La California e i grandi parchi

Un viaggio di nozze con i fiocchi, attraverso le meraviglie degli Stati Uniti dell'ovest. Peccato per la spesa eccessiva, è un viaggio che si può fare con molto meno, basta non fare la lista viaggio in agenzia.....
Scritto da: Lara B
la california e i grandi parchi
Partenza il: 13/09/2009
Ritorno il: 02/10/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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13/09/2009 In viaggio A poco più di 24 ore dal nostro matrimonio tocchiamo il suolo americano (volo Lufthansa Bologna-Monaco-San Francisco), un po’ stravolti ma molto eccitati. Per questo viaggio siamo pieni di aspettative e non solo perché è il nostro viaggio di nozze, ma soprattutto perché l’avevamo già programmato nei dettagli in passato, poi per motivi che non sto a spiegare, abbiamo dovuto modificare la nostra meta, finché ci siamo ritrovati adesso nelle condizioni di tirare fuori quelle guide e quelle cartine rimaste intonse nella libreria e organizzare il viaggi negli States con addirittura una settimana di tempo in più a disposizione! Ovvio che con tutto quello che c’è da vedere anche 3 settimane diventano subito poche, però siamo felici anche se atterriamo sotto una pioggia battente che tutto ci fa pensare fuorchè essere in California. Sbrigate le complicate formalità doganali americane, troviamo Charlie, l’autista che ci accompagna tra una battuta e l’altra, all’hotel prenotato dall’agenzia, lo Sheraton di “Frisco” Per oggi la nostra giornata si conclude qui, andiamo subito a nanna a ricaricare le pile per domani.

14/09/2009 SAN FRANCISCO Primo impatto con l’America Il fuso orario ci ha scombussolati un poco ma partiamo animati delle migliori intenzioni visto che non piove più. Con qualche difficoltà arriviamo a Union Square, non perché Frisco non sia servita bene dai mezzi pubblici, anzi, ce ne sono troppi! E inizialmente è un po’ complicato raccapezzarsi ma poi ci si prende la mano, anche perché con gli utilissimi 3 o 7 day pass si può girare illimitatamente su tutti. Inauguriamo il nostro 3 day pass con un bel giretto panoramico sul famoso e folkloristico Cable Car poi proseguiamo a piedi attraversando Chinatown fino a salire alla volta della Coit Tower… si chiama proprio cosi, c’è anche una storia sul perché di questo strano nome. Con 5 USD a testa facciamo il giretto in alto con l’ascensore e avvistiamo il bellissimo Golden Gate Bridge, senza una nuvola, Alcatraz e una buona fetta della città. Proseguiamo raggiungendo Fisherman Wharf e il suo famoso Pier 39, un molo su cui sono nati decine di negozi e ristoranti e ne approfittiamo per mangiare poi raggiungiamo gli altrettanto famosi e rumorosi leoni marini che bivaccano al sole stesi su delle piattaforme. Rimaniamo un po’ a guardarli poi decidiamo di andare a visitare l’Acquarium Bay, che troviamo interessante anche se avevamo capito essere una visita interattiva con la ricostruzione della baia di San Francisco, in realtà è un acquario vero e proprio. E’ ora di andare a vedere da vicino il celeberrimo Golden Gate, il ponte rosso, ma, una volta arrivati, ne vediamo solo la metà perché sono arrivate le nuvole a coprirlo, come spesso succede, che ci regalano un effetto molto affascinante e misterioso. Torniamo indietro per cercare Ghirardelli Square, riusciamo ad entrare, ma poi ci fanno uscire subito perché stasera la piazza è chiusa per un evento privato, così diamo solo una sbirciatina da lontano e ci consoliamo nel negozio di cioccolato lì vicino. Non ci resta che dirigersi verso Lombard Street, rigorosamente con il Cable Car, che ci scarica proprio in cima ai famosi tornanti fioriti visti tante volte nei film. Le foto si sprecano e alla fine, visto che si avvicina la sera, decidiamo di tornare a goderci il tramonto dal Pier 39 assieme ai buffi leoni marini prima di cena. Siamo stanchi e decidiamo di non uscire questa sera, accusiamo ancora il fuso orario.

15/09/2009 SAN FRANCISCO Turisti e studenti Questa mattina partiamo presto per andare a visitare il campus universitario di Berkeley, la cui visita guidata inizia alle 10. Victor, la guida, è uno studente e il suo slang esagerato non ci permette di capire molto di quello che ci spiega, ma comunque rimaniamo affascinati dalla cura con cui viene tenuto il campus anche se, a dirla tutta, essendo un luogo vissuto da studenti ci aspettavamo un tantino più di vivacità invece è tutto piuttosto austero. Torniamo in centro a San Francisco nel primo pomeriggio e scendiamo al Civic Center, una grande piazza ai cui lati sorgono gli edifici amministrativi, il City Hall (Municipio), lo State Building e altri. Non ci soffermiamo e proseguiamo per raggiungere Alamo Square, la famosa piazzetta da dove si vede il contrasto le casette vittoriane tutte in fila con lo sfondo dei grattacieli di San Francisco. Foto-cartolina e di nuovo in bus fino a Haigth Ashbury, il quartiere hippy. Facciamo una passeggiata nella via principale guardiamo le coloratissime vetrine con i vestiti hippy e il via vai di personaggi strani un po’ inquietanti, con percing ovunque, capelli rasta e di ogni colore. Concludiamo la giornata con una passeggiata al Golden Gate Garden, al cui interno ci soffermiamo principalmente al Japanese Tea Garden, veramente delizioso con i fiori, i bonsai, le pagode e gli scoiattoli. Facciamo una sosta nel bar interno che è proprio in stile giapponese e gestito da giapponesi che più giapponesi non si può, poi torniamo alla fermata del bus, saliamo in due diversi e sovraffollati bus che riportano a Union Square, dove con le ultime forze rimaste facciamo un giro al mega store della Levi’s. Siamo troppo stanchi per soffermarci molto così non acquistiamo nulla e ci fermiamo quindi in una pizzeria per cenare. Anche stasera siamo distrutti, attendiamo che cali la sera poi torniamo in albergo facendo il tragitto sul Cable-Car appesi fuori.

16/09/2009: SAN FRANCISCO Il carcere da cui è impossibile evadere Oggi abbiamo l’escursione ad Alcatraz prenotata su Internet dall’Italia così andiamo diretti al Pier 33. Qui facciamo colazione in attesa che si faccia ora di partire e alle 10 siamo in viaggio verso l’isola al centro della baia. Una volta arrivati percorriamo la salita che porta all’edificio che ospita le celle, prendiamo l’utilissima audio guida, visto che c’è anche in italiano, e ci lasciamo guidare alla visita del famoso carcere da spiegazioni chiare e concise e un sottofondo di rumori da carcere che sono reali da far paura. Il giro dura un ora e mezza ed è interessantissimo, alla fine si può visitare anche il resto dell’isola in attesa del rientro ma la parte migliore rimane il carcere. Alle 12:30 torniamo in città e dopo aver pranzato a base di hot dog andiamo agli uffici della Hertz a ritirare l’auto prenotata dall’Italia, e per un disguido dobbiamo ritirarla alla sede di Union Square anzichè a Fisherman Wharf così perdiamo un po’ di tempo, però è stata un occasione per fare un giro sulla caratteristica linea storica F del filobus, oltre che per il sospirato shopping in un Levi’s Store lì vicino! Ci viene assegnata una Hyunday Elantra color giallo-marroncino, modello che in Italia non esiste e iniziamo le prime manovre di guida con cambio automatico dal centro di San Francisco….Risulta più facile del previsto e così ci dirigiamo immediatamente a Twin Peaks, la collina da cui si gode di una vista meravigliosa su Frisco, poi di nuovo al Golden Gate Bridge e stavolta lo vediamo in tutta la sua bellezza completamente sgombro da nuvole. Non siamo ancora stanchi e soprattutto decisi a rimanere fuori anche questa sera visto che è l’ultima a San Francisco, attraversiamo quindi il ponte per fare la classica foto con il Golden Gate e i grattacieli alle spalle e ci arriviamo in un orario in cui la luce del tardo pomeriggio è calda e piacevole. Proseguiamo quindi per Sausalito, cittadina di vacanze per vip molto carina, e qui ci godiamo il lento arrivare della notte mentre le luci dello skyline della città si accendono seduti in riva alla baia. Rientriamo un po’ tardi ma riusciamo lo stesso a fare la spesa per la sopravvivenza per domani, inizia il viaggio on the road!

