L’oro del Ghana

Itinerario lungo la Costa d'Oro africana, tra storia e tradizioni.
Scritto da: Ste65
l'oro del ghana
Partenza il: 14/01/2011
Ritorno il: 24/01/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Sul tavolo è stesa una grande carta geografica del nostro meraviglioso pianeta. La osserviamo attentamente, in silenzio, la scorriamo dolcemente avanti e indietro con il palmo della mano come per fare un ideale giro del mondo e mentalmente ci domandiamo: dove andiamo quest’anno per la nostra vacanza invernale? La mano scivola delicata su di essa ma quando arriva sul grande continente che se ne sta proprio al centro ecco che rallenta come per accarezzare meglio quei luoghi magici e un brivido di emozione ci assale. La grande terra che sta in mezzo alla cartina è ovviamente quella del continente africano, il nostro preferito, quello più amato. Si, l’Africa degli spazi infiniti, dei suoi paesaggi mozzafiato,dei suoi mercati coloratissimi, dei suoi animali che tanto mi hanno fatto sognare da bambino, ma soprattutto l’Africa della sua incredibile e variegata umanità: si, non c’è dubbio, sarà questa la meta del nostro viaggio, sarà ancora qui che ci recheremo. Sono passati solo pochi mesi dall’ultimo nostro viaggio in terra africana (Etiopia ad Ottobre del 2010) ma inevitabilmente quella fortissima voglia di ritornare si fa già sentire. Del resto il cosiddetto mal d’Africa esiste per davvero, non ci si può sottrarre al suo irresistibile richiamo. Sono alcuni anni che nella nostra “lista” dei desideri fa bella mostra di sé il nome di un Paese di certo non molto turistico, soprattutto se messo in confronto ad altri decisamente più “pubblicizzati”, ma che siamo sicuri abbia molte cose interessanti da offrire ad ogni viaggiatore. Stiamo parlando del Ghana. E’ questo il Paese prescelto ed allora via alle ricerche su internet e agenzie varie. Per quanto riguarda queste ultime diciamo subito che abbiamo trovato i soliti viaggi a gruppi più o meno grandi ma con prezzi a dir poco esorbitanti. Ma ce lo aspettavamo. Tramite internet invece abbiamo contattato, per la creazione di un viaggio individuale con autista/guida, l’agenzia Easy Track Ghana di Achimota (Accra) i cui titolari si sono dimostrati subito molto disponibili ed efficienti e in pochi giorni ci hanno fornito un programma di viaggio in base alle nostre richieste. Questo programma lo abbiamo poi analizzato e modificato un po’, ma con lo scambio di qualche mail ed in pochissimo tempo abbiamo sistemato tutto e confermato la prenotazione. Ci è stato chiesto di versare un acconto tramite bonifico bancario e abbiamo concordato il saldo direttamente al nostro arrivo in Ghana! Beh,non male direi visto che ovviamente nemmeno ci si conosceva! A nostro carico l’acquisto dei voli da e per l’Italia. Abbiamo scelto, per comodità di orari e per la nota affidabilità, la compagnia olandese KLM, che come previsto non ha deluso le attese. A conti fatti, sommando tutte le voci di spesa (tour, volo, visti, assicurazioni) il viaggio ci è venuto a costare la metà di quello che avevamo visto sui cataloghi delle agenzie nostrane!

E Ghana sia allora! Anticamente conosciuto come Costa d’Oro per l’abbondanza di questo prezioso minerale (logicamente fatto sparire in grandi quantità dai colonizzatori europei), questo piccolo stato africano ha purtroppo conosciuto una delle tragedie più grandi nella storia dell’umanità, una macchia che, pur essendo passati secoli, non si potrà mai cancellare. Queste coste, queste terre, sono state infatti testimoni dell’ignobile tratta degli schiavi. Molti di essi questo viaggio neppure lo iniziavano, morendo nelle prigioni dei forti dove erano ammassati prima di partire, molti altri non lo portavano a termine, soccombendo durante la lunga navigazione. Ma il Ghana è anche la terra della grande tribù degli Ashanti, una delle popolazioni più importanti, influenti e ricche (erano i proprietari di tutte le grandi miniere d’oro del Paese) di tutta l’Africa prima dell’inizio dell’epoca della colonizzazione europea. A quei tempi i commerci erano floridi e redditizi ed il loro regno era davvero risplendente di oro. Poi però arrivarono i colonizzatori europei e la storia cambiò….. Ora il grande regno Ashanti è soltanto un pallido ricordo, ma la loro cultura e le loro tradizioni sono ancora ben radicate e considerate in tutto il Paese. Oggi il Ghana è senza dubbio uno degli stati più stabili di tutta l’Africa e questo fa ben sperare che possa servire da esempio ad altre realtà dove la situazione politica e sociale è certamente più “ballerina” e turbolenta.

Il nostro viaggio inizierà dalla capitale Accra, poi ci sposteremo verso Est, ai confini con il Togo, nella regione del Lago Volta, quindi raggiungeremo Kumasi nella regione Ashanti e poi su verso l’arido nord per visitare il Parco Mole nella speranza di poter ammirare i suoi grandi elefanti. Quindi ridiscenderemo verso sud, verso la costa, per visitare Elmina e Cape Coast, facendo poi ritorno nella capitale per completarne la visita ( e sicuramente per gli ultimi acquisti di souvenir nei suoi colorati e caotici mercati).

