L’ultimo lembo di africa nera

Alla fine del soggiorno Africano scrivo il riassunto del viaggio per non dimenticarlo e per poterlo rivivere. Siamo partiti da Pisa per Milano lunedì 18 luglio ‘05 alle 17.20. Gli assistenti di volo Alitalia erano in sciopero ma fortunatamente il nostro volo è stato confermato e siamo potuti partire in orario. Il volo è andato bene. A...
Scritto da: Valeria Capitani
l'ultimo lembo di africa nera
Partenza il: 18/07/2005
Ritorno il: 25/07/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Alla fine del soggiorno Africano scrivo il riassunto del viaggio per non dimenticarlo e per poterlo rivivere.

Siamo partiti da Pisa per Milano lunedì 18 luglio ‘05 alle 17.20. Gli assistenti di volo Alitalia erano in sciopero ma fortunatamente il nostro volo è stato confermato e siamo potuti partire in orario. Il volo è andato bene.

A Milano abbiamo fatto l’ultima cena italiana e alle 21,05 siamo decollati per Johannesburg. Il volo è stato comodo e confortevole oltre le aspettative. Io ho dormito fino alle 6,30 quando ci hanno svegliato, Luca un po’ meno.

All’arrivo all’Aeroporto di Johannesburg faceva freddino, le persone portavano cappelli di lana e guidavano tenendo la sinistra. Il volo per Victoria Falls è stato poco dopo, nell’attesa abbiamo incontrato quel collega di mia sorella che sapevo faceva il nostro stesso viaggio ed ho scoperto è andato a scuola con Luca. La moglie invece ha fatto la mia stessa scuola. Quando l’ho intravista in Aeroporto ho pensato che non poteva essere lei e che io dovevo avere delle allucinazioni post volo transcontinentale. L’arrivo a Victoria Falls è andato tutto bene – visto e ritiro bagagli- e siamo partiti per il Kingdom Hotel.

Un albergo eccessivo e un po’ Disneyano per i miei gusti, la cascata all’ingresso non ha alcun senso, comunque ci siamo stati proprio bene. Abbiamo la mezza pensione e abbiamo mangiato in un ristorante dell’albergo, un posto buio e un po’ Far West dove si mangiano Hamburger.

Abbiamo mangiato abbastanza bene, ho vietato a Luca di mangiare la verdure cruda ma ci siamo concessi la mayonnaise- siamo in vacanza-.

Dopo pranzo alle 15,35 si parte per la crociera sullo Zambesi.

La barca è un chiattone con bagno, tavoli, sedie e sgabelli, lo Zambesi è un fiume scuro, abbastanza largo e liscio come l’olio. Mi portano una birra dello Zimbabwe, è buona.

Ci sono con noi degli Australiani ai quali interessa bere e non vedere perché si sono già fatti tutta l’Africa e forse non ce la fanno più.

I giapponesi invece sono imbarazzanti come sempre, hanno anche le mani coperte per paura delle zanzare che sinceramente non ho visto- forse una o due-, durante la crociera abbiamo visto un coccodrillo, sei ippopotami e tre elefanti.

Stupisce la facilità con la quale li abbiamo avvicinati e come non si curino di noi. Nel ritorno c’hanno dato da mangiare polpette, spiedini e verdura, tutto buono e piccante e prendo la seconda birra(!).

Dopo cena ci incontriamo con altri ragazzi italiani antipaticissimi che abbiamo incontrato in volo, li andiamo a salutare a cena e poi si dorme.

Alle 8,35 si va alle Cascate Victoria quindi ci svegliamo presto facciamo colazione abbondante mettiamo i panini in borsa e via.

La guida è arrivata in anticipo e Luca dimentica la bandanna verde di Timbuktu sul letto. È l’ultima volta che la vediamo, ce l’hanno rubata! Nel viaggio per le cascate incontriamo dei turisti inglesi, ma diciamo meglio europei fogatissimi perché la guida ha fatto tardi e loro devono andare con l’elicottero. Sono insopportabili e meno male ci separiamo. Appena arrivati incontriamo il collega di mia sorella con la moglie e stiamo con loro a vedere le cascate, anche perché loro hanno la guida in italiano, una Sig.Ra italiana, che vive a Victoria Falls, il cui figlio gestisce i servizi per turisti! Alle 11,30 salutiamo la guida visto che l’albergo è a due passi a piedi e comincia l’avventura.