17/09/2009 YOSEMITE N.P. (Km circa 415) La quiete dopo la città Alle 7 siamo già in auto e ci apprestiamo ad uscire da San Francisco, impresa che si rivela più lunga del previsto. Qualche coda e km e km di autostrade a mille corsie e solo dopo un oretta ci sentiamo fuori dalla città. Lasciamo la I 580 per imboccare la I 120 in un paesaggio fatto di colline aride e ranch fino a Big Oat Flat dove facciamo benzina, poi proseguiamo fino allo Yosemite Village verso mezzogiorno non prima di esserci fermati lungo la strada ad ammirare e fotografare il massiccio di El Capitain e i colori che ci sono attorno, il verde delle foglie, il marrone dei tronchi, il grigio del monolite, il blu del cielo. C’è una luce meravigliosa. Acquistiamo l’annual national pass, una tesserina che ci permetterà di entrare in un tutti i national parks con soli 80 USD, calcolando che ogni singolo ingresso costa 20-25 dollari alla fine si ammortizza presto. All’ora di pranzo siamo già parcheggiati e inforcati due panini facciamo un giro sulla navetta gratuita, che pensavamo fermasse anche nei view point invece porta solamente i camminatori all’inizio dei vari trail. Purtroppo un lieve malore di Paso (subito risolto) ci impedisce di esplorare il parco camminando, non vogliamo rischiare e così riprendiamo l’auto, e imbocchiamo il bivio per Wawona dove subito ci fermiamo per andare a vedere le Bridaviel Falls, le cascate del velo da sposa. Il periodo non è dei migliori per le meraviglie di questo parco, le cascate sono quasi in secca e del bel velo da sposa visto nelle foto non rimane che un rigagnolo che praticamente non tocca neanche terra. Proseguiamo per Tunnel View e ammiriamo la veduta classica di Yosemite con El Capitain sulla sinistra, l’Half Dome in fondo sulla destra, quel poco che rimane delle Bridaveil Falls sulla destra più vicino di Half Dome e le Horsetail Falls che dovrebbero essere sulla sinistra dopo El Capitain non ci sono proprio! Però il panorama è meraviglioso lo stesso. Prossima tappa Glacier Point anche qui lo spettacolo è mozzafiato, non riusciamo ad individuare il Mirror Lake, forse è talmente secco che anche quello che c’è rimane nascosto dagli alberi. Ci rimettiamo in moto, si è fatto un po’ tardi, ma tentiamo lo stesso di raggiungere la foresta di Mariposa Grove dove ci danno il benvenuto già dalla strada tante sequoie giganti e siccome il marito si è ristabilito completamente ci incamminiamo per il sentiero che ci porta fino al Giant Grizzly: solo le radici sono alte come me, fa proprio impressione. Torniamo indietro di corsa perchè sta facendo buio e ci mettiamo alla ricerca di un alloggio, ma dobbiamo spostarci fino a Oakhurst dove troviamo una camera al Confort Inn per 89,99 $ + tax. Qui siamo arrivati nella vera America, la cittadina è proprio di quelle tipiche da film americano, edifici bassi, strade semibuie e sonnacchiose, insegne intermittenti con scritto “OPEN” rosse e blu, porte che si aprono e si chiudono con un rumore di campanelli, poca gente e qualche pick-up o macchinone tipico americano in giro. Wow! Inquietante ma fa molto USA.

18/09/2009 SEQUOIA N.P. (km: circa 550) Attenti all’orso! Sveglia alle 7.00 e per prima cosa ci fermiamo a fare acquisti di cibo e compriamo anche un frigo di polistirolo e del ghiaccio per tenere l’acqua fresca che si rivelerà molto utile durante tutto il viaggio. Poi partiamo definitivamente verso le 8.30 alla volta del Sequoia Park, dove arriviamo prendendo la I 180 da Fresno. Entriamo dal Kings Canyon Park che è praticamente attaccato, usando il nostro pass acquistato a Yosemite e ci dirigiamo immediatamente a cercare il General Grant. Percorriamo il breve trail che porta alla mastodontica pianta e incontriamo anche il Fallen Monarch, la sequoia caduta con il tronco scavato dentro cui si può passeggiare a piedi. Rimaniamo un pochino a guardare questa meraviglia poi torniamo sui nostri passi per l’altro gigante del parco: il General Sherman, però perdiamo parecchio tempo a causa di lavori stradali. Arriviamo e percorriamo il trail che ci porta a questo maestoso albero e proprio mentre lo ammiriamo notiamo un certo trambusto attorno a noi…..c’è un orso!! Lì vicino, indifferente alla nostra presenza un orso di discrete dimensioni sta ravanando in mezzo a dei rami. Lo osserviamo un po’ da lontano visto che abbiamo lo zaino pieno di cibo (è vivamente sconsigliato lasciarlo in macchina vista la facilità con cui gli orsi divelgono le portiere e non abbiamo avuto voglia di lasciarlo negli appositi contenitori in ferro, ma abbiamo sbagliato). Superata l’emozione risaliamo il sentiero per riprendere l’auto, ma di nuovo i lavori stradali ci bloccano per parecchio tempo e giungiamo a Moro Rock parecchio in ritardo sui tempi, però affrontiamo lo stesso la scalinata che ci porta sulla sommità per goderci il panorama. Una volta scesi proseguiamo verso Tunnel Log e ci facciamo la classica foto con l’auto che passa in mezzo al tronco scavato di una sequoia abbattuta, ma decidiamo di saltare Crescent Meadows per mancanza di tempo. Ci rimettiamo in marcia e siamo di nuovo bloccati….volevamo ripartire nel primo pomeriggio per raggiungere la Death Valley stasera, ma a questo punto è impossibile visto che imbocchiamo la I 198 che sono già le 17.30, data una rapida occhiata alla cartina capiamo subito che a malapena riusciremo ad arrivare a Ridgecrest e con un po’ di difficoltà telefoniamo anche per prenotare una camera Motel 6 (49,99 $ + tax) visto che ci arriveremo pure molto tardi. Guidiamo e guidiamo, ci sono i limiti da rispettare, ma con cambio automatico e cruise control è un gioco da ragazzi, la macchina fa tutto da sola. Inoltre il navigatore che abbiamo, il Neverlost, è utilissimo: non solo guida per le strade con una precisione al millimetro, ma per ogni paese ha anche l’elenco dei ristoranti, alberghi e motel con indirizzo, n. di telefono e carte di credito accettate e non ha mai sbagliato una volta neanche di qualche metro. A Lake Isabella ci fermiamo a fare rifornimento di benzina e mangiare qualcosa, in un fast food pieno di grassi ragazzini e obesi adulti che si ingozzano di patatine e litri di bibite gassate piene di ghiaccio, cosa molto comune negli States, ma che a noi risulta un po’ stomachevole. Altra cosa che notiamo qui: gli stessi ragazzini escono e salgono in auto e ci viene in mente che qua prendono la patente a 16 anni, ma sembrano proprio piccoli…oh mamma! Scappiamo, ci ributtiamo sulla I 178 e arriviamo a Ridgecrest sfiniti poco dopo le 10.

19/09/2009 DEATH VALLEY – LAS VEGAS (Km: circa 460) Dal deserto alla follia Stamattina la sveglia suona alle 5.00, ci prepariamo velocemente mentre fuori è ancora buio e partiamo alla volta della Death Valley. Passiamo attraverso Trona e il puzzo di zolfo delle sue cave, poi più nulla, lande sconfinate di paesaggi brulli, con un contorno di montagne e solo noi sulla strada. Purtroppo ci aspettano ancora tanti km prima della famosa valle e così arriva l’alba che ancora siamo lontani, ma le prime luci del mattino sono comunque uno spettacolo sensazionale. Incontriamo anche qualcuno che vuole attraversare la valle della morte in bicicletta…un impresa da pazzoidi considerando che quando arriviamo a Furnace Creek sono solo le 8.30 e il termometro segna già 33°. Il ranger al visitor center ci avvisa che per oggi sono previsti 47°, uau. Abbiamo una buona scorta d’acqua e tanto ghiaccio per tenerla fresca, è importante perché l’umidità è scarsissima e si suda molto senza accorgersene, così partiamo subito verso il Zabriskie Point, un insieme roccioso che sembra modellato dall’acqua, scenografia di un celebre film di Antonioni. Proseguiamo e prendiamo la Twenty Mule Team Canyon, panoramica interna molto carina. Deviamo poi più avanti per il Dante’s View, da cui si gode di una splendida vista sulla vallata. Risaliamo quindi verso Furnace Creek, dove facciamo rifornimento di cibarie e scendiamo dall’altro versante. Imbocchiamo dopo poco la Artist drive, strada ad anello stretta e che passa tra canyon e rocce scavate e che culmina nell’Artist Point, punto dove le rocce assumono colorazioni diverse e piuttosto spinte e assomiglia proprio ad una tavolozza di un pittore. Segue il Devil’s Golf Course una distesa di sabbia e sale, zolle di colore bianco sono scolpite ad arte. Uno spettacolo. Infine passaggio obbligatorio a Badwater, dove c’è l’ingresso per chi arriva da sud. Siamo nel punto più basso degli Stati Uniti, 85 metri sotto il livello del mare. Abbiamo viaggiato sempre a velocità molto bassa per non mettere sotto sforzo la nostra Elantra, ogni tanto abbiamo anche spento l’aria condizionata, ma con il caldo che è non è stato facile rimanere senza per molto. Alle 14 siamo a Shoshone, fuori dall’inferno, dove mangiamo qualcosa in un saloon molto folkloristico, da film, prima di proseguire verso la nostra prossima tappa: Las Vegas. In mezzo al nulla incontriamo il confine tra California e Nevada e dopo un’altra cinquantina di km ecco i grattacieli di Las Vegas spuntare in mezzo al deserto e in men che non si dica ci troviamo catapultati in mezzo al traffico. Troviamo facilmente il nostro hotel, il Circus Circus, prenotato via Internet dall’Italia ad un prezzo ragionevole nonostante sia sabato (130 USD circa per 2 notti). Ci facciamo parcheggiare la macchina al valet park (si lasciano le chiavi e la parcheggiano gratuitamente gli addetti) ed entriamo: sembra di essere in un centro commerciale e facciamo molta fatica a trovare la nostra camera…ma alla fine ce la facciamo e finalmente possiamo riposare un po’ prima di uscire di nuovo ad esplorare questa pazza città. Dopo una doccia e un riposino usciamo un po’ preoccupati, abbiamo sentito parlare molto di Las Vegas, abbiamo letto tante cose e dopo il primo impatto con il nostro hotel, che è considerato un hotel “medio” ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto: ok, adesso usciamo e….là fuori cosa succede? Le luci dalla nostra finestra sono già un più che soddisfacente biglietto da visita considerato che vediamo la parte meno interessante di Las Vegas, lo Strip e tutte le sue maggiori follie sono dall’altra parte…. Partiamo esplorando il nostro Circus Circus, banchette, giochi, negozi, zone massaggi all’acqua, luna park, ristoranti e casinò, è pazzesco e non siamo ancora usciti! Già mezzi ubriachi riusciamo a trovare un uscita e ci buttiamo in un soffocante Strip in cui ci incamminiamo a piedi verso il Treasure Island, attraversando zone con musica a palla e luci accecanti. Proseguiamo un po’ e l’impressione è che per quanto questa città te la descrivano non riesci mai ad immaginare come è realmente finché non ci sei dentro. Solo che noi siamo in piedi dalle 5.00 e abbiamo fatto la Death Valley oggi e dopo aver fatto qualche foto decidiamo di tornare in albergo e rimandare tutte le visite agli hotel a domani per potercele godere quanto meritano, stasera siamo proprio cotti.

