La nostra West Coast – Lei
Indice dei contenuti
Siamo già pronti per la prossima meta, ma prima di andarci vogliamo raccontarvi quella vissuta così intensamente e ripercorrere ogni tappa.
COME E’ NATA L’IDEA DEL VIAGGIO?
Tutto è partito durante le vacanze di Natale, quando abbiamo iniziato a girovagare per le agenzie di viaggio in cerca di cataloghi utili per copiare gli itinerari. Volevamo un viaggio all’avventura ma non sapevamo con esattezza quali fossero le singole tappe da vedere. Grand Canyon? San Francisco? E poi? Abbiamo iniziato a spulciare i cataloghi e, facendo due conti, ci siamo accorti che il viaggio sforava il nostro budget ideale (al di sotto del 3000 euro per ciascuno). Ci siamo quindi affidati al web. Scheletro del viaggio era il tour proposto in uno dei viaggi “da brochure”. Tutto il resto era nelle nostre teste e nella nostra voglia di leggere i diari di viaggio per avere idee.
ITINERARIO
Tappa / Data / Partenza / Arrivo / km / tempo / Plan
1/ Giovedì 8 settembre 2011 /VCE San Francisco /0 / 0:00:00 / Volo aereo
2 Venerdì 9 settembre 2011 San Francisco San Francisco 0 0:00:00 Visita città
3 Sabato 10 settembre 2011 San Francisco San Francisco 0 0:00:00 Visita città
4 Domenica 11 settembre 2011 San Francisco Yosemite Park 422 6:08:00
8.00 noleggio. 9.00 Golden Bridge. 9.30 Lombasrd street. 15.00 visita zona sequoia. 19.00 sistemazione in campeggio. 20.00 cena
5 Lunedì 12 settembre 2011 Yosemite Park Lone Pine 485 7:36:00
8.30 partenza. 9.00 camminata Vernal Falls. 13.00 Glacier Point 15.30. Tioga Pass 17.00 Città fantasma e visita 16.00. Ripartenza 21.30 e arrivo a Lone Pine
6 Martedì 13 settembre 2011 Lone Pine Las Vegas 465 6:44:00
7.00 sveglia. 8.00 partenza. 9.30 Furnace Creek. 10.30 Badwater + Artist Drive 11.30 Dantes View. 15.00 Las Vegas riposo e relax in albergo. 21.00 cena e giro per Las Vegas
7 Mercoledì 14 settembre 2011 Las Vegas Bryce 389 4:31:00
Mattinata relax 13.00. Partenza 17.00 arrivo allo Zion Park 20.00 arrivo all’albergo
8 Giovedì 15 settembre 2011 Bryce Page 346 5:44:00
7.00 sveglia. 8.00 arrivo nel parco e visita. 14.00 ripartenza per Page. 16.00 arrivo a Coral Pink Sand. 17.00 Ripartenza per Page. 19.00 arrivo a Page
9 Venerdì 16 settembre 2011 Page Mexican Hat 263 3:22:00
10.00 Partenza per Antelope. 11.30 Visita Antelope. 14.00 visita Diga e Horseshoe. 15.00 Partenza per Monument Valley. 17.30 Tramonto Monumenta Valley. 19.00 Arrivo in Albergo
10 Sabato 17 settembre 2011 Messican Hat Grand Canyon 336 4:19:00
8.00 sveglia. 9.00 visita con i Navajo (cavallo). 15.00 direzione Grand Canyon (visita south rim). 18.00 tramonto
11 Domenica 18 settembre 2011 Grand Canyon Needles 404 5:21:00
8.00 sveglia. 10.00 Visita a Grand Canyon con Bus Navetta. 14.00 giro in elicottero. 16.00 Verso Williams e Route 66
12 Lunedì 19 settembre 2011 Needles Venice Beach 449 4:48:00
8.00 Partenza 14.00 Arrivo a Santa Monica
13 Martedì 20 settembre 2011 Venice Beach Venice Beach 109 2:13:00
Giornata al mare. Hollywood Highway 1 Venice Beach/Malibu
14 Mercoledì 21 settembre 2011 Venice Beach Los Angeles 81 1:11:00
Universal Studios
15 Giovedì 22 settembre 2011 Los Angeles LAX 14 0:20:00 Volo aereo
16 Venerdì 23 settembre 2011 – VCE 0 0 Volo aereo
ORGANIZZAZIONE
· Prenotazione del viaggio: febbraio 2011
· Prenotazione alberghi: luglio-agosto 2011
· Prenotazione auto: pochi giorni prima di partire
CONSIGLI
1. Non andate nelle agenzie di viaggio per organizzare il tour: è molto più bello costruirselo con le proprie mani. Google Maps e booking.com sono siti ad hoc più che sufficienti.
PS: non dimenticate i diari: sono venuti in viaggio con noi ed erano sempre utili per una consultazione rapida.
2. Prenotate tutti i motel e gli alberghi da casa. Sarebbe stata una grande perdita di tempo e di energie mettersi a cercare un letto a tarda sera, dopo aver percorso centinaia di miglia e aver vissuto troppe emozioni. Dopotutto, in caso di improvvisi cambi di programma, si può sempre cancellare la prenotazione fino ad un giorno prima.
3. Noi abbiamo viaggiato con la Us Airways, compagnia essenziale che fa il suo uso, ma nulla di più. Vale la pena prenotare molto prima e fare qualche scalo in più (magari al ritorno, all’andata sarebbe stato snervante). Prenotando prima i costi precipitano. Noi abbiamo pagato solo 800 € fra volo e assicurazione sanitaria.
4. Vi consigliamo la compagnia Hertz per il noleggio dell’auto (ottimo il Dodge Journey – la nostra Fiat Freemont)
5. Nel Sito Nps.gov ci sono le mappe di tutti i parchi. Stampatele: ve le danno ugualmente all’ingresso dei parchi ma la mattina prima di partire è bene pianificare le mete e sapere come muoversi
CON IL SENNO DI POI
1. Non fate la patente internazionale: è consigliata, ma non obbligatoria. Noi non abbiamo mai incontrato una pattuglia. Per quanto riguarda l’assicurazione auto, la Ldw comprende tutto. Inoltre non esiste un costo aggiuntivo per il secondo guidatore: è sufficiente che il primo guidatore faccia una “delibera” sul posto di noleggio nella quale autorizza un altro a guidare.
2. Avevamo sottovalutato il freddo in aereo: portatevi una coperta in pail per riposare e vestitevi bene. Non dimenticate inoltre cuscino e mascherina per ripararvi gli occhi dalla luce
3. Per quello che riguarda i documenti: ricordatevi di completare l’Esta prima di partire.
COSA LEGGERETE IN QUESTO DIARIO
Durante il viaggio abbiamo scritto entrambi il nostro diario personale. Ogni luogo è stato condiviso, ma anche vissuto in modo unico e diverso. Abbiamo deciso di mettere nel web entrambi i diari, per non far torto a nessuna sensazione e per non rovinare ciascun ricordo. I consigli per il viaggio posti in calce a ciascuna tappa sono gli stessi in entrambi i diari.
LA NOSTRA WEST COAST – DIARIO DI MARTINA
9-10 settembre 2011 SAN FRANCISCO
Non c’è niente da fare, ogni volta che ripenso a San Francisco mi risuona nella mente il motivetto della canzone di Otis Redding in “Sittin’ on a dock of a bay”: “I walked my home in Georgia/heading for the Frisco Bay/ cause I have nothing to live for/and looks like nothing is gonna come in my way” . Che emozione indescrivibile camminare lungo le vie di questa città di mare, che tutto ha tranne le caratteristiche di una metropoli. La prima impressione è stata la stessa di sempre: un senso di paura, una sorta di “horror vacui” primordiale che è in agguato all’inizio di ogni una nuova avventura, fisica o di vita.
