La nostra prima Africa 2

Il Kenya tra Watamu, Tsave East e Amboseli
Scritto da: Caterina Zellioli
la nostra prima africa 2
Partenza il: 27/01/2014
Ritorno il: 05/02/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Ed eccoci finalmente al nostro vero primo viaggio in Africa. Dopo aver tanto sognato l’Africa e il safari, io e Alessandro abbiamo deciso di organizzare un viaggio in Kenya. La programmazione dell’itinerario e l’organizzazione del viaggio sono iniziate a luglio 2013, quando abbiamo prenotato il volo. Era da un po’ che tenevo sotto controllo le tariffe e appena ho visto che iniziavano ad aumentare ho pensato che fosse meglio bloccare i posti. Abbiamo optato per Ethiopian Airlines, ma anche con Turkish Airlines potete trovare delle ottime tariffe. Noi per comodità di orari abbiamo scelto la Ethiopian. Il volo Malpensa-Mombasa ci è costato 550 euro a testa, con scalo tecnico a Roma e scalo di 3 ore circa ad Addis Abeba. Abbiamo prenotato con Last Minute Tour: era il nostro primo viaggio fai da te e per la prima volta abbiamo preferito fare così, per avere un po’ di assistenza in più, ma per il prossimo viaggio faremo certamente tutto in autonomia. Purtroppo, solo il giorno prima di partire, guardando sul sito della compagnia aerea, abbiamo scoperto che ci sarebbe stato anche uno scalo tecnico a Kilimangiaro (Tanzania), il che ci è costato circa 2 ore di ritardo sull’arrivo a Mombasa. Stessa cosa per il ritorno. Vi consiglio di controllare sempre l’operativo voli prima di partire perché quasi sempre questo scalo viene fatto ma non viene menzionato sul biglietto.

Lunedì 27 Gennaio – Martedì 28 Gennaio

Siamo partiti da Malpensa alle 20.45 e siamo atterrati a Mombasa alle 15.00 del 28 gennaio, cotti. Il viaggio è stato lungo, soprattutto per via delle numerose soste. Ma la voglia di arrivare in questa fantastica terra era tanta. Passato il controllo passaporti e recuperati i bagagli, siamo usciti dall’aeroporto, dove abbiamo trovato l’autista che ci avrebbe portati a Watamu. Per velocizzare l’ottenimento del visto, vi consiglio di scaricarvi il modulo apposito dal sito www.magicalkenya.com, così potete compilarlo a casa con calma e una volta arrivati in aeroporto dovrete solamente presentarlo al desk. Il visto costa 40 euro a persona ed è meglio se date l’importo giusto all’impiegato della dogana, per evitare questioni con i resti. Dopo aver ritirato i bagagli dovrete passare un altro controllo in cui vi chiederanno quanti bagagli avete, cosa c’è nei bagagli… insomma faranno un po’ i pignoli. A noi è capitato che la signora ci chiedesse anche “E per me non avete portato niente?” Ricordatevi sempre di stare all’erta, cercheranno sempre di “scroccarvi” qualcosa, soprattutto in aeroporto. Risposte secche e decise e andate tranquilli.

Noi abbiamo prenotato soggiorno, transfer e safari con Ombretta di Kivuli Tours and Safaris (http://www.kivulitoursafari.com/). E’ una ragazza italiana di Ravenna che 7 anni fa si è trasferita in Kenya ed insieme al marito Hadhir ha aperto questa agenzia. Hanno anche un ristorantino a Timboni, frazione di Watamu, dove abbiamo fatto tappa fissa per i pranzi e le cene. Qui potrete assaggiare la VERA cucina swahili. Ma andiamo per ordine. Come dicevo fuori dall’aeroporto c’era l’autista ad aspettarci. Ci abbiamo messo 2 ore per raggiungere Watamu. Poco fuori dall’aeroporto si inizia ad entrare nella realtà kenyota, la realtà della grande e caotica città africana, completamente diversa dalla vita nella zona costiera. Mucchi di immondizia, case fatiscenti, baracche di lamiera, mucche, capre, bajaji (moto che i locali usano anche come taxi, ci salgono anche in 3 o 4), matatu (pulmini che fanno servizio tra una città e l’altra, coloratissimi e sempre con la musica a tutto volume) e tuk tuk (ape car ai quali è stata aggiunta una panchina nel cassone per poter trasportare persone) a non finire, gente che attraversa la strada senza curarsi delle macchine che passano, traffico incredibile. In più erano le 15 ed immaginatevi la cappa di caldo che ci ha assaliti appena fuori dall’aeroporto. Abbiamo percorso la strada che da Mombasa va a Malindi, passando per Kilifi. Appena fuori dalla città il paesaggio cambia e lascia spazio al verde: piantagioni infinite di agave (usano il fiore che la pianta fa al centro per produrre della corda), baobab e prati verdi, insenature con barche, ponti, e finalmente le palme..ci stiamo avvicinando al mare!

Arriviamo fino al bivio per Gede, giriamo a destra e in poco tempo siamo a Timboni. Qui finalmente conosciamo Ombretta, fuori dal suo ristorante. Ci inonda con la sua simpatia romagnola e ci da due frittelline da portare a casa, così da tapparci un po’ il buco nello stomaco che ormai avevamo. Ci diamo appuntamento per la sera, lì da lei allo Swahili Cafè.

Raggiungiamo quindi Fabio’s House, la casa dove alloggeremo durante il nostro soggiorno. E’ proprio a 5 minuti di macchina dal ristorante di Ombretta e ad altrettanti 5 minuti dalle spiagge. Quando da Timboni si arriva all’incrocio con la strada principale che porta a tutti i resort, bisogna girare a sinistra, si oltrepassa il bivio con la strada principale di Watamu e dopo poco si gira nuovamente a sinistra, in una stradina sterrata. Da soli non è facilissima da trovare, come tutte le case private del resto, perché non ci sono indicazioni come per i resort, ma vedrete che riuscirete ben presto ad orientarvi. Tutte le case private sono recintate da alte mura, per evitare incursioni notturne o peggio, durante i periodi in cui i proprietari non sono in casa.