Per passare il ponte di Victoria Falls ci vuole il passaporto, e noi ce l’abbiamo, ci mettono il timbro in uscita dallo Zimbabwe e pensiamo di entrare in Zambia invece entriamo nella terra di nessuno.

Dal ponte le cascate sono bellissime e noi da lì non volgiamo fare Bunjy jumping. Sul ponte c’è l’assalto da parte di ragazzi che ci vogliono vendere gli oggettini vari. È pesante e mi spaventano, se fosse per me saremmo tornati indietro invece Luca ha insistito e abbiamo proseguito per lo Zambia. All’ingresso servono 10 $ per ciascuno ed un sacco di timbri. Nello Zambia c’è ancora più povertà infatti i turisti rimangono quasi tutti nello Zimbabwe ma le cascate dallo Zambia sono ancora più belle. Non ci sono strutture solo un mercatino. Nello Zambia le cascate sembra di poterle toccare e si può vedere il fiume prima di cadere.

Abbiamo fatto uno spettacoloso pic-nic con vista ponte e vista pazzi che si buttavano con l’elastico. All’uscita dal parco ci lanciamo nel mercatino ma è dura, tutti i ragazzi ci fagocitano con i loro inviti a vedere i loro businnes, un metro quadro per terra ricoperto di statuine attaccato ad un altro. Ci piace tanto un ippopotamo gigante ma escluso perché pesa troppo. Gira che ti rigira si trova un altro ippopotamo e si contratta ma questo non ci sente abbiamo solo 10 Euro e non banconote da 5. Alla fine per 20 euro prendiamo l’ippo e una ciotola che a lui sembra un po’ sciupata ma che a noi va proprio bene, gli regalo le noccioline e i virgosol e ciao.

Fuori dal campo ci sono dei bimbi polverosi da non credere, a uno gli regalo due caramelle, spero sia stato contento. Quando torno in Africa mi porto le penne! A piedi non s’arriva mai! All’albergo s’incontra il fotografo che sta accanto a noi quando andiamo alla partita da non credere. Si ritorna in camera: ohiohi non c’è la bandanna! Dai dai, si riesce e si va al mercatino. È più o meno come l’altro, non danno pace, la differenza è rappresentata da due stanzoni dove stanno le donne. Mentre si passa nel corridoio ci spalancano davanti tutte le tovaglie che si sfiorano con lo sguardo. Dopo infinite contrattazioni si prendono 2 tovaglie e un tappeto a 25 Euro, uscendo si danno 5 euro a 2 mendicanti ciechi ma incredibile uno che ci vede bene ci viene dietro e ci chiede di cambiarli in banconote. (uffa).

A cena pizza con altri italiani e a letto.

La mattina con la macchina si parte per Kazangula ma prima si comprano 2 cappellini e 2 paia di guanti al mercatino indigeno. Alla ragazza quando vede i 10 Euro brillano gli occhi.

A Kazangula c’è Mbala che ci aspetta, per entrare in Botzwana si devono pulire le scarpe e le ruote. Il lodge è proprio bello, facciamo pranzo e poi pronti per il primo safari.

Alla guida della jeep c’è Presley che poi si rivelerà il miglior ranger del Chobe. Nella jeep si deve parlare sottovoce, e stare seduti, i movimenti possono sembrare agli animali delle aggressioni, vediamo Babbuini, impala, elefanti e ippopotami a 2 m dalla jeep, è anche troppo facile.

L’emozione più grande la dà sentire i loro rumori. Un elefante ha barrito per allontanarne un altro.

È un urlo più forte di quanto si immagini. Quando si rimane soli e si spegne la jeep è il silenzio assoluto e si sentono solo gli animali che mangiano e si muovono. Tornando andiamo in uno spiazzo a cercare i leoni che non ci sono e poi guardiamo il tramonto.