20/09/2009 LAS VEGAS La maratona degli alberghi Finalmente una giornata in cui ci si alza con calma, a Las Vegas infatti prima delle 11.00 non c’è nulla. Ci adeguiamo e usciamo comodamente a quell’ora dopo aver dato una sbirciatina alla Wedding Chapel a curiosare tra le vetrinette che espongono tutti i ninnoli matrimoniali e l’interno della piccola cappella nuziale. Prendiamo il bus e iniziamo il giro degli alberghi dal Mirage, armati di maglie a manica lunga per combattere l’escursione termica tra gli interni condizionati e gli esterni soffocanti, girelliamo un po’ in cerca dell’acquario e delle tigri bianche ma poi capiamo che si possono visitare solo a pagamento e lasciamo perdere visto che oltretutto siamo contrari agli animali in gabbia. Però la piscina non è niente male….ispirata ad un atollo dei mari del sud, con le palme e le cascate, ha una forma tutta a curve irregolari, viene voglia di fare un tuffo ma dobbiamo proseguire, la strada è ancora tanta. Ci dirigiamo verso il Venetian, enorme e bellissimo già da fuori con l’acqua, il ponte di Rialto, il campanile di San Marco e il Palazzo Ducale riprodotti benissimo, dentro poi è ancora più spettacolare, il Gran Canal Shopper conduce alla scoperta di una vera Venezia in miniatura con le viuzze lastricate e i palazzi in stile con i negozietti dentro, per arrivare fino al Canal Grande con le gondole e i gondolieri che cantano in italiano, il tutto con l’illusione di essere all’aperto perché il cielo è riprodotto veramente con le nuvole. Usciamo un po’ a malincuore per continuare la nostra visita con il Caesars Palace e qui invece ci aspetta un salto nel tempo nell’antica Roma attraverso il Forum Shop, una galleria di negozi e locali tutti in stile epoca romana. Ne approfittiamo per pranzare ma non troviamo delle gran bazze agli all-you-can-eat perchè è domenica. Dopo pranzo proseguiamo con il Bellagio, visitiamo la bellissima lobby con il soffitto pieno di ninfee coloratissime in vetro soffiato e un giardino, con laghetti, cascatelle, piante, fiori e due tronchi scolpiti a forma di elfo. All’esterno c’è la riproduzione del Lago di Como e per un soffio perdiamo il famoso spettacolo delle fontane. Attraversiamo la strada e andiamo al Paris, ammiriamo l’Arco di Trionfo, gli Champes Elysee e la torre Eiffel prima di entrare. L’interno del Paris è bello quasi quanto il Venetian, il casinò è ambientato in quella che sembra una grande piazza in stile belle epoque, con il soffitto azzurro con le nuvolette e le viuzze sempre in stile in cui passeggiare guardando i negozi e i ristoranti. Purtroppo ci attende una delusione al Desert Passage, non esiste più! I recenti lavori di ristrutturazione l’hanno trasformato modernissima galleria piena dei negozi delle più grandi marche, altro che passeggiata orientaleggiante… Al Montecarlo non capiamo cosa ci sia da vedere, quindi proseguiamo verso il New York-New York, dove veniamo catapultati in una Broadway anni ’50 dalle luci soffuse, con le montagne russe che sfrecciano nel soffitto e poi spariscono all’esterno. Fuori invece ecco la Manhattan dei giorni nostri con enormi grattacieli perfettamente riprodotti, il ponte di Brooklyn e la statua della libertà. Un collegamento sopraelevato ci conduce poi verso l’Exalibur, una via di mezzo tra un castello scozzese e una costruzione lego, il cui interno è tutto ispirato alla leggenda di Re Artù, carino ma non tra i migliori visti finora. Degna di nota però è la famosa Canterbury Wedding Chapel, quella che si vede tante volte nei film. Abbiamo le gambe a pezzi ma non possiamo perderci l’ultima follia del pomeriggio, il Luxor. La fantastica lobby è tutta in stile egiziano, enormi sfingi, obelischi e fontane al centro di una impressionate piramide, che vista da dentro, ci vuole un po’ a realizzare che tutti i gradoni che convergono al centro sopra le nostre teste non sono altro che i corridoi sospesi che danno accesso alle camere. Qui ci sono i famosi inclinator, gli ascensori obliqui ma non perdiamo neanche troppo tempo a cercarli visto che sono accessibili solo con le carte di accesso alle stanze. A questo punto non possiamo perderci uno spettacolo intero delle fontane del Bellagio e così torniamo sui nostri passi e siamo subito meravigliosamente accontentati. L’entusiasmo ci spinge ad assistere anche alla suggestiva eruzione vulcanica del Mirage prima di riprendere l’autobus per andare a Fermon Street. Qui lo spettacolo è un po’ snobbato dai turisti perché rimane un po’ fuori dal centro di Las Vegas, servono una ventina di minuti di autobus dallo Strip, ma a noi è la cosa che è piaciuta di più in assoluto. Si tratta di una strada chiusa al traffico, piena di gente più autentica, dove sopra alle tipiche insegne luminose sta una volta fissa sostenuta da pilastri in metallo in cui alle 21.00 inizia uno spettacolo fatto di proiezioni e musica. E così al ritmo di “Bye bye, american pie” iniziano a passare immagini che ricostruiscono molto sommariamente la storia e i personaggi dell’America degli ultimi 50 anni su uno sfondo astratto e coloratissimo. Guardiamo tutti per aria, la gente intorno a noi balla, qualcuno si gusta tutto da sdraiato a terra, l’atmosfera è talmente carica da essere contagiosa e tutti saltiamo e balliamo. Finito lo spettacolo la musica continua con un complesso che suona dal vivo, ma noi ripartiamo perchè ci aspetta un ultimo appuntamento: lo Stratosphere. Da sotto fa tutto un altro effetto, è immenso, i piloni in cemento sono impressionanti. Per salire ci sono controlli che prevedono anche un passaggio sotto al metal detector prima di prendere l’ascensore che in una decina di secondi ci porta in cima, alla velocità della luce. Da lassù la vista su Las Vegas è impressionante, il giro a 360 gradi attorno alla vetrata non permette di vedere i confini di questa immensa città, solo luci, aerei che vanno e vengono e il fascio di luce del Luxor che svetta nel cielo. Quale mente abbia pensato di collocare proprio qua in cima alcune attrazioni da brivido, giochi da luna park sospesi nel vuoto, trenini e idrovolanti che sfidano le leggi della gravità, non è dato sapere, ma di sicuro qualche pazzoide! Siamo sfiniti, proviamo a raggiungere di nuovo il Bellagio per goderci un ultimo spettacolo delle fontane, ma inutilmente, arriviamo troppo tardi e gli spettacoli sono finiti così non ci resta che tornare in albergo a riposare le nostre stanche gambe.

21/09/2009 ZION N.P. – BRYCE CANYON Km 305 oltre a quelli dentro il parco Di canyon in canyon Prima di uscire da Las Vegas ci concediamo un giretto in auto nella zona sud dello Strip per fotografare le piccole wedding chapel che si trovano ovunque lungo la strada, dove si celebrano i famosi matrimoni di Las Vegas, ce ne sono di molto belle anche dentro gli alberghi ma quelle esterne sono molto più caratteristiche. Poi partiamo alla volta dello Zion National Park, la tappa non è delle più lunghe, attraversiamo il confine tra Nevada e Utah dove mettiamo orologio un’ora avanti. Per motivi di tempo lo Zion è uno dei parchi che avevamo deciso di sacrificare per cui, dovendoci comunque passare in mezzo per arrivare a Bryce, ci limitiamo a percorrerlo lentamente con la macchina e fare un po’ di fermate per qualche foto. Il parco è bello, niente da dire: rocce rosse su asfalto rosso che sembra fatto dalla natura pure quello tanto ci sta a pennello, conformazioni rocciose molto particolari e ci fermiamo molto spesso. Usciti dal parco, mangiamo qualcosa al volo, proseguiamo per altri 150 km e prima di giungere al Bryce ci aspetta il sorprendente Red Canyon: piccolino ma bellissimo con le rocce scolpite di un colore rosso intenso. Arriviamo finalmente all’ingresso del Bryce Canyon, come sempre facciamo vedere il nostro annual pass assieme al passaporto e siamo dentro, i ranger sono sempre molto gentili e ci forniscono le mappe e tutte le indicazioni sul parco. Iniziamo dal Sunrise View Point che però è il primo ad andare in ombra e infatti quando arriviamo il sole arriva solo nella metà più esterna. Il posto è meraviglioso e si apprezza comunque ma le foto sono più difficili da fare così proseguiamo velocemente verso il Bryce Point e infine verso il Paria View Point. Alla fine decidiamo che il posto merita e siamo tentati domattina di svegliarci presto per arrivare qui a vedere l’alba poi fare una breve escursione e nel pomeriggio ripartire alla volta di Moab. Per ora sappiamo che qui è piuttosto freddo, tira un vento gelido che ci fa rabbrividire, anche perché veniamo dal caldo soffocante di Las Vegas e anche se abbiamo sempre qualcosa di pesante sul sedile dietro dell’auto per le emergenze, non abbiamo avuto l’accortezza di prendere su tutto! Non troviamo da dormire nelle immediate vicinanze del parco ma arretrando di pochi chilometri troviamo il Family Steak House per 75 USD, se pagato in contanti (o 85 con carta di credito, mah…) dove c’è anche un ristorante e un market, per cena riusciamo finalmente a mangiare un ottima bistecca e i prezzi sono molto buoni, 30 USD in due.

