La città sacra di Caral

Se il Perù è considerato la “culla” delle civiltà, la valle del fiume Supe è come il primo giaciglio, la coperta e il cuscino delle misteriose culture che prosperarono nell’attuale territorio peruviano. Gli studi hanno evidenziato l’esistenza di 19 siti archeologici nella valle, ma è nella zona di Caral dove è avvenuta una delle...
Scritto da: Gabriele Poli 1
la città sacra di caral
Partenza il: 07/07/2000
Ritorno il: 10/07/2000
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
Se il Perù è considerato la “culla” delle civiltà, la valle del fiume Supe è come il primo giaciglio, la coperta e il cuscino delle misteriose culture che prosperarono nell’attuale territorio peruviano. Gli studi hanno evidenziato l’esistenza di 19 siti archeologici nella valle, ma è nella zona di Caral dove è avvenuta una delle scoperte più sorprendenti: le rovine sepolte di una città, distribuite su una superficie di 40 ettari, che ebbe il suo splendore circa 5.000 anni fa, quando si stavano costruendo la piramide di Cheope, in Egitto, o le prime città cinesi e mesopotamiche. Si tratta di un ritrovamento che ha commosso la comunità scientifica peruviana e internazionale, modificando i criteri storici elaborati durante il XX° secolo e offrendo un nuovo orizzonte agli studi sull’origine delle civiltà nel mondo. Dopo una dura giornata di pulizia e di scavi, sopportando la calura di trenta gradi all’ombra, lunghe camminate e i violenti venti del deserto che feriscono la pelle e seccano la gola, l’archeologa Ruth Shady Solís convocò il piccolo gruppo di studenti dell’Università di San Marcos per la cena quotidiana: due pani col burro e una tazza di caffè. Sono le sette della sera di un giorno qualsiasi per questo storico gruppo di scienziati peruviani, incaricati di dipanare i misteri della Ciudad Sagrada de Caral, ubicata a 20 chilometri all’interno del porto di Supe, nel mezzo di un’immensa e desolata pianura desertica. Poco prima, gli studenti erano sfilati per rassettarsi presso una cisterna, dove rimangono ancora pochi litri d’acqua potabile, la stessa usata per la preparazione degli alimenti e come “vivaio” di crostacei e pesci pescati nel vicino rio Supe, unica riserva di proteine ad arricchimento delle loro razioni di riso e fagioli che ogni giorno, alle quattro in punto del pomeriggio, fungono da pranzo. Vivono in una casetta di tre stanze, bagno, cucina, costruita dal municipio di Supe. Una stanza è occupata dagli studenti maschi e un’altra dalle ragazze. Dormono su piccoli materassi e si coprono con vecchi sacchi a pelo, mentre una stanza più grande serve da magazzino per i delicati reperti di ceramica che vanno scoprendo per tutta la durata degli scavi, iniziati nel 1996. Terminata la cena e quando già ci apprestiamo a dormire, Ruth Shady estrae un libricino e inizia la lettura di un testo. Si tratta di un interessante saggio storico, sull’origine dello Stato nelle antiche civiltà, che l’archeologa legge a voce alta, fino al momento d’essere interrotta dalle tenebre prodotte dalla mancanza di combustibile nel difettoso generatore. Siamo sul punto di augurare la buona notte, approfittando dell’oscurità, quando improvvisamente si accendono parecchie candele e una lampada a cherosene, piazzata sopra il tavolo. La lettura continua ancora per mezz’ora, fino all’ultima pagina, evidenziando l’importantissimo ruolo che giocarono le opere d’irrigazione come base per la formazione delle prime città-stato. A quel punto, ci alziamo per andare a coricarci, ma la voce di Sahdy ci ferma. “E Caral? –chiede al suo assorto auditorio- Cosa sarà mai accaduto cinquemila anni fa a Caral? Come si può spiegare la presenza di una città tanto complessa e antica, senza che fino ad ora siano stati rinvenuti i resti di un importante opera d’irrigazione?” Inizia il dibattito. Gli studenti esibiscono le proprie conoscenze accademiche, altri espongono le teorie sviluppatesi in recenti studi sul