Ci siamo svegliati alle 7 di mattina, con l’aria intrisa di umidità e una fastidiosa nebbia che avvolgeva tutto, attutendo i colori del sole ma non i suoni della città, che non ha mai smesso di dormire. Colazione super al ristorantino di fronte a casa nostra: croissant con burro e marmellata per me, omelette con patate (con la buccia!) per Massi e per il suo stomaco rivestito di moquette, capace di digerire anche le scorze delle verdure (questa volta per davvero!). Subito dopo, l’esplorazione. Cavoli, siamo proprio in America! Tutti i dettagli ci fanno capire che camminiamo sul suolo del Nuovo Mondo, dal vapore che fuoriesce dai tombini all’odore acre dell’asfalto, miscelato a quello dei pop-corn caramellati che qualche venditore ambulante si accinge a friggere nel bel mezzo della piazza. Chinatown, la Downtown: quanti colori, quante facce! E poi il fiore all’occhiello, quello che sopra ogni cosa mi ha affascinato: il Pier 39 e il Fisherman’s Worf, quella miriade di negozi e di colori in stile Gardaland attraverso i quali ci siamo avventurati saltellando da una parte all’altra. Un fiume di persone e di bancarelle di ogni genere, negozi specializzati nella vendita di soli portachiavi e magneti!
La nostra passeggiata è proseguita con la visita al sottomarino Pampanito: incredibile la claustrofobia di quegli spazi così angusti, pazzesco immaginare una cinquantina di uomini intrappolati fra quegli spessi strati di lamiera, orgogliosi di dormire sopra ai missili (letteralmente!) per servire la Patria, concetto qui molto sentito e che traspare ovunque. Siamo alla vigilia dell’11 settembre, e le bandiere a stelle e a strisce sono a mezz’asta.
Nel bilancio finale, la sorpresa più grande di San Francisco è stata senz’altro una sola, tanto bella quanto inaspettata: la Porziuncola di Assisi, in carne ed ossa. Continua per noi il viaggio sulle orme di San Francesco d’Assisi. Ed è così che siamo finiti a parlare con la vice sindaco di questa metropoli, un donnone italo-americano con i capelli rossi che un giorno ha deciso di costruire una copia della Porziuncola negli Stati Uniti, per poi renderla primo luogo Santo in America. Quanto eclettismo negli States, quanta apertura mentale e culturale!
Il nostro secondo giorno comincia alle porte del Golden Gate Park, in particolare là dove inizia quella serie infinita di case vittoriane che, per forma e per colore, ricordano la Burano veneziana e Amsterdam, la Venezia del nord. Il Golden Gate Park si è aperto innanzi a noi in tutta la sua grandezza: abbiamo camminato per chilometri fra viottoli e sottoboschi, attraversando l’eccentrico giardino botanico con le sue piante carnivore e le sue orchidee esotiche, per poi approdare allo straordinario Museo della Scienza interamente progettato da Renzo Piano. Un capolavoro di genialità. Incredibile lo spettacolo dedicato al Big Bang all’interno della cupola roteante, che ci dava l’impressione di essere in una sorta di cestello della lavatrice e di muoverci con il soffitto in direzioni diverse. Incredibile, incredibile, incredibile. La cosa più esilarante però è stata ancora una volta la più inaspettata: l’horseshoe pitching! Avevamo solo chiesto un’indicazione stradale ad un signore sulla sessantina che stava trafficando con il bagagliaio della sua macchina. Come ho fatto a trovarmi con un ferro di cavallo in mano in posa da lancio? Ecco l’America, ecco cosa sono gli americani! “Wow! One point! Look guys, she’s italian and she’s never played horseshoe pitching!”. Un altro po’ e mi tenevano lì a giocare tutto il pomeriggio! Una sensazione unica, un misto di accoglienza e di calore che non avevo mai provato all’estero. Questo si che è un ricordo da top ten!
E, infine, meravigliosa creatura: l’oceano Pacifico, infuriato come il vento che flagellava i nostri visi stanchi. Una spiaggia surreale, degna cornice di un quadro di Turner. Sabbia, onde, mulini a vento, gabbiani: breathtaking.
CONSIGLI:
1. San Francisco è una città fredda e umida. Obbligatori felpa, giubbotto, sciarpa, berretto e, perché no, anche i guanti (noi li abbiamo rimpianti).
2. Noleggiate la macchina il giorno della partenza da San Francisco: prima non serve a nulla, la città va scoperta e vissuta a piedi
DA NON PERDERE
1. il Museo della Scienza con il suo Planetario (eccellente lo spettacolo Life), i suoi giardini, i suoi animali
2. il Pier 39 con i suoi negozi (non perdetevi il museo dei videogiochi e il sottomarino Pampanito)
3. uno sguardo sull’oceano in questa parte di mare infuriato (tutt’altro che Pacifico!!)
CON IL SENNO DI POI
Nulla da dire sul programma, non cambieremmo niente
11-12 settembre 2011 – SEQUOIA PARK- YOSEMITE PARK
Scrivo seduta all’interno della nostra “tent cabin”, piccola abitazione sorella di altre decine di casette bianche nel cuore del Curry Village. La tenda è stranamente bella, con ben quattro letti al suo interno e una stufa che spara fuori ondate di calore improvvise, a dispetto del freddo che infuria all’esterno (attualmente la colonnina del termometro segna 10°C).
Ripenso ad oggi, a quanto intensa è stata una giornata che all’inizio avevamo giudicato innocua. Stamattina abbiamo noleggiato la macchina: con nostra sorpresa ci hanno dato le chiavi di un Dodge, un gigantesco fuoristrada che noi abbiamo ribattezzato “camper”, dal momento che da oggi è diventata la nostra vera casa. Con lui divideremo chilometri, fatica, risate, emozioni. E’ il nostro primo, vero compagno di viaggio. Con Massi alla guida ci siamo arrampicati sulle irte strade di San Francisco e abbiamo raggiunto il Golden Gate, questo fantasma rosso che oggi si è fatto ammirare senza timidezza, a differenza degli altri giorni in cui ne scorgevamo appena il profilo. Imponente, svettante, ventoso. Basta aggettivi, l’emozione non ha voce. Foto di rito nel view point e poi via! A bordo della nostra macchinona abbiamo iniziato il cammino verso la prima meta: le sequoie. Canzoni come “Hotel Califormia” e “Californication” hanno accompagnato il nostro viaggio attraverso orizzonti completamente diversi: dalla ventosa San Francisco, abbandonata con la nostalgia nel cuore, al paesaggio lunare di Merces, dove i mulini a vento facevano la guardia a mò di sentinelle sul crinale delle colline riarse dal sole, divise a tratti da uno steccato bianco che delimitava un qualche ranch dimenticato dal mondo. E qui il mondo esiste: file e file di cassette della posta, situate ai piedi di strade che si perdono fra i campi, danno spazio all’immaginazione e fanno sorgere una domanda: come si fa ad abitare questi posti? Il paesaggio poi si è fatto più verde, fino a culminare nel famoso color terra di Siena bruciata che dipinge i tronchi delle sequoie. Meravigliosa la sensazione di “schiaffo” provata dopo l’ultima curva, l’ultima di una serie infinita fatta sovrappensiero, seguendo la riga attorcigliata della cartina. Ancora più bella l’emozione riflessa dal viso di Massi, che come un bimbo agguantava la macchinetta fotografica per immortalare quel gigante verde, troppo grande per stare all’interno di un obiettivo. Mi tornano alla mente le parole di una ragazza che prima di noi aveva visitato il parco: quando Giulio Cesare conquistava Roma, le sequoie erano lì, quando Cristoforo Colombo scopriva le Americhe, loro erano lì. Non ci sono parole per descrivere queste meraviglie della natura.
Ed ora siamo qui, in questo camping: fuori piove, e il rumore delle gocce sulla superficie della tenda mi fa stare con le orecchie spianate, nel timore che arrivi un orsetto affamato. Oggi, fra le sequoie, siamo inciampati in un gruppo di cervi: ci hanno visto, ci hanno osservato, non si sono mossi di un centimetro mentre noi gli passavamo accanto con il cuore in gola per l’emozione. Speriamo che con la pioggia gli orsi se ne stiano al caldo nella tana
***
Il Yosemite Park è riuscito a stupirmi di nuovo: la cascata che con fatica abbiamo ammirato così da vicino, tanto da riuscire a sfiorarla con le dita, è stata davvero un qualcosa di unico. Siamo partiti con la convinzione di passeggiare su un sentiero facile: l’imprevisto è stato la cascata stessa, che è comparsa piccola come un puntino sulla sinistra. “Andiamo avanti?” – “Beh, almeno arriviamo ai piedi della cascata!”
