La Gemma verde dell’oceano indiano
Non so se sia stato peggio essere accolti dal caldo, anche se nuvolo, o l’impatto con la realtà dell’aeroporto…! Dopo aver versato l’obolo di 50 $ per il visto di ingresso, la solita storia per il ritiro bagagli al banchetto: ti sussurrano di dare mancia per non farti controllare la valigia (per inciso, non ho visto nessuno a cui l’abbiano aperta) mentre un poliziotto in divisa gira con una manciata di euro… Io mi defilo ed evito l’offerta. Ti chiedono qualcosa anche quelli che ti passano la valigia, ma qui con un deciso ritiro non scucio nulla. Poi fuori basta che ti tieni stretto il bagaglio e segui le indicazioni dell’incaricato del tour operator, e fila via tutto liscio. È vero comunque che non sono particolarmente insistenti.
E così alle 8.30 si parte per Nungwi, a nord dell’isola. Intanto, nell’oretta di viaggio, ci si fa un’idea della vita al di fuori dei paradisi turistici, attraversando dapprima la periferia di Stone Town, il capoluogo, e poi altri paesini: vivere la giornata con poco o nulla, in case a dir poco fatiscenti di rozzi mattoni o spesso di fango, con rudimentali serramenti. Gente umile ma pronta al sorriso, sperando di ottenere qualche dollaro o regalino, specialmente i bambini. E in giro tanto tanto disordine e pattumiera, il tutto in una cornice di rigogliosa vegetazione di altissime palme, banani, grandi baobab e altri alberi e arbusti. Le strade, come è facile immaginare, non sono il massimo, manto disconnesso, pieno di buche.
Il parco mezzi è il trionfo di vecchi e scalcinati modelli di importazione giapponese e motocicli.
Dopo un ultimo tratto di sterrato, eccoci verso le 9.30 varcare la soglia di un altro mondo: siamo alla Gemma dell’Est, un’oasi paradisiaca ai margini del purgatorio! Dopo un veloce benvenuto e le consuete informazioni generali, ci assegnano le camere, cosa molto rapida essendo in pochi nuovi arrivati.
Ci viene assegnata un’inserviente che ci accompagna e qui la sorpresa: camera in villa, vicino al ristorante principale, a pochi metri da quella presidenziale.
Sono ville formate da 4/5 camere, una cucina, una camera di servizio e salone comune con tavolone, divani, luci soffuse, fiori freschi e profumi. Una delle 4 stanze è la nostra, la 451. La porta si palanca e un profumo di spezie ci assale. Che meraviglia! Letto a baldacchino con zanzariera, mobili in legno makuti, frigobar ben fornito, vassoio sempre a disposizione con infusi vari, bagno in marmo, doccia per due, rubinetterie, sanitari e diffusori di profumo italiani… tutto però molto sobrio ed elegante. Ma noi avevamo prenotato una standard…! Beh, va benissimo così!!! Il tempo di disfare i bagagli e, attraversando un’impeccabile giardino tropicale con varietà di piante provenienti da mezzo mondo (con tanto di cartellino esplicativo), tra sentieri, scalinate e passatoie arriviamo in spiaggia. Sabbia corallina, fine, bianchissima, accecante sotto il sole a picco. Ti accolgono gli inservienti che a seconda della palma o del lugo che scegli, ti portano sdraio o ombrellone. Abbiamo ancora qualche difficoltà a capacitarci di tanto splendore, pensando soprattutto a quel che avevamo visto lungo la strada.
Sono le 11.00. Il cielo si è aperto, non c’è più una nuvola. Il sole è quasi perpendicolare alle nostre teste, fa caldissimo ma con la brezza che è sempre presente non te ne accorgi poi tanto. Il mare color turchese è agitato.
Alle 13.00 si pranza al centrale: qui invece sono i camerieri a venirti incontro accompagnandoti al tavolo, spostandoti la sedia, sistemandoti sulle gambe il tovagliolo e chiedendoti cosa vuoi da bere. La varietà di pietanze è discreta, e la scelta è tra piatti freddi, pesce, spezzatino al curry o altri tipi di carne, contorni caldi, riso basmati in vari modi e l’immancabile banco della pasta… bollato off limit per questa vacanza. Poi però ci assale la stanchezza del viaggio e andiamo a riposare per quasi tre ore in camera.