campo; non manca chi si lancia in disquisizioni comparative, dopo le lunghe giornate di esplorazione in tutta la zona di Caral. Il dibattito accende gli animi. Shady s’incarica di analizzare ognuna delle spiegazioni, pretendendo dai suoi discepoli la massima concentrazione. Quelli, a loro volta, difendono con ardore le proprie teorie e replicano all’insegnante… Noi siamo testimoni di un paradosso storico: sono proprio gli studenti della facoltà di Archeologia -fondata da Julio C. Tello, presso l’Università Mayor di San Marcos a Lima-, che stanno rivoluzionando le teorie proposte dal saggio archeologo oltre un secolo addietro. La Città Sacra di Caral è la prova dell’esistenza di una cultura avanzata, 2.000 anni più antica di Chavín de Huántar, considerata da Tello come la genesi della civilizzazione nell’antico Perù e in tutta l’America preispanica. Tutto ebbe inizio nel 1994, quando Ruth Shady e un’équipe di archeologi iniziarono uno studio della valle di Supe, seguendo il censimento dei siti archeologici elaborato nel 1979 da Carlos Williams e Manuel Merino. Due anni più tardi, iniziarono gli scavi con l’appoggio finanziario della National Geographic Society, dell’Università di San Marcos e della Municipalità di Supe. Oggi Caral è divenuta un luogo di pellegrinaggio per studiosi del passato peruviano e per la popolazione di Supe e Barranca, che hanno dimostrato un insospettato interesse per il passato storico della regione. “A Supe si formò il primo stato peruviano –sostiene Ruth Shady, mentre ci guida alla visita delle piramidi recentemente portate alla luce in Caral- e i suoi antichi abitanti svilupparono un livello di organizzazione sociopolitica più avanzata di qualsiasi altra società della sua epoca”. Le evidenze archeologiche e le analisi di laboratorio stabiliscono un’età di 5.000 anni, dimostrando che i suoi abitanti consumarono ingenti quantità di acciughe, sardine e molluschi, che coltivarono cotone, zucche, fagioli, patate dolci, pacay e guayaba. Ciò che più colpisce, tuttavia, sono le numerose strutture cerimoniali. Piramidi con piattaforme sovrapposte di trenta metri d’altezza e templi con anfiteatri provvisti di muri di pietre intonacate e con dipinti in rilievo. Grandi zone urbane di dimensioni differenti, con muri di pietra dipinta o pareti di canne legate con fibre di giunchi. “La vita scorreva costellata da complicate cerimonie e rituali –aggiunge l’archeologa- La religione regolava il comportamento di ogni abitante dentro e fuori del focolare domestico, contrassegnando pure l’organizzazione sociale e politica”. Senza dubbio, la decorazione geometrica e le immagini di esseri soprannaturali, ritrovate a Caral, non possiedono la fierezza iconografica che caratterizzarono Chavín e altre espressioni culturali del periodo Formativo. La decorazione di Caral combina figure di animali mitici con una cosmologia relazionata alla vita e alla produzione di alimenti, all’acqua e alla fertilità della terra, alla morte e alla distruzione delle cose. La zona è ora divisa in quattro sezioni: Caral, Chupacigarro, Miraga e Luriwasi, con piramidi, templi e piazze profonde che furono interrate dalla popolazione dopo 1.500 anni di dominio culturale e di egemonia politica ed economica in tutta la zona. La sua ubicazione strategica permise alla popolazione di Caral stretti contatti con le vicine vallate di Huaral (a sud), Pativilca (a nord) e ad est, per l’accesso alla Cordigliera di Huayhuash e al Callejón di Conchucos, dove si trova Chavín de Huántar. E’ interessante notare al proposito che quasi tutti gli abitanti dell’attuale Caral provengono da Chiquian e Conchucos, mantenendo questa antichissima relazione economica e culturale. In quasi tutti gli edifici della Città Sacra di Caral sono stati rinvenuti piani intonacati e dipinti, con focolari dove si bruciavano gli alimenti. Sono state portate alla luce anche fosse con pacchi di alimenti, avvolti in foglie, così come tessuti