Un grosso portone di legno scuro si apre ed eccoci finalmente a Fabio’s House: un paradiso. Ci vengono ad accogliere Ida e Chris, i padroni di casa, insieme allo staff, Kasimu che si occupa dei giardini e vive lì nella dependance, il nostro guerriero Masai che farà la guardia notturna dalle 18.00 alle 6.00 (tutte le case ne hanno uno e spesso anche i negozianti ne assumono uno in società, per la sorveglianza notturna) e Mauro, pescatore e amico dei padroni di casa. In men che non si dica abbiamo un cocco in mano con tanto di cannuccia e ci vengono offerti anche dei dolci locali, buonissimi e speziati. Accoglienza da 5 stelle. Portiamo i bagagli in camera e salutiamo l’autista. Dopodiché iniziamo ad esplorare la casa insieme alla padrona: è un posto meraviglioso, noi abbiamo la camera al piano terra (Kipepeo, la camera della farfalla, in swahili), mentre al piano superiore ce ne sono altre 3 (in una ci vivono i proprietari), più una bellissima veranda con divani e tavoli in tek, cuscini coloratissimi e conchiglie dappertutto. Il tetto è rigorosamente in makuti e sul retro della casa c’è una bellissima vista sulla giungla.

Al piano terra, oltre alla nostra camera, ci sono la lavanderia e la cucina, ad uso comune di tutti. Tutto è arredato in stile swahili e la padrona di casa, pittrice, ha dato il suo contributo a tutta la casa, dipingendo i muri delle stanze e recuperando insieme a Chris tutti i mobili della precedente proprietà, che aveva lasciato un po’ andare in rovina il tutto. Il giardino intorno alla piscina è curatissimo, boungaville e alberi di frangipane fanno da cornice e accanto alla piscina c’è anche un gazebo sempre con tetto in makuti dove prenderemo la colazione. Per dormire qui spenderemo 50 euro a notte in due, colazione compresa.

Ci riposiamo un po’, doccia e poi raggiungiamo lo Swahili Cafè per la cena. C’è una bella veranda con tende colorate gialle e arancioni, tutto pulitissimo. Salutiamo la titolare dell’agenzia e ci facciamo consigliare qualcosa per cena. Optiamo per delle samosas come “aperitivo” (piccoli triangolini di pasta fillo ripieni di carne, verdure o pomodoro e mozzarella, fritti), gustosissime e poi prendiamo del king fish e calamari alla griglia con patatine. Due bottigliette d’acqua e due caffè, spesa 1500 ksh. Alle 22 siamo a letto, stanchi del viaggio.

Mercoledì 29 Gennaio

Dopo una bella dormita, ci svegliamo intorno alle 8.30 e verso le 9 facciamo colazione nel gazebo di fianco alla piscina: caffè e the locali, marmellata, burro, pane tostato e succo di frutta. Perfetto. Il cielo è coperto ma i titolari di casa ci dicono che solitamente in questo periodo al mattino il sole non si fa vedere fin verso le 11.00. Speriamo! Verso le 9.30 ci dirigiamo a Ocean Breeze. E’ una delle spiagge più belle di Watamu, vicino all’Isola dell’Amore. Per raggiungerla dalla nostra casa bisogna ritornare sulla strada asfaltata, andare verso sinistra, in direzione Malindi e poi girare a destra, sempre in una strada sterrata. Le spiagge non sono sempre ben segnalate, ma se vi spostate con tuk tuk, come abbiamo fatto noi per tutti i restanti giorni, basta che indichiate il nome della spiaggia all’autista e lui vi ci porterà. Ocean Breeze è bellissima, c’è bassa marea ora al mattino, fin verso mezzogiorno, quando l’acqua comincerà a salire. Il fenomeno delle maree in Kenya ha un intervallo di 6 ore, perciò vi potrà capitare di avere la secca al mattino o al pomeriggio. Ogni giorno la salita della marea si sposta di qualche minuto. All’ingresso della spiaggia prendiamo i lettini (200 ksh l’uno), ci spalmiamo di crema e via a fare una bella passeggiata sulla barriera. Quando c’è bassa marea è infatti possibile passeggiare sulla barriera corallina, ed arrivare fin dietro gli scogli che caratterizzano le spiagge di Watamu. Mi raccomando utilizzate sempre le scarpette di gomma e mettete sempre la protezione solare perché i raggi solari passano comunque anche se il cielo è coperto. Incontriamo pescatori che tornano con polipi giganti e pesci, donne che puliscono il pescato nelle pozze di acqua di mare rimaste dopo la ritirata dell’acqua, finti guerrieri Masai in cerca di foto turistiche. La titolare dell’agenzia di viaggio ci fa un po’ da guida e ci racconta della vita a Watamu. Vediamo ricci di mare, stelle marine (quelle piccole e nere), lumache di mare, granchi. Il paesaggio dietro gli scogli è stranissimo, sembra di essere in Irlanda: scogliere grigiastre escono dal mare e si innalzano verso il cielo. Sulle pareti rocciose è ben visibile il segno lasciato dal livello del mare e sembra strano poter passeggiare lì sotto ed immaginarsi il mare che arriva fino a quel punto. Ad un certo punto entriamo in un’insenatura e troviamo il carapace di una tartaruga marina. Questa è zona di parco marino ed è anche luogo in cui le tartarughe vengono a deporre le uova, quindi è facile trovarne i resti.

Iniziamo a vedere che la marea sale e pertanto decidiamo di dirigerci verso la spiaggia, intanto il sole fa capolino tra le nuvole e… si sente. I colori del mare cambiano completamente con la luce del sole: dal grigio del cielo nuvoloso e della barriera senz’acqua si passa in poco tempo a un cielo azzurro e acqua verde, blu, turchese e cobalto. Una meraviglia. Ci rilassiamo un po’ al sole sui nostri lettini e verso le 14.00 andiamo a pranzo: pollo fritto con patatine per Alessandro e per me un piatto di frutta mista con passion fruit, banane, arance, ananas e mango. Acqua e caffè, tot. euro 1070 ksh. Nel pomeriggio io e Alessandro torniamo a rilassarci ad Ocean Breeze, avevamo precedentemente avvisato i ragazzi della spiaggia che saremmo tornati così da tenerci buona la tariffa già pagata al mattino per i lettini. Prima di dirigerci verso la spiaggia acquistiamo una ricarica per la nostra scheda telefonica keniota: ne abbiamo presa una della Airtel, al costo di circa 500 ksh l’una. Potete trovarle sia all’aeroporto che nei vari negozietti a Watamu. Idem per le ricariche: le trovate in pezzi da 100 ksh l’una. E’ molto conveniente telefonare in Italia con questa scheda telefonica, col nostro numero italiano ci sarebbe costato una fortuna. Noi tenevamo un telefono con la scheda italiana e uno invece con la scheda locale. Una ricarica da 500 ksh ci è durata 3 gg ma telefonando più volte a casa ad entrambe le famiglie e chiamando sempre circa 4 volte al giorno il tuk tuk per i trasferimenti dalla casa alla spiaggia e dalla casa al ristorante.