Curiosando fra i vari opuscoli leggiamo che è possibile far colazione in villa. Ma sarà incluso? E si, ci dicono che è proprio incluso e così ne facciamo subito richiesta per la mattina seguente.
Cominciamo a perlustrare la zona facendo la prima passeggiata con una relativa bassa marea in direzione Nungwi, a nord. Alle 19.00 ammiriamo il primo spettacolare tramonto zanzibarino.
Al ritorno in camera vediamo che è stata rifatta e approntata per la notte: la zanzariera è stata aperta e sul letto, oltre ai consueti fiorellini, un messaggio multilingue di buona notte con due dolcetti. Cosa si può chiedere di più? Si cena, e poi proviamo il caffè moresco. E’ un locale in tipica ambientazione araba, in cui si può entrare solo a piedi scalzi per non rovinare gli splendidi tappeti che ricoprono il pavimento. Accomodati su bassi divani o puf si può gustare un buon te, caffè, altre bevande o fumarsi un narghilè con una calda brezza che agita i tendaggi.
Mai eravamo stati in un posto simile, potremmo anche abituarcisi! Puntuale alle 9.00, come nostra richiesta, la signorina incaricata ci annuncia che la nostra colazione è pronta: il tavolo è apparecchiato di tutto punto con bevande clade, succhi e frutta tropicali, pane, dolci, yogurt, marmellate. Il tutto vista mare.
Poi prima mattinata in spiaggia. Quando arrivi subito un inserviente ti viene incontro per accompagnarti all’ombrellone o alla palma scelta e se non ci sono sdraio disponibili, te le portano ed eventualmente anche l’ombrellone! La spiaggia, di origine corallina, è spettacolare: bianchissima e pulitissima, con pieno sole è accecante.
Il mare color turchese è caldino, non a livello caraibico ma gradevole.
Sotto non offre un granché e la barriera corallina è piuttosto lontana, motivo per il quale davanti alla Gemma le maree non sono così forti ma al max di una ventina di metri.
Più invece si va verso nord e quindi verso l’altra costa, più invece il fenomeno diveta sensibile e il mare letteralmente scompare, lasciando il posto a una pucia con alghe, non propriamente gradevole.
Quando avviene ciò, si vedono le donne del luogo raccogliere queste alghe che serviranno poi ad esempio alle case produttrici di prodotti di bellezza o simili, guadagnando “ben” 1$ ogni 10 kg! Altri invece recuperano conghiglie da rivendere ai turisti, o granchi… da mangiare. I resti non mentono!
Dopo il pranzo la prima escursione: si va nel capoluogo, Stone Town.
Abbiamo così l’opportunità di osservare il percorso un po’ meno stanchi di quanto non lo fossimo ieri all’arrivo.
Il tagitto, di un’oretta circa, è accidentato: tratti di quasi asfalto si susseguono a tratti di sterrato per eterni lavori in corso. In generale tutti sembrano prendersela molto comoda, all’insegna del motto “pole pole” trad. “piano piano”.
La vegetazione è variegata e ricca: altissime palme dominano il paesaggio con i loro decine di metri di altezza e sotto piante di ogni genere, con stradominanza di banani. Diversi sono anche i baobab.
I manufatti umani sono al contrario, a quallo che potrebbe essere il nostro giudizio, rudimentali se non addirittura arcaici.
Al di fuori dei paradisi turistici non c’è ricchezza e la gente si deve arrangiare con quello che trova.
Le costruzioni dei villaggi sono piccole, alcune di mattoni grezzi, molte di fango e tetti di legno o paglia e si fa difficoltà a capire la differenza che c’è fra abitazioni, negozi, magazzini o altro.
L’ordine e la pulizia come le pensiamo noi, qui sono un eufemismo. Uomini, ragazzi, donne nelle loro coloratissime vesti, galline, mucche e gatti magrissimi sembrano quasi aggirasi indolenti per le strade, osservando incuriositi (o infastiditi?) quei pullmini carichi di bianchi turisti.
Ogni tanto si vedono delle costruzioni basse con locali aperti e sbarre orizzontali alle finestre. Prigioni? No, scuole. Ed essendo un paese a maggioranza musulmana, bambini e bambine divisi ad ascoltare attenti il maestro armato di bacchetta per punire sulle mani le femmine e sul popò i maschietti che non sanno la lezione.