22/09/2009 BRYCE CANYON – UT12 – UT24 Km: 430 oltre quelli dentro il parco Pinnacoli rossi Abbandoniamo l’idea dell’alba al Bryce per motivi di….freddo! Dopo giorni e giorni al caldo torrido siamo arrivati in un luogo con le pozzanghere ghiacciate e quindi pensiamo bene di avviarci per il parco solo verso le 8, dopo una colazione casalinga con pane, nutella e marmellata acquistati ieri sera al market. Alle 8.30 siamo di nuovo dentro il parco, a Sunrise point per la precisione,dove ci appare un magnifico canyon in piena luce, un po’ dura fare le foto, ma la visuale è bellissima. Proseguiamo in auto fino a Sunset point e concordiamo che a dispetto del nome, con la luce del mattino rende molto di più, poi imbocchiamo il trail Navajo Loop che si rivela una cosa fantastica fin da subito. Ci si immerge in mezzo agli hoodos in un paesaggio da favola, certo che è bello il panorama dall’alto ma da quaggiù é semplicemente spettacolare! Il sentiero scende a zig zag in mezzo agli hoodos per un po’, poi passa alcuni punti molto stretti e prosegue fino ad arrivare nel fondo dove il paesaggio cambia, compare un po’ di timida vegetazione e tanti scriccioli. Camminiamo e camminiamo e proseguiamo per il Queen’s Garden fino a risalire al Sunrise point per un totale di quasi 4 km di passeggiata ma quasi non ce ne accorgiamo, le meraviglie sono talmente tante che alla stanchezza non si pensa neppure. Da Sunrise point ci facciamo riportare al Sunset dalla navetta gratuita, presente in tutti i parchi, che tocca tutti i parcheggi per le auto e gli ingressi ai vari trail rigorosamente dotati di servizi igienici, panchine e tavoli e a volte qualche negozio, un organizzazione impeccabile, anche perchè non manca mai carta igienica, sapone o salviette e per noi italiani è una roba da non credere. Proseguiamo nella visita e andiamo anche a Inspiration Point il punto da cui si gode il migliore panorama visto finora, veramente splendido. Avevamo sentito qualcuno dire che la luce di mezzogiorno è piatta e non fa risaltare i pinnacoli come dovrebbero, ma noi non siamo d’accordo, alla mattina e alla sera quando il sole è un po’ basso rimane sempre qualcosa in ombra, mentre è proprio con il sole di mezzogiorno che tutti i pinnacoli sono illuminati alla stessa maniera e si percepisce la complessità di questo parco. Dopo esserci riempiti gli occhi di questa meraviglia, dichiariamo conclusa la visita a Bryce e ripartiamo alla volta di Moab. Anzichè l’autostrada decidiamo di percorrere le Scenic Byways UT12 e UT24. Imbocchiamo la UT12 subito fuori dal parco poco dopo le 13.00 e ci troviamo ad attraversare dei paesaggi tra i più belli visti finora tra parchi e canyon dai mille colori, qui siamo proprio nel vero west. Troviamo un locale molto caratteristico in cui fermarci a pranzare, di quelli in cui le cameriere indossano camicie a quadrettoni, pantaloni in velluto arrotolati alle caviglie scarponcini da montagna e fazzoletto al collo, prima di proseguire in tutta calma fino alla fine della UT12. Imbocchiamo la UT24 e la strada è altrettanto bella. Attraversiamo il Capitol Reef N.P. a cui concediamo solo un paio di tappe per motivi di tempo: prima una leggera deviazione di circa 1 miglio per un view point da cui si possono ammirare dall’alto gli impressionanti meandri creati dal fiume Sulphur Creek, poi per fare una passeggiata lungo una passerella di legno che conduce ad alcune rocce su cui sono incisi dei petroglifi antichi indiani. Poca cosa a dir la verità, ma la passeggiata è veloce e ci divertiamo ad osservare gli harleysti: molto pittoreschi, grandi e grossi, capelli lunghi, barba, bandana, tuta e giubbotto in pelle. Arriviamo a Moab alle 20.45, per fortuna abbiamo già prenotato ieri sera via Internet al Motel 6 per 117$ perchè è quasi tutto “no vacancy”. Sbrigate le formalità alla reception facciamo la prima lavatrice della vacanza prima di andare a cena, operazione non delle più semplici ma comunque alla fine riuscita. Usciamo di nuovo e facciamo un giretto in macchina per Moab per scegliere un posto per la cena, è una discreta cittadina, più vitale di quelle incontrate finora e con tutto quanto serve a soddisfare le necessità sia di turisti di passaggio che di chi si ferma qui, ci sono molte agenzie che prenotano escursioni e rafting, ristoranti, caffè e fast food e decidiamo di cenare velocemente in uno di questi, da Wendy’s dove il personale è gentilissimo, ma il cibo sembra plastica ancora più che quello di Mc Donalds! Poco soddisfatti torniamo al motel a ritirare il bucato asciutto e ci ritiriamo nella nostra camera a scrivere il diario e fare il briefing per domani.

23/09/2009 ARCHES N.P. – DEAD HORSE POINT N.P. Km: 233 oltre a quelli dentro il parco di Arches Come Thema e Louise Stamattina dormiamo un po’ di più ed entriamo al parco che sono già le 9.30. Dal Visitor Centre ci vuole un po’ a raggiungere la zona degli archi e così ci ritroviamo alle 9.50 nel parcheggio da dove partono le camminate per i view point del Delicate Arch. Abbiamo poltrito nel letto e adesso paghiamo le conseguenze: ci tocca di rinunciare alla passeggiata fino al Delicate Arch se vogliamo visitare anche Dead Horse Point prima di sera! Va bè, ci accontentiamo di percorrere i due sentieri che portano ai due view point da cui si può goderne la vista, anche da qui si percepisce la maestosità dell’arco e la delicatezza delle sue forme, sembra che debba cadere da un momento all’altro con un soffio di vento. Proseguiamo con la visita di tutti i punti segnalati nella piantina che ci hanno fornito all’ingresso: Balanced Rock l’abbiamo vista prima di raggiungere il parcheggio del Delicat Arch perché era di strada, quindi proseguiamo verso il fondo del parco, parcheggiamo e imbocchiamo a piedi il Devils Garden Trailhead, trail che poi si biforca in più punti e ognuno di questi raggiunge un arco. Noi camminiamo abbastanza per raggiungere Tunnel Arch, Pine Tree Arch e il Landscape Arch, quelli più lontani li lasciamo stare. Merita molto il Landscape così sottile e fragile e sulla strada incontriamo anche un po’ di piccole lucertole disponibili a fare da modelle all’instancabile marito fotografo. Il punto che mi piaced i più però è Sand Dune Arch, che facciamo nel pomeriggio dopo il pranzo al sacco con le nostre provviste. Si cammina a fatica nella sabbia rosa finissima in mezzo ad alte rocce rosse fino a raggiungere quest’arco dall’effetto veramente particolare e rubo anche un po’ di sabbia per ricordo. Prendiamo l’altro sentiero verso il Broken Arch ma lo percorriamo quanto basta per avere una visione completa anche se lontana dell’arco che sembra rotto. Ultima gitarella a piedi degna di nota la zona di Window Section dove il percorso è fatto a gradoni ed è possibile percorrere un trail ridotto circolare che porta davanti a Turret Arch, North Window e South Window, da dove si vede in lontananza anche il Double Arch, e noi lo facciamo addentrandoci anche sotto a questi spettacolari scherzi della natura che tra qualche milione di anni saranno destinati a scomparire e ne compariranno altri. Soddisfatti concludiamo la nostra visita ad Arches verso le 16 e ci dirigiamo verso Dead Horse Point National Park che dista una trentina di miglia da Arches, passando vicino a Canyonland, a cui ci piacerebbe tanto fare una visita, ma è meglio di no, stasera vogliamo arrivare a Cortez. Il Dead Horse Point è una bellissima e ampia vallata che si ammira da un unico point, dove è stata girata la scena finale di Thelma e Louise. Il Colorado scorre sotto e ha scavato assieme ad altri agenti atmosferici per oltre 600 metri, il dirupo è vertiginoso. Non ci sono parapetti e si può passeggiare saltellando tra un sasso e l’altro. Ci sono dei tramonti qui che durano delle ore. Alle 18.30 il sole sparisce all’orizzonte e per un’ora e mezza il cielo si colora di tre tonalità differenti in sequenza. Dapprima un rosa timido, un po’ come il nostro rosso del bel tempo che si spera, poi giallo e infine arancio sino a diventare più scuro, viola e blu. Circa tre ore dopo arriviamo a Cortez dove alloggiamo all’Econolodge a 100 USD incluso colazione e uno sconto del 10% da Denny’s che è proprio di fronte dove ci sbaffiamo un piattone di pollo con contorni e bistecca ad un ottimo prezzo.