La bellezza del tramonto è mozzafiato, l’acqua, la savana, gli animali feroci sullo sfondo. È stata una visione tale che mi ha fatto sembrare ridicola per la voglia di arrivare un metro più vicina ad un animale. Una cena stupenda al Mowuana Safari Lodge, siamo stati proprio bene e abbiamo mangiato divinamente. Le persone di qui sono molto gentili e sono sempre allegre. Hanno tanta voglia di fare bene e lo fanno. A letto presto, la sveglia è alle 5,10, volgiamo sederci davanti nella Jeep.

Nella reception c’è una colazione all’italiana brioche e caffè, Presley è pronto for cats e noi anche.

Siamo partiti a tutta birra sorpassando tutti nel buio della notte – fa freddo ma noi abbiamo cappello e guanti- . Presley tiene il capo fuori dalla Jeep e segue le impronte dei leoni tipo Crudelia De Mon .

Gira, gira, gira, sembra anche che si siano perse le tracce e poi in un momento abbiamo visto una mandria di impala impietriti che guardavano tutti nella stessa direzione come gelati. Presley senza ancora vederlo ha detto: “ c’è il leone”, ha buttato giù il vetro della jeep ed ecco un branco di 12 leoni. Si muovono lentamente, tonici e paurosi.

Dietro alla jeep il leone maschio ha ruggito e l’ho visto controsole. Gli impala, che ho ignorato un po’ sornioni e soffiando se ne sono andati, è rimasto solo un gruppetto. I leoni hanno attraversato le strada e sono andati “into the bush”. A quel punto quando c’era poco da vedere sono arrivate tutte le altre jeep!! È meglio un giorno da leoni o una vita da coglioni? Dopo il safari abbiamo rimangiato per non farci mancare niente e poi un latro safari con Lt. Lt è molto africano, è lento, va piano piano, e poi noi la mattina con Presley avevamo già goduto alla grande ed il safari è un po’ deludente ma sul finire appaiono gli elefanti e Lt ci porta a vederli dall’alto mentre bevono tutti insieme: una visione.

Dopo pranzo si fa la crociera; i compagni di viaggio bevono e basta noi guardiamo. Abbiamo visto fish-egle, ippopotami, cicogne, elefanti, coccodrilli e bufali. Il coccodrillo era così vicino che mi sono allontanata, gli elefanti hanno fatto il guado. Tornati al lodge come la sera prima aperitivo nella terrazza sul Chobe che merita il viaggio, cena e a letto.

La mattina ripartiamo grati, soddisfatti e già nostalgici con la speranza di nuove avventure all’Okavango.

All’Aeroporto sono tranquilla e non vedo l’ora di realizzare una nuova puntata del film “la mia Africa”. Ci fanno aspettare tanto, nell’attesa andiamo a vedere 3 facogeri che mangiano lì davanti, mi prende anche un colpo perchè vedendomi si mettono a correre, per fortuna da un’altra parte.

Nel volo ci siamo noi, due ragazzi argentini (lei bellina) e due inglesi (lei indiana). Si parte, ho un po’ paura ma direi non più di tanto. Il viaggio in Cesna sognato in questi mesi si rivela una tragedia. Mi prende uno stato di mal d’aria con senso di svenimento. Mi vengono anche i crampi alle mani. Quando l’aereo ha cominciato a scendere mi sono sentita anche peggio ma sono stata meglio dopo aver vomitato ferocemente nel sacchettino. A quel punto ho anche pianto per la compassione per me stessa e per la vergogna. All’arrivo credevo di non poter camminare e invece ce l’ho fatta.

A prenderci c’è un bel ragazzo di colore alto e nerissimo che parla sottovoce e cammina come una lumaca. In fila indiana si entra nel CAMP OKAVANGO.

Passiamo sotto il filo della corrente elettrica che serve per non far entrare gli elefanti adulti nel campo. Mi sento male ma non abbastanza da non pensare che sono arrivata nel campo che ho sognato la scorsa primavera e di cui avevo letto nel sito di turisti per caso.