Poi i posti di blocco della polizia a controllare il traffico e se non ti fermi, come è capitato al nostro autista, un mega rimbrottone con multa e obbligo di presentarsi al comando il giorno dopo.
In giro si vedono bicilette, motorini e mezzi tenuti assieme alla bene meglio, la stragrande maggioranza di origine giapponese piuttosto datata.
Ecco la periferia di Stone Town, il traffico aumenta e anche gli edifici essumono vesti più usuali a una cittadina, anche se non proprio moderna.
Parcheggiamo nei pressi del mercato dove il brulicare della gente è notevole. Si inizia il giro nei vicoli, che a dire il vero in certi scorci hanno qualcosa di familiare con luoghi di casa nostra… I venditori cercano di appiopparti di tutto ma non li ho trovati particolarmente asfissianti.
Naturalmente coi turisti i prezzi sono enormemente gonfiati.
Si visita quindi il luogo dove venivano tenuti in passato gli schiavi, perché da Zanzibar partivano i traffici di navi negriere in mezzo mondo.
In questo edificio ci sono, nel seminterrato, due piccoli e bassi locali, male illuminati e aerati, dove erano stipati fino 50/70 anime ciascuno (uomini e donne separati) per tre giorni fino a che venivano condotti uno a uno nell’adiacente cattedrale (cristiana) per essere picchiati e venduti al miglior offerente, il tutto fino a che un giorno un uomo di chiesa pose fine a questa orribile tratta e qui giace sepolto dietro all’altare.
Fuori ad accoglierci, nei pressi del monumento che ricorda questo triste passato, un gruppetto di bambini piccoli con dei fiorellini. Come non farsi prendere dalla tenerezza: un sorriso, un regalino e li fai contentissimi.
Eccoci quindi a osservare spaccati di vita quotidiana, passando accanto a uomini intenti a lavorare il legno per costruire mobilia e portoni di pregiata fattura e a visitare il famoso mercato del pesce: un’esperienza indimenticabile che lascio a voi immaginare. Solo un particolare: scordatevi il ghiaccio per la conservazione e la temperatura elevata dell’ambiente circostante…! Altre stradine, impianti elettrici volanti con fili che escono e si intersecano ovunque, impalcature in legno che non danno l’idea di essere molto stabili con operai al lavoro… in prolungata pausa… e il coloratissimo tempio hindu, già perché qui a Zanzibar musulmani, cristiani e hindu convivono tranquillamante… hakuna matata, senza problema, e in questo devono esserci d’esempio.
Per chi vuole poi altri negozietti di prodotti artigianali di ogni genere.
La visita va terminando. Si transita dalla casa in cui è nato Freddy Mercury, quel giorno chiusa, e si arriva all’African House, locale in stile coloniale, per rilassarsi, bere qualcosa e ammirare il tramonto prima del rientro.
E anche il tragitto di ritorno offre le sue curiosità. I negozi… Si aprono, nella logica che durante il giorno col caldo è meglio starsene al fresco, si accendono le luci, per modo di dire, ovvero lampadine 40/60 watt penzolanti, gli anziani che fanno la loro comparsa e i bambini che si riuniscono in cortili a guardare in gruppetti la tv all’aperto. Scene affascinanti di un mondo lontano.
Ora che ci penso, non abbiamo visto alcun ospedale. Beh, qualcuno a chiesto alla guida locale. L’ospedale c’è ma è, testuali parole, da terzo mondo, assolutamnte fatiscente tanto che i medici tendono a scappare sul continente e per i turisti, in caso di ricovero, è previsto il trasferimento “rapido” via minijet a Nairobi in Kenya…! Giornatina abbastanza stancante, quindi cena e a nanna.
Le giornate in spiaggia si passano a crogiolarsi al sole sulla sdraia, in mare o nella grande piscina con fontana, idromassaggio e bar a bordo vasca.
E se si ha voglia di camminare, si può andare a sud verso Kendwa o a nord verso il faro.
La spiaggia ha sabbia molto fine di origine corallina ed è più o meno ampia a secondo della marea, e proprio per questo fenomeno si può percorrerla o meno per chilometri. Meglio informarsi prima di rischiare di rimanere sorpresi dall’acqua alta! Partendo dalla Gemma dell’Est andando a sud si trovano una sfilza di baracche con ragazzi del posto che cercano di venderti di tutto ma senza particolare insistenza, da infinità di batik di tutte le dimensioni, a parei, a statuette in legno, magliette, artigianato vario ecc. Parola d’ordine, contrattare e qualcuno è disposto anche volentieri a barattare.