Verso le 18.30 rientriamo a casa con il tuk tuk, doccia, un attimo di relax e verso le 21.00 siamo pronti per la cena. Questa sera optiamo per l’aragosta. Prendiamo anche del riso al cocco con gamberi e zucchine (fantastico!!). Sempre con le bevande e i caffè spendiamo 4100 ksh. Se calcolate che sono meno di 20 euro a testa è davvero pochissimo! Riprendiamo il nostro tuk tuk e andiamo a riposarci. Abbiamo ormai il nostro tuk tuk di fiducia, che chiamiamo sempre per i nostri trasferimenti. Tenete presente che dalla strada dove ci sono i resort, o comunque dalla nostra casa, alle spiagge o al ristorante spendevamo circa 100/150 ksh a tratta. Potete spostarvi anche con i bajaji, le moto di cui vi dicevo prima, ma noi non ci fidavamo più di tanto: viaggiano anche in 3 o 4 sulla sella, con una guida abbastanza spericolata, senza casco e senza niente. Quindi abbiamo optato sempre per il tuk tuk.

Giovedì 30 Gennaio

Ci svegliamo verso le 8.00, colazione di fianco alla nostra splendida piscina con Kasimu che ci raccoglie due cocchi freschissimi dalla palma del giardino! Fantastici. Verso le 9.30 siamo alla spiaggia di Garoda. Questa spiaggia prende il nome dal resort che sorge proprio di fronte ad essa. Per fortuna ci sono delle aree in cui potersi rilassare anche al di fuori del tratto di sabbia riservato al resort stesso. E’ la spiaggia più a sud che visiteremo, famosa per le sue acque turchesi. E’ un posto meraviglioso: sabbia bianca come borotalco, talmente chiara da non riuscire a guardarla senza occhiali da sole. C’è di nuovo bassa marea ma stamattina in cielo è più sereno; una lunga lingua di sabbia fuoriesce dal mare e ci permette di raggiungere a piedi l’isolotto in lontananza, a forma di tartaruga. Camminiamo in queste acque cristalline in mezzo a pesci e molluschi, Alessandro scatta una quantità incredibile di foto! Da sinistra si vedono arrivare le barche del safari blu, che portano i turisti a Sardegna 2, altra spiaggia paradisiaca. Le barche giungono fin qui a Garoda, sostano qualche momento per far fare il bagno ai turisti e poi ripartono. Il mare è blu in lontananza, turchese, azzurro e trasparente vicino a noi. Un sogno. La costa vista dal mare è ancor più bella, con la linea di palme verdissime che fa da cornice, la sabbia candida e dietro le palme nuvoloni grigiastri: ma nulla di cui preoccuparsi, il cielo in Kenya non è mai completamente sgombero dalle nubi. Il clima è sempre molto ventilato e non si patisce per niente il caldo. Anche qui affittiamo i lettini, sempre 200 ksh l’uno. I lettini mare in Kenya sono fatti di corda intrecciata, con le 4 gambe e il telaio in legno. Non aspettatevi cuscini, materassini o altro…asciugamano e via! A differenza di Ocean Breeze, dove potete trovare un po’ di ombra solamente sotto le palme, qui a Garoda c’è una tettoia fatta con dei teli coloratissimi, quindi è più facile stare al riparo dal sole nelle ore più calde.

Rientriamo verso la costa e ci rilassiamo un po’ al sole, poi si va a pranzo. Mentre siamo in spiaggia parliamo con la titolare dell’agenzia di viaggi del nostro safari. Già prima di partire le avevamo versato la quota per il safari di 3 giorni, che comprendeva 1 notte a Tsavo East e 1 notte ad Amboseli. Purtroppo nessun altro si è aggiunto al nostro itinerario e pertanto io e Alessandro dovevamo decidere se fare il safari in jeep da soli, pagando la differenza della quota versata prevedendo 6 partecipanti, oppure rinunciarvi del tutto, o ancora fare il safari di 2 giorni che ci avrebbe portati solamente a Tsavo East. Avevamo già versato 370 euro a testa per i 3 giorni in pensione completa, escluse le bevande. Ci facciamo quindi fare una quotazione per la differenza: siamo venuti qui appositamente per il safari e piuttosto rinunciamo ad altro ma a questo di certo no! Alla fine ci dicono che avremmo dovuto versare ancora 180 euro a persona. In men che non si dica ci facciamo due conti, decidiamo di rinunciare al Safari blu di Sardegna 2 (che ci sarebbe costato 45-50 euro a testa) e alla grigliata di pesce con uscita in barca che ci avevano proposto i titolari della struttura ricettiva in cui alloggiamo (non sapevamo esattamente il costo ma bene o male ci sarebbe costato uguale) e confermiamo il nostro tanto atteso safari. Che emozione: si partirà dopodomani, venerdì 1 Febbraio e si ritornerà il 3. Una jeep tutta per noi. Ci affideranno a Mohamed, che ci farà sia da autista che da guida, permettendoci così di risparmiare qualcosa sul prezzo del safari.

Pranziamo con un bel piatto di pasta al sugo di pesce (870 ksh in due) e decidiamo di dedicare il pomeriggio alle rovine di Gede. Gede è una città abbandonata, che si trova all’inizio della strada per Timboni. L’antica città è costituita da palazzi, moschee e residenze circondate e avvolte dalla giungla lussureggiante. Gede, inspiegabilmente abbandonata nel XVII o nel XVIII secolo, fu fondata da mercanti arabi e giunse a contare 2500 abitanti. Oggi le rovine sono parte del Gede Ruins National Monument e si trovano all’interno dell’Arabuko Sokoke Forest Reserve. Qui a Gede gli archeologi hanno trovato le prove della natura cosmopolita della società swahili: collane d’argento con l’effige di Maria Teresa, iscrizioni arabe, monete cinesi e attrezzi per la preparazione di vermicelli asiatici, sciabole persiane, lampade indiane, caffettiere arabe, forbici spagnole. Ogni residenza o palazzo in cui è stato rinvenuto un reperto è oggi segnalato con un cartello, perciò vi capiterà di incontrare “la casa delle forbici”, “la casa delle monete”, “la casa delle perle”…e così via.

Arriviamo all’ingresso delle rovine, acquistiamo 2 biglietti al costo di 1000 ksh e prendiamo una guida sempre per 1000 ksh. Ci accompagnerà Bob nella nostra visita, che parla un ottimo italiano..con un inspiegabile accento toscano! Lungo la strada per Gede abbiamo avuto modo di passare attraverso alcuni villaggi: le rovine sono piuttosto spostate all’interno rispetto alla strada principale. Se vorrete, avrete la possibilità di fermarvi e comprare delle banane da offrire alle scimmiette che vi daranno il benvenuto all’ingresso dell’area protetta (sono tutti cercopitechi verdi, ma badate a non toccarli, le scimmie sono sempre portatrici di molte malattie).