All’arrivo si fa il breefing con la moglie del capo di razza Bianca che ci spiega un po’ di regole: io dice Luca non mangio pesce. Poi ci accompagna alla tenda, l’ultima del viottolo. Cerco di recuperare un po’ di considerazione dicendole in inglese che in aereo non mi sento mai male e che sono abituata a volare perché mio marito è pilota. La tenda la pensavo più lussuosa – c’è scritto tenda di lusso- ma è comunque un amore. È una casetta tenda rialzata con la porta per andare in bagno. In terra c’è un tappeto di cocco e mobili di legno, è tutta chiusa da zanzariere. Colpisce la sirena da usare solo per emergenza sanitaria, gli spray per uccidere gli insetti e il repellente. Il tetto è sollevato e coperto da cannicci. Dietro al bagno c’è la caldaia che parte quando si apre l’acqua calda e la bombola del gas.

Davanti alla tenda sollevata dal terreno c’è una terrazza con due sedie che fanno molto safari. Alle 15,00 c’è il tea time, ma io non mi reggo bene in piedi, pazienza.

Davanti agli edifici centrali, che come sempre sono tutti aperti senza muri né vetrate, ci sono delle comodissime poltrone messe a semicerchio. È qui che si prende il té. Ci sono anche dei dolcetti che io non mangerò. Dal termos esce un liquido marroncino chiaro, è decisamente acqua ma non proprio acqua, forse è té. Per luca è té, nell’incertezza lo chiedo a Gabbs che dice che è hot water, andiamo bene. Ci metto la bustina e diventa té.

Nelle poltrone incontriamo due ragazzi/signori di vicino Venezia. A primo impatto sembrano antipatici e poi invece si rivelano persone molto interessanti. Loro viaggiano sempre in Africa, sono già stati in Kenya, Tanzania e Namibia. Anche secondo,loro vedere un leopardo è molto difficile ma loro l’hanno visto. Ci racconta che al Camp Savuti si vedono animali a decine, per noi sarà per la prossima volta. Ora ci tocca il Mokoro con gli inglesi.

Cammina, cammina in fila indiana si sorpassa la pista, e si arriva al mokoro con la coppia inglese.

Sono delle barchette in vetro-resina con due sedili di plastica. L’esperienza è tutta differente da come me la aspettavo. Il Mokoro è portato da un altro ragazzo di colore, mogio, mogio, puntando un palo/remo per terra.

È un’esperienza rilassante ed è quello che mi ci vuole. Non è possibile vedere animali ma si vedono papiri, fiori di loto, uccelli e i colori della sabbia del Kalahari. Ed io, che credevo di avventurarmi in mezzo agli ippopotami! Al ritorno al campo ci aspetta una piacevole sorpresa. Robert, il manager, il marito della ragazza incontrata prima, ci aspetta in mezzo all’acqua dove ha organizzato per noi l’aperitivo. C’è un tavolino apparecchiato con una tovaglia bianca e un centrotavola con fiori e rametti vari. A me serve limonata, a Luca vino bianco sudafricano, agli inglesi Gin Tonic, il tutto accompagnato da funghi fritti. Stento a crederci ma ci devo credere. Mi viene una specie di voglia di ridere e mi sento proprio in viaggio di nozze.

Si va a fare la doccia e poi ci vengono a prendere alle7,15 per la cena.

Quando fa buio bisogna sempre girare accompagnati perché ci possono essere tutti gli animali anche i leoni. Prima di cena aperitivo, mi faccio un Campari olè.

A tavola siamo vicini agli altri italiani e a due portoghesi che abbiamo conosciuto al Chobe, e che hanno visto con noi i leoni.

Quando siamo tutti seduti Robert e Tammy si siedono al centro del tavolo e un ragazzo di colore con il vestito tradizionale suona un sonaglio e ci introduce il menu. Le posate sono d’argento, ma allora sono proprio nella “ mia Africa”. Mentre si mangia e si parla e si beve e si scherza accendono il fuoco. Il caffè lo prendiamo davanti al falò.

Che bello! Verso le 11,00 andiamo a letto un po’ preoccupati della notte all’aperto.