Si incontrano altri villaggi più spartani, ragazzini che ti si avvicinano per salutarti, tutto molto tranquillo.
Verso nord forse è più bello. Si incontre una grossa struttura britannica e si fa evidente il fenomeno marea. Al largo infatti c’è la barriera corallina che rende molto sostenuto il fenomeno, tanto che il mare “scompare” davvero per centinaia di metri lasciando il posto a una bassa palude non particolarmente piacevole. Però camminando camminando si arriva al faro e sotto un mini acquario dove si trovano le tartarughe marine e grossi pescioni.
E qui si può fare pure l’incontro molto molto ravvicinato con uno spettacolare esemplare di pitone di 15 kg. Indimenticabile!!! La giornata più piena è stata però quella della visita all’isola delle tartarughe di terra e giro delle spezie.
Si parte presto alla mattina e si va a Stone Town per imbarcarsi su un dhow (abbastanza simile al dhoni maldiviano). C’è vento, il mare è mosso e si beccheggia. Wow che bello sennò sai che noia! E dopo una mezz’ora si giunge a Prison Island, l’isola delle tartarughe, chiamata così perché una volta era effettivamente un isola con carceri ora convertite a struttura turistica che, a mio parere e di gente del posto, l’hanno rovinata.
Si va subito alla struttura “santuario” delle tartarughe, colossi di centinaia di kg importati dalle Seychelles.
Si visitano le molto ex prigioni e poi si lascia l’isola senza particolari soddisfazioni per raggiungere una striscia di sabbia che emerge con la bassa marea per un po di sole, mare e il pranzo.
L’organizzazione monta gazebi, necessari sotto il sole cocente di mezzogiorno, sotto i quali si allestisce un abbondante pranzo a base di cibi locali. Una squisitezza! Attenzione, si fa largo uso di spezie, anche molto toste, in pietanze dove meno te le aspetti! Alle 14.30 siamo di nuovo a Stone Town per riprtire col pullmino per la piantagione di spezie. Ci guardiamo ancora un po’ in giro: che mondo, che città! Dopo una mezz’ora raggiungiamo la piantagione, sembra di essere nella giungla! Tantissimi bambini ti corrono incontro e non si può resistere a un abbraccio, a un regalino. Tiro fuori delle penne e delle matite e vengo letteralmente assalito! Un ragazzo del posto ci fa da guida illustrandoci in perfetto italiano le varie specie: il pepe che scopro essere una gigantesca pianta rampicante, la cannella, la preziosissima vaniglia, il cumino, l’ylang ylang, i chiodi di garofano che vengono da un’albero gigantesco, la citronella che sono ciuffi d’erba e altre. Poi un’ananas e le immancabili banane. Intanti i ragazzini ti realizzano velocissimamente oggetti di tutti i tipi con le foglie di palma. A noi un bel cestino e due cappellini.
Alla fine il banchetto per gli acquisti, dove ci si sbizzarrisce e si ricontratta tra pacchi e pacchi di spezie.
Alle 18.00 si fa rientro stanchi morti.
Gli ultimi tre giorni li dedichiamo appieno alla vita da spiaggia, tra sole, mare e camminate.
L’ultimo giorno l’immancabile serata africana: cene con prodotti locali, qualcosa già conosciuto, qualcosa nuovo, piccolo fuori programma thrilling con una presa che prende fuoco e salta la luce… Poi si inaugurano le danze: una bella e coreografica tradizionale usata anche nei matrimoni, molto sansuale… e a seguire danza masai, più tribale.
Il ritorno è più stancante con levataccia alle 4.30 e volo con scalo e sosta a Mombasa, dove, per dovere di cronaca, sono stato punto dall’unica zanzara di tutta la vacanza. Per inciso non ho fatto antimalarica e di zanzare non ne ho viste, tranne qualcuna nella piantagione di spezie. Basta dotarsi di Autan spray.
Forse ci sarebbe voluta una settimana in più per visitare altri luoghi dell’isola e magari fare una capatina a Pemba.
Comunque una bella vacanza, un mondo lontano e affascinante.
La Gemma dell’Est è un paradiso! Zanzibar ci rimarrà impressa nella memoria.
Jambo bwanas!