La luce ed il buio
La savana a ridosso del fiume è verde, rigogliosa e vi sono oasi di palme che rendono il paesaggio meraviglioso, da cartolina.
Poi ci si addentra verso il Parco Nazionale Tsavo East per due giorni di safari, si attraversano tratti aridi, terreni verdi e terre rosse da cui prendono il nome i Red Elephant che vedremo più avanti.
I primi animali che incontriamo durante il nostro safari sono un antilope d’acqua e poi sul fiume due simpaticissimi coccodrilli, più avanti vediamo immersi in acqua alcuni ippopotami, proseguiamo e siamo rapiti da branchi di gazzelle, kudu minore, zebre, impala, poi alcuni bufali africani, il facocero, qua e la bellissime giraffe Masai, i dik dik, babbuini, simpatiche scimmiette e nelle vicinanze degli specchi d’acqua tanti, tanti elefanti, vediamo anche i marabù, l’uccello serpentario e con nostra meraviglia troviamo alcune leonesse in siesta e tre meravigliosi ghepardi. Abbiamo visitato un villaggio Masai abitato da 45 persone, il ragazzo Masai a cui ci affidiamo impavidi, ci introduce in una capanna di rami secchi e sterco di elefante dove vive la famiglia della sorella.
Siamo io, mia moglie Mariangela e nostra figlia Sara di 10 anni, entrando rimaniamo impressionati dal buio che però dopo alcuni secondi di adattamento visivo ci permette di vedere l’ubicazione dell’angolo cottura (due pietre), dei due giacigli fatti con rami e pelli di animale, quello dell’uomo sulla destra dove si accomodano Mariangela e Sara e quello della donna dove mi siedo io e dove sono presenti appunto la sorella con il suo adorabile bimbo di pochi mesi (6/7) che mi si attacca alla manica della t-shirt per tutto il tempo, il tutto in 3 metri quadrati ca.
Qui ci spiega alcune regole della vita Masai e ci prega di far sapere a tutti in Italia che i Masai non uccidono i leoni! Ci tiene tanto a questa cosa che ce la ripete più volte in cerca di una nostra conferma.
Usciamo e tutti i componenti di questo villaggio arrivando alla spicciolata, ci improvvisano alcune danze tribali e ci chiedono di recitare con loro una preghiera di buon auspicio contro la malaria, a favore dell’abbondanza di animali e per qualcos’altro ancora…
Infine ci mostrano come accendono il fuoco con un bastoncino ed un pezzetto di legno, due minuti di rollio et voilà una bracina che mettono su un po’ di sterco secco di elefante e un po’ di paglia ed il fuoco è fatto.
Siamo entrati nel loro villaggio con un po’ di timore, ora li lasciamo con il rimpianto di non aver saputo carpire di più delle cose che il nostro amico ci ha detto e che ci avrebbe potuto spiegare, per colpa del nostro pessimo inglese (poi i civilizzati siamo noi… Lui Masai, l’inglese lo sa!). Un giorno di riposo e ripartiamo per un’escursione in mare, dove troviamo alcuni delfini giocosi che nuotano a poche centinaia di metri dalla costa, infine ci addentriamo in un canale naturale contornato dalle mangrovie e lo spettacolo è completato da una dozzina di scimmiette che le popolano.
All’orizzonte vediamo decine e decine di fenicotteri rosa, ma purtroppo la bassa marea ci impedisce di avvicinarci.
Il buio: La povertà che ci troviamo di fronte è tanta, attraversiamo Mombasa, città di tre milioni di abitanti, che si riversano lungo le strade, c’è chi lavora con strumenti a noi oramai sconosciuti in fabbriche a cielo aperto e chi ozia in gruppo e guarda il passaggio.
Il paesaggio cittadino è un susseguirsi di edifici per lo più fatiscenti e baracche di lamiera che ospitano le varie attività quotidiane, in qualche quartiere vediamo recinzioni in muratura che finiscono con cavi elettrificati a protezione di ville di proprietà di uomini d’affari e politici.
Usciamo dalla città e notiamo come le baracche in lamiera lascino posto a capanne di rami, pietre e fango, abitazioni, dove vediamo donne che si occupano dei figli, della cucina o le vedi che trasportano taniche d’acqua o fascine di legna sulla testa anche per qualche chilometro, chi è più fortunato ha una bici o una moto.
Concludo con il disastro ecologico ed ambientale presente qui, ma credo in tutti questi paesi, che a questo punto sembra un problema secondario. I mezzi di trasporto sono obsoleti, camion di 40/50anni (di euro2/3/4 non se ne parla proprio), che sputano fumo nero e mi fermo con la tanto moderna plastica che anche qui è arrivata e che qui si ferma ad ogni angolo di strada, sparsa qua e la, per poi ritrovarla in cumuli che vengono regolarmente bruciati assieme all’altra spazzatura causando danno al danno.
Trovo anche un po’ di luce in tutto questo, sono i bambini, bellissimi, che dalle prime luci dell’alba percorrono per qualche chilometro i lati della strada e in gruppo, con le loro divise colorate, raggiungono la scuola.
Al nostro passaggio ci salutano pieni di gioia, speranza e fiducia che si legge nei loro occhi e ci riempie il cuore ma che lascia subito spazio ad un senso di impotenza che ci pervade. Perché tante differenze su questa nostra terra? Si canta JAMBO BWANA ovunque e la parola d’ordine qui è HAKUNA MATATA, te la senti ripetere 8/10 volte al giorno, significa “senza pensieri”, “non preoccuparti”, “no problem”,”tranquillo” è quello che vogliono dirti tutti, HAKUNA MATATA! Lasciamo una parte del nostro cuore qui (adesso che sono già trascorsi alcuni giorni dal nostro ritorno, la nostalgia si fa sentire sempre più), incapaci di realizzare soluzioni a tutto ciò.
Un pensiero va a quelle persone che ho conosciuto, anche se superficialmente, che da anni tornano in Kenya e con sacrificio e passione riescono a realizzare qualcosa di concreto per questi nostri fratelli meno fortunati.
La Luce: tutto ciò che avrei voluto vedere e che ho visto Il Buio: tutto ciò che non avrei mai voluto vedere e che ho visto (non dovrebbe essere cosi il mondo) Ugo Siena