samarcanda, Ashgabad e Tashkent). L’edificio durante il periodo sovietico è stato destinato ad usi diversi, prima fu un luogo di reclutamento per i soldati, successivamente diventò una palestra, ridiventò luogo di culto solo nel 1995. Influenza dell’azione di Giovanni Paolo II? Attualmente nella regione vi sono 10 sacerdoti e 3 laici; il vescovo è stato nominato recentemente ed inizierà la sua opera apostolica il 14 maggio 2005 (proprio mentre sto scrivendo il diario), è un polacco nato in Siberia. Anche il padre francescano è di origine polacca, lo si denota dall’altezza, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, lineamenti che risaltano se confrontati a quelli uzbeki o turkmeni.

Il padre, ci fa accomodare nella Chiesa, ci regala delle semplici candele realizzate da lui manualmente. Ascoltiamo la sua storia, dice che i cristiani sono pochi, circa 500. Essere cristiano a Samarcanda è una scelta ad “alto” rischio per le discriminazioni sociali cui vengono assoggettate le persone che cambiano religione, con pesanti risvolti personali (ripudiati dai familiari ed altro).

La Chiesa è dedicata a Giovanni Battista, stata aperta per la nostra visita richiama da un vicino ambulatorio gente che vestita di camice bianco viene per pregare. Visto che siamo in una Chiesa, diciamo una preghiera e Shahlo, ci osserva con uno sguardo stupito, incredulo, estasiato per il modo in cui preghiamo e per il silenzio fattosi.

Salutiamo il padre e ci apprestiamo a visitare la Chiesa ortodossa attualmente sconsacrata, racchiude un’esposizione di quadri e di oggetti caratteristici di una tribù nomade ora rifugiatasi in Afganistan.

Durante il girovagare per Samarcanda, noto la costante presenza di canali in cemento che sono presenti ai bordi di tutte le strade ed in cui, periodicamente l’acqua viene fatta scorrere per pulire le vie.

Rientriamo in albergo e salutiamo Shahlo che ha terminato i suo lavoro di guida turistica di Samarcanda e ci lascia per rientrare in famiglia. Noi ci rechiamo sulla terrazza panoramica dell’albergo, per il pranzo. Il luogo è suggestivo, arabeggiante con finestre aperte sulla città. L’aria rinfresca il pranzo tradizionale, verdure, zuppa, carne con riso, the.

Il pomeriggio è libero, dedicato allo shopping. Anche se il gruppo si sparpaglia, dopo qualche ora ci si ritrova tutti in piazza Registan, chi per compere, chi per fotografare. I negozietti sono proprio un’attrattiva sia per i turisti occidentali che per i turisti locali. Nelle varie Madrase s’incontra gente proveniente da ogni parte del mondo, sembra un piccolo spaccato di quello che doveva essere la bellezza cosmopolita dell’antica Samarcanda.

All’interno delle Madrase sì è assaliti dai venditori che gentilmente t’invitano a veder quanto esposto nei loro negozi, siccome non sono interessato a far acquisti, a volte diventa difficile far fotografie essendo letteralmente circondato da ogni proposta di vendita. Passo più volte da una Madrasa all’altra in cerca d’angoli dove scattare foto, vi sono particolari di suggestiva bellezza che non possono scappare all’occhio attento, le foto si scattano in successione. Usando la macchina digitale ho il vantaggio di poterle visionare subito e se non mi piacciono di poterle rifare. Il pomeriggio è un divertimento unico, girare, osservare, fotografare.