Ed eccoci lì, con lo sguardo all’insù, a guardare questa montagna d’acqua che si getta dalla rupe in una vera voragine. Guardiamo in alto e intravediamo le sagome piccine di qualcuno che si è avventurato fino in cima alla montagna, lì, sul bordo di quella cascata di cui riuscivamo solo a palpare il vapore. Massi è lì, con un piede sul gradino di roccia, il primo di una serie infinita che si arrampica e si perde verso l’alto. Il suo sguardo è una tacita supplica. La mia risposta è affermativa: sono stanca, le gambe già mi tremano, figuriamoci come saranno conciate quando saremo in alto e solo a metà del nostro cammino, che poi proseguirà con la discesa altrettanto lunga e impervia. Ma sono emozionata. Fatichiamo, sudiamo, ci fermiamo spesso per prendere fiato, lasciamo altri indietro, altri ci superano. E’ il nostro rifugio, dobbiamo farcela. Uno scoiattolo panciuto ci precede di qualche gradino e poi, come un pazzo circense, si getta da una pietra all’altra camminando nel vuoto. Saltelliamo su alcune rocce bianche e lisce: attorno a noi il rombo assordante della cascata che si getta dall’alto in quello che adesso sembra un vero baratro. Due arcobaleni, gli scoiattoli che ci corrono fra le gambe: si può desiderare di più? Quanto bella è la Natura? Ancora una volta mi accorgo di come questa terra sia fatta di contrasti: prima della cascata domina una quiete quasi surreale, un ruscello mesto e un piccolo lago precedono un salto di almeno cento metri. Incredibile. Scendiamo di buon passo cercando di cimentare nella mente le immagini della giornata di oggi
Nel primo pomeriggio siamo scesi dal Camp Curry alla volta del Glacier Point. Mi sentivo stanca e i tornanti iniziavano a darmi la nausea. Ancora una volta salire fino in cima è stato incredibile. Un quarto del parco era ai nostri piedi, con le sue rocce immense e dalle forme più svariate e un tappeto di verde sparso ovunque. Quanti alberi svettanti, e quanto possenti! Non si sono arresi a crescere nemmeno a 3000 m di altitudine, affondando le radici perfino nella pietra! Cominciano a sfrecciarci attorno dei paesaggi diversissimi, dal bosco verde a quello marrone a quello riarso dalle fiamme di un incendio, pietre dal colore lunare e di nuovo marroni e nere. Sembra di essere in un posto fuori dal mondo. Il resto del cammino in macchina mi ha fatto sentire una sorta di “easy rider”: abbiamo tagliato paesi disposti “in fila” lungo la strada: qualche motel, un gift shop, due bar per la colazione, e il paese finiva. Nulla è cambiato dai tempi dell’Ottocento, e la città fantasma che abbiamo visitato ne è la prova vivente. Surreale il camminare in mezzo ai resti di un paese costruito con legno scuro, letteralmente “buttato” in mezzo al nulla più totale. Intorno a noi solo vento, freddo e desolazione. I resti di una scuola, un paio di carri agricoli ancora in buono stato, un saloon ai piedi di un albergo diroccato. Dov’è la Signora del West? Ancora una volta un senso di follia mi travolge, e mi sembra di toccare il cielo con un dito.
CONSIGLI
1. Fate il pass dei parchi subito: costa 80 $ e vi consente di entrare in tutti i parchi nazionali (sono esclusi solo la Monument Valley e l’Antelope Canyon, in quanto riserve Navajo)
2. Dormite in tenda all’interno del Curry Village: non è un campeggio europeo! Negli spazi comuni la gente si ritrova intorno al fuoco e si crea un’atmosfera unica. Inoltre si dorme in una vallata splendida: in tenda, immersi nel bosco a 2000 m di altezza. Il fast food messicano all’interno è eccezionale: si mangia un sacco a prezzo stracciato.
DA NON PERDERE
1. Le Sequoia: sono uno spettacolo che noi europei non possiamo nemmeno immaginare. Non prendete il bus navetta all’interno del parco: si ferma poco e non vi fa vivere per niente il parco
2. Le Vernall falls: vale proprio la pena la passeggiata fino alla cima della cascata
3. Il Glacier point: panorama stupendo
4. Il Tioga Pass: paesaggi di montagna mai visti nelle nostre Alpi (non è vero che il Yosemite Park assomiglia alle nostre Alpi, è tutto un altro mondo!)
CON IL SENNO DI POI
A noi è sembrato perfetto
13-14 settembre 2011 – DEATH VALLEY NATIONAL PARK – LAS VEGAS
Sveglia: ore 6. Trauma. Massi non riesce a dormire e si sveglia ad ore improbabili, il ticchettio delle sue dita sui tasti del pc mentre scrive operosamente il suo diario di viaggio mi sveglia ogni giorno. Ci siamo messi in viaggio con stati d’animo diversi: Massi ha raggiunto l’apice ieri, al Yosemite, io sono piena di attese. Aspettavo questa parte del viaggio con trepidazione, l’idea di attraversare un deserto vero mi affascinava da sempre. Anche questa volta il deserto mi ha sorpreso: pensavo stupidamente alle dune sahariane, senza tener conto della diversità della zona e della latitudine. E invece ecco che sfrecciamo su una della autostrade americane che si vedono in Beep-Beep, quelle con la linea gialla in centro che si perde in un punto di fuga infinitamente lontano. Intorno a noi file e file di “campi“ secchi e giallissimi, pieni di cespugli di natura morta, riarsa dal sole. Mi sovviene la poesia di D’Annunzio, “la pioggia nel pineto”, nella quale descrive le tamerici come “salmastre ed arse”, i pini come “scagliosi ed irti”: il paesaggio è caldo, e la temperatura sale mammano che ci si addentra nella sua profondità. Sconvolgente l’organizzazione perfetta degli americani, la cura maniacale delle oasi di ristoro. La prima traccia di deserto vero è stata a Stovepipe Wells, laddove ci sono le dune di sabbia vere, davanti alle quali ci siamo fatti immortalare. E’ stato il solo pezzo di deserto corrispondente del tutto alla mia immaginazione. Da lì in poi il paesaggio si è fatto lunare, sempre più roccioso, sempre più bianco.
Badwater: uno dei luoghi che non dimenticherò mai in vita. Ancora una volta abbiamo incontrato un americano simpaticissimo che ci ha spiegato come il mare di sale sopra al quale stavamo camminando altro non fosse che il resto di un oceano evaporato. Le montagne intorno a noi parlano di mare: le rocce sono levigate, i segni delle onde si scorgono sulla superficie delle pietre su cui si snodano sinuose curve concentriche. Un cartello piantato sulla parete della montagna davanti a noi indica il “sea level”, e noi siamo sotto. Di fatto stiamo camminando sul fondo del mare. Sono al settimo cielo. Ripartiamo in macchina, proiettati verso lo Zabrinskie Point, laddove la mia memoria ricordava che fosse stato girato il film “Guerre Stellari” (da verificare, io ne sono ancora convinta). Ritroviamo lì lo stesso americano di prima, che sta facendo da guida a dei fotoreporter francesi: veniamo immortalati in un paesaggio lunare, le rocce cambiano colore nell’arco di qualche metro, da bianchissime a nerissime. Questa è davvero la terra dei contrasti. Massi ed io malediciamo la nostra noncuranza nello studio della geologia al liceo: quanto vorremmo sapere di cosa sono fatte tutte queste rocce, come si sono formate, quanti secoli hanno! La nostra corsa prosegue verso la Artist’s Drive. Il nome non mi ha esaltata particolarmente, la mia vista era già appagata da tutto e non desideravo altro. E invece ecco comparire dal nulla questa sorta di tavolozza dei colori, sottoforma di rocce coloratissime. Dal verde, al marrone, al nero, al giallo, al blu del cielo: la tirella dei colori è al completo. Massi è esaltatissimo, adesso può guidare su una strada delle più divertenti, un sali e scendi continuo con dei dossi altissimi (favolosi): mi immagino quanto figo sarebbe prenderli in velocità, facendo volare la macchina come nei film. Approdiamo per ultimo alla Dante’s View, la visione dall’alto di ciò che abbiamo attraversato durante il giorno. Mi ricorda molto il Glacier Point, non per panorama, ma per altezza (siamo quasi a 3000 metri) e come sempre la vista panoramica genera in me un effetto di iniziale stupore, seguito poi da una sorta di appiattimento dei sensi che sembra una specie di “rebound”. Voglio vivere le cose da dentro, toccandole con mano, non solo guardarle dall’alto. La sensazione di panorama è stata nulla in confronto a quella provata prima.
CONSIGLIO
1. Partite presto la mattina. Noi siamo stati fortunati: la temperatura non è mai salita sopra i 35° C. In generale può fare molto molto più caldo.
