La magia del New Mexico e l’imponenza dell’Arizona

Un'esperienza indimenticabile che permette di respirare a pieno l'atmosfera ancora tangibile delle popolazioni indiane
Scritto da: america76
la magia del new mexico e l'imponenza dell'arizona
Partenza il: 21/07/2012
Ritorno il: 06/08/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
L’ennesima avventura americana ha inizio il 21 luglio da Milano Malpensa.

Dopo mesi di studio di itinerari e possibili paradisi da esplorare, io e Lisa ci siamo trovate entrambe attirate dal New Mexico e da quella parte dell’Arizona ancora a noi sconosciuta.

In territorio americano il tutto comincia effettivamente all’aeroporto di Albuquerque, dopo un viaggio interminabile fatto di due scali e soste di un paio d’ore sia a New York, sia a Houston. Nonostante la stanchezza, la mattina seguente alle sei siamo già in piedi, impazienti di “assaporare” e “tastare” le prime sensazioni che questa stupenda parte d’America è pronta ad offrirci.

Una volta ritirata la macchina a noleggio, e dopo aver fatto una sosta al DINER 66 per l’immancabile mega-colazione all’americana, iniziamo il nostro viaggio; la luce del New Mexico è spettacolare e, andando ben al di là di ogni nostra aspettativa, i primi paesaggi che ci si pongono dinanzi agli occhi ci fanno subito capire di aver scelto, per la nostra avventura, una terra fantastica.

La nostra prima tappa prevede una sosta ad Acoma Pueblo, chiamato anche Sky City, antico villaggio occupato in passato da indiani pueblos e considerato il sito più a lungo abitato in tutti gli Stati Uniti; la strada quasi deserta per giungere in questo luogo magico attraversa piane immense e ci permette di spaziare a 360 gradi con la vista e le emozioni.

Dopo essere salite un po’ di quota, improvvisamente giungiamo in cima ad un’altura da cui ammiriamo un panorama che ci toglie letteralmente il fiato: immensi altopiani si innalzano e si distendono in lontananza davanti a noi, in contrasto con la vastità della pianura su cui sono adagiati, il tutto contornato da voci in sottofondo di anziane signore indiane, che ci raccontano delle tredici famiglie discendenti dagli antichi che ancora vivono in cima alla mesa.

Durante il tour, la giovane guida indiana incaricata di condurci per le strette e polverose vie del villaggio, ci racconta lo svolgersi della vita quotidiana di questa straordinaria popolazione, sia nel passato, sia ai giorni nostri, trasmettendoci il forte rapporto che intercorre tra loro e le loro vaste terre, teatro, purtroppo, di sanguinose battaglie contro i conquistatori spagnoli.

Grazie all’atmosfera e ai racconti legati a questi luoghi, io e Lisa trascorriamo il tempo in macchina necessario per arrivare alla prossima tappa, discutendo e immaginando tempi lontani, consapevoli di aver visitato un posto assolutamente straordinario.

Dopo qualche ora di macchina, giungiamo alla tramvia più lunga del mondo che ci trasporta al di sopra di profondi canyon e terreni mozzafiato. Dalla cima del Sandia Peak la vista spazia su tutto il New Mexico, con la sua vastità e colori, mentre intorno a noi la flora e la fauna locali rendono il contesto ancora più bello.

Una volta scese, proseguiamo il nostro percorso verso sud-ovest, alla volta del tanto sospirato White Sands National Park.

Prima di arrivare presso le dune bianche prendiamo una deviazione segnalata dalla mia guida: a pochi chilometri dalla destinazione appare improvvisamente un museo di missili a cielo aperto, controllato da militari che ci avvisano di non scattare fotografie alle zone circostanti, in quanto considerate di proprietà del Governo Federale.

Nel tardo pomeriggio arriviamo finalmente al Visitor Center dove i rangers di turno, ci mostrano i tragitti possibili all’interno del parco, sia in macchina, sia a piedi, e ci illustrano la possibilità di effettuare un tour al tramonto sino al centro delle dune, accompagnati da uno di loro.