C’hanno dato anche la borsa dell’acqua calda. Da quanto mi sono coperta a metà nottata mi sveglio credendo di sentire chi sa quanti animali. La notte successiva ho imparato che se un animale c’è si sente molto bene. La mattina alle 6,30 colazione veloce e si parte per walking safari.

Il primo tratto si fa con il motoscafo poi si scende. Si deve camminare in fila indiana, dietro a Rob, stando zitti, la fila la chiude il Trucker che non dice mai niente. Dopo poco dobbiamo salire su un Mokoro per superare una grande pozza d’acqua e erba. Rob porta me e Luca e ci lascia soli, a distanza ci sono degli elefanti che in realtà si stanno avvicinando, poi porta gli inglesi. A noi non sembra vero, è un ottima occasione per fare foto, si parla stando in piedi come possono fare 4 europei. Dopo poco Rob schiocca le dita ci dice di stare zitti, poi di nuovo ci fa segno e ci dice di stare giù. Appena arriva dal mokoro col Trucker è visibilmente nervoso e ci porta lontano dagli elefanti. La morale è: gli europei non hanno idea di cosa è pericoloso e cosa no.

A qual punto mi è presa una gran paura anche perché subito dopo Rob ci ha portato a vedere uno scheletro di bufalo. Rob ha detto che lo ha ucciso un leone e lo hanno mangiato in 20. Le zampe non c’erano perchè se le erano portate via le iene. Il tutto è stato poi rileccato dagli avvoltoi. Ora il pensiero che lì i leoni cacciano i bufali non mi ha fatto stare tanto tranquilla per il resto del safari a piedi. Abbiamo anche visto lincwe, facoceri, babbuini uccelli e camminato come matti.

Infatti quando è ora di tornare Rob parte e non si ferma più in tutto avremo fatto più di 10 km a piedi. Al ritorno mezz’ora per riprendersi e poi brunch alle 11,30. Abbiamo rimangiato alla grande, e avevamo anche una gran fame. Dopo facciamo 3 ore di siesta e noi abbiamo dormito come ghiri con grande soddisfazione nella boscaglia, fino a che non siamo stati svegliati dalle paperine nello stagno accanto con le quali abbiamo anche intrapreso una conversazione con fischi europei.

Alle 15,00 tea time e oggi me lo godo alla grande, ho capito che è una specie di merenda per poi arrivare alla cena alle 8,00.

Ho preso un pasticcio salato ed il salame dolce alla marmellata e il té. Abbiamo anche conosciuto altri italiani Vito e Antonella, con i quali andiamo a fare la crociera in motoscafo. Il comandante è Rob, e si parte in mezzo ai papiri.

La prima ora è stata per me una noia assoluta, provata dalla sbornia di risate che mi ha colpito. Siamo stati un’ora in un motoscafo a 10 Km all’ora a vedere papiri tutti uguali. Poi all’improvviso Rob ha accelerato, forse si era scocciato anche lui o un coccodrillo ci stava inseguendo!! Stranamente procedendo a velocità elevata abbiamo fatto un interessante avvistamento: un enorme coccodrillo, scuro, grasso e aggressivo, se ne stava steso tra i papiri, sulla riva di uno dei canali del delta. Abbiamo fatto retromarcia per avvicinarci, Rrob ha fatto sshh per farci stare zitti e ci siamo avvicinati ed il coccodrillo si è tuffato facendoci comunque capire con i suoi movimenti feroci quanto poteva essere pericoloso per noi. Dopo abbiamo avvistato altri due coccodrilli piccolini, che solo Rob poteva notare tanto erano ben mimetizzati, e Luca ha concluso che avevamo visto un coccodrillo e ¾. A quel punto ci siamo fermati e Rob ha annunciato il Gin Tonic time mentre aspettavamo di vedere il sunset.