DA NON PERDERE
1. Badwater
2. Artist’s drive
3. Zabriskie point
4. Dante’s View
5. Le dune di sabbia a Stovepipe Wells
CON IL SENNO DI POI
Sarebbe stato bello dormire all’interno del Parco, ma Stovepipe Wells è troppo distante dallo Yosemite Park, soprattutto se, nel tragitto, si va a visitare anche la città fantasma di Bodie. Per fortuna abbiamo pernottato a Lone Pine, alle porte del deserto. Sarebbe stato un guaio arrivare nel deserto a tarda notte e guidare al suo interno col buio sarebbe stato molto pericoloso.
Mentre “camminavamo nel deserto”. Mi tremano le mani mentre scrivo queste cose, mi fermo.
***
Siamo arrivati a Las Vegas dopo una deviazione di una buona mezzora: le strade sono un vero casino e capirsi è impossibile. Guidavo io: al nostro ingresso in albergo un tale in divisa mi ha letteralmente aperto la portiera della macchina e mi ha chiesto le chiavi per parcheggiarla, poi si è offerto di farci portare su le valige. Come non siamo abituati al lusso La prima cosa che abbiamo pensato è stata: “Oh, dove vai con la nostra macchina e le nostre valige? Facciamo da soli!”. Poi la fatica del viaggio, che questa volta è durato davvero molto, ci ha fatto accettare la proposta. La hall dell’hotel era gigantesca, intorno a noi oro e vetri di murano, all’insegna del lusso. La nostra camera era grande quanto il mio appartamento di Padova e la nostra mecca, la jacuzzi, ci ha visto tuffati immediatamente dentro, ancora prima di disfare i bagagli. Un paio d’ore di riposo e poi via! Ci siamo immersi sulla Strip, la via principale di Las Vegas. Mi aspettavo esagerazione, lusso, perfino perversione, ma non tanta possenza. Il primo albergo, il Venetian, è riuscito a scioccarci. Forse il campanilismo italiano si è fatto sentire e ci siamo ribellati all’idea che il campanile di San Marco, il ponte di Rialto, perfino i canali, fossero stati riprodotti con accuratezza assoluta. Venezia era diventata una mega piscina, e tutt’intorno ristoranti, negozi di lusso, casinò, in un febbrile movimento di persone e soldi che tratteggiava il quadro del vizio umano. Visto un albergo, tutti gli altri erano uguali. Anche qui però sono riuscita ad emozionarmi, e la scintilla è stata lo spettacolo delle fontane del Bellagio. Di nuovo, una traccia di Italia: il “Con te partirò” sulla voce di Bocelli, con le fontane che danzavano a ritmo di musica, ha pizzicato tutte le corde della mia anima. Anche nella Sin City è stato possibile trovare un’emozione pura, ancora più bella perché condivisa. Siamo andati a letto stremati.
Il mattino successivo è stato all’insegna del relax, fondamentale per recuperare appieno le forze. Il massaggio total body nella Spa dell’albergo è stato davvero una coccola meritata. Ci voleva una sosta, se non altro per riprendere il fiato dopo questa lunga galoppata.
Verso le 14 abbiamo lasciato la città del peccato in direzione Bryce Canyon. Toneremo allo stile “motel semplice” che tutto sommato è quello che sento essere più simile a noi. La high society non si addice al nostro modo di vivere e mi mette anche in imbarazzo. Molto meglio la cena della sera, in un localino in stile country ai bordi di una montagna alta quasi 3000m. Niente tovaglia, posate ridotte al minimo, con i manici di legno. Mi ricordavano quelle di mia nonna. Che pace!
Il cammino verso il Bryce doveva essere una lunga tratta noiosa. Ancora una volta: errore! Abbiamo attraversato un altro parco, lo Zion Park, il primo assaggio dei canyon bruciati dal sole. Mi sono sentita piccola, sconvolta dall’imponenza della natura. Rocce dure ma allo stesso friabili al di sopra di noi, in un gioco di linee che ricordavano quello delle onde sulla battigia. Come hanno fatto a formarsi dei mega muffin di roccia? Cosa hanno visto queste montagne? Se solo potessero parlare, raccontarsi… tutta la storia della Terra è scritta sui loro fianchi, erosi dalla potenza del vento, dell’acqua, della neve. Siamo in un museo a cielo aperto. E ancora non siamo entrati nella nostra tappa, il Bryce Canyon. Cosa ci aspetterà domani?
CONSIGLI
1. Partite da uno dei due capi della Strip, ovvero dal Luxor hotel oppure dal Tropicana hotel (ai poli opposti della Strip): così facendo vi gusterete tutti gli hotel, anche se noi vi consigliamo di partire dal lato del Tropicana. Da qui si entra in tutti gli alberghi della nuova Las Vegas, molto più fastosi di quelli a sud.
2. Non è necessario dormire lungo la Strip: noi abbiamo dormito al Trump, unico con la jacuzzi in camera a prezzi ragionevoli e senza il via vai della gente che gioca ai casinò
DA NON PERDERE
1. Lo spettacolo delle fontane al Bellagio
2. L’interno del Venetian Hotel (pazzesco vedere Rialto con le macchine che passano sotto!)
CON IL SENNO DI POI
Siamo usciti dall’albergo alle otto di sera, pensando che la città si animasse di notte. Uscite anche prima, all’interno degli hotel si perde la cognizione del tempo… e non basta mai. Giocate al casinò appena arrivati e non pensate di rimandare a fine serata: avrete macinato chilometri e chilometri e sarete troppo stanchi.
15 settembre 2011 – BRYCE CANYON
Il cielo di stamattina prometteva tutt’altro che bel tempo, ma noi, ugualmente speranzosi, siamo usciti all’esplorazione dal nostro piccolo albergo in quota. Stamattina mi sentivo stanca, il peso dei chilometri macinati tutti i giorni si fa sentire ogni giorno di più. Quando Massi ha proposto una gita nel canyon mi sono sentita spiazzata. Immaginavo di visitarlo in una sorta di tour virtuale in trenino, e invece mi veniva proposta ancora fatica. La mente si è ribellata all’idea, ma il cuore ha ceduto alla curiosità e agli occhi di Massi ai quali non so proprio dire la parola “no”. E ne è valsa la pena. Il Bryce Canyon è un anfiteatro roccioso, con un intrinseca eleganza che lo rende unico. I suoi pinnacoli, quelli che qui chiamano “hoodoos”, tolgono il fiato. Sconvolgente camminare fra le pietre con intorno questi “mostri rossi” che ti osservano minacciosi, quasi chiedendo rispetto. Questo è il frutto di un operoso lavoro iniziato millenni fa dalla nostra Madre Natura. Qui dove siamo stati oggi, una volta c’era l’oceano, poi i fiumi, ora i pinnacoli, gli archi, i ponti. Tutto diviene, tutto si trasforma, panta rei. Massi non fa che indicarmi mille “rupi dei re” diverse, mi fa impazzire. Intorno a noi un insieme di “immensi” che mi ha fatto quasi venire voglia di piangere dalla gioia. Che bello, che bello, che bello! Abbiamo mangiato un hot dog e comprato una felpina (la mia, ovviamente bianca e rosa come il cappello di Las Vegas). Poi siamo partiti alla volta delle rosse dune del Coral Dune Park. Mentre sono al volante penso alla vita di questi paesi, così desolati, che appaiono come sentinelle lungo la strada. Come si fa a vivere qui? L’ho chiesto anche alla signora che ci ha ospitati nel suo motel al Bryce. Lei mi ha risposto che la loro vita ruota intorno ai cavalli, questo è il paese dei ranch, e ogni tanto se ne vedono. Ma non si vedono scuole, locali, nemmeno supermercati. Perché mi chiedo? Siamo in America, eppure mi sembra di essere in un posto fuori dal mondo, dove è la Natura che domina, non l’uomo. E allora mi chiedo: perché un uomo deve stare qui? Mi sembra quasi una profanazione della Bellezza. Mentre penso e ripenso, senza trovare una risposta soddisfacente ai mille interrogativi, ecco che appaiono le dune di sabbia arancione. Follia totale! Questo sì che è un deserto in carne ed ossa, ma cosa ci fa in mezzo alle montagne? Sembra sempre che le cose qui non siano al loro posto, o comunque non è immaginabile che esistano delle meraviglie simili. Non si può andarsene da questo mondo senza averle viste.