In attesa del tour iniziamo la nostra esperienza all’interno di questo straordinario e unico luogo: chilometri e chilometri di dune di un bianco accecante, di dimensioni davvero sterminate, si susseguono in tutta la loro bellezza in uno scenario a dir poco surreale.

Tolte le scarpe, come consigliato dai rangers, iniziamo la nostra esplorazione a piedi cercando di non perdere il senso dell’orientamento; la piacevole consistenza della sabbia allieta le nostre continue salite e discese, e la ricerca dello scatto perfetto ci porta a immortalare decine e decine di paesaggi diversi.

Arrivata l’ora prestabilita, siamo pronte a seguire la guida che, con il tipico senso dello humour che contraddistingue i rangers, ci racconta la storia della nascita delle White Sands e i metodi di sopravvivenza delle diverse specie di animali e insetti presenti nell’area.

Le luci del tramonto, leggermente offuscate dalle nuvole nere foriere di un imminente temporale, ci regalano dei colori mozzafiato, da cartolina.

Con nostra gioia scopriamo che la chiusura del National Park è prevista per le dieci di sera! Dopo aver salutato la ranger, torniamo in cima alle dune per goderci appieno il silenzio portato dal calare della sera; sono, queste, sensazioni che non è affatto facile descrivere a parole, sensazioni da provare una volta nella vita.

La mattina seguente, come sempre di buon’ora, partiamo alla volta di El Paso, città texana situata al confine con Messico e New Mexico; il caldo da queste parti è notevole ma ciononostante l’euforia di percorrere e attraversare queste strade di forte stampo messicano ci rende adrenaliniche.

L’intenzione principale era quella di salire su un’altra tramvia che ci avrebbe permesso di osservare dall’alto gli Stati menzionati (infatti da quelle parti dicono “sali e vedrai tre stati e due paesi”) ma purtroppo proprio quel giorno i Texani hanno avuto la “bella” idea di chiuderla.

Dopo aver acquistato un buon paio di stivali country, partiamo per le Carlsbad Cave, il sistema di grotte più lungo e, a mio avviso, più spettacolare del mondo; la distanza è parecchia e alla povera Lisa sono toccate più di quattro ore di macchina.

Arrivate a destinazione e trovata sistemazione presso un motel, ci affrettiamo verso il Visitor Center delle Cave per assistere a un vero spettacolo naturale: infatti, ogni giorno, al tramonto, da maggio a settembre, migliaia di pipistrelli messicani escono dalle viscere della terra alla ricerca di insetti, per poi rientrare puntuali la mattina seguente, all’alba.

Un anfiteatro accoglie i turisti arrivati da ogni parte del mondo per osservare questo volo straordinario, obbligati dai rangers a non usare i dispositivi elettronici.

La prassi prevede delle spiegazioni in merito a questi singolari animali sino al momento in cui, allertati da alcuni dispositivi posti all’interno della “bat-caverna”, i rangers avvisano dell’imminente uscita dei pipistrelli e dell’opportunità, nonché della necessità di rimanere in silenzio… lo scenario ha quasi dell’incredibile.

Tornati a quello che si può definire un paese, veniamo a conoscenza della chiusura, per motivi di sicurezza, dell’ascensore che dal deserto porta i visitatori al centro delle grotte. La preoccupazione è tanta in quanto – e qui i viaggiatori possono capirmi – quando hai un programma ricco di posti imperdibili da visitare, ogni contrattempo può rivelarsi un problema.

Fortunatamente il giorno seguente, a mezzogiorno, tutto rientra nella norma e io e Lisa veniamo calate in questo mondo scuro e misterioso che ci lascia senza parole: grotte enormi, un numero impressionante di stalattiti e stalagmiti, di dimensioni spettacolari.

Come da programma, iniziamo un tour prenotato dall’Italia per giungere sino al King’s Palace, uno dei tantissimi percorsi possibili, di facilità media, all’interno di questo sistema di grotte.