L’arrivo ad Accra avviene in perfetto orario. Le operazioni doganali si svolgono molto velocemente, solo al nastro per il ritiro bagagli dobbiamo aspettare parecchio tempo, anche perché siamo davvero in tanti. Poco male. Fuori dal terminal incontriamo il nostro autista/guida che ci accompagnerà nel tour: si chiama Chuku e si dimostra subito molto gentile e disponibile e orgogliosamente ci mostra il nuovissimo e grande fuoristrada che utilizzeremo nel viaggio. A noi scappa un bel sorriso e lui ci guarda stupito, come a chiederci perché. Gli spieghiamo che anche nel nostro viaggio precedente in Etiopia la macchina era nuova e fiammante, ma dopo alcuni giorni si è rotta e ci ha lasciato a piedi praticamente in mezzo al nulla, per cui gli scongiuri sono d’obbligo. Il buon Chuku si fa una bella risata e ci dice di stare tranquilli che di sicuro non succederà nulla di tutto questo! La prima notte in Ghana la passiamo all’Hotel Afia African Lodge, situato proprio in riva all’oceano. Si tratta di un buon hotel, semplice ma pulito. Solo i bagni avrebbero bisogno di una bella manutenzione. Dopo una buona cena a base di pesce ci ritiriamo nella nostra camera, stanchissimi per la lunga giornata e ci addormentiamo con il sottofondo delle onde dell’oceano che si infrangono sulla spiaggia.

Sono appena le 7.30 ma fa già un gran caldo e c’è pure una certa nebbiolina causata dall’elevata umidità. Prima di colazione decidiamo di fare quattro passi in spiaggia, tanto siamo nettamente in anticipo sull’orario concordato con il nostro driver. Si, fa molto caldo ma nonostante questo c’è molta gente che corre e diversi gruppi di pescatori che stanno tirando a riva delle pesantissime reti, facendosi forza a vicenda intonando canti e incitazioni varie. Osserviamo un po’ le operazioni ma quando la rete giunge a riva il volto dei pescatori si fa più scuro di quanto già non sia: all’interno ci sono pochissimi pesci e per di più neppure molto grandi. Chuku è puntualissimo e dopo colazione partiamo subito per dare inizio al nostro viaggio. La prima tappa è per la visita al mercatino di Aburi.

Lasciata la grande capitale il paesaggio si fa sempre più verde: per raggiungere Aburi, la strada, in buone condizioni, si inerpica sempre più sulle colline, tra una vegetazione davvero lussureggiante. Attraversiamo diversi villaggi più o meno grandi e ovviamente c’è sempre tantissima gente lungo la carreggiata. In Africa la strada è tutto, è vita, tutto avviene su di essa. Dalla cima di queste colline si gode di un panorama stupendo, con le acque dell’oceano in lontananza. Già, ma noi questi panorami li possiamo solo immaginare, in quanto una noiosissima foschia ne preclude la vista. Peccato.

Il mercatino di Aburi consiste in diverse capanne poste sui due lati della strada, dove si vendono essenzialmente oggetti in legno. Con calma le ispezioniamo tutte, si proprio tutte. Chuku è felicissimo e si vede, inizia a farci foto con la sua macchinina e vuole farsi fotografare insieme a noi soprattutto quando concludiamo i primi acquisti. Sarà una costante del viaggio (le foto di Chuku e ovviamente gli acquisti!). Chissà, forse il nostro buon autista/guida non è abituato a vedere due bianchi contrattare disperatamente per delle zucche (calebass) colorate: ma è contento, lo si vede chiaramente, ci segue sempre avanti e indietro, da una bancarella all’altra, senza abbandonarci mai neppure per un istante.

Dopo aver esplorato in lungo e in largo il simpatico mercatino di Aburi, il nostro viaggio prosegue per Odumasi Krobo, dove ci rechiamo a visitare la fabbrica dove si producono le perle di vetro. La fabbrica non è molto grande, ma decisamente grandi sono i mucchi di vecchie bottiglie di vetro che verranno riciclate per creare questi simpatici oggetti. Braccialetti, collane, ciondoli, di tutte le forme e dimensioni, vengono creati dalle abili mani di questi artigiani. Ci viene mostrata e spiegata la lavorazione in tutte le sue fasi e bisogna dire che si tratta davvero di una cosa interessante. Inoltre è anche un modo molto ecologico di smaltire tutte queste bottiglie oramai inutilizzabili. C’è anche un piccolo negozietto, dove, a prezzi davvero bassi, ci è possibile acquistare i prodotti della fabbrica.

Strada facendo ci imbattiamo in una tipica cerimonia: si tratta di un funerale, ma non come lo intendiamo noi. In questo caso infatti il defunto non c’è, si tratta praticamente di una commemorazione di chi non c’è più, ed è una vera e propria festa. Le persone sono tutte molto ben vestite, soprattutto le donne, che indossano elegantissimi abiti rossi e neri. Sono talmente eleganti da far pensare più ad un matrimonio che ad un funerale, ma del resto non si tratta di una festa? C’è allegria, c’è persino la musica, sparata ad alto volume! Decidiamo di dare un’occhiata, ma senza essere troppo invadenti e fermandoci sull’altro lato della strada, scattando qualche foto senza essere visti. Sarà pure una festa, ma il carattere strettamente riservato e particolare di essa ci consiglia di non esagerare e di osservare il tutto un po’ in disparte. Meglio non offendere nessuno, anche se magari involontariamente. Alcune donne che ci passano accanto, con i loro splendidi abiti tradizionali neri, acconsentono però a farsi riprendere e guardano poi divertite e sorridenti le foto che mostriamo loro.