Usciamo dalle Madrase e ci fermiamo in piazza Registan seduti su delle panchine di legno, lo spettacolo è impagabile ed incantevole, frontale a noi vi è la facciata della Madrasa della Moschea d’oro, a destra la Madrasa dei Leoni, a sinistra la Madrasa delle Stelle (la prima, quella costruita da Ulugbek). La visione è allietata dal cinguettio degli uccelli che nidificano sulle piante del parco circondante la piazza e che caratterizzano l’oasi di Samarcanda. Il tempo trascorre, ma ammirando simile incanto sembra essersi fermato, restiamo li finché non appaiono minacciose nuvole che sembrano cariche d’acqua, pioverà anche qui? Qualche goccia sembra scendere, nel frattempo arrivano le “ultime sopravvissute dello shopping” e decidiamo di rientrare in hotel. Mentre lasciamo piazza Registan, possiamo osservare bene l’imponente lavoro di sbancamento in atto. Il livello delle Madrase è almeno due metri sotto l’attuale livello stradale, operai e tecnici con macchinari ed attrezzature stanno riportando il livello all’altezza originaria. Riemergono antiche costruzioni e pavimentazioni, fra qualche anno chissà che spettacolo si proporrà al turista. Samarcanda ritroverà l’antico splendore? Per la sistemazione dei siti archeologici saranno spostate abitazioni, mercati, bazar, gli abitanti trasferiti in quartieri moderni posti alla periferia della città. Ancora una volta il moderno subentra alle tradizionali costruzioni.

Durante il rientro in albergo transitiamo davanti ad un locale dove si sta festeggiando un matrimonio, ci fermiamo ad osservare i commensali del pranzo nuziale che si svolge all’interno di un giardino; gli sposi siedono ad un tavolo posato centralmente ed elevato rispetto a quello degli ospiti che saranno 400 – 450 persone. Rientriamo in hotel, salgo in camera ed esco sul balcone dove è udibile la musica del matrimonio, ma mi soffermo a guardare il tramonto su piazza Registan. Il cielo è grigio, la piazza sembra tetra, ma all’improvviso dei raggi del sole bucano le nuvole e vanno a riflettersi sulla cupola azzurro turchese della Moschea di Bibi-Khanym. Lo prendo come un personale saluto della bella principessa mongola e di questa stupenda ed affascinate città che fino all’ultimo ha voluto stupirmi con la sua magia.

E’ l’ora di preparare le valige, è la terza notte che dormiamo a Samarcanda e l’indomani c’è il trasferimento verso Tashkent, s’avvicina l’ora della partenza e del rientro in Italia.

La serata trascorre piacevolmente in albergo, cena a buffet, il dopo cena caratterizzato dal gruppo che si è ritrovato, seduto sul terrazzo dell’albergo, intorno ad un paio di bottigliette di vodka a chiacchierare.

Rientro in camera e prima di addormentarmi pensavo che l’atmosfera del deserto asiatico è unica, lo paragono al deserto africano, personalmente preferisco la bellezza selvaggia di questo deserto roccioso, sabbioso, con le montagne visibili, dove nell’immensità perdersi, significa non uscirne vivo anche ai nostri giorni. Chissà che pensavano e provavano, fino al 1922, i carovanieri che giungevano in città, ma sopratutto chissà con che spirito partivano dovendo lasciarsi alle spalle tanto sfarzo.

24 aprile Sveglia alle 6,00, visto che è domenica Santa Messa, colazione e poi partenza per Tashkent. L’oasi si Samarcanda con le sue piante, il suo verde scompare velocemente, lasciando la vista libera di spaziare sulle distese di campi coltivati a cotone, ovvero il deserto rosso irrigato dai sovietici e trasformato in enormi, interminabili, infiniti campi di cotone. Campi a perdita d’occhio dove, dicono gli uzbeki, trovar da mangiare qui è impossibile, il cotone non si mangia!! Nurik ci illustra il rapporto tra il cotone ed i contadini uzbeki, come viene divisa la ricchezza della nazione ed il sistema economico che la sorregge. Ci descrive la retribuzione; i contadini, per una tonnellata di cotone che raccolgono e consegnano, ricevono in cambio 500 dollari, più l’olio che viene estratto dal cotone, più il vegetale trasformato in mangime per gli animali.