Come di consueto, il ranger di turno, esperto esploratore, ci permette di capire appieno ogni dettaglio e di comprendere le sensazioni dei primi uomini che si sono fatti scopritori di queste meraviglie.

Il secondo tour prevede il giro, della durata di ben più di un’ora, della stanza più grande di tutto il sistema di caverne, la “Big Room”: assolutamente impressionante e spettacolare!

Sempre più soddisfatte del nostro viaggio, ci allontaniamo anche da questa meraviglia naturale, stanche ma felici, per dirigerci verso Roswell.

Questa cittadina, famosa per il presunto schianto di un disco volante con relativo ritrovamento di corpi alieni, ha dell’incredibile! Tutto gira intorno a questo business; dietro ogni angolo si nasconde un UFO sotto qualsiasi forma, che sia un lampione o un manichino, e decine di negozi di souvenir alleggeriscono le tasche dei turisti divertiti. Prima di entrare al museo, facciamo una sosta in un tipico locale country dove mangiamo quello che riteniamo in assoluto l’hamburger migliore di tutto il New Mexico!

La proprietaria ci spiega, con nostro rammarico, che il sito del crash, a causa di atti di vandalismo, viene aperto ormai solo una volta all’anno, esattamente agli inizi di luglio, per commemorare l’evento. Durante questo “memorial day” la città si popola di migliaia di maschere aliene.

Nel museo vi è la possibilità di prendere visione delle varie testimonianze dell’epoca e di scegliere se schierarsi dalla parte degli ufologi, convinti dell’autenticità dei corpi, oppure da quella del Governo, pronto a smentire ogni presunta prova dello schianto.

Lascio il beneficio del dubbio a Lisa e, mantenendo non solo la mia convinzione, ma anche, da una parte, la mia speranza, dell’esistenza di altre forme di vita nell’universo, ripartiamo anche da questa tappa in direzione del Turquoise Trail.

Questo bellissimo percorso, che unisce Albuquerque alla capitale Santa Fe, ci obbliga a più di una sosta durante il percorso: decine di scatti qui sono inevitabili, sia per la bellezza dei paesaggi, sia per la particolarità dei piccoli paesi sorti lungo il tragitto. Di particolare rilievo è sicuramente Madrid, paese situato in uno stretto canyon nelle montagne Ortiz; in passato importante città mineraria, oggi si può ritenere una “ghost town” con diversi negozietti e bar stile saloon.

Terminato questo tratto di strada, giungiamo in serata a Santa Fe, la più antica tra le capitali federali degli Stati Uniti.

Nonostante la stanchezza, una volta trovato un motel non troppo costoso, decidiamo di uscire per goderci la serata in questa città caratterizzata da una forte impronta spagnola.

Dopo giorni trascorsi in mezzo a zone desertiche e paesini formati da poche case e strutture, trovarci a Santa Fe ci appare come un ritorno alla civiltà; la serata trascorre tra una cena veloce in un ristorante con tanto di musica country dal vivo, e una passeggiata nella piazza e via principale. Tutte le abitazioni sono costruite in “adobe”, un particolare impasto di argilla, sabbia e paglia essiccata al sole.

La mattina seguente ci dedichiamo alla visita della cattedrale dedicata a San Francesco d’Assisi e allo shopping nonostante già da una rapida occhiata della sera prima i prezzi ci fossero apparsi a dir poco elevati.

Data un’occhiata al programma, decidiamo di ripartire di primo pomeriggio a causa della lontananza della nostra tappa seguente: Shiprock. Descrivere le emozioni che questo luogo magico ci ha trasmesso è quasi impossibile: una leggenda narra di come gli indiani Navajo si siano messi in salvo dai nemici quando i macigni si sollevarono e volarono in questo luogo. Questa mastodontica pietra, caratterizzata anche dal prolungamento di un innalzamento della crosta terrestre è, in realtà, il cuore di lava basaltica solidificata di un vulcano di trenta milioni di anni fa.