Raggiungiamo quindi l’hotel Aylos Bay, proprio sulle rive del Fiume Volta, che qui somiglia più ad un grande lago,dove passeremo la notte. Anche questo è un albergo semplice, ma molto carino, dislocato lungo le sponde ed immerso in una fitta vegetazione. Proprio questa posizione ci fa pensare ad una serata piena di zanzare, ma non sarà così. Dei famelici insetti, infatti, nemmeno l’ombra! Facciamo un giro per i canali con una piroga locale: c’è un silenzio profondo, rotto soltanto dalle remate del barcaiolo e dal cinguettio degli uccelli appollaiati sui rami degli alberi.

Al termine di questa “crociera” facciamo quattro passi al mercatino, situato a breve distanza dall’hotel. Si tratta di un mercato solamente per locali, si vendono pesci, frutta, pane: fotografare si può ma con molta attenzione e comunque sempre chiedendo prima il permesso alle persone, non solo per fotografare loro stesse ma anche per riprendere i prodotti in vendita. Alcuni venditori non ne vogliono proprio sapere, altri sono più tolleranti ed acconsentono, per poi guardare divertiti le foto loro fatte. Alcuni ci guardano pure un po’ stupiti, magari pensando che cosa ci troviamo di tanto interessante in un mucchio di pesci essiccati. Quindi ci rechiamo a visitare il vicino ponte sul fiume: il Volta Bridge, costruito nel 1955-1956 è davvero enorme, una gigantesca struttura di acciaio che unisce le due sponde.

La mattina successiva riprendiamo il nostro viaggio con destinazione finale Kumasi, nella regione degli Ashanti, per raggiungere la quale impiegheremo circa 4 ore. Ma durante il percorso sono in programma alcune visite. La strada che percorriamo è sempre piuttosto buona e si snoda tra una fiorente vegetazione spontanea e tra immense piantagioni di manghi. Ai bordi della carreggiata spesso incontriamo numerosi venditori che espongono in bella mostra sulle loro bancarelle questi deliziosi frutti. Decidiamo di acquistarne alcuni, sono davvero grossi e costano pochissimo. Ci fermiamo poi a visitare una piantagione di cacao, coltura molto importante per l’economia del Ghana, in quanto questo stato è uno dei maggiori produttori. Ci viene spiegata la lavorazione e ci vengono mostrati i preziosissimi frutti. Poi eccoci a visitare il Black and White Shrine, un luogo sacro, di culto, dove ancora oggi, una volta all’anno per ingraziarsi gli dei chiedendo loro la protezione del villaggio, viene sacrificato un animale, una capra quasi sempre. C’è un guardiano che ci fa vedere l’interno della costruzione, molto semplice, con un piccolo cortile dove scorrazzano (si fa per dire…) alcune tartarughe, anch’esse sacre. Il simpatico guardiano ci fa vedere poi delle foto scattate con turisti e ci offre alcune sbiaditissime cartoline. Fuori dalla costruzione, intanto si è formato un bel gruppetto di bambini, certamente incuriositi dalla presenza di due bianchi. Prima di ripartire distribuiamo loro un po’ di regalini e caramelle. Basta guardare gli occhioni scuri di questi bimbi per capire quanta gioia stanno provando semplicemente tenendo in mano una caramella o un cappellino.

Visita successiva al villaggio di Adanwomase, per vedere come avviene la lavorazione dei famosissimi tessuti Kente. Questi tessuti, molto conosciuti e diffusi in tutta l’Africa Occidentale, sono prodotti dagli ashanti e sono caratterizzati da vivaci colori. In una piccola fabbrica possiamo vedere come avviene la produzione di queste stoffe e (ovviamente) non resistiamo alla tentazione di acquistare una colorata tovaglia. Si contratta, certo, ma non è che si ottengono grossissimi sconti, ed il prezzo proprio basso non è. Dopo ci rechiamo al vicino villaggio di Ntonso, dove si producono altri famosi tessuti, gli Adinkra. Queste stoffe, sono altrettanto belle delle precedenti, ma forse un po’ meno conosciute. Sono di cotone colorato e con disegni geometrici nella grande maggioranza dei casi. Poiché la parola “adinkra” significa “addio”, l’utilizzo più indicato è per le cerimonie funebri. Non sarebbe nemmeno da dire, ma anche qui non manchiamo l’acquisto. Con una certezza però: noi di sicuro non lo useremo per un funerale! Anche qui ci viene mostrata la lavorazione, del tutto diversa dalla precedente. Ma, passeggiando lungo la strada sterrata del paese, notiamo in una piazza nelle vicinanze un grande assembramento di persone. Si tratta di una cerimonia nuziale e subito chiediamo a Chuku di andare a dare un’occhiata. Ci accompagna anche il titolare della fabbrica dei tessuti. Ci mettiamo in un angolo ad osservare. Gli sposi portano abiti di un colore verde sgargiante, molte donne indossano bellissimi abiti bianchi adornati da gioielli vari. La tentazione di fotografare è ovviamente molto forte, ma il buon Chuku ci dice che è meglio chiedere prima il permesso. Nei nostri viaggi ne abbiamo viste tante, ma questa che vado a raccontare non ci era mai capitata. Dunque, Chuku chiede al titolare della fabbrica, sempre accanto a noi, di andare a domandare a sua volta ad un responsabile della cerimonia il permesso di fare qualche scatto. Lui va ed ecco che avviene l’incredibile: un distinto signore fa fermare la musica sparata ad alto volume, impugna un microfono e richiama all’attenzione tutti i presenti. Fa un appello a tutti i partecipanti, spiegando che ci sono due turisti europei che gradirebbero fare delle foto alla cerimonia e richiede il consenso unanime di tutti i presenti! Ovviamente è Chuku che ci spiega cosa sta dicendo, perché il discorso avviene nella lingua locale e non in inglese.