Il paesaggio è verde grazie solo alla costante e continua irrigazione dei campi, si procede verso le montagne e, quando la strada sembra sbarrata, costeggiando un fiume, transitiamo per “la porta di Tamerlano”, una spaccatura naturale nella roccia della montagna, dove si dice, che i sudditi aspettavano l’imperatore per accoglierlo dai suoi ritorni vittoriosi. I chilometri proseguono, dal finestrino del pullman si continua a scorgere campi di cotone alberi e piantagioni varie, ogni tanto compare qualche piccolo e sperduto villaggio.

Una sosta “per problemi idraulici” ci permette di scendere a sgranchirci le gambe, abbiamo appena oltrepassato un crocevia stradale, vi sono dei punti di ristoro, è presente un improvvisato mercatino di verdura e latticini. Ogni tanto tra auto delle più diverse, e non solo per modello ma per età d’immatricolazione, transitano dei pullman diretti a Tashkent, la capitale è identica in ogni stato, funge indiscutibilmente da grosso e polarizzante punto di richiamo.

Il locale dove si fermano a far colazione gli autisti e le guide, è simile ad un nostro chiosco, il pane è sfornato fresco insieme ad alcune brioches di forma locale. Mi soffermo a vedere la cottura del pane. Il forno è praticamente una cupola con nella parte superiore un coperchio metallico che funge di passaggio per la legna e per il cibo da cucinare. Il fuoco sta nel centro, una volta che il forno è in temperatura il pane da cuocere viene attaccato alle pareti interne del forno, la forma rammenta la nostra pizza o piadina, essendo pane senza lievito la cottura avviene abbastanza velocemente. Il pane cotto, fragrante e profumato viene servito caldo.

Riprendiamo il viaggio, malgrado la strada scorrevole la velocità non è eccessiva anche a causa di mandrie di bovini o ovini che attraversando improvvisamente la carrozzabile costringono l’autista a brusche ed improvvise frenate.

Si procede fra campi coltivati, poi un lungo tratto di deserto rosso, ricompaiono i campi, gli alberi, s’intravedono i tralicci dell’energia elettrica, la capitale si sta sempre più avvicinando.

Dopo 340 chilometri percorsi in 5 ore di viaggio giungiamo a Tashkent (LP 186), la capitale dell’Uzbekistan. Nella città come visto all’inizio di questo tour i modernissimi palazzi accentuano il contrasto con le fatiscenti costruzioni sovietiche, che alla luce del sole, appare molto più forte di quanto intravisto qualche giorno fa. Enormi viali attraversano la città e rendono scorrevole il traffico. Vediamo il nuovo sfarzoso palazzo del parlamento, quello del senato che è in costruzione, il conservatorio, il palazzo della fratellanza preceduto da un’enorme piazza con al centro la classica, statua (in stile prettamente sovietico) di bronzo su piedestallo di marmo rosso, transitiamo dal parco dei ricordi (contenente una lapide con tutti i caduti della seconda guerra mondiale).

Raggiungiamo l’hotel Le Meridian dove, appena giunti dall’Italia abbiamo pernottato la prima notte. La piazza antistante all’hotel, col sole appare ampia, di fronte all’albergo il teatro.

Prendiamo le camere, recuperiamo e bagagli ed accendiamo la TV per avere notizie dall’Italia, vediamo l’inizio della prima cerimonia domenicale di Papa Benedetto XVI. Pochi minuti e scendiamo per il pranzo. Ci trasferiamo all’hotel Uzbekistan, un cinque stelle locale (in Italia ne avrebbe forse tre). Saliamo al 17° piano e pranziamo al ristorante. Verdure, zuppa, carne.

Dalla terrazza la visione è ad ampio raggio, piante, costruzioni sovietiche e moderne. In lontananza le abitazioni scompaiono e lasciano posto al deserto rosso coltivato. Il coronamento delle montagne innevate chiude l’incantevole visione. L’occhio si destreggia per veder dei particolari ma si perde nella vastità di questo immenso territorio perennemente soleggiato e battuto dal vento del nord.