Bob inizia a spiegarci la storia delle rovine, conducendoci lungo il percorso che si snoda nella giungla. La visita è molto interessante in quanto Bob non si limita solamente a fornirci i dettagli storici di Gede, ma ci descrive molto dettagliatamente anche tutte le specie vegetali presenti; vediamo diversi baobab e l’albero del flamboyant, bellissimo con i suoi fiori rossi.

La visita dura circa un’oretta e si snoda tra tutte le varie case, l’area del tempio, del palazzo del re. Infine si arriva a un’area più nuova dove ha sede il museo dei reperti archeologici rinvenuti nel sito. Salutiamo e ringraziamo Bob e attendiamo il nostro tuk tuk per il rientro.

Per cena scegliamo di provare il chapati (specie di piadina che funge da pane e accompagnamento) insieme alla capra in umido al sugo con un contorno di verdure per me, mentre Ale opta per il manzo al sugo, sempre con le verdure. Buonissimo come sempre!! spesa 780 ksh in due.

Venerdì 31 Gennaio

Sveglia di buon’ora come tutte le mattine, colazione e poi ci dirigiamo verso Ocean Sport. Ocean Sport prende il nome dal resort che si affaccia sulla sua spiaggia: si entra quindi dal resort stesso (che fa anche da ristorante) e si accede direttamente al mare. Passeggiamo lungo la barriera approfittando della bassa marea, che ci permette di gironzolare anche dietro gli scogli, raggiungendo la Blue Lagoon, nella baia seguente. Dietro la scogliera, c’è un’insenatura dove solitamente le tartarughe vengono a deporre le uova. Ci fermiamo quindi a fare un bagno nelle piscine naturali della laguna: qui l’acqua crea delle pozze, dove è possibile immergersi molto comodamente. Vicino a noi alcuni ragazzi mostrano il loro corredo di stelle marine, meravigliose. Rosse, grigie e blu: Alessandro scatta qualche foto e lasciamo a loro due o tre monete. Prima che la marea inizi a salire, decidiamo di dirigerci verso la spiaggia di fronte a noi, che viene identificata come la spiaggia del Barracuda e dell’Acquarius (prendono sempre il nome dai resort). Questa spiaggia è detta anche la spiaggia che suona: la sabbia qui è talmente fine che sembra borotalco e scrocchia sotto i piedi come se steste camminando sulla neve.

Pranziamo con un meraviglioso piatto di frutta e una macedonia: qui la frutta è talmente dolce che sembra sciroppata!

Al pomeriggio torniamo alla spiaggia del Barracuda, ma resistiamo poco, il sole oggi è rovente! Prendiamo qualcosa al bar lì vicino e poi ci dirigiamo verso il centro di Watamu per un buonissimo gelato alla gelateria “da Anna e Andrea”, la più famosa di Watamu. E’ gestita da una coppia di italiani e il gelato è veramente buonissimo, un po’ più caro rispetto alla media dei prezzi locali ma ne vale veramente la pena.

Approfittiamo della vicinanza del casinò per cambiare un po’ di euro. Il cambio è favorevolissimo e ci servono contanti per i giorni di safari. Alla sera è possibile cambiare banconote fino alle ore 19. In alternativa potete scegliere gli sportelli bancari, da dove potete facilmente prelevare in scellini kenioti direttamente con la vostra carta. E’ preferibile utilizzare la postepay se ce l’avete o comunque una carta del circuito VISA: le Mastercard soprattutto a Watamu non sono molto accettate, dovreste spingervi fino a Malindi per poterla utilizzare.

La sera scorre tranquilla tra la cena e i preparativi per la partenza per il safari del giorno dopo. A nanna presto, domani ci aspetta una levataccia! E sarà solamente la prima..

Sabato 1 Febbraio

Finalmente si parte! Il tanto atteso safari è finalmente arrivato. Sveglia di buon’ora e alle 6.30 la nostra guida, viene a prenderci a Fabio’s House. Raggiungiamo le altre jeep del gruppo allo Swahili Cafè e dopo aver sbrigato le formalità di prenotazione, partiamo. Saliamo a bordo della nostra Toyota Land Cruiser gialla e verde; siamo gli unici passeggeri ed è meraviglioso. La jeep ha 7 posti, con noi ci sono altre 2 auto con a bordo due famiglie con bambini. Risaliamo la strada principale fino ad incrociare la via per Malindi, giriamo a sinistra al bivio e dopo poco iniziamo ad inoltrarci nello sterrato…che non abbandoneremo più, fino all’ingresso di Tsavo East. Da Timboni per arrivare a Tsavo sono circa 110 km: entriamo al parco alle 9.45, 3 ore e un quarto per fare 110 km, questo è lo sterrato! Attraversiamo molti paesaggi diversi e la guida inizia a spiegarci le tipologie di alberi che incontriamo. Vediamo tantissimi mango, alberi enormi, oltre a piante di chinino, anacardi, baobab, alberi della lana. Le tribù locali utilizzano il chinino per curare ben 40 malattie: facendo un decotto con le foglie o la corteccia e bevendone il liquido ottenuto per due volte al giorno si può curare efficacemente la malaria. Questa prima parte di strada è territorio delle tribù Giriama (agricoltori). La strada è un susseguirsi di persone, piante, piantagioni, villaggi, bambini che corrono, donne dagli abiti coloratissimi, motociclette, tuk tuk, polvere. Tantissima polvere. Rossa. Bellissima. Per non farci mancare nulla, ci imbattiamo pure in un rally!! Perciò ogni due per tre dobbiamo tirar su i finestrini all’impazzata per non diventare color mattone. Sulla strada per Tsavo ci imbattiamo in un dik dik, un’antilope piccolissima, anzi nana, che sta brucando qualche arbusto secco. La guida ci racconta che i dik dik vivono sempre in coppia, praticamente in simbiosi, tanto che se uno dei due muore, dopo pochi giorni anche l’altro si lascerà morire.

Alle 9.45 – come detto – varchiamo l’ingresso di Tsavo East, per la precisione Sala Gate. Appena fuori ci sono i bagni pubblici e un negozietto di souvenir. La guida si ferma una decina di minuti. Poco più avanti, due ragazzi vi fanno avvicinare a un coccodrillo semi mansueto: lo cibano di frequente con pezzi di capra e lui piano piano se ne esce dall’acqua per accaparrarsi i pezzettoni di carne. Lo spettacolo mi fa un po’ impressione, ma Ale ovviamente non si fa scappare l’occasione di scattare qualche foto. Io preferisco dare qualche pezzettino di chapati alle scimmiette che se ne stanno tranquille sulle acacie.