Comunque tutti acconsentono e ci viene fatto un gesto di invito ad entrare nella piazza, in mezzo alla gente che nel frattempo ha ripreso a ballare e cantare. Subito mi fiondo tra di loro, giro tra i tavoli, posso andare dove voglio senza problemi, scatto foto un po’ a tutti, specialmente alle donne che se ne stanno sedute all’ombra e che come detto prima sono stupendamente vestite di bianco. La gente mi sorride divertita, sono contenti poi di vedere le foto loro fatte. Raggiungo ovviamente anche gli sposi. Lei è un po’ tesa, ma mostra comunque di gradire il servizio fotografico e la ringrazio molto per la sua gentilezza e disponibilità. Anche lo sposo apprezza il tutto e quindi vogliono farsi fotografare con me! Restiamo in questa festa per più di un’ora. Grazie Ghana, grazie per questa bellissimo regalo che ci hai fatto, grazie per queste emozioni, di sicuro uno dei souvenir più belli che porteremo a casa, un souvenir che non potremo mai esporre ma che sarà per sempre presente nel nostro cuore. Ringraziamo dunque gli sposi e il signore che ha fatto la pubblica richiesta per la loro gentilezza e un po’ a malincuore (saremmo rimasti ancora ma bisogna proseguire) riprendiamo il nostro viaggio per raggiungere Kumasi. Più avanti vi è pure una cerimonia funebre, ma qui diamo solo un’occhiata veloce e non possiamo fare foto. Peccato, perché i presenti, soprattutto le donne, indossano tutti abiti bellissimi. Giunti finalmente a Kumasi, decisamente oltre l’orario previsto ( ma ci si poteva scommettere…), prendiamo alloggio alla Cicero Guest House, un bell’albergo, camera ottima, spaziosa e pulita. Meglio di così! La visita di Kumasi la effettueremo però al ritorno, questa è solo una sosta prima di intraprendere il lungo viaggio verso Nord, verso il Parco Mole e i suoi grandi elefanti.

Partiamo di buon’ora, alle 7,00, perché ci attendono circa 7 – 8 ore di viaggio. La strada che percorriamo è quasi sempre in ottimo stato, praticamente diritta e con traffico pressoché inesistente. Attraversiamo cittadine più o meno grandi e più si sale verso nord più il paesaggio cambia, si fa più arido e secco. La noiosa foschia è sempre presente ma in questa stagione è normale che sia così. Il cielo appare chiaro, quasi bianco. Mano a mano che si avanza i villaggi che incontriamo si fanno più semplici, le case in muratura lasciano il posto a capanne di terra. Facciamo una breve sosta a visitare la moschea di Banda Nkwanta. Questa non è molto grande ma è comunque spettacolare con il suo bel colore bianco e con tutti i travi che spuntano dai muri, rendendola simile ad un gigantesco istrice. La moschea è situata proprio sul ciglio della strada e appena scesi dall’auto ci viene incontro un tizio che si spaccia per il custode dell’edificio e che ci comunica che per visita bisogna pagare. Si tratta di una cifra davvero irrisoria, nemmeno un euro. Ok paghiamo e possiamo fare tutte le foto che vogliamo e da ogni posizione, tranne che entrare nella moschea in quanto è vietato ai non musulmani. Il buon Chuku ci dice che questa moschea è simile a quella che vedremo poi a Larabanga, ma che quell’altra è senz’altro più interessante.

Riprendiamo quindi il nostro viaggio, ma ancora molta strada dovremo percorrere. Attraversiamo ancora villaggi, ammiriamo ancora paesaggi che fanno sognare e regalano sempre una grande emozione.

Facciamo una sosta nei pressi di Sawla , a visitare una scuola per donare un po’ di magliette e penne ai bambini. Lasciamo il tutto ad un maestro, che provvederà poi a dividere il materiale tra gli studenti. Ci fanno vedere le varie classi e tutti sono molto contenti e ci fanno grandi saluti. Persino il maestro vuole fare una foto ricordo con noi!. Forse non sono abituati a ricevere visite, probabilmente qui non si ferma nessuno. La gioia di questa gente è grande, la nostra ancora di più. Nei pressi della scuola c’è un piccolo villaggio che decidiamo di visitare e che ci piace davvero molto, con le sue capanne dai muri decorati esternamente con motivi geometrici. Il parco Mole è oramai vicino, ma prima di arrivare facciamo ancora una sosta, per la visita della cosiddetta Pietra Mistica. Si tratta di un grosso masso, custodito all’interno di una recinzione di pietra, con tanto di guardiano. Questa pietra è la protagonista di una singolare storia, grazie alla quale le è stato dato il nome di Pietra Mistica. Narra la leggenda, infatti, che in quella zona era prevista la costruzione di una strada. Le ruspe, spianando il terreno, trovarono il grande masso e lo spostarono lontano perché ovviamente dava fastidio ai lavori. Ma il giorno successivo gli operai, tornando al lavoro, ebbero una incredibile visione: il masso era di nuovo al suo posto, ma non lo avevano riportato lì le ruspe! Fu così che gli vennero attribuiti dei poteri magici e si decise di far passare la strada più in là creando una grande curva per evitare il masso stesso. Misteriosamente e magicamente da quel giorno diminuirono anche gli incidenti stradali in quella zona e da allora la pietra fu custodita e venerata con tutti gli onori, ritenendola dotata di poteri che potevano proteggere non soltanto il vicino villaggio di Larabanga ma anche tutta la zona limitrofa. Come detto ora è circondata da un muro protettivo in pietra e c’è un guardiano che vigila su di essa.