Adesso il paesaggio è cambiato ancora: siamo in un’immensa prateria. Addio ai colori arancioni, siamo in mezzo al verde brillante degli alberi e al giallo dell’erba seccata dal sole. Davanti a noi, poco fa, un arcobaleno, fra il cielo azzurro e grigio. Non vedevo arcobaleni da secoli, siamo qui da una settimana e ne ho già contati quattro. Che magia.
CONSIGLI
1. I parchi sono tutti ad alta quota (ben sopra i 2000 metri). Soprattutto durante la notte la temperatura scende (attorno ai 3-5 °C). Vestitevi “a cipolla” per fare le escursioni.
2. Non è necessario prendere il bus navetta: si può accedere con la propria auto a tutti i Vista Point (per chi fa un giro breve, Sunset e Sunrise point sono i migliori: si ammira tutto l’anfiteatro)
DA NON PERDERE
1. La camminata in mezzo agli Hoodos (Navajo Loop Trailer)
2. I Visitor Center di ciascun parco: sono grandi, pieni di informazioni e aiutano a capire meglio il luogo in cui ci si trova. I video sono davvero un valore aggiunto.
CON IL SENNO DI POI
1. Fermatevi una intera giornata allo Zion Canyon. Noi ci siamo passati velocemente al tramonto ma i colori e il paesaggio meritavano davvero una sosta prolungata
2. Cercate di arrivare di sera (verso le ore 19) a Bryce Canyon City. Ci hanno detto che c’è un simpatico rodeo
16 settembre 2011 – ANTELOPE CANYON – MONUMENT VALLEY
Questa volta si inizia a scrivere il diario partendo dalla fine della giornata. Ore 18: la Monument Valley si è spalancata davanti ai nostri occhi dopo decine di minuti di attesa passati a scrutare l’orizzonte, nella speranza di vederla comparire. Dopo tutti i canyon visti in questi giorni, compreso quello di stamattina, osservare l’ennesimo paesaggio rosso fuoco non mi ha particolarmente toccata. Nulla in confronto all’emozione che ho provato davanti alla prima sequoia, o davanti alla prima cascata degna di questo nome che ho visto in vita mia. Il sole scaldava le rocce che si arrossavano sempre più davanti ai nostri occhi: bello, ma non impressionante (almeno all’inizio: alla fine la Monument Valley rimarrà il ricordo migliore di questo viaggio).
Riflettevamo stamattina sul fatto che il nostro viaggio è perfetto. Nessuna perdita di tempo, nessuna falla: è stato costruito davvero ingegnosamente nell’arco dei mesi. Nulla è perfetto, e la vita ancora una volta ce lo insegna. Arriviamo all’albergo dove abbiamo prenotato la camera: è tutto esaurito, così come tutti i motel (tre) intorno a noi. Ecco l’intoppo: la prenotazione risulta essere fatta per il 16 agosto, non per il 16 settembre, perciò oltre ad aver perso 100 euro non abbiamo nemmeno un posto dove dormir! Mi viene male: fuori il tempo si sta facendo brutto, con tuoni e fulmini all’orizzonte che minacciano una tempesta epocale. E noi siamo come Maria e Giuseppe, in cerca di un posto dove dormire e con tutti che ci dicono “Non c’è posto”. Alla fine un misero buco salta fuori: ci dicono che è in fondo alla strada e alla fine ci accompagnano. Senza guida non ci saremmo mai arrivati: siamo finiti in un villaggio navajo, in quelle che io, dalla strada, chiamavo “baraccopoli”. La nostra camera è all’interno di una casetta di legno e lamiera nel mezzo del nulla rosso. In parcheggio ci sono uno scuolabus, due macchine scassate, due cani. Mi vedo sperduta nel mondo, come se nessuno fosse in grado di rintracciarmi (ed è così in effetti). Alla fine decido che va bene lo stesso: ho troppa paura del temporale e se non troviamo un posticino qui chissà dove passeremo la notte. Nel frattempo decidiamo di andare a mangiare, perciò ritorniamo a Mexican Hat, laddove abbiamo perso la camera. Il ristorante è bellissimo, in stile sioux, con un cowboy che fa le bistecche su una specie di griglia altalenante sopra alle fiamme. Nel frattempo il temporale infuria e tutti i clienti si rifugiano sotto alla pensilina di legno vicino al nostro tavolo. Ecco che un comune ristorante diventa una specie di “osteria” e iniziamo a parlare con i vicini. Che figata l’America: uno dei lati più belli di questo paese è la capacità di socializzare della gente, che ti abbraccia con il suo calore. Dopo un paio d’ore decidiamo di tornare in “albergo”: la signora ci ha detto che alle 22 va a letto e non vogliamo rimanere fuori. Quando arriviamo, seguendo una strada che in parte è sterrata, troviamo un’altra coppia di motociclisti che dormirà nella stanza accanto. Vengono da Cedar City e la pioggia se la sono presa tutta. Mi rendo conto che non ci è andata neanche male. E poi, se voglio provare l’esperienza africana in mezzo al nulla devo avere spirito di adattamento. Ecco quindi che la camera, che prima mi sembrava così ostile, adesso diventa ospitale. Mi sento a mio agio, libera.
Adesso mi trovo qui, su questo lettone, nella camera di un ragazzo indiano che forse adesso è in cerca di una vita migliore fuori di qua. Sembra di essere in un altro mondo. Mi sovviene l’immagine dell’Horseshoe Bend, quel sassone enorme abbracciato dalle rive del fiume Colorando, che per secoli ha scavato nella roccia creando questi capolavori di pietra. Ripenso all’Antelope Canyon, raggiunto con un fuoristrada gigante al cui volante c’era un ragazzo della nostra età, che raccontava di aver mollato una promettente carriera in banca per ritrovare se stesso. Siamo penetrati all’interno di una fessura altra trenta metri, tutta segnata dalla potenza del vento e dell’acqua. Dentro un gioco di forme, buio e luce senza precedenti. Ryan (la guida) ci ha fatto vedere alcune forme immaginarie scolpite dal lavorio delle acque nel corso dei secoli: un orso, un cuore, “l’occhio di Dio”, e perfino la striscia di fuoco. Poi ha imbracciato un flauto e si è messo a suonare una melodia indiana. Mi sembrava di essere in un’altra epoca. Che fine ha fatto la civilizzazione? Mi immagino come dovessero essere una volta questi posti, con gli indiani al galoppo con arco e frecce attorno al corpo. Un senso di libertà assoluta mi avvolge. Domani voglio essere una di loro.
PS: per il racconto della visita alla Diga del Colorado vedi il diario di Massi, lui è sicuramente più bravo di me in queste cose
CONSIGLIO
1. A Page non è necessario prenotare motel: ce ne sono tantissimi a prezzi abbordabili
DA NON PERDERE
1. Il tramonto sul Lake Powell: c’è una stradina che sale poco prima di Page, sulla sinistra, che conduce ad un Vista Point mozzafiato
2. Il Vista Point sul fiume Colorado che si trova qualche kilometro a sud della diga: da questo punto si apprezza l’inizio del Gran Canyon e il fiume Colorado. Nemmeno sul Grand Canyon si riuscirà a scorgere la voragine e il fiume così da vicino
3. Una foto con la testa a strapiombo sull’Horseshoe Band
4. La visita alla diga: ottimo passatempo prima della gita all’Antelope Canyon
CON IL SENNO DI POI
1. Avremmo prenotato il tour qualche giorno prima per riuscire a vedere il famoso fascio di luce a perpendicolo all’interno del canyon (alle undici circa). In caso contrario basta andare in una delle agenzie che organizzano i tour di buon’ora: un posto si trova sicuramente. Le agenzie sono quattro e sono tutte vicine: alla disperata ce n’è una quinta in prossimità dell’Antelope Canyon. Noi abbiamo perso parte della mattina alla ricerca di un posto e ci siamo dovuti accontentare del tour di mezzogiorno e mezzo. Non abbiamo visto il fascio di luce di cui sopra ma il canyon è ugualmente stupendo.