24/09/2009 MESA VERDE N.P. – FOUR STATE CORNER – MONUMENT VALLEY Km: 220 Tuffo nel far west Oggi sveglia mattutina, alle 7.15, perché vogliamo arrivare presto a prenotare la visita di Cliff Palace dentro il parco di Mesa Verde, la visita infatti si può fare esclusivamente a gruppi ristretti e non è detto di trovare posto subito. Alle 8.30 siamo già all’ingresso del parco dove il solito ranger ci dà la solita mappa del parco, dopo una trentina di km attraverso un paesaggio simile alle nostre colline italiane, e dopo aver schivato un daino e un coyote, ci fermiamo al Visitor Center, dove con nostra sorpresa troviamo posto nella visita delle 9.30 e dobbiamo correre per non fare tardi visto che il ritrovo è qualche miglio oltre il Visitor Center. Fa abbastanza freddo e ci imbacucchiamo ben bene mentre il ranger-guida ci raggiunge in un view point che guarda una bellissima Cliff Palace, riparata dentro ad un anfratto della roccia, anche se purtroppo alla mattina è completamente in ombra. Le spiegazioni sono sicuramente esaurienti ma purtroppo l’inglese è talmente stretto che non riusciamo a capire molto, per fortuna un’idea ce l’eravamo fatta leggendo la guida, perché le nostre richieste di parlare più lentamente non sono molto considerate… Ci incamminiamo lungo un sentiero da capre fatto di gradoni scavati nelle roccia e passaggi strettissimi, costeggiamo il costone su cui sta la terrazza del view point, scavalchiamo un’altra roccia grazie ad una scaletta a pioli in legno ancorata al massiccio ed eccoci alle porte di Cliff Palace dove il nostro ranger-guida ci fa sedere per qualche altro minuto di spiegazioni. Proseguiamo poi la gita entrando nella cittadina e guardando da fuori le torri, le abitazioni, le camere da letto, le kivas… La visita dura un’ora, al termine della quale il ranger ci saluta e ci indica l’uscita. Wow…ci sono parecchi metri di scale a pioli da fare, certo che c’è della gente da ammirare, durante questo viaggio abbiamo incontrato tante persone anziane zoppicanti, con bastoni, le calze elastiche, obesi, ma riescono ad arrivare dappertutto con la forza di volontà, anche ad uscire da Cliff Palace. Emersi dalle rocce riprendiamo l’auto e proseguiamo la mattinata con una visita veloce al resto del parco, ci limitiamo a fermarci nei view point più importanti, percorriamo il Mesa Top Loop e facciamo una tappa un pochettino più lunga solo in corrispondenza del museo da dove parte un piccolo sentiero tutto in discesa fino a Spruce Tree House, l’unico sito che si può visitare autonomamente. Lasciamo Mesa Verde, pranziamo velocemente da Mc Donalds (con le porcherie che abbiamo mangiato anche nei ristoranti, ormai siamo indecisi su cosa sia peggio) e partiamo alla volta di Four State Corner, l’unico punto degli States dove si incontrano quattro stati. Onestamente mi sembra un po’ una forzatura creare un punto di interesse qui ma comunque ci andiamo e per 3$ a testa e entriamo in un luogo creato sul nulla: una piattaforma con una croce in mezzo e l’indicazione dei quattro stati (Arizona, New Mexico, Colorado e Utah) dove tutti si fanno le foto, qualche mercatino di indiani e un gruppo musicale sotto un sole cocente. Ci rimettiamo in moto alla volta di Mexican Hat verso le 16, e visto che siamo in anticipo sui tempi decidiamo di andare a vedere la Monument Valley con la luce del tramonto: che spettacolo! Qui non vale il nostro caro pass, paghiamo e via con la nostra Elantra in mezzo ai butte della mitica Monument Valley! Forse perché è tardi nessuno ci assale per farci fare la visita guidata ma alcune navette le incontriamo lo stesso, sono dei pick up con il retro modificato in cui sono state montate delle panchine, poveri turisti, si mangiano tanta di quella polvere…. Noi riusciamo a cavarcela bene, la strada è tutta sterrata e in alcuni tratti c’è della sabbia, ma, con un po’ di attenzione alle buche più grosse, con qualsiasi auto si può percorrere. Un vantaggio di fare il tour guidato è che ti portano su strade che sono vietate alle auto normali, ma a noi è apparsa meravigliosamente bella anche così. E poi ci possiamo fermare quando vogliamo, e dove vogliamo, fare un sacco di foto e saltare a piedi pari tutte le bancarelle dei Navajo che vogliono venderti le loro chincaglierie (va bè, tranne una dove acquisto una collana….). Impieghiamo quasi tre ore a fare tutto il giro e alla fine abbiamo polvere dappertutto, ma è stata un escursione meravigliosa. Giriamo in mezzo ai butte e siamo sempre fermi, Paso scatta all’impazzata e rimpiange di non avere il cavalletto con sé, ogni curva un paesaggio diverso, ogni fermata una meraviglia nuova. Visti da lontano i butte non sembrano così grandi ma da qui sotto è tutta un altra prospettiva. Ci godiamo gli ultimi sprazzi di questo fantastico tramonto dal Visitor Center: questo viaggio ci ha riservato tante meraviglie che non ci aspettavamo, la Monument Valley te l’aspetti perchè l’hai vista tante volte in tv ma è comunque bellissima da fare, e farla così al tramonto ci ha regalato dei colori da cartolina veramente spettacolari. Torniamo a Mexican Hat dove abbiamo prenotato ieri sera al Mexican Hat Lodge, per fortuna perché è quasi tutto “No Vacancy” anche qui. Ceniamo prima di salire in camera al ristorante del motel e con sorpresa arriviamo in un locale che più americano non si può: non solo la lobby è tutta in legno con vecchi arredi stile Happy Days, il ristorante è all’aperto, c’è un garage con la saracinesca aperta e un duo che suona musica country, al centro c’è un “cuoco” con la camicia sbottonata fino a metà pancia che cuoce la carne su una graticola dondolante sopra al fuoco vivo, dall’altra parte un bar in legno. L’atmosfera è elettrizzante e se non fossimo così stanchi ci tratterremo sicuramente di più, invece dopo esserci sbafati due hamburgher ci ritiriamo nella nostra stanza. Davanti alla camera, sul ballatoio di passaggio, abbiamo anche un salottino che si affaccia sulla piscina (sporca) tutto in tinta arancione. Forse non è tra i più confortevoli che abbiamo trovato, ma l’atmosfera stile america anni ’50 è garantita!

25/09/2009 GOOSENECK S.P. – PAGE – LAKE POWELL Km: 325 circa + quelli per visitare i dintorni di Page Un po’ di meritato relax Sveglia alle 8.00, attaccato alla porta della reception troviamo un biglietto che ci indica dove andare a fare colazione e a fianco la “DROP KEY”, una cassettina in cui lasciamo le chiavi, nella più piena fiducia. Dopo una buona colazione girelliamo cercando di collegarci ad un wi.fi. libero per prenotare la stanza per stasera ma non lo troviamo, contiamo comunque di arrivare a Page nel primo pomeriggio. Intanto però torniamo un po’ indietro per andare a visitare Gooseneck State Park. L’ingresso è gratuito e la visita veloce, si tratta solo di un view point che sovrasta alcune anse del San Juan River che qui formano una serie di curve impressionanti, l’altezza è come sempre notevole e pensare che il fiume abbia scavato tutto questo è difficile a credere ma…è cosi. Per fotografarlo tutto servono 2/3 fotogrammi con un 14 mm. Poi di nuovo verso la Monument per fare la classica foto con la strada dritta che si perde in mezzo ai butte, ieri non siamo riusciti a farla bene perché il sole è a favore alla mattina e i colori sono molto migliori adesso. Superiamo l’ingresso e proseguiamo il viaggio alla volta di Page, entrando in Arizona, recuperiamo l’ora persa nello Utah, ma soltanto quando usciremo dalla riserva Navajo perché lì non vige l’ora legale. Facciamo un po’ di confusione e ci fidiamo degli orologi: a Taco Bell, dove facciamo benzina, sono le 12:30, un’oretta dopo arriviamo a Page e un altro orologio ci dice che sono ancora le 12:30, ok. Ci accoglie subito l’aria vacanziera di questa cittadina, è pieno di pick-up con barche al seguito. E sono pieni anche i motel, i primi che incontriamo sono già “no vacancy”, ci mettiamo quindi subito alla ricerca di una camera per stasera e prenotiamo al Travelodge per 79$+tax. Poi ci precipitiamo subito a cercare l’agenzia in cui abbiamo prenotato i biglietti su internet qualche giorno fa per l’escursione di domani all’Antelope Canyon: tutto a posto. Tranquilli ci concediamo un pranzo al Pizza Hut, poi ci incamminiamo verso il primo punto di interesse: Horseshoe Bend. Dobbiamo camminare in salita sulla sabbia e arrivati su una collinetta si scorge il punto di arrivo che non è vicinissimo. Fa caldo, ma armati di berretto e acqua arriviamo ansimando sulla punta estrema. Lo scenario che si apre è imponente e coloratissimo: rocce rosse a picco sul blu del Colorado laggiù in fondo, in un’ansa ad U impressionante. Anche chi non soffre di vertigini qui ha il suo da fare. Ci avviciniamo al bordo pian pianino per fare una delle foto più importanti che ci eravamo prefissati in questo viaggio, ma per fare stare tutta l’ansa nell’inquadratura ci sono voluti quattro fotogrammi orizzontali con un 14 mm, una roba da non credere. Non rimaniamo molto perché il caldo si fa sentire e andiamo a vedere da vicino l’imponente diga, ma rinunciamo alla visita vera e propria perchè preferiamo andare a vedere gli effetti, stranamente positivi, che la sua costruzione ha avuto sul paesaggio: la roccia e il paesaggio sono stati modificati da questo sbarramento del Colorado in maniera spettacolare: colline deserte in mezzo al lago, falesie che si alzano qua e là, spiagge da vero e proprio mare…e proprio lì decidiamo di fermarci per un po’ di relax dopo aver visto i punti panoramici di Scenic view e di Lone Rock. Solo che per arrivare ci capita una disavventura: ci insabbiamo con la macchina! La guida ci aveva avvisato del pericolo, ma abbiamo visto a riva dei camper enormi (praticamente case ambulanti) e non pensavamo che sarebbe toccato proprio a noi, invece si…per fortuna l’efficenza americana ci ha salvato in pochi minuti, prima si materializza un quad che prova a tirarci, poi un altro e infine un Hammer che ci toglie d’impaccio in un batter d’occhio e molto gentilmente ci accompagna pure giù a riva, dove ci mettiamo a prendere un po’ di sole. Io provo anche a bagnarmi le gambe, ma il fondo melmoso mi fa passare subito la voglia! Così il bagno lo facciamo più tardi nella piscina riscaldata del motel….finalmente, nei motel ci sono sempre queste belle piscine, ma noi arriviamo sempre tardi e non riusciamo mai a godercele! Per cena decidiamo di provare un ristorante italiano, non ho mai provato a mangiare italiano all’esterno e…penso che non ci proverò neanche più… Finiamo la serata passeggiando in un mercatino locale e facendo un ultima puntata notturna alla diga che è illuminata molto bene.