Risaliamo in macchina e varchiamo l’ingresso del parco. Ogni macchina che entra e che esce viene registrata; targa, orario e guida. Gli ingressi al parco sono permessi dall’alba al tramonto. Tsavo si estende per la bellezza di 13.747 km quadrati, un’immensità. Tsavo East è il più grande parco nazionale del Kenya e, a differenza del suo gemello Tsavo West, è molto più piatto e arido: proprio grazie a questa caratteristica però qui risulta molto più facile avvistare gli animali. Ci aspetta ancora un bel po’ di strada prima di arrivare al nostro campo tendato. Ma ora inizia l’avventura.

La nostra guida/autista avvista gli animali in modo stupefacente mentre noi cerchiamo di aguzzare la vista come possiamo e piano piano iniziamo a scorgere le prime antilopi. E’ una meraviglia e un’emozione indescrivibile! Durante la mattinata costeggiamo il Galana River, fiume che nasce dalla fusione dello Tsavo River e dell’Athi River e che attraversa il cuore del parco e rappresenta la parte più settentrionale che la maggior parte dei turisti è autorizzata a visitare. Lungo il corso del fiume ci imbattiamo anche nelle Lugards Falls, cascate che scendono lungo canali rocciosi scolpiti dall’acqua, e il Crocodile Point: qui iniziamo a vedere qualche testolina che sbuca dal pelo dell’acqua..no, non sono coccodrilli ma enormi ippopotami! Armati di binocolo riusciamo a vedere da vicino il movimento velocissimo delle loro orecchie.

Proseguiamo nel nostro percorso ed ecco apparire sempre lungo il fiume i famosi elefanti rossi di Tsavo. Sì proprio rossi: questo colore deriva dall’abitudine di immergersi nel fango rossastro per mantenere la pelle fresca ed evitare le punture degli insetti. Scorgiamo grandi maschi sull’altra sponda del Gala River, alcuni dei quali si spingono nella parte centrale del corso d’acqua per abbeverarsi e rinfrescarsi. Il sole è alto e caldo, gli animali sono quasi tutti rifugiati sotto le acacie o le palme. Vediamo anche una mamma col piccolo, poco distanti da noi: la mamma è zoppa, con un evidente rigonfiamento sul ginocchio posteriore. Un elefante mangia la bellezza di 200 kg di erba al giorno e beve 70 lt di acqua.

Poco dopo abbiamo la fortuna di assistere a uno spettacolo a dir poco emozionante: Mohamed ferma la jeep e ci indica una mandria di bufali alla nostra destra, nascosta dietro le acacie. Spegne il motore, attendiamo che i bufali prendano un po’ di confidenza e attraversino la strada davanti a noi. Ogni tanto qualche testolina nera sbuca dalle acacie e ci guarda, curiosa. Noi stiamo in assoluto silenzio, io con il binocolo e Ale prontissimo con la sua reflex per immortalare l’attimo del passaggio. Passa ancora qualche minuto, ma poi improvvisamente un bufalo prende coraggio, si lancia in una corsa velocissima ed ecco che tutta la mandria lo segue: attraversano la strada proprio davanti a noi, che scattiamo una marea di foto. Il rumore è assordante e veniamo investiti da un polverone rosso. Bellissimo. Il mio cuore batte all’impazzata davanti a questo spettacolo della natura. Tsavo si sta pian piano svelando a noi.

Sul percorso verso il campo tendato incontreremo giraffe, gazzelle, elefanti, impala (che si differenzia dall’antilope per via delle corna ricurve). Avvisteremo anche un’aquila appollaiata su un albero.

A un certo punto Mohamed nuovamente frena bruscamente e ci indica un enorme formicaio sulla sinistra. Non sappiamo come ma ha avvistato la testa di un’iguana che sbucava da un cunicolo! Ci spiega quindi che le formiche costruiscono il formicaio, dopodiché ci entra la mangusta… e per ultima l’iguana.

Alle 13 circa arriviamo al campo tendato Sentrim Tsavo East. Scendiamo dalla jeep doloranti e a dir poco impolverati. All’ingresso, nell’attesa di avere le chiavi della nostra tenda, ci viene offerto un bicchiere di succo di frutta e una salvietta umida e profumata per rinfrescarci, cosa che apprezziamo molto. Il tempo di portare gli zaini in tenda e si va a pranzo. Ci diamo appuntamento con Mohamed per le 16, quando faremo l’uscita pomeridiana. Il campo tendato è molto bello e accogliente. Non è molto grande ed è circondato da un recinto elettrificato. Guardie armate fanno la ronda all’ingresso. Abbiamo la tenda nr 8, che si affaccia proprio sulla recinzione, al di là della quale c’è una pozza artificiale dove vengono ad abbeverarsi gli elefanti! All’interno la tenda è enorme: innanzitutto non si tratta di una tenda come siamo soliti pensare. Il pavimento e le pareti fino a circa un metro di altezza sono in muratura, struttura sulla quale poi sono fissati i teli che costituiscono il resto della stanza, e il tetto. Le finestre sono dotate di zanzariere e teli oscuranti. L’interno è molto spazioso e pulitissimo. Abbiamo le zanzariere sul letto e il ventilatore, le bottigliette d’acqua per lavarci i denti e tutto il necessario per la doccia. Sulla nostra verandina ci sono anche due poltroncine e un tavolino. Ci diamo una rinfrescata veloce e andiamo a mangiare, affamati. Il buffet è ottimo e vario. Mentre pranziamo, ecco che un pachiderma si avvicina alla pozza, immerge la sua proboscide e comincia a spruzzarsi di acqua! Tutti corrono in cima alla piattaforma costruita appositamente per fotografare gli elefanti..ed ecco che le scimmiette che gironzolano liberamente nel campo cominciano a saltare sui tavoli e rubare tutto ciò che trovano! La vegetazione intorno alle tende è lussureggiante e vediamo tantissimi uccellini gialli, ma anche buceri dal becco rosso, gechi e iguane coloratissime.

Rifocillati e rinfrescati siamo pronti per l’uscita pomeridiana. Risaliamo in jeep e ripartiamo. Avvistiamo nuovamente giraffe, antilopi e impala, antilopi d’acqua, elefanti. Finalmente scorgiamo anche qualche zebra, ancora bufali. Arriviamo in un’immensa radura ed ecco lì, appollaiato tranquillamente su un ramo a terra, un babbuino. Non sono molto mansueti, anzi. Hanno dei denti affilatissimi.