Attraversiamo il villaggio di Larabanga, passando accanto alla bella moschea bianca che visiteremo in seguito. Siamo oramai a pochi chilometri dall’ingresso del Parco, dove arriviamo per le 15, in tempo per il safari pomeridiano che inizia verso le 15,30. Il Mole Motel, il lodge dove alloggiamo (è anche l’unica sistemazione all’interno del parco….) è arroccato su un’altura che domina la pianura sottostante. E’ una posizione davvero strategica, perché subito sotto vi sono due grandi pozze di acqua che certamente attirano gli animali assetati, favorendone l’avvistamento. Diamo uno sguardo ed è subito una visione bellissima: due grandi elefanti stanno tranquillamente bevendo sulle rive della pozza. Si vedono anche dei coccodrilli che nuotano sul pelo dell’acqua. Cominciamo bene! Prendiamo possesso della nostra camera, molto semplice ma davvero grande e spaziosa. Come al solito è il bagno a lasciare perplessi, ma si sa, la manutenzione ai servizi igienici ed ai bagni in generale deve essere proprio considerata facoltativa.

Il Parco Mole ha un estensione di circa 4500 kmq ed è il più grande di tutto il Paese. E’ costituito da una savana pianeggiante e ospita molte specie di mammiferi e di uccelli. L’attrazione principale è la sua popolazione di elefanti, stimata in circa 700 individui. Certo siamo consapevoli che non potremo mai vedere tanti animali come nelle grandi riserve del Botswana o della Namibia, ma comunque la visita si prospetta interessante e sempre emozionante. Nei pressi delle camere una famigliola di facoceri si aggira tranquilla alla ricerca di qualche avanzo per potersi sfamare senza fare troppa fatica. Dunque, eccoci pronti per il nostro primo safari. Siamo accompagnati da Adam, un giovane ranger , che si dimostra subito molto disponibile. E’ armato, come da regolamento. Faremo una prima parte di percorso in auto, poi andremo a piedi. Avvistiamo antilopi di vario genere, kudu, tantissimi babbuini. Raggiunta a piedi una delle pozze d’acqua, possiamo osservare ancora i coccodrilli, stavolta più da vicino, muoversi sinuosi sul pelo dell’acqua. Poi, quando oramai non ci speravamo più, ecco due grandi elefanti che se ne stanno tranquilli a mangiare le foglie di un albero. Li osserviamo in silenzio, siamo piuttosto vicini, ma loro sembrano non essere minimamente disturbati dalla nostra presenza. Beh, non male come primo giorno: ben 4 pachidermi, c’è da essere contenti! Il safari dura in tutto un paio di ore. La sera, dopo una buona cena a base di pesce tilapia, prima di ritirarci, rimaniamo per un po’ ad osservare il bellissimo cielo stellato sopra di noi. Per l’indomani abbiamo in programma ben due uscite di safari, ma è soprattutto quella del mattino che ci fa ben sperare. Quindi a letto per un buon sonno ristoratore, con il pensiero alla lunga ma certamente emozionante giornata che ci attende tra non molte ore.

E così, eccitati come due bambini che stanno per ricevere un regalo, eccoci alle 7 puntualissimi e pronti per partire alla scoperta di nuovi angoli del parco. Il buon Adam è già li che ci aspetta e terminate le registrazioni (obbligatorie) sull’apposito registro, via subito per la nostra caccia fotografica. Al mattino fa fresco, proprio una bella temperatura, si sta davvero benissimo. Ancora gruppetti di antilopi, famiglie di babbuini, uccelli colorati, facoceri che scorrazzano un po’ ovunque, ancora i coccodrilli alla pozza, ma degli elefanti nemmeno l’ombra. Eppure le grandi impronte lasciate sul terreno e che possiamo vedere un po’ dappertutto non lasciano dubbi sulla loro presenza. Le zone migliori, sono ovviamente quelle in prossimità delle pozze d’acqua, dove gli assetati animali vengono ad abbeverarsi. Giriamo parecchio, in lungo e in largo, ma forse oggi gli elefanti non hanno voglia di farsi fotografare. O forse abbiamo avuto troppa fortuna ieri, chissà. Comunque sia nessun pachiderma si degna di farsi vedere. Adam come al solito segna su un foglietto tutti gli animali che abbiamo visto, facendoci così un riassunto degli avvistamenti. Non nego che rientriamo al lodge un poco delusi, dalla mattinata ci aspettavamo di più. Pazienza, del resto non siamo in uno zoo, gli animali sono liberi e girano dove meglio credono. Ci riposiamo un poco e poi via verso il piccolo villaggio musulmano di Larabanga, a pochissimi km dal parco, per visitare la moschea bianca ed alcune case decorate. La moschea, in stile sudanese, è davvero bella, tutta di un bianco candido e con i classici travi che spuntano dalla struttura. E’ praticamente identica a quella di Banda Nkwanta, vista in precedenza, ma meglio conservata e forse un poco più grande.

Ovviamente non possiamo entrare, in quanto l’ingresso è riservato soltanto ai musulmani. Nei pressi possiamo ammirare anche alcune case i cui muri esterni sono decorati da disegni con caratteri geometrici, che rendono davvero molto belle queste costruzioni. Prima di far ritorno al lodge, visitiamo anche una scuola nelle vicinanze, dove lasciamo come al solito un bel po’ di penne e magliette per i bambini.