Tashkent significa “città di pietra” parte degli gli edifici sono costruiti utilizzando pietra e marmo. Questo per la vicinanza delle montagne, dove sono presenti le cave. La città fu distrutta da Gengis Khan e rinacque con Tamerlano.

Terminato il pranzo abbandoniamo il ristorante ed iniziamo, il tour della città, noto le tradizionali abitazioni uzbeke, sempre realizzate in mattoni d’argilla e paglia, sono caratterizzate da alti, imponenti e continui muri che ne delimitano la cinta, l’entrata avviene da un portone centrale, che molte volte corrisponde al passo carraio, in altre volte vi è una porta pedonale. L’accesso principale immette in un cortile interno dove, gli edifici hanno una serie di finestre che danno solo verso l’interno del cortile. Ogni abitazione ha un proprio giardino, in parte coltivato a fiori, in parte coltivato ad ortaggi. Vi sono sempre piante che con la loro ombra riparano dalla calura del sole. Il portico ligneo è un’altra caratteristica, sotto al portico, enormi divani servono per bere il caffè, per mangiare e per trascorrere il tempo in compagnia di conoscenti.

Dopo il terremoto del 1948 non è rimasto molto da vedere, le prime scosse sismiche hanno spaventato la popolazione la quale ha avuto modo di rifugiarsi all’esterno delle abitazioni. Successive ed interminabili scosse hanno letteralmente raso al suolo la città lasciando solo una piccola parte semidistrutta; è la parte oggi visitabile come “città vecchia”. Lasciata una strada principale, girando a sinistra, entriamo nelle strette vie della vecchia città, ma subito ritroviamo un’altro ampio viale, la parte rimasta è veramente poca. Il pullman si ferma, noi scendiamo e nell’arco di poche centinaia di metri si ha tutto da visitare.

Cominciamo la visita con il Mausoleo di Kaffol Shosbiy, del XVI sec. Dedicato ad un santo locale. Il mausoleo viene chiamato “Colomba bianca, pace per la città” secondo la tradizione russa e, secondo la tradizione uzbeka, viene chiamato “Fabbro che fa i lucchetti di Tashkent”, il santo riverito era un fabbro ed uno studioso della religione islamica, verso la fine della sua vita divenne un insegnante. L’edificio è stato ristrutturato dopo l’indipendenza, all’interno la tomba del santo, dei figli e di altre persone. Attualmente è un luogo di pellegrinaggio di tutto il centro Asia. Proseguiamo il giro, attraversando al strada ed arriviamo alla Madrasa di Barak Khan (LP 192), del XVI sec., dedicata ad uno studioso della religione islamica. L’edificio è ad un piano solo, completamente rifatto e restaurato, anch’esso dopo l’indipendenza. Attualmente è la sede degli uffici dell’amministrazione islamica uzbeka, prima degli attentati del 1996 era la sede dei responsabili religiosi islamici dell’intera Asia centrale. Accediamo all’interno, ma della Madrasa è visitabile solo il cortile.

Attraversiamo la strada ed entriamo nel cortile della Moschea di Telyshayakh (LP 192), la Moschea estiva è una struttura costruita con dei pali di legno e copertura in lamiera di ferro ondulata. La Moschea precedente era stata demolita per la ricostruzione, ma la mancanza di fondi ha fermato i lavori. Come usanza locale anche qui chiedono dei soldi per fotografare, ma sinceramente fotografare la paletteria di cantiere proprio non m’interessa.

All’interno del cortile della Moschea vi è la biblioteca dei libri coranici, lo scopo è universitario. Gli studenti dell’islam vengono qui per documentarsi e leggere i Corani più antichi esistenti nella regione. Di varie forme, alcuni di raffinata fattura, altri minati, molti manoscritti, solo le copie più recenti sono stampate. La raccolta parte da libri del 1257 fino ai giorni nostri, particolarmente bello è un Corano minato del 1430. In una sala, dentro una teca umidificata e gelosamente custodito vi è un libro fatto con pagine in pelle di gazzella, rilegato in oro e dal peso di oltre 300 chilogrammi: è il corano di Bukhara, che era collocato sull’enorme leggio posto nella Moschea di Bibi-Khanym a Samarcanda, sul quale fu ucciso Osman, il genero di Maometto.