Giungiamo nei pressi di un lago ed ecco che là, sull’altra sponda, Mohamed scorge LUI: Simba c’è. Io assolutamente ad occhio nudo non lo vedo. Ma come cavolo farà la nostra guida/autista? Prendo il binocolo e dopo un po’ lo inquadro. E’ meraviglioso: è un giovane e sta tranquillamente passeggiando lungo la riva del lago. Cammina e questo ci fa pensare che potrebbe venire verso di noi. Decidiamo di fermarci ed aspettarlo, a costo di perderci delle ore. Arrivano anche altre jeep, la notizia si è diffusa. Purtroppo ci sono anche i soliti maleducati, casinisti e irrispettosi. Ci appostiamo e non lo perdiamo di vista. Ale scatta qualche foto, con lo zoom al massimo. Il leone si muove, poi si ferma, annusa l’aria, si guarda intorno. Più vicino a noi, nell’acqua ci sono degli ippopotami. Il sole sta tramontando e lo spettacolo è incredibile. Passa un’oretta ma Simba non ha nessuna intenzione di avvicinarsi ulteriormente. Ora lo vediamo più da vicino, distinguiamo la criniera muoversi al vento e il profilo del muso è ben definito. Guarda verso di noi e poi si stende, come a dire “qui il re sono io e non ho nessuna voglia di venire verso di voi”. E’ ormai il tramonto inoltrato e purtroppo dobbiamo rientrare: non è consentito infatti rimanere fuori in safari oltre il tramontar del sole. Ripercorriamo la strada verso il campo e nell’imbrunire vediamo un gufo enorme e una giraffa a pochissima distanza dalla nostra jeep.

Doccia, cena e poi verso le 21.00 andiamo in tenda: dalle 22.00 alle 5.00 vengono spenti i generatori di corrente e approfittiamo dell’ora di elettricità per preparaci per il giorno dopo. Al ristorante c’è a disposizione un’area dove poter ricaricare batterie della fotocamera e cellulari. Rientrando in tenda un suono fortissimo e sottile ci fa rabbrividire: Simba ruggisce nella notte. E’ una sensazione indescrivibile: sembra di averlo appena fuori dal campo tendato e invece chissà a quanti chilometri di distanza è. Distante o no, questo è sufficiente a farmi passare la notte in bianco! L’idea di essere in mezzo alla savana, senza corrente, con Simba che ruggisce e gli elefanti che vengono a bere fuori dalla tenda non mi fa prendere sonno. Ma anche questo fa parte dell’avventura africana….e poi il cielo nella savana è qualcosa di magico: sembra quasi di poter prendere la Via Lattea con le mani. Dormicchio.

Domenica 2 Febbraio

Ore 5.30 sveglia, è ancora buio. Ci prepariamo e alle 6.00 andiamo a fare colazione. Ore 6.30 partenza per il safari, direzione Amboseli. La temperatura alla mattina è piuttosto bassa, usciamo in pile e pantaloni lunghi. Risaliamo in jeep. La savana all’alba è forse ancora più bella che al tramonto. Una sottile nebbiolina ricopre gli arbusti più bassi e le antilopi e gli elefanti brucano pacificamente. Ci aspetta un viaggio di 300 km per arrivare ad Amboseli. Proseguiamo in direzione di Voi Gate e vediamo anche gli sciacalli e le manguste. Alle 7.20 siamo all’uscita del parco, la nostra guida sbriga le formalità di registrazione del mezzo e ritorniamo sull’asfalto. Ci fermiamo a fare rifornimento nella cittadina di Voi, appena fuori da Tsavo. La nostra jeep è dotata di doppio serbatoio, per ovviare alle emergenze, ma siccome le stazioni di servizio non sono tantissime ne approfittiamo. Gasolio a 99.80 ksh/lt.

Riprendiamo la strada che da Mombasa va a Nairobi, in direzione di quest’ultima. Poco dopo rientriamo nello sterrato e costeggiamo il Taita Hills Wildlife Sanctuary: è una riserva privata, quindi recintata. Vediamo verdi colline ricoperte di boscaglia, con una vegetazione molto più lussureggiante di Tsavo. La riserva si estende per 100 kmq e vediamo anche qui tantissimi elefanti vagare per le pianure. la guida ci spiega che nelle riserve private è possibile fare anche safari notturni, quando è più probabile vedere scene di caccia da parte dei predatori. Proseguiamo lungo la nostra strada e costeggiamo Tsavo West. Il viaggio verso Amboseli diventa esso stesso un safari, viaggiamo insieme a giraffe, tantissime zebre, congoni (simili a degli gnu ma rossastri) e vediamo persino un kudu. La pista è abbastanza sconnessa, perciò la velocità è molto ridotta. In lontananza vediamo gli struzzi: grigie le femmine e bianchi e neri i maschi, con le piume delle code rosse per via della terra di Tsavo. Questi volatili che non volano ma corrono sono in grado di raggiungere la velocità di 80 km/h.

Attraversiamo anche la riserva privata del figlio del presidente del Kenya, controlli su controlli anche qui in entrata e in uscita. Verso Taveta entriamo in Tanzania per buona parte del nostro percorso. Il paesaggio è verdissimo e molto più fertile. Prendiamo una pista, sempre molto traballante, e passiamo in mezzo a piantagioni di caffè, bananeti, mango e passion fruit. Tutt’intorno ci sono capanne e diversi villaggi: i bambini vedono arrivare la nostra jeep da lontano e corrono all’impazzata verso di noi. A piedi scalzi, coi loro vestitini sgualciti ci rincorrono e salutano, chiedendoci “sweet!! sweet!!”. Vogliono solo caramelle! Noi li salutiamo e non diamo loro nulla di ciò: il dentista da queste parti non è proprio alla portata di tutti! Sono bellissimi, ridono a più non posso e nei loro occhi si può leggere tutta la felicità dell’innocenza infantile. Io mi rattristo a vederli così, uscire dalle capanne fatte di fango e makuti o a volte anche di lamiera, immagino il caldo infernale che possono patire durante il giorno, vorrei portarli tutti a casa con me.

Rientriamo in Kenya all’altezza di Loitokitok. Qui il paesaggio è molto diverso dal Kenya visto fin’ora: siamo più in alto e tutto è molto più verde. Vediamo campi di girasoli, mais, agavi. Sulla nostra sinistra c’è il Kilimangiaro, che qui gli abitanti chiamano affettuosamente Kibo, ma non si vede, è tutto coperto dalle nuvole. L’aria è frizzantina e cominciamo ad accusare la stanchezza del viaggio e della levataccia.

