La nostra prima volta in Asia: Kuala lumpur e Bali

Per la nostra prima volta in Asia pensavamo di giocare d'anticipo... A marzo abbiamo prenotato i voli, rendendoci miseramente conto che molta gente era stata più astuta di noi. Per scoprire questo continente si decide cosi di visitare Bali e, en passant, pure Kuala Lumpur. I mesi passano e arriva il fatidico 11 agosto... Al nostro arrivo a Kuala...
Scritto da: yanagibashi
la nostra prima volta in asia: kuala lumpur e bali
Partenza il: 11/08/2008
Ritorno il: 25/08/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Per la nostra prima volta in Asia pensavamo di giocare d’anticipo… A marzo abbiamo prenotato i voli, rendendoci miseramente conto che molta gente era stata più astuta di noi. Per scoprire questo continente si decide cosi di visitare Bali e, en passant, pure Kuala Lumpur. I mesi passano e arriva il fatidico 11 agosto…

Al nostro arrivo a Kuala Lumpur, provati un po’ per la scomodità del viaggio, un po’ per il menù, sbarchiamo al KLIA, un aereoporto gigantesco. Solita trafila: ci mettiamo in coda per avere il visto d’ingresso, cambiamo i soldi e prendiamo l’autobus che ci porterà a Chinatown, dove precedentemente avevamo prenotato l’hotel. Scendiamo dall’igloo polare (l’autobus) e un caldo afoso ci prende la gola, insieme ai mille profumi e odori che escono dai negozi, dai ristoranti e dalle case. Valigie alla mano ci incamminiamo verso lo Swiss Inn, un tranquillo hotel con ingresso su Petaling Street con colazione inclusa a una modica cifra. Unica pecca, la nostra stanza non aveva finestre… Andiamo a cena sulla Menara Tower: gran bel panorama al piano di sotto, ma la cena non ci è piaciuta per niente. Quella sera facciamo la conoscenza di una coppia di ragazzi di Milano davvero simpatici e che ci hanno dato alcune dritte (tipo il tassametro acceso)! Il giorno dopo ci prepariamo perchè precedentemente avevamo prenotato il tour di mezza giornata alle Batu Caves dal sito dell’ufficio turistico malesiano: 10 euro a testa, visita di una fabbrica di batik, l’industria selangor e Batu Caves. Le Batu Caves sono bellissime, colorate, profumate, abitate dalle scimmie che la fanno da padrone lì: alla faccia di Visnù si spulciavano, si ricorrevano e giocavano sotto gli occhi e la proboscide di Ganesh. Sono completamente visitabili, ci sono due templi Hindu all’interno delle caverne e uno immediatamente prima l’ingresso dal parcheggio. Il pomeriggio chiediamo all’autista (che parlava un inglese perfetto, era un po’ impiccione ma molto gentile) di mollarci vicino alle Petronas… Dal basso sono impressionanti, sembra che non finiscano mai! Entriamo (su consiglio dell’autista) nel mall Suria che è attaccato alle torri. Carino, tutto marmi e rifiniture non dell’Ikea, ma a noi è sembrato un incrocio di via montenapoleone e zona San Babila su sei piani. Unico acquisto: il gelato Hagen Dasz. Io francamente non ho visto grande convenienza tra i prezzi delle boutique di KL e quelle in Italia… By the way, le torri quando si illuminano la sera sono fantastiche, davvero meritano di essere viste tutte illuminate! Da lì abbiamo preso la metro (ps: i taxisti sono una razza furba in tutto il mondo. Se mai prenderete un taxi a KL ditegli di accendere il tassamentro, e se non lo fanno mandatecelo perchè sono pronti a triplicare le cifre solo perchè ci credono tutti Rockfeller…) in direzione Merdeka Square. Pulitissima, in orario, ben organizzata e davvero tranquilla la metro. Scendiamo che è ormai sera, ci incamminiamo verso la piazza e gironzoliamo sul prato all’ombra della bandiera che sventola e attorno al municipio: davvero suggestiva alla sera, quando i lampioni diventano degli Hibiscus (fiore nazionale) dal cui pistillo esce il lampione… Da qui a Petaling street la strada è breve e ritorniamo felici nella baronda di quella strada tra borse, profumi, scarpe e ogni cianfrusaglia nel pomeriggio vista esposta originale nelle boutique, qui taroccata benissimo e gettata sui banchi. Alle dieci di sera si conclude il mercato di Chinatown, e assistiamo alle cerimonie dei cinesi con falò di fotocopie di banconote per ringraziare gli dei per la giornata lavorativa. Molto suggestiva.