Lasciamo la Moschea, proseguiamo il tour ed arrivati ai piedi di una collina, la risaliamo per visitare la Madrasa Kokaldesc, del XVI sec., anch’essa ricostruita dopo l’indipendenza, oggi è una scuola professionale. Accediamo all’interno del cortile e con sorpresa troviamo un ambiente fresco frutto della particolare disposizione dei mattoni che permettono una ventilazione costante in modo da evitare l’eccessiva calura. Nelle adiacenze vi è un antico bagno turco ancora in funzione.

Gli edifici storici della città sono veramente caratterizzati dall’uso del marmo e della pietra. Quest’uso si nota per i gradini e per i rivestimenti delle Moschee e delle Madrase. E’ per la priva volta che vedo come il marmo e la pietra sostituiscono i mattoni che hanno sempre caratterizzato gli edifici finora visti.

Dirigendoci verso l’albergo sostiamo nella Piazza della fratellanza (dove eravamo transitati alla mattina), la piazza è veramente immensa come i viali che fanno da crocevia.

Rientriamo il hotel ed il gruppo si divide, gran parte va a veder uno spettacolo di balletto moderno nel teatro posto frontale all’albergo, io preferisco rientrare e proseguire il diario di viaggio, rileggendo e sistemando gli appunti di questo intenso tour. Mi soffermo qualche minuto a parlare con Nurik ed emerge che ha una gran voglia di lasciare il paese, gli domando come mai ha deciso di studiare l’italiano, la risposta è semplice “dovevo trovare una via per abbandonare questo paese”. Il tono della voce, lo sguardo e le labbra esprimono una gran voglia di cambiamenti e la ricerca di una, anche piccola, ma reale possibilità di lasciare questa zona in pieno rinascimento politico e sociale.

Cena al ristorante dell’albergo e dopo cena Nurik consegna a tutti i partecipanti un attestato “di gran carovaniere” un simpatico pensiero che resterà a ricordo di questo giro. Salutiamo Nurick che l’indomani mattina deve riattraversare l’Uzbekistan per seguire un altro gruppo di 72 italiani. Si va a nanna presto.

25 aprile La sveglia suona inesorabilmente alle 2,15, colazione e partenza per l’aeroporto. L’imbarco dei bagagli avviene con qualche problema per la fiscalità ed i modi “poco diplomatici” di un addetto al check-in. Alla dogana si procede abbastanza velocemente anche se i controlli sono molto rigidi. Appena il metal detector suona, le valige vengono inesorabilmente aperte. L’imbarco è all’uscita B2, la sala d’attesa è condivisa con l’uscita B1, dove sono presenti persone, serie, composte, guardo la destinazione del volo all’uscita B1, partenza ore 4,45, meta Londra. Arriviamo noi e la sala improvvisamente si anima di chiacchiere, di risate, in mezzo a tanti sorrisi e persone serene sono contento d’essere italiano.

La nostra partenza è prevista per le 5,40, nella pista sono presenti vari aerei con le luci accese, tentiamo d’indovinare con quale aeromobile rientreremo in Italia. Poco dopo le 5 inizia l’imbarco, comunicato a viva voce da un addetto che transitava per la sala d’attesa B1-B2. L’Asia non finisce di sorprendere neppure in quest’occasione.