Rob ha detto anche che da lì era da poco passato un ippo, ma secondo noi era solo una scusa. Io stavolta sono andata di Gin Tonic, Luca di succo di frutta, bevendo Rob ci ha raccontato della vita nel delta prima della creazione della riserva. Alle metà degli anni ‘ 80 il governo del Botswana ha portato via la popolazione indigena ed ha loro assegnato una casa. Le tribù del Delta erano semistanziali passavano in posti diversi l’estate e l’inverno. Durante l’inverno nel Delta non avendo la possibilità di refrigerare e conservare non avevano niente da mangiare. Non ho capito bene ma pare che non ci fosse né pesce né carne. In più nel Delta vista la massiccia presenza di elefanti era impossibile praticare l’agricoltura. Ci ha spiegato infatti che le popolazioni locali non potevano coltivare un orto privato perché veniva regolarmente distrutto dagli elefanti. Rob ci è sembrato il capo della di Boscimani che lavoravano come ranger al Camp OKavango. Insieme al Gin Tonic ci ha servito spiedini di carne e formaggio.

Siamo ripartiti soddisfatti per aver visti il coccodrillone e euforici per aver bevuto il Gin tonic ma le emozioni non erano ancora finite. Tornando abbiamo navigato accanto ad un coccodrillo enorme che viscido scivolava a pelo d’acqua. Appena la barca ha rallentato si è immerso. In quel momento la sensazione che si prova è: speriamo che non attacchi la barchetta altrimenti è la fine. Non l’ha attaccata. È stato un avvistamento fulmineo ma il bello doveva ancora arrivare. Percorrendo i canali abbiamo visto delle bolle d’aria con intorno le onde circolari che si propagavano. Anche a noi inesperti è stato chiaro che lì sotto si era appena immerso un ippo. Rob ha accelerato ed è scappato ma dopo 10 m si è fermato e abbiamo visto riemergere la testa enorme e minacciosa dell’ippo che ci guardava. Rob non si è avvicinato, peccato, ma credo che abbia fatto bene. Siamo tornati al Campo e io e Luca siamo andati a dare l’ultimo sguardo al Delta al tramonto da un terrazzino. Tornando abbiamo anche trovato il libro dove scrivere le nostre impressioni: domani prima di partire ce le scriviamo anche noi. Ma le emozioni della giornata non sono ancora finite.

Siamo andati nella nostra tenda per prepararci per la cena. Quando sono venuti alle 19,15 a prenderci non eravamo pronti e abbiamo detto al ranger di tornare dopo 10’. Ci siamo finiti di preparare e ci siamo messi ad aspettare in terrazza pensando: che facciamo andiamo da soli? Ad un tratto, sempre in piedi, parlando tra di noi abbiamo sentito il verso sbuffante e ritmico dell’ippopotamo che evidentemente non era molto lontano da noi. A rientrare in tenda ci abbiamo messo un attimo o forse di più perché per la paura non riuscivo nemmeno a tirare la cerniera. Ci siamo accovacciati tutti e due per terra per vedere dalla striscia che rimaneva in basso ma non si vedeva niente e dopo poco è arrivata la guardia e siamo andati a cena, fieri del nostro nuovo compagno di camera.

La notte è passata bene eravamo io, Luca e l’ippopotamo che ogni tanto soffiava, ho dormito benissimo. La mattina siamo andati a fare l’ultimo walking safari .

Siamo andati nella stessa isola ma abbiamo fatto un percorso diverso. Abbiamo visti lincwe, impala e giraffe e nessun elefante, abbiamo camminato molto, Rob ci ha spiegato gli usi di alcune erbe e alcune tradizioni. Siamo stai anche un po’ seduti. Tornando ci aspettava un altra emozione forte, abbiamo girato intorno ad un grosso albero e la guida ha indicato un animale marroncino che riposava sotto l’albero. La scarica di adrenalina in quale momento è notevole, impauritissima ho chiesto al Trucker se era un leone e lui ha risposto : una iena. Che paura e che sollievo! Ci siamo avvicinati tanto, Rob ha anche schioccato la lingua per farla alzare ma niente le due iene avevano molto sonno, perché di notte erano andate a procurarsi il cibo e ora si godevano il meritato riposo. Dopo le iene abbiamo camminato ininterrottamente per 40/45’ e siamo tornati al campo. Ormai avevamo solo da farci la doccia e andare via. Tammy mi ha dato una pasticca da prendere per affrontare meglio il volo, l’ho presa ed abbiamo consumato il nostro brunch. Il volo è stato puntuale, ero preoccupata ma non tanto. Robert è venuto a salutarci e mentre l’aereo si staccava da terra ho visto lui e Gabbs che ci salutavano con le braccia alzate nella pista gialla. È stata una bellissima scena. Abbiamo sorvolato sul Delta ed abbiamo visto elefanti, impala, zebre e giraffe. Stiamo lasciando la nostra Africa.