17 settembre 2011 – MONUMENT VALLEY
Prima mi sono fermata a pensare a tutte le cose che abbiamo visto e fatto, e cercavo di fare una classifica delle cose più belle e mettevo in cima il Bryce Canyon, ma adesso sono in crisi. La Monument Valley si è rilevata molto diversa dal previsto. Immaginavo una strada fra le rocce rosse, così come si vede nelle cartoline. E invece questo era solo l’inizio. Stamattina siamo tornati nel Visitor Center per organizzare un tour in cavallo. Mi sono comprata un paio di orecchini navajo per entrare meglio nello spirito indiano (e perché mi piacevano). Poi abbiamo preso il nostro compagno di viaggio a quattro ruote e l’abbiamo lasciato nel parcheggio. Un indiano di nome Rob ci ha accompagnato a mezzo di un sterrata fino alla stalla dove c’erano i cavalli. Ce n’erano almeno sei, tutti marroni, un paio alti e snelli, altri più piccini, e sarebbero stati i nostri. Diciamo che non abbiamo mai imbracciato le redini di un cavallo, perciò raccomandiamo un giro tranquillo. Gli indiani non sembrano preoccupati, anzi. Ci rassicurano sul fatto che andremo pianino pianino. Mentre ci prepariamo compare un indiano con un cavallo nero al fianco, senza sella. Mi invita a salire. Mi esce uno spaventato: “what?!” che lo fa sorridere. Poi mi incoraggia di nuovo, e allora capisco che fa sul serio. Mi parte una scarica di adrenalina, cuore a mille. Come si fa a montare su un cavallo? Come si fa a montarci senza staffe? Mi spinge il piede con la mano, io mi aggrappo alla criniera del cavallo e mi trovo di punto in bianco sulla sua schiena. Riesco a percepire ogni vertebra della sua colonna, mi pare quasi di sentire il suo cuore battere fortissimo. L’indiano mi fa fare un giro breve, ma di un’intensità incredibile. Scendo con l’estasi nel cuore: non vedo l’ora di dire in giro che ho montato un cavallo a pelo.
Rob diventa serio, e finalmente decide di mettere le selle sui nostri cavalli. Partiamo, senza avere un’idea di come si cavalca. Ci spiega due cose in croce, tipo come far girare il cavallo a sx e a dx, come farlo frenare (la parte più importante) e come farlo partire. Fra le mani le redini, di cuoio, annodate fra loro come quelle dei veri cowboy. Partiamo camminando tranquillamente, mi sento instabile ad ogni passo del cavallo, e mi chiedo come farò a resistere un’ora. Massi è preso come me, mi giro e lo vedo attaccato alla sella con il sorriso che gli illumina il viso. Dopo una decina di minuti la mia dimestichezza con il cavallo migliora. Mi sento più salda in sella, il cavallo risponde ai miei comandi, e mi viene voglia di farlo correre un po’ di più. Rob accetta, e si parte al trotto. Coordinarsi: un casino. All’inizio sento che salto sulla sella, sono scomposta e mi sembra di non resistere sulla sella. Poi anche il trotto mi acchiappa, capisco che devo rimanere rigida con l’addome e muovere su e giù le spalle. Quindi il mezzo galoppo: libera, per pochi minuti, ma mi sono sentita come avevo desiderato. Che emozione galoppare sulla Monument Valley, come un’indiana vera J Massi ogni tanto ripete “Oh bello, pian col fajan!”. Mi fa così ridere che parli al cavallo in dialetto veneto! Scendiamo dalla groppa del cavallo e partiamo all’esplorazione della valle. I diari di viaggio parlavano di qualcosa di stupendo: non capivo in cosa questa vallata potesse essere meglio del Bryce Canyon. Solo andandoci dentro con la macchina (Massi ha appena fatto un rutto gigantesco, quasi un ruggito, tutto merito dell’aranciata ruttogena Sunkist) ho capito cosa si prova a spostarsi in messo a quelle rocce rossissime e gigantesche. Massi gioca a prendere tutte le pozzanghere, vuole avere la macchina più sporca di fango in assoluto e mi sa che alla fine ci è anche riuscito. Non so esprimere quello che si prova a stare lì in mezzo. Vedute mozzafiato, tutte le cartoline che si vedono in giro non rendono. Con le note di Ennio Morricone che ci accompagnano, non facciamo altro che ripetere “guarda che bello, guarda che bello!”. Ci facciamo immortalare nei punti classici, come i cinesi (sono anche qui, accidenti!). Qualche nuvola oscura il sole, rendendo le rocce più marroni. Non importa, sono bellissime lo stesso. Ritrovo quel senso di immensità e di impotenza che ho già provato altre volte in questa vacanza. Però che bella la Terra!
Lasciamo il parco con l’emozione nel cuore.
CONSIGLI
1. Arrivate al tramonto: l’impatto con le grandi rocce rosse è spettacolare.
DA NON PERDERE
1. Una cavalcata in mezzo alla valle in compagnia di un indiano: costa un po’ ma la sensazione di libertà è assoluta e unica.
2. Una cena a Mexican Hat: lungo la strada c’è un ristorante dove un cowboy cucina carne sopra ad una griglia dondolante.
3. Un giro con la propria auto all’interno della riserva. La strada è sterrata e se non ha piovuto si può fare con qualsiasi auto. Non prenotate un tour organizzato dagli indiani: non ne vale la pena.
CON IL SENNO DI POI
1. Prenotate l’alloggio per la notte molto molto presto: vale la pena dormire nell’unico hotel all’interno del parco. Pensiamo che svegliarsi con le rocce davanti sia impagabile.
2. Vicino alla Monument Valley c’è la Valley of God: ci hanno detto essere una valle sperduta e purtroppo non abbiamo fatto in tempo di vederla (tra l’altro c’è anche un bed & breakfast)
18-22 settembre 2011 – GRAND CANYON – ROUTE 66 – LOS ANGELES
Siamo arrivati al Grand Canyon al tramonto. Dopo tanta bellezza, tanti paesaggi, ci aspettiamo qualcosa di maestoso che comunque rivaleggerà con quanto abbiamo visto. Il canyon è, appunto, enorme. I colori però sembrano “spenti”: dopo tanto rosso chissà perché mi aspettavo ancora rosso. E invece i colori qui sono il marrone chiaro e il beige, quasi giallo. Lo strapiombo sotto ai nostri piedi è enorme, ci sarà un salto di almeno trecento metri. Che paura, mi viene un senso di vertigine. I colori del cielo sono bellissimi, i pini lungo la strada sono disegnati sul cielo rosseggiante e delineano l’orizzonte. Siamo stanchi, il viaggio dalla Monument Valley è stato lungo e la giornata molto impegnativa. Ci accontentiamo, mangiamo qualcosa e andiamo a nanna presto dopo aver osservato le stelle in cielo. Il tentativo di applicare l’astrolabio è fallito miseramente: capirsi in quel groviglio è impossibile, anche per un occhio esperto. Si vede anche la via lattea, che bello!
Ore 7: sveglia mattutina come al solito. Il nostro primo obiettivo: l’eliporto, da cui ci staccheremo per fare un bel volo in elicottero. Prenotiamo un tour di 20 minuti alle 14 e ci costa un occhio della testa. Esitiamo un attimo, ma poi pensiamo che qui non ci torneremo più, e in fondo l’emozione va vissuta fino in fondo. Quando ci danno in biglietti mi accorgo di avere il numero 1: come avevo previsto sono seduta accanto al pilota. Sono esaltatissima, ma vorrei che Massi fosse al mio posto. Mi viene l’idea: ci cambiamo di posto. Ormai però è troppo tardi, e mi ritrovo seduta accanto ad un giovane pilota in uniforme bianca. Mi legano la cintura di sicurezza, mi mettono le cuffie in testa. Massi è dietro di me. Partiamo. Il pilota inizia a smanettare sui comandi di volo e con un joystick tira su l’elicottero che obbedisce ai comandi dati. Volare a bassa quota è bellissimo, soprattutto quando il paesaggio sotto è il Grand Canyon. Adesso vediamo tutto, dalla rima delle rocce che ora appaiono più rosse al fiume stesso. Guardando bene si vedono anche le rapide. Il cuore mi batte in gola. Ad un certo punto l’elicottero curva a destra, prendendo velocità. Mi sembra di essere a Saigon, avrei voluto una mitraglietta per iniziare a sparare ai nemici (quali?). Scendo dall’elicottero facendo i salti di gioia. Massi poi mi compra anche la fotografia dove siamo immortalati davanti all’elicottero. Bellissimo!