Il giorno dopo decidiamo di andare a visitare la moschea nazionale e i Lake Gardens. La giornata inizia male, uno di noi due sta male e l’umidità sfiora il 500% alle nove di mattina… Ma non demordiamo e ci avventuriamo. La moschea (vista da fuori) è immensa, ha un minareto altissimo e una cupola celeste di dimensioni titaniche. Di fronte si trovano alcuni edifici del periodo coloniale e, dopo il museo dell’arte araba (bellissime maioliche) si entra nella zona dei Lake Garden dove, lungo la strada, sono segnalate le direzioni per i vari parchi. A darci il benvenuto ci sono delle scimmie che sono un po’ acidine…Saltano e soffiano. Camminando lungo la strada (e che non crediate che sia in piano la strada…C’ha dei bei su e giù) per prima cosa ci imbattiamo nel planetarium, ma non ci entriamo dato che avevamo letto che non è niente di entusiasmante, passiamo di fronte alla casa del fondatore dello stato Malesiano e finalmente scorgiamo alcuni fiori colorati nella strada a destra. Per primo c’è il museo degli uccelli, che non abbiamo visitato perchè, personalmente, provo molta tristezza a vedere tutti questi animali in un posto non loro (es. Una cicogna a KL..Io le avevo viste in Alsazia!), giriamo e entriamo nel giardino delle orchidee: una meraviglia! A parte il caldo tremendo, accentuato dall’umidità incredibile, ci trasciniamo fuori dalla serra delle orchidee quando sentiamo che i liquidi del corpo ci sono evaporati addosso, vedendo buona parte dei fiori. Seguiamo il sentiero e ci troviamo di fronte a degli hibiscus immensi bianchi e rossi. Girovaghiamo per il giardino e decidiamo di andare (a piedi) verso il giardino delle farfalle. Scopriamo che come il Butterfly park anche gli altri giardini erano a pagamento, ma noi senza saperlo eravamo entrati dall’uscita! quindi portafoglio alla mano paghiamo l’ingresso con sovratassa per le macchine fotografiche e anche qui gironzoliamo fino a quando non ce la facciamo più perchè stremati dal caldo.

Torniamo in albergo e corriamo verso l’aereoporto per prendere il volo per Bali prenotato con la AirAsia. Scopriamo con curiosità che la AirAsia è davvero la Ryanair dell’Oriente, arriva fino all’Australia e porta nelle maggiori città dell’estremo oriente. Dopo il controllo e l’imbarco dei bagagli (dove conosciamo una vispa famigliola di Perth) andiamo a mangiare per l’ennesima volta al MacDonald (fa schifo, ma già non ne potevamo più di tutto quel piccante) e ci mettiamo in coda per il visto d’uscita. Volo puntuale, partiamo alla volta di Bali.

Tre ore ci separano dall’isola degli Dei che ci godremo per 10 giorni. Ritirati i bagagli ( qui come a KL arrivati in un batter d’occhio..Come da noi in Italia) e svolte le procedure di ingresso prendiamo un taxi in direzione Kuta dove abbiamo preso una stanza all’hotel Masa Inn in posizione centrale (Poppies Lane). L’albergo è davvero bello, per giovani e famiglie, con due stabili a ferro di cavallo e una piscina centrale per ogni stabile. Ceniamo al ristorante Poppies in fondo alla strada, prenotato precedentemente. Il ristorante è davvero buono e situato all’interno di un giardino, all’ombra dei frangipane e rischiarato solo da lumini e luci molto tenui. Il costo non è nemmeno eccessivo, calcolando che comunque è uno dei ristoranti più chic e antichi del posto. Torniamo a casa stanchi e malaticci e il giorno dopo ci proponiamo di andare a visitare il sud dell’isola. Il pomeriggio seguente, su consiglio di un amico che vive a Bali, fermiamo un taxi celeste chiaro della BlueBird: sono i più economici e il tassametro è sempre acceso. Il nostro primo taxista è Damianus, nato a Flores ma a Bali per lavoro, ci porta a visitare il Garuda Wisnu Kenkana Complex dove vediamo danzare le mitiche bambine-danzatrici balinesi e ci aggiriamo per un giardino dove c’è la testa di Garuda, il torso e la testa di Wisnu e, più in giù due tronconi di braccia giganteschi con le mani nella posizione di Buddha. Conclusa la visita andiamo in direzione sud, verso il tempio marino di Ulu Watu dove, anche li, troviamo le scimmie a fare la guardia. Armati di sarong entriamo e scattiamo le foto al luogo e alle scimmie che nel frattempo rubano fazzoletti e fermagli per i capelli ai turisti. Il tempio è davvero suggestivo al tramonto, orario in cui si può assistere alla danza Kecan. Per le strade si vedono un sacco di cani randagi, che gironzolano per le strade e vanno a mangiucchiare quel poco che i balinesi ogni mattina offrono agli dei cattivi per farli stare buoni. Davanti a ogni porta ci sono infatti, ogni giorno, cestini di foglie con dentro riso, cracker, caramelle, fori e inceso che sono le offerte agli dei.