Il volo da Maun a Johannesburg l’ho dormito tutto, la pasticca mi ha reso completamente ubriaca. A Johannesburg abbiamo dormito in un albergo brutto, puzzolente e pretenzionso vicino all’Aeroporto. Si vola per le Seychelles.

Appendice: il diario di Luca Il soggiorno all’Okavango Per Valeria sarebbe meglio cominciare il racconto dopo l’arrivo ma non si può non ricordare il dolore di un volo sofferto dall’inizio alla fine con nausea, crampi e un vomito a due minuti dall’atterraggio! Torniamo al soggiorno! Anzi no! Perché atterrare in una pista in terra ricavata sull’isola in mezzo alla palude non è cosa da tutti i giorni. La pista è quasi perfetta, ovviamente, l’erba secca e molto bassa conferisce quel colore giallo paglierino che è così caldo che non ti puoi scordare.

La manica a vento ovviamente è presente ed è mezza sollevata per un ponentino o un mezzogiornino non ben identificato in quanto sull’aereo seguendo i dolori di Valeria non ho dato alcuna occhiata al direzionale.

Sceso dall’aereo aiuto Valeria come fosse una malata e l’accomodo su una panchina in legno sotto l’albero, ovvero la sala d’aspetto di questa pista; mi rivolgo calorosamente alle persone che ci stanno intorno: un ragazzo biondastro dall’aspetto simpatico ed un ragazzo di colore che sembra più americano che africano con lineamenti gentili ed uno sguardo vagamente malinconico, forse più di una sfumatura! Quest’ultimo ci invita a seguirlo, passiamo sotto l’insegna d’ingresso al campo, molto simpatica perché ricavata sul legno e montata tra due pali. Si muove lentamente e con circospezione lungo il sentiero che ci porta al campo. Forse lo fa apposta per impressionarci, vedremo! Si arriva al campo passando dal bungalow della Reception, siamo accolti dalla ragazza manager del campo. Ci offrono il cocktail di benvenuto e la ragazza ci illustra le modalità di alloggio ed alcune regole inderogabili. Poi ci accompagna alla nostra tenda. È la n. 2 e questo significa che tra noi e la natura selvaggia ci sta solo una tenda in mezzo però questa è vuota! L’arrivo alla tenda mi ricorda molto un residence per le vacanze al mare, non fosse altro per la sabbia grigia sotto i piedi e la rigogliosa natura che ci protegge dai raggi solari. Per la descrizione della tenda rivolgetevi alla relazione di Valeria, io mi soffermo invece sul bagno che è tutto di legno a parte la zona doccia rivestita da mattonelle colore Africa che non so se sono vere o di plastica. Gli asciugamani sono verdi e non è la prima volta che succede. La cosa che mi colpisce è che vi sono due aperture nella zona di contatto tra la struttura della tenda e quella del bagno, mi viene in mente che forse hanno tolto 2 pannelli e poi li rimetteranno. In realtà rimarranno così per 2 giorni. Ci mettiamo così a letto per riposarci in attesa che arrivi l’ora del tè (tea time) che non è altro che l’occasione per fare merenda prima di cominciare l’attività del pomeriggio. Alle 15,30 il ragazzo di colore di cui prima, Gabbs, ci riporta sul vialetto d’ingresso al campo direzione aeroporto, quindi attraversiamo la pista e giungiamo ad un moletto pieno di mokoro, tipica imbarcazione delle popolazioni locali.

È il momento della famosa escursione in Mokoro, tanto ricordata sui depliant dei Tour operator.



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