Verso l’ora di pranzo arriviamo ad Amboseli. Il nostro campo tendato, il Sentrim Amboseli, questa volta è collocato fuori dal parco stesso. Amboseli è terra dei Masai, i leggendari guerrieri che con i loro abiti rossi e viola e i loro gioielli coloratissimi abitano le pianure del parco. Le capanne dove vivono i Masai sono diverse da quelle viste fin’ora. Sono a pianta circolare e non rettangolare, i tetti sono fatti di erba e non di makuti (foglie di palma intrecciate), le pareti sono fatte di sterco di mucche e capre e non di terra, in quanto i Masai hanno sempre gli animali nel villaggio. Sono elegantissimi nella loro camminata, con questi drappi a quadretti rossi e viola che spiccano in contrasto con la pelle color ebano. Alti e slanciati, sempre col bastone da guerriero in mano. Appena fuori dal parco vediamo zebre, kudu, dik dik e le giraffe masai, che si trovano solo qui.

Arriviamo finalmente al campo tendato, l’autista è stravolto per la guida e tutti abbiamo bisogno di riposare e mangiare. Appoggiamo gli zaini in tenda e poi andiamo a pranzo. Qui le tende sono tende a tutti gli effetti: solamente il pavimento è in muratura. Ci suggeriscono infatti di chiudere bene le cerniere dell’ingresso con il lucchetto perché le scimmie si divertono ad entrare e portar via tutto quello che trovano. Molto pulita e spaziosa anche questa sistemazione, con la verandina di fronte al letto, da dove ci dicono che alla mattina seguente avremmo visto il Kibo in tutto il suo splendore. Questo campo tendato è più grosso di quello a Tsavo, anche qui c’è una bella zona ristorante, tutta aperta sui lati e con un ottimo buffet, un bar, la piscina, l’area del falò e la reception.

Mangiamo, affamati. Alessandro ha un po’ di mal di testa e decide di tornare in tenda a stendersi un po’ in vista dell’uscita pomeridiana, io me la prendo comoda.

Alle 15.30 saliamo in jeep e ci dirigiamo verso Kimana Gate. Amboseli National Park ha una dimensione di 392 kmq ed è stato istituito Parco Nazionale nel 1974.

All’ingresso del parco troviamo un quartetto di donne Masai intente a vendere i loro coloratissimi braccialetti di perline. Entriamo ad Amboseli e subito ci rendiamo conto della diversità del paesaggio rispetto allo Tsavo: enormi praterie che dalle falde del Kilimangiaro si estendono a perdita d’occhio, punteggiate qua e là da acacie dalla tipica forma ad ombrello, tra le quali vagano silenziosi enormi branchi di elefanti. Un paradiso terrestre, soprattutto per me, che adoro gli elefanti! “E all’Amboseli ti toglierai lo sfizio di vedere elefanti..” mi aveva detto la titolare dell’agenzia viaggi prima di partire… Elefanti che qui sono grigi, chiari o scuri, mentre allo Tsavo sono rossi, per via della terra nella quale si rotolano dopo aver fatto il bagno, per allontanare la calura e tenere lontani gli insetti.

Oltre ad un numero ineguagliabile di pachidermi, incontriamo tantissimi gnu, zebre, impala, gazzelle, gru coronate…ma ad un certo punto arriva una chiamata alla radio e Mohamed accelera: hanno avvistato, poco lontano da noi, un gruppo di 3 leonesse con 6 cuccioli. Arriviamo in 5 minuti al punto di avvistamento, dove nostro malgrado ci sono già molte jeep appostate. Nonostante questo, armati di binocolo e con lo zoom della Nikon, riusciamo ad inquadrare questo spettacolo: leonesse e cuccioli se ne stanno accovacciati nell’erba alta, incuranti della nostra presenza, con le orecchie dritte dritte attente a scorgere il più impercettibile rumore. Più in lontananza, un bufalo solitario vaga nella savana, brucando erba. Al suo passaggio ravvicinato i leoni lo seguono con gli occhi…ma evidentemente hanno già la pancia piena! Poco dopo i felini si alzano e se ne vanno…finalmente i leoni a distanza (quasi) ravvicinata!!

Il pomeriggio trascorre così, tra avvistamenti vari, tra i quali anche una curiosa lepre africana. Ancora elefanti, gnu, impala e antilopi, bufali ed elegantissime giraffe. Prima del rientro, un’enorme branco di elefanti cattura la nostra attenzione. Decidiamo di raggiungerli perché secondo la guida potremmo vederli attraversare la strada proprio davanti a noi. Li avviciniamo: non ho idea di quanti saranno, 50, 60 o forse più. I grandi maschi con lunghissime zanne davanti, poi le femmine coi piccoli. I maschi ogni tanto si fermano, ci guardano (non siamo soli) e poi procedono nella loro marcia. Arrivano finalmente alla strada, nell’attraversarla alzano un polverone incredibile…che spettacolo della natura!!

Sulla strada di rientro verso il lodge scorgiamo sulla sinistra altre tre leonesse…che non hanno la benché minima intenzione di alzarsi! Stanno a godersi l’ultimo sole, che ora sta calando e diventa meno rovente. Una si alza, fa un giretto e si ributta giù. L’altra è tutta intenta a pulirsi l’enorme zampa. Stiamo lì per un po’ a curarle…ma nulla da fare, nemmeno questa volta avremo la fortuna di vederle vicino a noi.

Usciamo sempre da Kimana Gate e ritorniamo al lodge: il sole sta tramontando e crea una luce meravigliosa dietro le figure ramificate delle acacie. Come si fa a dire che l’Africa non ti ruba il cuore?

Doccia veloce in tenda e siamo pronti per la cena. Ci rendiamo conto di essere gli unici italiani nel lodge, pieno di americani, tedeschi e inglesi. Meglio così! Poco dopo cena ritorniamo in tenda, domani ci aspetta un’altra levataccia e il lungo viaggio di rientro verso Watamu. Questa volta non ho problemi ad addormentarmi prima che i generatori di corrente vengano spenti…crollo anche io distrutta da quest’altra intensa giornata.

Lunedì 3 Febbraio

Il mattino seguente ci riserva una meravigliosa sorpresa: apriamo la cerniera in fondo alla tenda ed eccolo lì… il Kibo innevato in tutto il suo splendore. E’ avvolto da una luce azzurrina, sono le 6.30 e l’aria è piuttosto frizzante. Usciamo subito dalla tenda per poter avere una visuale migliore e scattare qualche fotografia. E’ una vera fortuna riuscire a vedere la cima del Kilimangiaro! Lo spettacolo durerà per poco più di un’ora, dopodiché la grande montagna si rimette il suo cappello di nubi… ciao Kibo, piacere di averti conosciuto!