Partiamo alla volta di un punto imprecisato sulla strada per Los Angeles. Il cuore è ancora in gola, nonostante la vista del Grand Canyon sia stata l’ennesima di una serie di viste spettacolari, che più di tanto non mi ha esaltato. Massi guida per le prime due ore. La nostra prima tappa è Williams, alle porte della Route 66. Non abbiamo idea di cosa ci aspetti, io onestamente immagino una città fantasma, anche se più recente di quella ce abbiamo visto. E invece mi accorgo che le cittadine sulla Route 66 hanno vita! Gli abitanti del posto hanno trasformato dei vecchissimi locali con tanto di saloon in qualcosa di magico, mi sembra di essere in un mondo vintage. Davanti ad un negozio c’è una Cadillac rosa con Elvis e Marylin di plastica, seduti vicino al bagagliaio, su una sedia. Nel negozio dove entriamo tutto parla della vita di strada, compresa la bandiera dell’America dell’ovest che ci affrettiamo a comprare. Mi pare che simboleggi il nostro viaggio, con quella macchinona rossa disegnata sul davanti.
Il viaggio prosegue con me alla guida. Senza saperlo, ci avventuriamo alla ricerca di un’altra città fantasma. La strada si fa buia, ormai è il tramonto: iniziano una serie di curve incredibili, destra e sinistra in continuo, con dirupi ai nostri fianchi. La tensione sale: ma dove sto guidando? Poi l’ultimo dosso, siamo in cima alla montagna… ed è spettacolo! Un tramonto di fuoco appare ai nostri occhi, raccogliendo tutti i colori caldi della tavolozza di un pittore. Sembra che i colori della terra siano saliti in cielo. Sotto al rosso, il nero profilo delle montagne: indescrivibile il contrasto! La strada serpeggia senza fine, di colpo si fa sterrata. Mi viene freddo: come faremo a scendere da qui? Improvvisamente… Bam! Davanti a noi appare la città fantasma di Oatman, che come quella vista in precedenza è ancora viva. Sensazionale vedere i vecchi Saloon ancora abitati, i negozi pieni di articoli regalo, c’è perfino un hotel in vecchio stile! Che bello, mi sento esaltata: l’America mi ha sorpreso di nuovo. Poi mi chiedo chi gestisca questi negozi. Intorno a noi compare qualche case, le solite file di cassette della posta ai bordi della strada indicano che qui qualcuno ci abita. Mi chiedo sempre la solita cosa: come si fa a vivere qui? Non trovo risposta.
Arriviamo in quel di Needles alle 21. Giriamo per una città che sembra immensa. In realtà, percorrendo le sue vie, mi accorgo che è sempre la stessa storia: casette di legno, negozietti, casette di legno. Scegliamo il primo albergo che troviamo. Il costo è buono, la posizione ottima. Poi la sorpresa: la piscina. Un bagnetto rilassante fa il caso nostro. Portiamo i bagagli in stanza e ci mettiamo il costume. Ci buttiamo. Che relax!
CONSIGLI
1. Cercate di arrivare al tramonto: da Desert View (dove tra l’altro c’è un’antica torre Navajo) è davvero romantico
2. Tenete gli occhi sulla strada mentre guidate: è pieno di animali selvatici (vedi incontro con vacche e cervi)
DA NON PERDERE
1. Il giro in elicottero nel Grand Canyon: fantastico (Tour Papillon: se avete fortuna e vi danno il numero 1, farete un giro a fianco del pilota)
2. La stellata nel Grand Canyon
3. Route 66: Seligman e Oatrust, paesi che hanno mantenuto l’atmosfera di un tempo
CON IL SENNO DI POI
1. L’albergo qui ci è costato molto: sicuramente vale la pena dormire dentro al parco (Williams dista 80 km). Se volete dormire ugualmente a Williams (da dove per altro si decolla con l’elicottero) si spossono trovare prezzi più ragionevoli.
2. Non vale la pena fare la vecchia Route 66 da Seligman a Kingman. Non c’è nulla da vedere: guadagnate tempo e portatevi avanti. A Kingman c’è un museo che non abbiamo visto e Oatrust va assolutamente vista di giorno (anche perché di notte è avventuroso: pieno di tornanti non illuminati e senza alcun guard-rail).
***
Adesso siamo in strada, direzione Los Angeles (per davvero). Abbiamo fatto tappa in un outlet di grandi firme, dove fare shopping è stata una vera goduria. Sono emozionata, il paesaggio intorno a noi è cambiato ancora. Non c’è più il deserto (non finiva più!): adesso c’è una rigogliosa vegetazione verde, qua e là si vedono anche delle palme, quelle altissime che si vedono nei film! Non vedo l’ora di vedere il mare.
***
Ci aspettavamo una California all’insegna del sole e del caldo e invece ci siamo trovati in una spiaggia nebbiosa e fredda. Albergo carino, sorto innanzi ad una spiaggia piena di “homeless people” che mi hanno fatto pensare molto. Ancora una volta, contrasti. Dalla lussureggiante e lussuosa Rodeo Drive siamo passati ad un lungomare pieno di gente accattona, che però è pronta a darti una mano nella sua assoluta semplicità. A Santa Monica abbiamo noleggiato gli skates: da fare assolutamente il pezzo di strada fra Santa Monica e Venice Beach. La cosa che ho amato di più di Los Angeles: il Pier di Santa Monica, quello che si vede nei film con la Ruota Panoramica sulla quale abbiamo pure fatto un giro. Troppo caratteristico mangiare al Bubba Gump, dove non ti servono altro che gamberi cucinati in tutti i modi. Bellissima anche la camminata per la cittadina, in mezzo ai negozi che mi ricordavano molto il lungomare di Lignano. Più deludente il quartiere di Hollywood, dove credevo ci fosse molta più esaltazione delle stelle del cinema. La Walk of Fame alla fine si riduce ad essere una strada con marciapiedi fitti di stelle. Nulla di eccezionale, e il parcheggio ci è pure costato un occhio della testa!
Ieri invece siamo andati agli Universal Studios. Sono sempre un po’ perplessa quando Massi propone i parchi di divertimento, forse perché la mamma non mi ci ha portato da piccola e mi è rimasto un senso di innata paura, soprattutto di cadere nel vuoto delle montagne russe che Massi invece adora. Abbiamo attraversato gli stage dove hanno girato alcuni dei film più famosi, ci siamo avventurati anche nel Jurassic Park, dove a mia insaputa c’era un salto di ben 28 metri che ci ha fatti precipitare in una mega piscina. Paurissima! La giostra più divertente di tutte: il Waterworld, dove ci sono stunt-men pazzi che si buttano da trampolini altissimi in mezzo al fuoco e alle bombe che scoppiano. Salta per fino fuori un aereo dal muro, e sembra che vada a sbattere sulla folla. Incredibile ma vero.
Los Angeles mi ha lasciato l’impressione che ho letto in un altro diario di viaggio: è una specie di “donna cannone”, piena di fasti esteriormente ma al suo interno piena di problemi drammatici che nessuno sembra notare più di tanto. Dalle ville hollywoodiane alle case di cartone e ombrelli, dai negozi lussuosi del Rodeo Drive alle bancarelle dei senzatetto, dalle limousine ai pattini a rotelle.
CONSIGLI
1. Un navigatore è necessario: non ci si può muovere senza
2. Evitate il più possibile le strade del centro. C’è un semaforo ad ogni isolato, non se ne viene più fuori!
DA NON PERDERE
1. Il Pier di Santa Monica e un giro sulla ruota panoramica
2. L’outlet di grandi firme a Barstow
3. Una giornata agli Universal Studios
4. Una pattinata sulla spiaggia in vero stile Baywatch
CON IL SENNO DI POI
1. Non dormite a Venice Beach: costa molto e non c’è nulla da fare di sera (almeno in settembre quando c’è la nebbia). Santa Monica è stupenda e offre molto di più.
2. Il Vip Pass agli Studios non ci è servito tranne che per il giro in trenino fra i set cinematografici. Per il resto non c’era molta coda sulle giostre
FINE DEL VIAGGIO
Ho vissuto le ultime ore in America con un sentimento di nostalgia nel cuore. Al contempo, mi sono sentita di aver scritto un altro capitolo della mia vita e della nostra storia insieme. Lasciamo l’America on l’impressione di aver visto “tutto il vedibile”: dai mari, ai deserti, alle montagne, ai canyon, alle “dream city” come Las Vegas. Questo viaggio ha lasciato in me un solco profondo, mille immagini appese nella galleria della memoria, spennellate dal sentimento di Amore che ogni giorno mi rende felice come non mai. Speriamo di tornare presto, sulle orme di questo viaggio o con l’intento di disegnarne di nuove, nel cammino della scoperta e del sogno che ci ha condotti fino qui oggi.