26/09/2009 ANTELOPE CANYON – GRAND CANYON Km 230 circa oltre a quelli dentro il parco Protagonista la luce Alle 7.00 c’è già una forte luce che indica che l’alba c’è già stata da un pezzo. Abbiamo cambiato fuso orario e si vede, solo che siamo talmente vicini al confine tra Utah e Arizona che in alcuni locali di Page si trovano addirittura due orologi con i due diversi orari. Oggi abbiamo l’escursione prenotata all’Upper Antelope Canyon alle 11:30, l’unico momento in cui la luce riesce a penetrare nelle strette fessure del canyon e crea gli effetti più belli. Inganniamo il tempo facendo un po’ di spesa, telefonando a casa (dove stanno già cenando!) e noleggiando il cavalletto per la macchina fotografica. Alle 11:15 ci caricano su un pick up con due panchine dietro e usciamo da Page per imboccare una strada di sabbia che ci porta all’ingresso del canyon, il viaggio dura un quarto d’ora buono e nessun altro mezzo al di fuori di questi pick up riuscirebbe a muoversi qui, anzi in qualche punto ho l’impressione che anche il nostro tenda a piantarsi. Ma arriviamo sani e salvi ed entriamo con la nostra autista-guida. Non siamo soli, anzi siamo un gruppo attaccato all’altro ed è difficile fare delle belle foto, ma il posto è magico: saranno 200 m di passeggiata ma ci mettiamo tre quarti d’ora perchè siamo sempre fermi a catturare tutti gli angolini così particolari che con la luce di mezzogiorno creano dei giochi di luce veramente unici. Bellissimo! Ma le foto vanno fatte molto in fretta…. c’è anche una conformazione che crea un cuore non ben visibile a occhio nudo ma solo con una esposizione lunga che mette in risalto le parti scure. Arrivati in fondo torniamo indietro in 10 minuti e il pick up ci riporta al punto di partenza, è stato uno dei posti più belli di tutto il viaggio! Ripartiamo subito però perchè le emozioni per oggi non sono ancora finite, dobbiamo raggiungere il Gran Canyon, ma lungo la strada incontriamo una competizione di truck-pull (trattori che fanno una gara trainando dei pesi mastodontici) e ovviamente non possiamo non fermarci a curiosare. Arriviamo all’ingresso del Gran Canyon dove il nostro fedele pass ci fa entrare ancora una volta e iniziamo la nostra visita percorrendo la East Rim Drive, accessibile dalle auto, che provenendo da Page come noi, è poi l’unica percorribile fino al Grand Canyon Village, al centro del parco. Ci fermiamo nei primi view point: Desert View, Navajo e Lipan da cui si gode un ottima vista sull’immensità del canyon. Il colpo d’occhio è forte, nonostante tutti i canyon visti finora, questo è di gran lunga il più maestoso, peccato per una leggera foschia che offusca un pochino la vista verso ovest e in generale uniforma i colori delle pareti più distanti però la vista è magnifica lo stesso. A Moran avvistiamo anche due condor che volteggiano un po’ sopra di noi prima di sparire, poi siccome si sta avvicinando l’ora del tramonto, che arriva prima rispetto ai giorni scorsi, ci fermiamo lungo la strada a godercelo ben bene, le rocce diventano tutte rosse, è veramente molto bello, poi va tutto ben presto in ombra e così ripartiamo alla volta del Canyon Village. Occhiatina anche al Mother Point, poi dopo un’inutile ricerca del Visitor Center che non troviamo perchè ormai è buio e dei lavori stradali ci hanno un po’ fatto perdere l’orientamento, usciamo in direzione Tusayan per raggiungere il Red Feather Lodge prenotato ieri a 129.99 + tax, non proprio economico ma comodissimo per la visita al Canyon. Ceniamo al “We cook pizza and pasta”, posto semplice e buona pizza, ottimo compromesso, poi andiamo subito a letto perchè anche domani sarà una giornata lunga.

27/09/2009 GRAND CANYON – WILLIAMS Km 85 circa Il maestoso Gran Canyon Sarebbe stato bello vedere l’alba stamattina, ma abbandoniamo l’idea per rimanere un po’ di forze in più per la giornata, del resto abbiamo già visto il tramonto ieri. Iniziamo la mattinata andando di nuovo sulla East Rim Drive per raggiungere Grandview point che ieri abbiamo saltato, per vedere questa zona del canyon con la luce del mattino. Effettivamente è un’altra cosa: è sparita la foschia, i colori sono un po’ più piatti, ma il canyon si mostra in tutta la sua imponenza, è veramente impressionante. Poco dopo lasciamo la macchina al parcheggio del Visitor Center e prendiamo la navetta verde e per la terza volta percorriamo la East Rim Drive, non siamo ammattiti, ma c’è un punto, lo Yaki point che si può raggiungere solo in navetta, mentre Grandview solo in auto…e noi non vogliamo proprio perderci nulla, sono tutti panorami meravigliosi. Con una serie di coincidenze tra navette, dalla verde alla blu e dalla blu alla rossa (in realtà è molto più semplice di quel che sembra, basta dare un occhiata alla cartina per capire il funzionamento), riusciamo a visitare Yavapai Observation Station, che è molto interessante per chi ha un po’ tempo, in quanto ricostruisce con dei plastici e dei cartelloni didattici tutta la storia del canyon e tutta la geologia, flora e fauna attuale e passata, oltre ovviamente al classico negozietto dove la maggior parte dei turisti, io compresa, si perde tra le chincaglierie…. Visitiamo velocemente anche il Kolb Studio e il suo vecchio proiettore di inizio ventesimo secolo, poi proseguiamo per l’Hermist Rest Route, che non è accessibile alle auto. Con la navetta facciamo tappa in tutte le dieci fermate…che dire, i punti meritano tutti, a noi sono sembrati un po’ tutti uguali, ma questo non vuol che in ogni tappa non ci si riempia gli occhi e il cuore di questo capolavoro che madre natura ci ha donato. Non camminiamo molto, ma solo perchè vogliamo tenere le forze per percorrere un pezzetto del Bright Angel Trail, che raggiungiamo verso metà pomeriggio dopo esserci fermati un po’ di più al capolinea Hermist Rest, punto di ristoro con tutti i servizi. Per chi ha tempo comunque questo lato del Gran Canyon merita di essere visto tutto a piedi secondo me. Proviamo l’emozione di una breve discesa nel Grand Canyon, lungo il Bright Angel Trail, ma non raggiungiamo nemmeno la prima tappa dopo un miglio e mezzo, sempre per mancanza di tempo…magari poter proseguire! Il trail è bellissimo, largo e battuto, si snoda sotto di noi incuneandosi nelle pareti del canyon a zig zag fino a sparire e ricomparire più in basso. Già pochi metri più avanti il paesaggio cambia e da arido e secco diventa verde e dolce, il silenzio è interrotto solo dai passi della gente. Occorre solo fare un po’ di attenzione ai…ricordini dei muli che accompagnano i turisti fino sul fondo del canyon. La salita è meno ardua del previsto, la facciamo in una sola tirata e in poco tempo siamo di nuovo sulle rive del canyon. Riprendiamo la nostra auto per lasciare il Gran Canyon, salutandolo con un ultima occhiata dal Mother Point e ripartiamo alla volta di Williams dove abbiamo intenzione di pernottare ma senza aver prenotato niente, siamo convinti di non trovare la ressa. Ci mettiamo quasi un’ora e mezza e il paesaggio è un po’ desolante, invece una volta arrivati a Williams troviamo una cittadina viva e colorata. Qui è stato ambientato “Cars”, il cartone animato della Disney, e lo ricorda proprio! E’ tutto sviluppato sul vecchio tracciato della famosa Route 66, dove molti edifici sono stati ricostruiti fedelmente come dovevano essere nel secolo scorso, si vede che sono nuovi però l’effetto è assicurato! Prendiamo alloggio al Econolodge per 79$ + tasse compreso la colazione, proprio di fronte due finti cow-boy si esibiscono in una finta sparatoria. Decidiamo di cenare al Route 66 Cafè, la cui insegna e l’auto posizionata sul tetto non possono essere più caratteristiche di così e infatti la scelta si rivela azzeccata: atmosfera Happy Days, cibo pesante ma buono e musica dal vivo, solo fa un po’ freddo e non ci tratteniamo oltre la cena. Prima di andare via diamo una sbirciatina all’interno….praticamente è un museo della Route 66!