Sulla strada per tornare a casa decidiamo di mangiare pesce nella baia di Jimbaran di cui ne avevamo sentito parlare molto bene… Anche il nostro autista la pensa cosi, quindi ci molla davanti a uno dei ristoranti più costosi della baia (nonostante avessimo esplicitamente richiesto un posto economico…). Dopo mille no lo convinciamo a entrare e mangiare con noi (altrimenti gli autisti restano fuori in macchina ad aspettare!!) anche perchè è stato davvero gentile, ristorante escluso, e ci ha spiegato tutto quanto quello che abbiamo visitato.

Al ritorno ci fermiamo nella strada dello shopping di Kuta dove vediamo negozi dai nomi Dolce e Gabbana, Ralph Lauren (anche qui il tarocco va alla grande!!) e gli originali Billabong, Quicksilver, Roxy ecc.

Torniamo a casa e cadiamo come sassi nel letto.

Il giorno dopo decidiamo di andare a visitare Tana Loth, il tempio più famoso. Passa a prenderci un collega di Damianus, Quintus, e andiamo in direzione nord ovest. Il tempio è davvero stupendo, all’ingresso veniamo bersagliati dai venditori, ma Quintus è gentilissimo e ci dice che se vogliamo da mangiare o bere va lui per noi visto che a lui certo non fanno il prezzo turistico.. Entriamo nella zona del Pura e, scendendo verso il mare, ci troviamo di fronte a questo tempio davvero meraviglioso. Oltre al tempio in sè è davvero bello il parco del pura nel suo complesso. Anche questo tempio, come Ulu Watu, è un tempio marino e, in teoria, da qui si può vedere l’Ulu Watu e vice versa dato che questi due Pura, più altri più o meno famosi, vennero costruiti lungo tutta la costa dell’isola. Quello che colpisce maggiormente di quest’isola, oltre al fatto che i balinesi sorridono sempre, è quanto ci tengono ai loro spazi e luoghi: capita spesso di sentire un frusciare… Sono i giardinieri che raccolgono quotidianamente le foglie secche o cadute. Giriamo per il parco, addobbato con altissimi Pengior dato che qualche giorno dopo si sarebbe svolta la festa del Galugang (con cui ringraziano gli dei buoni, Dharma) e risolviamo di pranzare verso Kuta. Ci fermiamo a Echo Beach, una spiaggia per surfisti davvero bella e tranquilla (se si può dire). Anche qui convinciamo Quintus a pranzare con noi e, concluso il pranzo, partiamo per Kuta dove ci aspettano due amici che abitano a Ubud. Ci trasferiamo a Ubud e godiamo del traffico balinese (non esiste la freccia, ma solo il clacson e sui motorini di media si contano almeno tre-quattro paia di piedi) lungo la strada. Entriamo nella “città degli artisti” dall’ingresso della Monkey Forrest dove ci aspettano altre scimmie, le più dispettose dell’isola. Posiamo i bagagli e andiamo a cena vicino al campo da calcio da dove si sente la musica delle danze balinesi dato che a fianco c’è il teatro. Dormiamo e il giorno dopo andiamo in un posto davvero bellissimo, il lago Bratan. Peccato solo ci fosse un sacco di nebbia (altro che Val Padana…) e un freddo bestiale, quindi non abbiamo visto benissimo il tempio, uno dei più importanti dell’isola. Ma la fortuna stava dalla nostra parte perché dopo pranzo la nebbia si dirada e possiamo goderci meglio lo spettacolo di questo imponente tempio costruito su un’isola nel lago. Sulla strada del ritorno ci fermiamo a Mengwi, dove visitiamo il tempio reale. Molto bello, ma non c’è davvero paragone con quanto visto prima al lago Bratan… Il tour del giorno dopo prevede la visita della caverna dell’elefante, Goa Gajah, Tirta Empul e il suo tempio (si dice che siano acque magiche e a vederle sbuffare nella sabbia non se ne hanno dubbi…) in direzione del Vulcano Kintamani. In compagnia di una coppia di tedeschi ci fermiamo davanti alla nebbia fitta che avvolge il vulcano: è praticamente impossibile vedere il proprio naso, figurarsi più in là… mogi mogi ci fermiamo ad ammirare le risaie e torniamo a casa. Va precisato che se a Kuta il sole spacca davvero le pietre, a Ubud è molto diverso..Sarà l’altezza (è in collina), sarà la posizione, fatto sta che le nostre giornate in questa cittadina si sono contraddistinte per avere un cielo plumbeo, sprazzi di pioggia e una umidità che fa un baffo a Venezia. E la sera, per quanto noi non siamo festaioli incalliti, c’era davvero da suicidarsi visto la totale mancanza di anime che vagassero lungo una qualsiasi strada… Giusto, che so, entrare in un bar e magari conoscere qualcuno…Zero.