COSTI
Circa 3000 euro a testa.
Di seguito i prezzi pro-capite:
Viaggio aereo: 700 euro
Noleggio auto: 250 euro
Patente internazionale: 40 euro
Carburante: 150 €
Alloggio: 550 €
Vitto: 550 €
… e fin qui 2350
Poi gli sfizi:
Giro in elicottero 125 €
Giro a cavallo
Ingresso studios 90€
Tour Cavallo 50 €
Tour Antelope Canyon 25 €
Pass Parchi 80€
…. Poi un po’ di spese all’outlet…
…Sviluppate le foto, comprate un bell’album con la copertina dei viaggi e arrivate a 3000 €
MAPPE
Tappa / Data / Partenza / Arrivo / Link
1 / Giovedì 8 settembre 2011 / VCE / San Francisco
2 Venerdì 9 settembre 2011 San Francisco San Francisco
3 Sabato 10 settembre 2011 San Francisco San Francisco
4 Domenica 11 settembre 2011 San Francisco Yosemite Park
http://maps.google.it/maps?saddr=Union+Square,+San+Francisco,+California,+Stati+Uniti&daddr=Strada+sconosciuta+to:Lombard+St+to:37.34728,-120.20913+to:Mariposa+Grove+Rd+to:
Yosemite+National+Park,+California,+Stati+Uniti&hl=it&sll=37.319936,-119.761963&sspn=1.338915,2.897644&geocode=FVqZQAId8zW0-Cm7QP3TjoCFgDG6tkyZtdlB_g%3BFc5GQQIdGhuz-A%3BFWvQQAIdkwm0-A%3BFdDfOQIdFsHV-CkPtfvFhk2RgDE4afNXAvU2JQ%3BFQRtPAIdEA7f-A%3BFeXqPwId52rf-CmvY_I4_vGWgDFu4slULj8hGQ&vpsrc=0&doflg=ptk&mra=dpe&mrsp=3&sz=9&via=3&t=m&z=9
5 Lunedì 12 settembre 2011 Yosemite Park Lone Pine
Http://maps.google.it/maps?saddr=Yosemite+National+Park,+California,+Stati+Uniti&daddr=Glacier+Point+Rd+to:Main+St+to:305+North+Main+Street,+Lone+Pine,+CA+93545,
+United+States&hl=it&sll=37.732304,-119.569831&sspn=0.020806,0.045276&geocode=FeXqPwId52rf-CmvY_I4_vGWgDFu4slULj8hGQ%3BFfqtPwIdomjf-A%3BFckQRwIdmAPo-A%3BFbuVLgIdn3r2-CnfGto7TYS_gDEPlEt18RRDlQ&vpsrc=0&doflg=ptk&mra=ps&t=m&z=8
6 Martedì 13 settembre 2011 Lone Pine Las Vegas
Http://maps.google.it/maps?saddr=305+NORTH+MAIN+STREET,+LONE+PINE,+CA+93545&daddr=Badwater+to:Artists+Dr+to:Dantes+View+to:36.31586,-116.22572+to:3128+Las+Vegas+
Boulevard+South,+Las+Vegas,+NV+89109,+United+States+(Trump+International+Hotel+%26+Tower+Las+Vegas)&hl=it&ll=36.335041,-115.9552&spn=1.356261,2.897644&sll=36.379279,-116.323242&sspn=0.677756,1.448822&geocode=FbuVLgIdn3r2-CnfGto7TYS_gDEPlEt18RRDlQ%3BFVjSKAIdYkoK-Sn96j7hER_HgDEViwBVJewp-w%3BFUQXKwId3nUJ-Q%3BFYiwKAIdnOgK-Sn_c7aFZx7HgDGlBrZt82lKqQ%3BFdQiKgIdSIkS-SkXuRPhp7LHgDF0ffTzdhUu8g%3BFSRIJwIdDrAi-SHKlNm8IWEbbynBvJeNFMTIgDHEHRHuFnKRpA&vpsrc=6&doflg=ptk&mra=dpe&mrsp=4&sz=10&via=4&t=m&z=9
7 Mercoledì 14 settembre 2011 Las Vegas Bryce
Http://maps.google.it/maps?saddr=TRUMP+INTERNATIONAL,+Fashion+Show+Drive,+Las+Vegas,+Nevada,
+Estados+Unidos&daddr=37.19594,-113.15638+to:UT-12+E&hl=it&ll=37.602264,-112.450562&spn=0.666944,1.448822&sll=37.257659,-113.196259&sspn=0.670022,1.448822&geocode=FQhLJwIdKpoi-SGCPlWALU0MACmVAqlAEcTIgDFZqRNu8gfKmA%3BFaSQNwId5F5B-SnJUauTRe7KgDGAoFQ8ia9anw%3BFYhUPwIdEvBP-Q&vpsrc=6&doflg=ptk&mra=dpe&mrsp=1&sz=10&via=1&t=m&z=10
8 Giovedì 15 settembre 2011 Bryce
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+Lake+Powell+Boulevard,+AZ+86040+Page&hl=it&sll=36.923856,-111.475074&sspn=0.010515,0.022638&geocode=FS0nPwIdX6ZQ-Q%3BFYzHPQIddZ9Q-Q%3BFSjOOwIdJFhP-Q%3BFU0ZNQIdl9JH-Q%3BFWMaNAIdu6da-Q%3BFcppMwIdpP1a-Q%3BFdNOMwIdDk1b-SlBIyaEoxQ0hzExm_-AifezgA&vpsrc=0&doflg=ptk&mra=ps&t=m&z=9
9 Venerdì 16 settembre 2011 Page Messican Hat
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Valley+Tribal+Park+Rd+to:US-163+Scenic+N+to:Strada+sconosciuta&hl=it&sll=37.126997,-109.890232&sspn=0.020975,0.045276&geocode=FeJbMwIdjDNb-Q%3BFUexMgIdBZta-Q%3BFZiYMwIdNNha-Q%3BFbZwNAId33dv-Q%3BFQrcNgIdn4dz-Q%3BFQ52NgIdKD1z-Q&vpsrc=0&doflg=ptk&mra=mi&mrsp=5&sz=15&t=m&z=15
10 Sabato 17 settembre 2011 Messican Hat Grand Canyon
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11 Domenica 18 settembre 2011 Grand Canyon Needles
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12 Lunedì 19 settembre 2011 Needles Venice Beach
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13 Martedì 20 settembre 2011 Venice Beach Venice Beach
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Walk+of+Fame+Art,+United+States+(walk+of+fame+art)+to:Malibu,+California,+Stati+Uniti+to:Colorado+Ave%2FSanta+Monica
+Pier+to:Venice+Beach+Suites+%26+Hotel,+1305+Ocean+Front+Walk,+Venice,+CA+90291,
+United+States&hl=it&ll=34.045263,-118.612175&spn=0.174383,0.362206&sll=34.096027,-118.341465&sspn=0.021785,0.045276&geocode=FXCgBgIdXDjw-A%3BFXYDBwIdViXw-CmXc0VTKbvCgDHx_uKnUCOwYA%3BFSpUBwIdCsHw-Cn_rnAECrvCgDH3PY2lSoKjBg%3BFd2rBwIdpVrx-Cntx5tl5LvCgDHcaPVqdAGI8A%3BFXw-CAIdks7x-CH04FILD8z3Lg%3BFRDgBgIdFxrr-Ck_1gj5qR3ogDFajOqycS23kw%3BFaDyBgIdQOHv-A%3BFZueBgId2Dfw-CHz-xu-IURPDA&vpsrc=6&doflg=ptk&mra=ls&via=1,2&t=m&z=12
14 Mercoledì 21 settembre 2011 Venice Beach Los Angeles
Http://maps.google.it/maps?saddr=Westminster+Ave&daddr=34.01407,-118.47953+to:34.03473,-118.43967+to:rodeo+drive+los+angeles+to:
Walk+of+Fame+Art,+United+States+(walk+of+fame+art)+to:Malibu,+California,+Stati+Uniti+to:Colorado+Ave%2FSanta+Monica
+Pier+to:Venice+Beach+Suites+%26+Hotel,+1305+Ocean+Front+Walk,+Venice,+CA+90291,
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15 Giovedì 22 settembre 2011 Los Angeles LAX 16
Venerdì 23 settembre 2011 – VCE