28/09/2009 ROUTE 66 – CALICO Km 740 circa Città fantasma Oggi ci aspetta una lunghissima tappa fino a Los Angeles per cui stamattina ce la prendiamo con un po’ più di calma ma non troppo perchè abbiamo alcune tappe da fare. La prima non è programmata ma subito fuori Williams ci fermiamo al cimitero in cerca delle vecchie tombe dei cow-boy che non troviamo, però rimaniamo piacevolmente stupiti dall’atmosfera: sembra di essere in pineta, le tombe sono molto discrete, distanti e tutte a terra, ognuno arricchisce la propria con quello che meglio in vita rappresentava il defunto e così si trovano birre, bandiere, giocattoli, elmetti da muratore e tante altre cose. Il successivo tratto della Historic Route 66 non ha niente di diverso dalle altre strade americane: lunghe, affiancate spesso da panorami desertici, però ogni tanto si trovano città più o meno fantasma, quasi tutte riadattate per accogliere turisti. Una di queste è Seligman, in cui rimaniamo molto poco dato che ormai è consumata dai turisti, arrivano con i pullman per prendere d’assalto i negozi di souvenir e fare le foto con i manichini travestiti da vari personaggi e le auto storiche. Ci fermiamo anche ad Hackberry, qui il tutto è un po’ più genuino, sono stati raccolti centinaia e centinaia di pezzi da museo e di auto vecchie (non d’epoca, vecchie, e l’effetto è di sicuro migliore), un gruppo di harleysti condisce meglio la situazione. Andiamo dritti a Calico e arriviamo ad un orario accettabile, peccato sia accettabile solo per noi, alle 16:25 Calico è già spenta. Troviamo tutto chiuso e inizialmente rimaniamo male poi ci guardiamo un po’ intorno e quasi quasi è meglio così: il paese è ricostruito fedelmente ma con tanti negozietti dentro le casine in legno e tante attrazioni turistiche, anche qui l’atmosfera è da parco dei divertimenti, ma a quest’ora è tutto deserto e si può captare un pochino di più quello che doveva essere la Calico dell’800. Giriamo dappertutto e cerchiamo di immaginare lo scalpiccio dei cavalli e le donne con le gonne larghe aggirarsi qui intorno, se si è di mano è una tappa carina da fare. Avendo fatto così in fretta possiamo tranquillamente rimetterci in moto per raggiungere Los Angeles in serata e così facciamo. Percorriamo ancora tanti chilometri dandoci spesso il cambio alla guida e riusciamo anche a vedere di sfuggita l’animaletto simbolo di queste terre: il road runner, simpatico e veloce proprio come il famoso bip-bip dei cartoni animati! Quando avvistiamo Los Angeles e pensiamo di essere arrivati in realtà impieghiamo ancora un paio d’ore per raggiungere Pasadena, in mezzo al traffico caotico ma scorrevole e alle infinite corsie di queste autostrade. Finalmente possiamo dire di essere arrivati e prendiamo alloggio al motel Super 8 per 79.99 USD + tasse. Cena da Denny’s poi ci buttiamo sul letto sfiniti!

29/09/2009 L.A. – UNIVERSAL STUDIOS – HOLLYWOOD Bambini per un giorno La posizione del motel si rivela strategica rispetto agli Universal Studios, che vogliamo visitare oggi, così in poco tempo li raggiungiamo e lungo la strada riusciamo a fare colazione, bancomat e benzina senza alcuna difficoltà. Ci assale il traffico: eravamo sollevati di non dover guidare tanto oggi, ma ci rendiamo subito conto che il caos di L.A. è ben più stressante dei tanti km percorsi in mezzo al nulla. Comunque attraversiamo la Citywalk, la passeggiata introduttiva con locali e attrazioni davanti agli Studios, ben prima dell’orario di apertura e all’ora X siamo in prima fila a goderci il pittoresco via alle attrazioni con tanto di “ciak”. Tra le tante tipologie di biglietto, che a seconda di quanto si paga fa evitare le file alle attrazioni, noi scegliamo quello base, il “general admission”, ossia nessuna fila preferenziale e andiamo benissimo tutta la giornata. Abbiamo dei coupon di sconto, cosa che non abbiamo sfruttato molto durante la vacanza ma che avremmo dovuto fare, ce ne sono per motel, ristoranti e locali di tutti i tipi e si trovano in tutti gli esercizi pubblici o nelle riviste. Dentro…bè, è come tornare bambini….un parco giochi in piena regola: vie, viuzze, moto, auto, tabelloni, fontane, palazzi in stile, attori finti, attori in costume, Shrek, Simpson, Spongebob, bar, souvenirs fanno da contesto alle attrazioni vere e proprie che sono dislocate in due zone principali, l’Upper Lot, zona alta e Lower Lot, la zona bassa, per andare da una all’altra ci sono scale mobili a tre livelli e occorrono circa 10 minuti per farle tutte. Cerchiamo di fare tutte le attrazioni e quasi quasi ci riusciamo, Shrek 4D, Jurassic Park e Waterworld sono solo alcune delle più belle, ma la più divertente in assoluto, a nostro avviso, è quella dei Simpson. Ci siamo veramente divertiti, anche se abbiamo dovuto saltare la Mummia perchè lo zaino di Paso era troppo ingombrante. Il nocciolo centrale della visita rimane comunque il giro agli Studios veri e propri che si fa a bordo di un trenino. Si visitano i set di alcuni famosi film del passato come Psycho, lo Squalo, The Truman Show, Jurassic Park e da lontano anche le casette di Desperate Housewife. Ci entusiasmiamo davanti alla ricostruzione di alcune scene già viste nei film e dei loro effetti speciali veramente impressionanti! Capitiamo in mezzo ad un alluvione, ad un temporale, ad un ponte che crolla, al mare che si apre per noi come per Mosè, auto che volano, terremoti….insomma un sacco di cose interessanti, siamo entusiasti come bambini al luna park! Concludiamo la visita agli Studios con uno spettacolo in cui vengono illustrati i trucchi e i segreti del mondo cinematografico e nel tardo pomeriggio siamo già bordo della nostra auto per cercare l’Hollywood Sing, l’enorme scritta che sovrasta la zona Hollywood. Il navigatore, che se durante il tragitto si è rivelato importante, qui adesso è INDISPENSABILE. La famosa insgna è nei punti di interesse e così ci porta in un punto da dove si vede molto bene anche se noi, non convinti zigzaghiamo un po’ per vedere di avvicinarci ancora ma senza successo. Proseguiamo, prossima destinazione Walk of fame, ossia la strada dove i vips lasciano le proprie impronte sulle piastrelle davanti al Chinese Theatre e dove ci sono le stelle con i loro nomi. Ci mettiamo parecchio perchè il traffico è impressionante e una volta arrivati ci scontriamo con la complicazione dei parcheggi, non c’è un posto uguale all’altro e ripieghiamo subito su un mega parcheggio a pagamento interrato. Siamo davanti al Kodak Theatre, dove si svolge la notte degli Oscar, ma a quest’ora è tutto chiuso così ci incamminiamo lungo l’Hollywood Boulevard, con il naso incollato per terra per leggere i nomi delle star sulle stelle nel pavimento fino a che la ressa non ci ferma: proprio stasera al Chinese Theatre c’è la prima di un film e non possiamo andare a curiosare tra le famose impronte dei vip, ma in compenso dopo un po’ iniziano ad arrivare i macchinoni che scaricano personaggi famosi che passerellano davanti ai fotografi. Sarà per la lontananza o perchè non siamo proprio amanti della tv e del gossip, sta di fatto che non riconosciamo nessuno….decidiamo quindi che torneremo un’altra volta, la nostra dose di Hollywood per oggi l’abbiamo avuta. E’ ora di andare al nostro Hotel Angeleno prenotato dall’agenzia, che si rivela molto al di sopra delle nostre esigenze, troppo lusso, non è roba per noi, in più si rivela anche molto rumoroso, visto che è proprio attaccato all’autostrada. Pazienza…ormai siamo qui. Ceniamo in macchina con un take away di In’n Out Burger, parcheggiati in divieto di sosta, volevamo trovare un posticino tranquillo dove mangiare tipo un parco con qualche panchina ma ci rinunciamo dopo aver vagato senza risultato per un po’ in mezzo a questo traffico delirante. Arrivati in camera ci accorgiamo che ci sono in dotazione addirittura i tappi per le orecchie…