Colazione e si riparte. Altro breve game drive nel parco prima di rimetterci sulla via del ritorno. Alla mattina la savana da il meglio di sè, a mio avviso. Ripercorriamo la stessa strada del giorno precedente, quella dell’enorme branco di elefanti. Ad un certo punto l’autista ferma la jeep, apre la portiera e scende: con i piedi si aiuta a mettere un po’ di sterco secco di elefante in una borsa. Io e Ale ci guardiamo e non capiamo. Lui risale in macchina e ci spiega che si usa metterlo sul fuoco – quando è secco è quasi tutta erba secca, nutrendosi gli elefanti solo di questo – per allontanare gli spiriti maligni che impediscono ai bambini di riposare. Quando i bambini hanno gli incubi notturni, i genitori bruciano lo sterco di elefante, che sprigiona gli odori di erba secca e tranquillizza il loro sonno. La leggenda narra che un gufo si posa sul tetto della capanna e con il suo verso fa piangere i piccoli.

Giusto il tempo di scattare qualche ultima foto da cartolina con Il Kilimangiaro sullo sfondo, una striscia verde di acacie e gli elefanti grigi in primo piano..e dobbiamo salutare anche Amboseli.

Ripartiamo, usciamo dal parco e ripercorriamo la via dell’andata. Alessandro è da stamattina che è un po’ febbricitante. Ci fermiamo per pranzo in un ristorantino e subito dopo prende una tachipirina.

Incomincia un viaggio interminabile di circa 450 km. Ad un certo punto, entriamo in una zona bellissima, un enorme palmeto, verdissimo, con tanti villaggi sparsi qua e là nella vegetazione. Il percorso è quasi tutto sterrato e pieno di buche: stanno realizzando la nuova strada e perciò dobbiamo saltare di qua e di là della carreggiata per evitare i lavori. Mohamed si ferma per permetterci di allungare magliette e pantaloncini ai bimbi che ci vengono incontro. Qui sono molto più timidi e poco coraggiosi rispetto ai bambini che abbiamo incontrato lungo la strada per Tsavo, dove la popolazione è più abituata al passaggio dei turisti. Due fratellini si tengono per mano ma rimangono a distanza dalla jeep, mentre una mamma con una piccola sulle spalle ci ringrazia infinitamente per i vestitini che le abbiamo dato. Io richiamo l’attenzione dei due bimbetti, avranno bene o male 4 anni. Loro sono timorosi ma alla vista delle magliette che gli sto porgendo dal finestrino si avvicinano…mi fanno un sorriso a 50 denti e infine scappano correndo all’impazzata, ridendo come matti. Io ho le lacrime agli occhi..lo sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato e mi sarei commossa molto facilmente. Non hanno nulla, vivono in capanne di rami e fango, corrono a piedi scalzi fra le palme, portano in giro le loro caprette…eppure sanno regalarti una gioia infinita. Come è strano vedere come si può rendere felice un bimbo con una semplice maglietta, che noi avremmo invece buttato nella spazzatura perché molto probabilmente ai nostri bimbi non piaceva più…o forse a noi stessi non sembrava più adatta. Altro che Playstation o giocattoli.

Verso il tardo pomeriggio arriviamo sfiniti a Watamu e ritorniamo a Fabio’s House, distrutti. Ringraziamo infinitamente Mohamed per averci accompagnato in questa meravigliosa esperienza e lo salutiamo.

Alessandro ha ancora la febbre e io sono un po’ preoccupata: abbiamo scelto di non fare la profilassi antimalarica dopo aver letto molto su questo argomento e dopo aver ascoltato i consigli di tante persone. Abbiamo preso sempre degli omeopatici anche prima del viaggio, spray antinsetto a go go e tutte le precauzioni del caso. Siamo nel pieno della stagione secca e il pericolo di essere punti dalle zanzare infette è molto raro, ma sempre presente. Dovevamo andare a cena con la titolare dell’agenzia e Hadhir ma rinunciamo. Siamo talmente stanchi che non ceniamo nemmeno.

Martedì 4 Febbraio

La febbre è di nuovo presente, seppur non altissima. Su consiglio dei nostri amici decidiamo di recarci in una clinica a Timboni e di fare il test per la malaria, per toglierci qualsiasi dubbio. Altri sintomi non ce ne sono, ma è evidente che incominciamo a pensarle tutte. Il test costa 10 Ksh, circa 1 euro. Consiste in una punturina che viene fatta su un dito per prelevare una goccia di sangue, che viene poi analizzata tramite un reagente. Ci vogliono circa 15 minuti per avere l’esito. Attendiamo impazienti, anche se a detta di tutti, malaria non è. Arriva il responso dalla dottoressa… e tiriamo un sospiro di sollievo! Si tratta probabilmente di sintomi da stanchezza e sbalzo di temperature tra il giorno e la notte.

Decidiamo quindi di abbandonare l’idea di trascorrere un’ultima giornata di mare e ci rilassiamo allo Swahili Cafè e in piscina a Fabio’s House. La febbre inizia a scendere dopo l’ennesima aspirina e Alessandro si sente meglio.

Dedichiamo il pomeriggio all’acquisto di souvenir e poi ritorniamo a casa per preparare le valigie: domani – purtroppo – si parte! Prima di rientrare passiamo anche in una farmacia e acquistiamo il kit antimalaria: nelle nostre letture pre viaggio, che sconsigliano molto la profilassi (che fa più male che bene) ma piuttosto incoraggiano l’acquisto di queste medicine, avevamo letto di questa possibilità. Il kit costa circa 16 euro, se non ricordo male, e consiste in un vetrino per farsi il test da sé, insieme alla cura in caso di esito positivo: tre pasticconi da prendere mattina e sera, e la malattia è debellata. In Italia questa medicina non esiste, quindi il mio consiglio è di acquistarla sul posto prima di tornare, e se non la userete potrete sempre darla a qualche vostro amico che sta per partire per l’Africa.

Per cena Alessandro sta decisamente meglio e finalmente possiamo uscire con la titolare dell’agenzia, Hadhir, Rossella e tutta la compagnia per una cena di addio. Ceniamo in uno dei tanti “ristorantini” a bordo strada: quattro pali e un tetto di lamiera, qualche tavolo con sedie, la luce soffusa. Beh, pensate ciò che volete ma noi abbiamo mangiato il più buon pollo alla brace della nostra vita! Pollo, patatine, bibite e birra…per ben 6 euro, in 2 ovviamente! La serata trascorre tranquilla e spensierata, ma un velo di nostalgia già si fa sentire.

Mercoledì 5 Febbraio

Ecco arrivato il giorno della partenza. Salutiamo i titolari della struttura ricettiva in cui abbiimo alloggiato, passiamo dalla titolare dell’agenzia viaggi, scattiamo qualche ultima foto di gruppo e con la tristezza nel cuore salutiamo queste meravigliose persone che ci hanno permesso di scoprire un Africa un po’ meno turistica e un po’ più autentica, con la promessa di tornare presto! Asante sana Kenya!



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