Quindi rientriamo per il pranzo e un po’ di relax in attesa dell’ultimo safari, quello pomeridiano. Approfittiamo anche per farci un bagno ristoratore nella piscina a disposizione degli ospiti. Con questa elevata temperatura è proprio quello che ci vuole. Un breve commento sul ristorante del Mole Motel. Si mangia bene, niente da dire, ma il servizio è davvero lentissimo. Curiosamente, ed è stato sempre così, per avere un po’ di pane devi fare i salti mortali. Il nostro inglese non è certo oxfordiano, ma a chiedere il pane ci riusciamo sicuramente bene. Alla nostra richiesta di “bread” siamo guardati come se fossimo esseri alieni. Certo, qui non saranno molto abituati, ma con tutti i turisti che visitano il parco, beh, un tozzo di pane non dovrebbe rappresentare una richiesta così strana. Il bello però è questo: prima ti chiedono se lo vuoi tostato o normale, passa una buona mezz’ora nel mentre tu hai finito il pasto e quando ti arriva….. Sorpresa! Ecco servite fette tostate, burro e marmellata come a colazione! Beh, ci ridi su e mangi pure quello!

Comunque, ritornando al safari, poiché fa un caldo infernale, decidiamo di farlo in auto: potremo così esplorare una parte maggiore di territorio, con la possibilità (teorica) di poter avvistare più animali. Speriamo davvero di riuscire ad osservare ancora per una volta gli sfuggenti elefanti. Come nelle precedenti uscite, sono ancora antilopi, facoceri e babbuini a farsi vedere con più frequenza. Stavolta possiamo aggiungere anche diverse piccole scimmiette ed eleganti aironi. Ma ancora una volta degli elefanti vediamo solo le grandi impronte ben impresse sul fango oramai essiccato. Non c’è niente da fare, di elefanti neppure l’ombra! Caro Parco Mole è venuta l’ora di lasciarti. Peccato per i pochi pachidermi avvistati, ma i safari sono sempre e comunque emozionanti, non sai mai cosa puoi vedere, ogni momento ti può regalare un’emozione unica ed inaspettata. Vedere poco fa parte del gioco, gli animali si muovono in libertà dappertutto. Magari domani altri visitatori saranno più fortunati di noi, magari no. Certamente qui devi anche fare i conti con il fatto che di animali ce ne sono molti meno che in altre riserve e parchi africani ben più famosi. Ciao Parco Mole e grazie lo stesso!