30/09/2009 L.A. – SANTA MONICA – MALIBU’ Le spiagge dei vip Oggi vogliamo rilassarci un po’ e partiamo tranquilli per una giornata a zonzo per le spiegge di Los Angeles. Iniziamo da Venice dove compriamo qualcosa take-away da Starbucks poi siccome l’atmosfera è un po’ smorta, andiamo a mangiare sull’Ocean Front Walk di Santa Monica, il vialetto che costeggia la spiaggia visto tante volte nei film e nei telefilm. E’ ancora abbastanza presto e c’è un po’ di foschia che rende le torrette dei bayguard molto affascinanti, c’è qualche surfista e l’acqua è decisamente fredda. Facciamo due passi e qualche foto, ma poi decidiamo di muoverci di nuovo in auto per percorrere i bellissimi viali con le palme ai lati e arrivare sino al Pier di Santa Monica, quello con il luna-park sopra. Giriamo dappertutto, approfittiamo per telefonare a casa e ci stendiamo un po’ in spiaggia a rilassarci, qui è decisamente più popolata, sia di persone che di gabbiani a cui ci divertiamo a dare da mangiare. Proseguiamo per Malibù, la zona dei vip, e per strada ci fermiamo a mangiare una pizza. Una volta arrivati si capisce subito che siamo finiti in mezzo a roba da ricchi: passiamo davanti a cancelli enormi che coprono tutto e mega villone (quando si riesce ad intravedere qualcosa), gli accessi alla spiaggia sono tutti sbarrati tranne uno in cui ci infiliamo subito per vedere queste villone anche dal davanti, sono le classiche ville dei vip costruite sulla spiaggia, tipo palafitte per intenderci, ma sembrano deserte. Ci sono enormi terrazzi e grandi vetrate da cui si riesce a sbirciare un pochettino dentro, a due passi dal mare, alla faccia dell’abusivismo. Facciamo un giretto ma ci accorgiamo di minacciosi cartelli “private property” ed è meglio se ce ne andiamo prima di essere scambiati per due paparazzi visto che la macchina fotografica di Paso non passa certo inosservata… Proseguiamo in auto alla ricerca di vip, giriamo sperando di incontrare, che ne so…Kevin Costner che ritira la posta o Mel Gibson che butta la spazzatura….ma niente….facciamo solo qualche foto alle poche case che si riescono a vedere dalla strada. Ci fermiamo nelle spiagge in cui non c’è la “private property”, molto poche, prima di tornare verso Santa Monica. Nel tardo pomeriggio l’Ocean Front Walk e la spiaggia sono decisamente più animati, l’aria si è scaldata e c’è molta gente che prende il sole, tantissimi che corrono o portano a spasso il cane, tanti bambini che giocano e i baywatch di turno che scrutano, attenti a tutto e tutti. Passiamo qui le successive due ore guardando la quotidianità degli americani, è tutto proprio come nei telefilm! Sull’Ocean Front Walk se ne vedono un po’ di tutti i colori: pattini, skate board, skate board trainati da cani, jogging spingendo un passeggino, passeggini con seggiolino girato di lato con vista mare, tavole da surf legate alle biciclette, strane bici molto basse dove si sta praticamente sdraiati e quelle che sembravano a prima vista coppie di ragazzi alla ricerca di un pezzettino di parco dove fare un po’ di sport in tranquillità, in realtà, guardando meglio, ci accorgiamo che altro non sono che donne con il personal trainer che fanno ginnastica. Gli americani…..Ci godiamo un tramonto da favola sull’oceano e così arriva anche l’ultima serata del nostro viaggio: vorremmo passarla nella piscina dell’albergo e fare una cenetta romantica, ma purtroppo scopriamo presto che la piscina non è riscaldata e fuori è freddo e soprattutto ci passa la voglia di uscire perchè dobbiamo apprestarci alla dura lotta con le valigie e così la serata trascorre prima un po’ accoccolati davanti al caminetto (finto) vicino alla piscina, poi in camera sgranocchiando un mc-menù preso al drive-throu di Mc Donalds. Con tristezza svuotiamo la nostra Elantra e dopo un bagno caldo ci mettiamo all’opera: il duello ha inizio! Non è facile stipare in due valige tutti i vestiti, i ricordini e le cianfrusaglie di 20 giorni ma alla fine ce la facciamo, speriamo solo non esplodano durante il viaggio! Ultima serata negli States, la malinconia si fa sentire, è stato un viaggio bellissimo, ma prima di lasciarsi andare ai ricordi abbiamo ancora una mezza giornata dove ci aspettano Beverly Hills, Bel Air e le impronte delle star di Hollywood che l’altro giorno non siamo riusciti a vedere. Poi sarà veramente finita.

01/10/2009 L.A. – BEVERLY HILLS – HOLLYWOOD E RIENTRO Ultimo giorno: bilancio di viaggio Sveglia alle 8.00 anche stamattina, come da buona abitudine americana troviamo il conto degli extra dell’albergo infilato sotto la porta. Colazione da Starbucks e partiamo rapidi alla volta di Beverly Hills. Il traffico è impressionante e ogni spostamento è un dramma, il tragitto che dobbiamo percorre è di appena 8 km ma impieghiamo un’ora, è tutto perennemente bloccato. Arriviamo esauriti davanti all’insegna “Beverly Hills” in cui facciamo la classica foto. Svoltiamo nelle stradine che entrano all’interno di questo quartiere e tutto diventa subito più tranquillo. E’ inutile andare a caccia di vips qui, si trovano solo siepi alte e auto della sicurezza mimetizzate lungo la strada, tanto vale girare senza meta a guardare le case con i giardini curati e alcune sembra proprio di averle già viste nei telefilm, ma chissà se è vero o se siamo solo suggestionati da quest’ambiente in un certo senso così familiare. Verso le 11 puntiamo il navigatore verso Rodeo Drive dove arriviamo in pochi minuti, grazie a dio. Facciamo il primo giro in auto lungo la famosa via dello shopping di lusso adocchiando tutte le griffe, anche se non siamo dei gran esperti e ci infiliamo a curiosare tra le vetrine, rimanendo senza fiato per i prezzi, dove ci sono! Dentro comunque non c’è una gran ressa in linea di massima sono più i commessi dei clienti. Non rimaniamo molto, proseguiamo per Hollywood nel traffico delirante di Los Angeles. Ci vuole un eternità anche se sono solo 15 km così quando arriviamo andiamo dritti nel parcheggio dell’altro giorno e saltiamo fuori quasi davanti Chinese Theatre, dove iniziamo subito lo spulcio alle impronte delle star. E’ molto piacevole cercarle perchè sono messe tutte alla rinfusa e senza una logica così se ne trovano sempre delle nuove, solo alla fine trovo quella di Marylin Monroe, dove mi faccio una bella foto e quella tenera di Shirley Temple, intanto alle nostre spalle spuntano come funghi artisti di strada travestiti da vip che si fanno fotografare per 1$. Passiamo oltre e andiamo a mangiare nell’ultimo fast-food della vacanza, Mc Donalds, tanto per cambiare, ormai un istituzione, abbiamo appurato essere il migliore, almeno finchè il fegato regge. Si fa ora di andare in aeroporto, è arrivato il momento di salutare l’America e tutte le sue meraviglie e tornare alla vita di tutti i giorni. Ultima ora di traffico infernale poi ci ritroviamo alla riconsegna dei veicoli Hertz e con un po’ di malinconia salutiamo la nostra Hyunday Elantra giallina che ci ha accompagnato per quasi 5.000 km nel south-west americano. Togliamo le ultime cose, scarichiamo le valigie e lasciamo nel baule il frigo in polistirolo che ci aiutato a sopravvivere ai caldi più infernali, chissà che non possa servire a qualcun’ altro. Eccoci al terminal B dell’aeroporto LAX. Fuori il sole sta calando, e ci sono i colori del tramonto, il tramonto di una giornata come tante per Los Angeles e il tramonto di questo indimenticabile viaggio per noi. Ogni cosa, ogni giornata vissuta qui è stata impagabile, non c’è stato un posto che abbia meritato di essere visto meno di un altro, se tornassi indietro rifarei tutto, con qualche modifica certo, ma senza saltare nulla. I chilometri sono stati tanti ma mai così meritati per questo immenso paese pieno di meraviglie, alcune conosciute, altre più nascoste, ma tutte tutte tutte da scoprire, da vivere e da portare nel cuore. E’ difficile dire se vale la pena andare con un po’ più di calma e godersi di più i parchi o andare di corsa come noi e vedere un po’ di tutto, io da una parte avrei voluto camminare di più, ma poi penso a cosa avrei potuto rinunciare in cambio e proprio non saprei…

CONSIGLI PRATICI PER IL VIAGGIO L’America è un paese sviluppato e organizzato. Le cose funzionano (chiaramente i disguidi possono succedere anche qui). I posti sono resi fruibili ai turisti e chiari nelle spiegazioni. Normalmente funziona tutto nella modalità “ufficiale” cioè: esempio, per visitare Alcatraz c’è la compagnia ufficiale e si va con quella. Non ci sono gli scafisti o i bagarini 🙂 La contrattazione non è usanza. La carta di credito qui è la normalità e serve a fare la spesa, pagare alberghi…. (noi facevamo tutto online)

TELEFONIA FISSA: Dai telefoni pubblici ancora presenti si possono utilizzare le carte internazionali per telefonare. Noi avevamo la “New Columbus”. Ottima ed economica. Si prende in un normale tabaccaio in Italia e tramite il codice che c’è sopra si telefona in Italia (fissi costa meno, cellulari costa molto di più), ma attenzione bisogna leggere bene le istruzioni e cercare sul sito della Telecom il codice di accesso da anteporre al PIN, che sulla card non è riportato ed è un numero bello lungo, una volta arrivati là se non si ha la possibilità di utilizzare un pc non si riesce a trovare.

TELEFONIA MOBILE: Utilizzare il proprio cellulare è costoso. SMS a circa 50 centesimi ciascuno. Alcune telefonate fatte ad alberghi per prenotazione si sono fatte sentire.

INTERNET: Internet c’è ma non si vede. Ovvero nelle case gli americani hanno quasi tutti una connessione ma è difficile trovare un Internet Point (a che gli serve…) Più facile utilizzare il wi-fi del motel dove alloggiate (di solito sono protetti da password che vi lasciano al momento del check-in), a volte reti wi-fi libere di altri motel vicini…vedete voi 🙂

DORMIRE: I motel sono una soluzione ottima, buon compromesso tra qualità e prezzo e ce n’è per tutti i gusti. Le catene sono tante. Super 8, Motel 6, Econolodge…vi sono diverse possibilità: arrivare pomeriggio non troppo tardi in zona, girare un po’ per farsi un’idea e scegliere prezzo/qualità migliore o (come facevamo noi) fare i turisti sino a sera tardi e approdare con prenotazione fatta la sera prima via Internet con carta di credito prepagata al motel di destinazione. A voi la scelta.

MANGIARE: Tasto dolente. La cultura del cibo non è il forte degli americani. Oppure mettiamola così: hanno gusti diversi dai nostri. Occorre quindi prepararsi e fare quattro chiacchiere con il proprio fegato prima di partire. Muffin la mattina e patatine/hamburger e bistecca sono stati il nostro pane quotidiano. Fuori da questi è difficile trovare sapori apprezzabili. Ma anche qui è questione di gusti. L’ igiene generalmente è buona quindi per i deboli di stomaco (come me) potete stare tranquilli.

SPESE: La pensavamo un po’ più economica la vita negli States. Almeno avevamo capito così dai racconti di amici. Dai 40 ai 120 USD per dormire ogni notte, Queen Bed (2 letti da una piazza e mezzo) o King bed (1 letto da 2 piazze e mezzo). Pulizia non sempre ottimale, ma accettabile.



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