L’atmosfera che si respira in questa parte del New Mexico, grazie anche al nostro arrivo verso l’ora del tramonto, ha qualcosa che riporta al tempo degli indiani d’America, quando ancora i pellerossa lottavano per le loro terre e le loro leggende riecheggiavano nell’aria e negli agenti atmosferici.

Imboccata una strada adiacente a Shiprock, riusciamo veramente a vedere questa formazione incredibile da tutte le angolazioni; anche qui più di una sosta è dovuta, il silenzio che regna in questo luogo è irreale.

La voglia di soffermarci e indugiare qui più a lungo ci fa un po’ perdere la cognizione del tempo che, come ben si sa, durante i viaggi trascorre inesorabile, e il calare della notte ci coglie impreparate e alla ricerca disperata di un motel!

Grazie al nostro GPS che ci segnala la presenza di un casino/hotel in mezzo praticamente al deserto del Colorado, riusciamo a trovare una sistemazione per la notte, non prima di aver mangiato ai mega buffet e tentato la fortuna alle slot machines!

La mattina dopo si realizza uno dei nostri sogni, mancato per poco in un precedente viaggio negli States: la visita al Four Corners, unico punto in America dove quattro Stati si incontrano (New Mexico, Arizona, Utah e Colorado).

L’eccitazione è alle stelle e, non appena arrivate vicino al cerchio diviso in spicchi, inizia subito il nostro servizio fotografico, fatto di mille e più pose con gambe e braccia nei quattro stati nello stesso momento.

Tutt’intorno decine di bancarelle di Indiani intenti a vendere i loro manufatti contribuiscono a rendere l’atmosfera ancora più magica.

Lasciatoci alle spalle il Four Corners, ci dirigiamo verso il Canyon de Chelly, in terra di Arizona, ancora ignare della bellissima avventura a cui saremmo andate incontro.

Arrivate al Visitor Center ci accorgiamo che in lontananza il colore del cielo volge via via verso un colore scuro e spettacolare; senza farci intimorire, iniziamo il nostro percorso all’interno del parco, fermandoci ad ogni singolo punto panoramico. Le formazioni rocciose che si mostrano ai nostri occhi hanno un qualcosa di incredibile; in forte contrasto col colore rosso delle rocce, una ricca vegetazione di un verde scintillante si estende per gran parte del canyon, regalando ai turisti e agli indiani abitanti di quelle terre dei panorami ineguagliabili.

A dir poco entusiaste, iniziamo a camminare sulle rocce per strappare a questi luoghi lo scatto migliore, sino al momento in cui il forte temporale che si preannunciava in lontananza inizia a farsi sentire. Una pioggia incessante inizia a cadere costringendoci a una ritirata all’interno dell’auto, in attesa di poter intraprendere un sentiero a fondo canyon per poter immortalare la famosa White House, casa antica scavata nella roccia dagli antichi Anasazi.

Cessata la perturbazione, decidiamo di affrontare la discesa, nonostante la presenza di un gruppo di bambini e adolescenti indiani intenti a disturbarci e saltare da una roccia all’altra senza la benché minima parvenza di paura.

Un po’ preoccupate per questi soggetti, con molta attenzione procediamo sul terreno scivoloso e friabile: l’umidità è elevata, ma la voglia di “tuffarci” in quest’avventura ci spinge a proseguire, nonostante l’insistente presenza dei piccoli indiani, intenti a seguirci con chissà quale scopo…

Dopo qualche minuto osserviamo la corsa in discesa di due guide indiane che, senza paura di inciampare o altro, in pochissimo tempo raggiungono la nostra posizione avvisandoci di un gruppo di turisti bloccati da un fiume in piena. Ancora più elettrizzate, decidiamo, con nostro passo, di seguire i due uomini per non rinunciare allo scopo della nostra faticosa camminata.

Arrivate in fondo e incontrati i turisti liberati, chiediamo alle guide di poterci accompagnare se non sotto, almeno vicino, alla White House e con nostra grande felicità vediamo realizzato il nostro desiderio: dopo aver guadato fiumi e inzuppato per bene i nostri vestiti, arriviamo finalmente a destinazione. Trovarsi di fronte a questa mirabile ingegneria del passato fa riflettere e capire che sin da antico tempo l’uomo, con la sua intelligenza, ha sempre cercato di difendere dai nemici se stesso e le sue terre.

