La mia Londra di parte 1
Il giorno della partenza arriviamo in aeroporto con largo anticipo, il che non è da me, io odio l’attesa, preferisco il brivido della paura di perdere l’aereo, ma la mia mamma non condivide affatto la cosa e perciò sono costretta ad una snervante attesa. Il volo ( Parma-Stansted) dura un paio d’ore e non appena arrivati in aeroporto prendiamo il bus (terravision,precedentemente prenotato su internet) fino a Liverpool street dove si trova la metropolitana. In cima alle scale rimaniamo immobili, una mandria umana si muove alla velocità della luce, gli sguardi non hanno il tempo di incrociarsi. Ci gettiamo nella mischia, raggiungiamo una biglietteria, biascico qualche parola d’inglese, tiro fuori qualche banconota e riesco ad ottenere due oyster card (con cui poter prendere tutti i mezzi per una settimana), una cartina della città ed una della metro. Sapevo bene che mia madre era l’esatto opposto di una guida turistica e perciò la responsabilità di non perderci era tutta mia e alla fine me la sono cavata egregiamente. Ci dirigiamo subito presso lo “star hotel”, ad Hammersmith, giusto il tempo di posare i bagagli e darci una rinfrescata. Ad accoglierci c’è il proprietario, Luigi, un italiano figlio di emigrati, gentile e disponibile ci da alcuni consigli e per la cena ci indirizza in un locale li vicino. Decidiamo di seguire il consiglio: il “queen’s head”è un tipico pub inglese, accogliente,intimo, ed è pieno di gente, ci lavora un ragazzo italiano che ci fa accomodare e ci consiglia i piatti più buoni, opto per “sausages and mash”, delizioso! La storia del ragazzo italiano mi interessa e così curioso un po’ nella sua vita, mi racconta che è milanese ed abita a Londra da tre anni nel corso dei quali però è stato anche altrove, trascorrendo alcuni mesi in Australia e poi in Thailandia,”mio fratello mi chiama il vagabondo” mi confessa sorridendo. Solo la prima delle tante storie di italiani a Londra che incontrerò nei giorni a seguire, ci sarà il gelataio sardo, lì solo da poche settimane che parla un pessimo inglese, dopo la laurea si è visto chiudere tutte le porte in faccia e così ha deciso di partire, e poi Manuel, ventenne, fa il commesso in un negozio di scarpe, romano di origini siciliane vive a Londra da nove mesi, “mi sono stufato dell’Italia” mi dice. In pochi minuti di conversazione, con un gran bel sorriso e una gentilezza tutta italiana dimostra non poca intelligenza, spazia dalla politica, alla cultura, all’arte, sa quello che dice. La madre vorrebbe che ritornasse ma lui non ci pensa nemmeno. Sono storie che mi hanno fatto sognare e riflettere,sono una di quelle che ha sempre voluto fuggire forse anche un po’ da se stessa, fuggire dal paesello, e ora anche dalla città, “me ne vado a vivere a Londra”,”voglio girare il mondo”,quante volte me l’hanno sentito dire amici e parenti, e tutti questi racconti non hanno fatto altro che dar credito a ciò che già pensavo, hanno solo incrementato la mia voglia di fuggire da un’Italia per certi versi fantastica e per altri troppo stretta. Sto divagando. Salutiamo il ragazzo italiano e torniamo in hotel,la sveglia suonerà all’alba per il primo vero giorno nella City.
E’ sabato mattina perciò è d’obbligo la fermata al famoso mercatino di Portobello per finire poi a Notting hill. Sembra proprio di stare in un film, le case, le forme, i colori, tra un po’ mi aspetto che Julia Roberts sbuchi dall’angolo. Mi guardo intorno. Una fila infinita in un negozio di dischi, bancarelle vintage, ciambelle e cupcakes. I negozietti del mercato di Portobello nascondono dei piccoli tesori, meraviglie per collezionisti e tasche piene soprattutto. Prime edizioni di libri celebri chiusi in una vetrina, macchine fotografiche d’epoca…mi brillano gli occhi.
La meravigliosa ed insolita giornata di sole ci porta poi ad Hyde Park, ci fermiamo davanti la “serpentina” ovvero il lago artificiale del parco, ad ammirare lo spettacolo. Adoro i parchi forse più di monumenti e musei, vorrei sdraiarmi sul prato e trascorrere lì il resto della mattinata ma il tempo è poco e quindi zaino in spalla e piede in cammino, dopo aver scattato qualche foto costeggiamo a piedi la serpentina fino ai kensington gardens, i due parchi sono praticamente attaccati eppure appena lasciatoci alle spalle il confine con hyde park la vegetazione sembra cambiare; continuiamo a camminare, passiamo per le fontane dei giardini italiani, un pranzo veloce su una panchina, una famiglia al completo con 5 cani al seguito gioca non lontano da noi, riposiamo un altro po’ i piedi e dopo un immancabile saluto alla statua del mio amico Peter Pan torniamo alla metro, direzione Buckingam Palace.
Attraversiamo green park, è gremito di gente, seguiamo la folla e ci ritroviamo davanti a questi enormi cancelli neri e dorati, poco più in la ecco la residenza della regina che, a dire la verità,non mi entusiasma molto. Probabilmente all’interno sarà meraviglioso e non provate a circuire la zona per vedere il retro perché è enorme, c’è una piccola città dentro, ma ciò che si vede dall’esterno non mi colpisce affatto,una costruzione molto fredda. Diamo un’ultima occhiata e ci avviamo alla volta del British museum, seguito a ruota, nel corso della settimana, da National gallery, Victoria and Albert museum, e Natural History Museum. I musei, tra i più importanti al mondo, sono straordinari, alcuni architettonicamente incredibili, che a vederli da fuori mai si penserebbe a dei musei, custodiscono una raccolta di scienza, arte, storia, cultura, di meravigliose ricchezze, un incrocio fra passato e presente. Mi meraviglio e un po’ mi arrabbio per l’elevato numero di opere italiane che stanno lì, in una terra che non è la loro, a farsi ammirare da gente di tutto il mondo. Com’è che si dice? “Nemo profeta in patria”. Non è altro che la metafora di ciò che siamo e a confermarlo ci sono le decine di ristoranti e locali italiani, sparsi ad ogni angolo della città, “arancine, pasta, pizza, vero caffè italiano”. Che paradosso. Riflessioni a parte, i musei sono la parte più stancante del viaggio, così quando il sole comincia a scomparire e le forze cominciano ad abbandonarci, optiamo per una passeggiata tra Picadilly Circus e Leicester Square. E’ sempre pieno di artisti di strada, li adoro, c’è il chitarrista solitario, la coppia di ragazzi che suona il bongo, una crew che fa hip hop, un gruppo sui pattini a rotelle, ognuno con il suo piccolo grande talento, qualcuno è davvero in gamba. Mi ha sempre affascinato questo modo di vivere, questo modo di fare spettacolo e perché no, in certi casi, questo modo di essere artisti. La città senza di loro non sarebbe la stessa, sarebbe meno viva… (to be continued)