di cotone o cesti bruciati. Fra le scoperte, spicca l’”Altare del Fuoco Sacro”, nella zona sud-est di Caral. Il suo buono stato di conservazione permette di osservare un piccolo edificio circolare, con uno stretto accesso attraverso gradini che conducono ad un focolare cerimoniale, dove sono state rinvenute tracce di fosforo, prodotte dalla combustione dei pesci a temperature elevate. Tuttavia, il ritrovamento più spettacolare di Caral è stato quello dei trentadue flauti, scoperti in un angolo dell’anfiteatro, una piazza circolare scavata sotto il livello del terreno che contempla un complesso architettonico cerimoniale. Nonostante nei flauti appaiano disegni in stile Chavín (scimmie con la bocca aperta, uccelli, felini, serpenti bicefali con lineamenti umani e di uccelli), quello che più colpì gli scopritori fu il fatto che non si trattava delle quenas (flauti) tradizionali, ma di flauti traversi, costruiti con scheletri delle ali di pellicani. Studi musicali intrapresi dal Museo di Antropologia e Archeologia di San Marcos, dimostrano che i flauti producono sette note musicali e che si tratta degli strumenti musicali più antichi del Perù e, forse, di tutta l’America preispanica. Tutte queste notizie le apprendiamo mentre percorriamo i 50 ettari occupati dai resti archeologici di Caral; tuttavia, il nostro stupore aumenta quando riconosciamo un grande geoglifo che raffigura una testa decapitata, nel miglior stile Sechín e che è possibile ammirare da un punto d’osservazione naturale, nei pressi del tempio di Chupacigarro. Quali altri segreti della storia peruviana saranno ancora nascosti sotto le sabbie di Caral? –ci chiediamo mentre osserviamo i giovani archeologi che scavano con attenzione, sopportando il calore e le sferzate d’aria calda e polvere del deserto. La notte, come tutte le notti degli ultimi anni, si ripete la chiacchierata e quindi il dibattito sugli studi circa l’origine delle città. Per noi, tuttavia, è la nostra ultima notte a Caral e la sfruttiamo per ammirare estasiati l’antico e bello spettacolo del cielo popolato di pianeti, stelle e costellazioni. Sullo sfondo, la Via Lattea mostra la sua antica brillantezza sopra la cupola notturna. Senza dubbio, è lo stesso spettacolo che contemplarono quegli anonimi abitanti che 5.000 anni addietro costruirono in questa zona dell’estremo nord della provincia di Lima, una città che ora stupisce gli abitanti del nuovo millennio. Accesso complicato Per visitare la Valle delle Piramidi di Caral, basta percorrere la Panamericana Nord, fino al chilometro 182 e procedere all’interno per altri 20 chilometri, lungo una strada sterrata in cattivo stato di conservazione, che corre parallela all’alveo del rio Supe. Il problema maggiore consiste nell’attraversare il fiume, visto che durante il periodo delle piogge il livello dell’acqua aumenta e non esistono ponti per facilitare l’accesso alla zona archeologica. Altra alternativa è una pista di terra ubicata all’altezza di Vegueta (Km. 158), in migliori condizioni, ma che è stata arbitrariamente chiusa da un’azienda avicola. E’ per tale motivo che conviene prendere accordi col Museo di Antropologia e Archeologia di San Marcos e informarsi sul programma di visite. In ogni caso, conviene procedere a piedi dalla Panamericana Nord (sempre all’altezza del Km 182), dopo aver visitato il paese o il porto di Supe, dove esistono hotel e ristoranti. E’ possibile anche visitare Barranca (Km 190), dove si possono sfruttare le spiagge di Chorrillos e Puerto Chico, o semplicemente passeggiare lungo il bel litorale. Anche qui vi sono buoni hotel e ristoranti, distributori di carburante, un posto di polizia, farmacie e camere in affitto. Foto E’ possibile accamparsi presso l’alloggio degli archeologi (posto sicuro e con riserva d’acqua) o nel vicino villaggio di Caral, dove non esiste alcun tipo di servizio turistico. http://www.peru.it


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