Vabbè, il giorno dopo decidiamo di goderci questo famoso Galugang a Ubud, visto che avevamo assistito alla creazione dei Pengior, pali altissimi di bambù ricamati (nel vero senso della parola) con foglie di palma, ciocche di riso, fiori e quant’altro. La cosa ridicola che ci viene subito alla mente è quel panciuto balinese che, con cappello da Tom Sayer e una pancia tesa che spingeva i pantaloni in giù, si dimenava per spiegare alla manovalanza come mettere il pengior nella giusta posizione perché non cadesse.

Insomma, per il Galugang entriamo nella casa dei reali di Ubud (dove vivono ancora), visitiamo il tempio del Loto, fotografiamo i bambini del proprio bajar (quartiere) che con una maschera barong e vari strumenti fanno un baccano infernale per le strade e giriamo per la città. Il pomeriggio ci incontriamo con la coppia di italo-balinesi e facciamo una passeggiata per i campi di riso. Il giorno dopo ci aspetta una bella giornatina piena…Partiamo, questa volta soli, alla volta di Yeh Pulu, dove una anziana ci benedice nel nome di Ganesh salvo poi chiedere l’offerta per il dio (che immagino amministri lei però), KlungKlung con il palazzo della corte di giustizia e il monumento al Puputan (il suicidio attuato dai nobili balinesi piuttosto che cadere nelle mani dei conquistatori olandesi) che ha forme abbastanza falliche, Bangli e il suo tempio (il secondo tempio più grande) per giungere al tempio di Besakih, il più importante e grande dell’isola. Per visitare questo tempio bisogna farsi forza e coraggio, ci sono due chilometri buoni per raggiungere il complesso e ammirare la prima vista di questo luogo. (NB: il luogo in questione è presidiato da balinesi abbastanza furbetti che cercano di bidonare il turista poco accorto, quindi attenti se vi chiedono di guidarvi o vi dicono che serve per forza una guida: alla fine la pagate a peso d’oro questa guida! E soprattutto, non serve niente più di una lonly planet alla mano per visitarlo…) il tempio è piazzato in centro a una piccola piana all’ombra del monte Agung, il più alto dell’isola. In questo luogo non c’è un tempio soltanto: prima e dopo del pura principale ci sono altri tempietti piccolini molto belli, ai quali però ci era vietato l’acceso poiché ancora stavano festeggiando con varie cerimonie il Galugang del giorno precedente. Dal tempio più in alto si vede l’isola stagliarsi ai piedi, coperta da qualche nuvola ma nitida. Al pari del lago Bratan, credo sia una delle immagini più belle che ci siano rimaste impresse.

Stanchi torniamo a casa e, per strada, ci imbattiamo in un bambino seduto sul motorino col papà vestito di tutto punto. Penserete chissà quale eleganza, giusto? Ebbene, su quel motorino era seduto il piccolo Clark Kent che, svelata la sua duplice personalità cavalcava il motorino con la sua tutina blu e rossa e mantellina al vento su cui era impressa la mitica S di Superman. La popolazione merita una descrizione particolare… quello che colpisce è la cordialità che ogni balinese dimostra, la curiosità (anche un po’ pettegola) che ti tocca quando candidamente ti viene chiesto se sei in luna di miele o se il tuo ragazzo è “your husband”. Ma anche i cartelli con scritto da una parte Transport e, al tuo rifiuto girano prontamente e appare scritto “Maybe Tomorrow?”… sono persone davvero diverse da noi, persone innocue che mai allungano la mano per chiederti l’elemosina e che, se gli chiedi ai bambini se vogliono delle caramelle o delle gomme, diventano piccoli piccoli e impercettibilmente ti fanno di si con la testa.

E cosi sono volati questi giorni…L’ultimo giorno, dopo le ultime contrattazioni al mercato tra tirate di braccia e strilli per richiamarci, siamo stati in piscina a goderci quell’ultima giornata di pace. La sera poi abbiamo deciso di fare gli splendidi e ci siamo concessi una cena ottima al Cafè Lotus, ristorante vicino al tempio dove ogni sera si assiste alle elegantissime e aggraziate danze Legong.

A noi Bali è piaciuta, ci è piaciuto quasi tutto…Solo la desolazione serale ci buttava giù, ma per il resto, dai posti visitati alla varietà umana conosciuta, ci è veramente piaciuta. L’unica cosa che ci ha rattristato è vedere come si siano adattati (o vogliano adattarsi) questi paesi cosi differenti e per questo cosi incantevoli a uno stampo non loro, vogliano diventare sempre più occidentali. Come diceva Terzani, “L’arcobaleno è impazzito” riferendosi al Sud Est asiatico, e noi non possiamo far altro che dargliene atto, ma con un certo rammarico.



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