Prendiamo posto sull’aereo, un A-310 e, puntuali alle 5,40 decolliamo quando il sole comincia ad illuminare Tashkent. Una virata e la città velocemente sparisce alla vista lasciando posto agli sterminati campi di cotone e più in lontananza alle montagne. Poco dopo il deserto fa la sua comparsa, il volo per Roma dura sei ore, si continua a sorvolare il deserto che sembra senza fine. Ad un tratto si vede un fiume, lo seguo con lo sguardo ed improvvisamente, proprio sotto di noi, il fiume sparisce, come assorbito dal deserto, è l’Amu-Darya il fiume che scomparendo nel deserto affluisce in un sistema carsico sotterraneo per poi riaffiorare a chilometri di distanza. Il volo prosegue verso la Turchia, vi sono nuvole basse che fanno emergere le cime di montagne innevate. Poco dopo, dirigendosi verso l’Europa, un mare di nuvole ci accoglie togliendo ogni visuale, si balla leggermente ma il volo prosegue tranquillo. A bordo dell’aereo la gente comincia a svegliarsi, l’atmosfera si ravviva un pò, qualcuno parla, altri leggono, altri guardano la TV od ascoltano musica. Dal finestrino la vista spazia su un mare bianco simile a latte, sotto le nuvole, sopra l’azzurro, il taglio è netto, lineare, non vi sono riferimenti, sembra d’essere immobile, senza sapere precisamente dove si è, all’improvviso l’aereo taglia le prime nuvole, sembra di viaggiare in un sandwich, bianco/azzurro sopra, bianco/grigio sotto. Il candido biancore sottostante si è trasformato in uno strato che sembra a tratti panna montata, a tratti schiumoso e grigiastro.

Ci abbassiamo e le nuvole aumentano, il grigiore ha sostituito il bianco, ogni tanto qualche sparsa, sperduta nuvoletta bianca. L’aereo traballa, oltrepassiamo le nuvole e vediamo il suolo italiano di Roma. Atterriamo, riprendiamo i bagagli, facciamo il check-in per Linate, spediti i bagagli per l’imbarco ci ritroviamo tutti di fronte ad un ottimo caffè (sicuramente la bevanda che più di tutte ne abbiamo sentito la mancanza). Al bar e nei locali dell’aeroporto la scelta è vasta, caffè, cappuccino, brioches, per i più giovani; patatine e piadine. L’Italia ci da il bentornato con i suoi sapori.

L’aeroporto di Roma da subito un’impressione diversa da quelli visti nei gironi precedenti, le auto con la segnaletica aeroportuale, la segnaletica sulla pista, i giubbetti ad alta visibilità degli addetti …

Ripartiamo per Milano, il volo è tranquillo, atterriamo, recuperiamo i bagnagli e col pullman si rientra a Rovello, il tour è alla fine, pochi chilometri e siamo a casa. Dal finestrino guardo i campi, sono verdi, ha da poco terminato di piovere, il verde smeraldo mi rimanda la memoria ai campi di riso visti. Qui le distanze non sono infinite, file di alberi delimitano campi, terreni. I boschi sono rari e semi abbandonati. Le insegne luminose costeggiano le strade, automezzi moderni transitano su strade piene di traffico.

Si è proprio rientrati in Italia, fa fresco, a casa accendo il camino, accendo il pc e scarico le foto fatte durante questi giorni, comincio a sistemarle, poi le catalogherò finché ho ancora i ricordi freschi dei luoghi visitati, successivamente, utilizzando il prezioso ed insostituibile Moleskine trascriverò gli appunti, integrandoli con ricerche storiche e creando il mio “diario di viaggio” … Mentre lo sto scrivendo, da Tashkent arrivano notizie di una rivolta civile sfociata in una strage con centinaia di morti, è il 14 maggio quando i mezzi d’informazione ne danno la notizia. Nei servizi televisivi riconosco dei posti, un’immagine mi colpisce particolarmente; gli scontri avvenuti all’aeroporto. Pochi giorni prima ero li divertito a prendere appunti… Ora combattono e s’ammazzano. Pur dispiaciuto per quanto succede, non mi soffermo molto sugli scontri e sulle loro motivazioni (bisognerebbe esser uno storico per capirne la vera origine delle ragioni, ma questo è opera postuma), posso solo dire; ben uscito vivo dal rinascimento asiatico!!!!!! Il pensiero si sofferma al diario ed al prossimo viaggio da fare: altre popolazioni, altre culture, altri luoghi aspettano d’essere visti e raccontati …



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