La strada, sterrata ma in buono stato, scorre praticamente sempre diritta verso est. Durante il percorso ci fermiamo a distribuire un po’ di magliette ai bimbi di alcuni villaggi. La gente è cordiale, non ci sono problemi nel fare fotografie. A volte i bambini più piccoli, certamente non abituati a vedere turisti bianchi, al nostro arrivo fuggono via piangendo o correndo ad aggrapparsi alle loro madri. Dobbiamo fare una cinquantina di km prima di raggiungere Nterso, dove incroceremo la grande strada asfaltata che in direzione nord porta a Tamale fino a raggiungere il Burkina Faso e in direzione sud porta a Kumasi. Anche questa è in ottimo stato ma dopo pochi km già ci mancano gli sterrati dei giorni precedenti! Attraversiamo il Volta Nero, già grande così, in stagione secca, figuriamoci quando piove. Chuku ci dice che i villaggi situati in prossimità del grande fiume, durante la stagione piovosa, vengono praticamente inondati, per cui la gente che vi abita è costretta a lasciare tutto e a trasferirsi più all’interno, dove le acque non arrivano. Il buon Chuku procede alla guida piuttosto spedito, forse un po’ troppo. Manco a farlo apposta veniamo fermati da una pattuglia della polizia. L’agente si avvicina sorridente e mostra a Chuku il rilevatore di velocità: segna “soltanto” 114 km/h, peccato però che il limite sia di 50 all’ora! Il buon Chuku sembra comunque tranquillo, scende, parlotta per un po’ con gli agenti e dopo qualche minuto ritorna, mette in moto e riparte. Da queste parti la corruzione è pressoché onnipresente, sono bastati 7 cedi (al cambio circa 3,5 euro) per sistemare il tutto. Da noi per una infrazione simile altro che pochi euro! Certo, per Chuku si tratta di una bella cifra, ma le cose per lui si sarebbero potute mettere assai peggio. Strada facendo abbiamo in programma la visita alle cascate di Kintampo. Queste cascate sono alte 27 metri e per raggiungere la loro base bisogna scendere per una comoda scalinata di 125 gradini. Fa molto caldo. Ad accompagnarci nella visita un giovane ragazzo, del quale ci stupisce assai l’abbigliamento: pantaloni lunghi pesanti, scarponcini, calzettoni alti e maglione di lana! Non capiamo come fa a stare vestito così considerando il caldo che c’è. Dice che soffre le punture delle zanzare, delle quali comunque non vi è traccia alcuna, anche perché è primo pomeriggio. Raggiunta la base delle cascate ci fermiamo un poco a rinfrescarci nelle fresche e limpide acque ed è davvero un grande piacere. Facciamo poi quattro passi nel villaggio di Kintampo, tra la gente del posto che affolla il mercatino locale, dove si vendono frutta e verdure di ogni tipo. Sono soprattutto gli ananas che ci colpiscono di più: sono davvero grandi e l’aspetto è decisamente invitante, così decidiamo di acquistarne uno. Mai visti di così grossi e di così economici, visto che lo paghiamo meno di un euro!. Durante il tragitto notiamo molti grossi camion rovesciati ai bordi della strada, tanti quelli davvero distrutti. Chuku ci dice che in questa strada si verificano molti incidenti, dovuti non solo all’alta velocità ma anche alla tendenza di tanti autisti ad alzare un po’ troppo il gomito. La strada è così così, tratti di asfalto in discrete condizioni si alternano a tratti con grosse e pericolose buche. Ed eccoci finalmente arrivati a Nkoranza, dove visiteremo il Boabeng-Fiema Monkey Sanctuary e dove passeremo la notte. E’ stata una tappa lunga ma che comunque ci ha regalato delle belle emozioni, soprattutto quando ci siamo fermati tra la gente dei villaggi, che ci ha accolto sempre con calore e simpatia. Qui a Nkoranza alloggiamo al Mike Sap Hotel. E’ una bella struttura e siamo solo noi gli ospiti, anche perché stanno facendo grandi lavori di ristrutturazione e tutte le camere tranne due sono in manutenzione. La nostra è molto bella, pulita e spaziosa e si vede che è stata rimessa a nuovo da poco. Dopo aver sistemato i bagagli ed esserci riposati un poco, partiamo per raggiungere il Monkey Sanctuary, che si trova a circa 20 km da qui. Si chiama così perché questa piccola riserva praticamente unisce i due villaggi gemelli di Boabeng e Fiema. Nella riserva vivono due specie di scimmie, la colobo guereza ed il cercopiteco mona, protette e venerate da tutti gli abitanti dei villaggi. Guai a far loro del male o ancor peggio ad ucciderle. Un ragazzo del villaggio ci accompagna in una escursione per farci vedere le scimmiette. Ci incamminiamo per un sentiero tra la foresta e raggiunto il posto ritenuto idoneo, inizia a fare richiami per attirarle. E poco alla volta ecco arrivare molte piccole scimmiette che si avvicinano furtive a noi ma per niente timorose. Queste sono della specie cercopiteco mona. Basta mettere nella mano alcune noccioline ed ecco che loro si avvicinano e se le prendono delicatamente per cibarsi. Il bello avviene se mostri loro una banana: arrivano, la prendono e poi la sbucciano esattamente come facciamo noi, mangiandosela tranquillamente sedute poco più in la. Le giovani sono più irruente, mentre le grandi sono molto più delicate nell’approccio. Queste scimmie sono talmente venerate che qui hanno addirittura il loro…cimitero. Già, perché quando muoiono, vengono seppellite con tanto di “lapide”, dove sono scritte la specie di appartenenza, il sesso e ovviamente la data del decesso. E questo incredibile cimitero lo visitiamo proprio: una breve passeggiata ci porta in una piccola radura tra gli alberi, dove ci compaiono davanti decine di piccole targhe piantate sopra il punto dove sono state sepolte le scimmiette. Assomigliano davvero a tante particolari lapidi. Ancora una breve camminata ed eccoci ad osservare la seconda specie che qui vive. Si tratta delle colobo guereza, decisamente più schive delle precedenti, in quanto se ne stanno appollaiate sui rami più alti degli alberi e non hanno nessuna intenzione di scendere più in basso, non amando avvicinarsi agli esseri umani. Sono anche più grandi, di colore bianco e nero e con una lunghissima coda.

E con la vista di queste timide e riservate scimmie, si conclude la nostra escursione al Monkey Sanctuary. Il tempo di una bibita fresca nel piccolo villaggio e quindi facciamo ritorno all’hotel. E’ stata davvero una simpatica visita.

Il nostro viaggio prosegue quindi l’indomani mattina per raggiungere Kumasi, distante all’incirca 3 ore e mezza da qui. Nella strada che percorriamo incontriamo moltissime scuole, grandi e piccole, e ci incuriosisce molto il fatto che in diverse di esse le lezioni si tengono all’aperto: tutti i bambini raccolti all’ombra di un albero e con la lavagna appoggiata al medesimo! E’ davvero una bella scena e ci fermiamo un poco in una di esse per osservare da vicino e scattare qualche simpatica foto, tra i grandi sorrisi e saluti dei piccoli studenti.

Ed eccoci finalmente a Kumasi, quella che fu un tempo la capitale del regno degli Ashanti. E’ la seconda città del Ghana ed è ancora strettamente legata alle sue antiche tradizioni. Per le sue caotiche strade c’è davvero di tutto, venditori di frutta e verdura con le loro improvvisate bancarelle, barbieri intenti a tagliare capelli e , mai visto altrove, c’è pure chi scrive a macchina sotto dettatura! La gente è dappertutto, una marea umana che si muove in ogni direzione, con in più l’immancabile traffico tipico di una grande città africana.

Iniziamo le visite con il Manhya Palace, ovvero il palazzo reale, il palazzo del re degli Ashanti. Si può visitare soltanto la parte aperta al pubblico. Quello che ci viene mostrato è praticamente un museo, dove sono raccolti oggetti appartenenti al sovrano attuale ed ai suoi predecessori. Possiamo visitare la sala soggiorno, con una grande tv e una radio antica ma ancora funzionante, la libreria, la sala da pranzo dove sono esposte bellissime tazze in porcellana oltre a svariati bicchieri di cristallo e piatti di ogni dimensione. Ci sono poi le stanze con esposte le armi e non si può non notare le belle spade con generose rifiniture in oro. Ci sono le foto dei re precedenti e diverse loro riproduzioni a grandezza naturale. Sembra quasi di essere osservati. Ci sono poi maschere e altri oggetti in oro, ma quello che ci colpisce di più è il grande mazzo di chiavi, fabbricate manco a dirlo in oro massiccio. Fare foto non si può, ci sono telecamere dappertutto. Solo in un paio di sale sono chissà perché assenti e il custode che ci ha accompagnato nel giro, dietro una piccola mancia, ci permette di fare qualche scatto. Per fortuna, ma è strano, nella sala dove sono esposte le chiavi in oro le telecamere sono assenti. In un piccolo cortile all’esterno sono presenti grandi tamburi antichi di ben 120 anni, fortunatamente ben conservati.