Come ultimo punto, ma a nostro avviso primo per la spettacolarità, giungiamo a Spider Rock, guglia di arenaria che si innalza per 229 m. dal fondo del Canyon; il punto di osservazione rialzato permette una prospettiva straordinaria di questo mastodontico monumento naturale, la cui formazione negli anni ci lascia basite a tentare di riflettere sulla forza che gli agenti atmosferici imprimono su queste meraviglie.

Terminata la visita, procediamo verso Holbrook dove, grazie ad una mia ricerca su tripadvisor, riusciamo a dormire presso una catena di motel formata non da stanze ma bensì da tende in muratura! L’esperienza è fantastica, valutando anche il contesto in cui è stata vissuta, e la nostra “camera” originale e confortevole.

La mattina seguente partiamo per il famoso Meteor Crater, altra meta tanto desiderata sia da me, sia da Lisa. L’impressionante voragine lasciata dalla caduta di questo meteorite ci lascia senza parole; un percorso guidato tutt’intorno al bordo ci permette, sempre grazie ai rangers molto preparati, di comprendere appieno tutti i dettagli e i particolari dell’accaduto.

Il Meteor Crater è stato il primo cratere meteoritico terrestre di cui si sia accertata l’origine, e la vastità pianeggiante e desertica del paesaggio circostante ci fa immaginare questo enorme buco osservato dall’alto, in mezzo al niente più assoluto.

Con nostro rammarico lasciamo anche questo meraviglioso posto; il nostro viaggio in questi Stati sta per terminare ma, non volendo volare a San Diego senza prima aver rivisto per la terza volta il Grand Canyon e per la prima volta il Glen Canyon, famoso per ospitare il sito dove il leggendario fiume Colorado forma una curva spettacolare, decidiamo, come da programma, di allungare il percorso.

Verso sera, intorno all’ora del tramonto, arriviamo al Desert View, uno dei punti migliori nel South Rim dove osservare la magnificenza di questo enorme canyon. Lo spettacolo non tradisce mai le aspettative e il consueto temporale serale tipico di queste zone in questo periodo, ci dona dei contrasti e dei colori indimenticabili, nonché un arcobaleno scintillante.

Trovata sistemazione in uno dei motel strapieni della zona ci alziamo, sempre di buon’ora, impazienti di osservare il fiume Colorado e il suo percorso.

Grazie a una deviazione non prevista sul percorso, giungiamo in un punto dove ci è stato possibile toccare con mano il famoso fiume, come toccare l’oro puro! Con nostro stupore scopriamo da un ranger che le autorizzazioni per navigare il Colorado vengono rilasciate dopo quindici anni per le barche proprie e dopo appena un anno per tour guidati!

Fatto anche questo, giunge finalmente l’“ora x”: arrivate nel punto giusto iniziamo una camminata verso l’Horseshoe Bend: il passo è reso difficile dalla sabbia e dalla temperatura veramente alta ma la vista, una volta arrivate a destinazione, ci spezza e toglie letteralmente il fiato.

Questa curva nel canyon a forma di ferro di cavallo, scavata dal Colorado, è di una bellezza rara: la prima cosa che colpisce, oltre alle dimensioni della roccia scavata dal fiume, è il contrasto del rosso delle rocce con il blu del fiume, con il verde della vegetazione, con l’azzurro del cielo… una miriade di colori e di emozioni che solo certi posti al mondo possono trasmettere.

Speriamo che decine e decine di foto siano sufficienti per tentare di imprimere nella memoria ogni singola sfumatura… un posto incredibile, che commuove, che stordisce, che ti fa sentire vivo.

È ormai tempo di incamminarsi verso Phoenix, dove il giorno seguente ci aspetta l’aereo per San Diego.

Mille ricordi aleggiano nella mia mente e quella di Lisa…. forever.

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