Dopo la visita al Palazzo Reale ci tuffiamo in quello che è senz’altro una full immersion nella realtà locale, ossia ci gettiamo nella confusione del Kejetia Market. Il mercato è vastissimo e visto dall’alto somiglia ad una gigantesca bidonville. Comunque non vediamo l’ora di infilarci la dentro! C’è davvero di tutto, la confusione è totale, sembra di essere in un gigantesco formicaio. C’è pure un vecchio e neanche molto diritto binario della ferrovia che lo attraversa, con tutti i venditori tranquillamente appostati sopra di esso. Tanto, ci dice Chuku, l’ultimo treno che è passato di qui risale a circa 5 anni orsono e comunque se c’è un convoglio in transito (cosa per altro molto rara….) i venditori vengono avvisati in tempo per poter spostare tutta la loro mercanzia. E’ impossibile resistere all’acquisto di qualche bella stoffa colorata o delle sempre simpatiche zucche decorate o naturali. Le trattative però sono piuttosto dure ed elaborate, non si riesce ad ottenere grandi sconti, anche se comunque i prezzi non sono di certo alti. Ma contrattare fa parte del gioco, per cui si cerca sempre di ottenere un prezzaccio, anche se ci si rende conto che quello che ci è stato richiesto non è di certo una follia. Anche questo mercato è diviso in settori, quello della frutta, della verdura, dei tessuti, dei vestiti, delle scarpe, ecc. Qui si può trovare davvero di tutto, persino pipistrelli, camaleonti ed altri graziosi animaletti essiccati, usati magari per qualche intruglio ritenuto….magico!. Quando sei in un mercato il tempo ti vola via che nemmeno te ne accorgi. Quando è grande come questo poi…. A noi piace molto girovagare tra la gente, tra le varie bancarelle, in mezzo a questo caos organizzato. Ci piace molto vedere le cose in vendita, vedere la gente che osserva e poi contratta l’acquisto di qualcosa. Il tempo vola e si già fatta l’ora di ritornare in hotel, lo stesso dell’andata. Prima però visitiamo anche la grande Cattedrale di San Pietro e facciamo un paio di soste per fotografare dall’alto l’immensa area del mercato. L’indomani mattina continueremo la discesa verso la costa, verso quell’oceano che tantissimi anni prima è stato testimone della partenza per un viaggio di sola andata di migliaia di uomini e donne, un viaggio verso terre lontane dove sarebbero stati sfruttati e trattati peggio di qualunque animale. Sulla costa visiteremo infatti un paio di forti e castelli che sono stati teatro di questa vergogna, in particolare quelli di Cape Coast e di Elmina.

Prima di raggiungere Cape Coast, facciamo una sosta a visitare il cosiddetto Slave Market, ossia il mercato degli schiavi. E’ il luogo dove questi poveretti venivano radunati prima di essere imbarcati sulle navi. Giungevano qui da varie zone del Ghana ma anche da Paesi limitrofi, dopo lunghe ed estenuanti marce a piedi e ovviamente incatenati. C’è anche un piccolo torrentello, ora ridotto ad un rivolo d’acqua, chiamato Last Bath, ultimo bagno. Qui venivano infatti lavati e rimessi per così dire a nuovo, prima di essere presentati ai mercanti per la vendita, nei vicini castelli di Cape Coast o Elmina. Che tristezza visitare questi luoghi, ad ogni passo non puoi non pensare a queste brutalità, a questa orribile pagina della storia dell’umanità. Tantissimi anni sono passati, certo, ma tutto ciò non si potrà mai e poi mai dimenticare.

Ed eccoci a Cape Coast. Il suo bianco castello si affaccia imponente sull’oceano e furono molti i suoi “proprietari”, tra i quali spiccano gli olandesi, gli svedesi e gli inglesi, che lo conquistarono nel 1664 e ne detennero “l’esclusiva” per circa due secoli. Possiamo visitare le buie e umide stanze dove venivano ammassati a centinaia gli schiavi, uomini da una parte e donne dall’altra, prima di iniziare il lungo viaggio verso l’America o l’Europa. E’ davvero molto triste attraversare quella che viene chiamata “la Porta del Non Ritorno”, al di là della quale vi erano le navi pronte ad accogliere (si fa per dire…) i poveretti. Sulle grandi mura, lunghe fila di cannoni puntati verso il mare sono lì a testimoniare le grandi difese che questa struttura possedeva. Possiamo inoltre visitare un piccolo museo dove sono esposti oggetti tradizionali del Ghana, molti dei quali davvero antichi. Visitiamo anche quelle che furono le stanze dei vari governatori e delle loro signore e questo ci colpisce molto pensando alle celle degli schiavi viste poco prima. Queste ultime sono umide, buie e senza circolazione d’aria. Le altre sono ampie, aerate e dotate di grandi finestre con vista panoramica sull’Atlantico. Fa male pensare a cosa succedeva nello spazio di poche decine di metri: sopra lo sfarzo, il lusso, la ricchezza, sotto una lenta agonia in condizioni disumane. La visita al Castello di Cape Coast è davvero interessante, ma altrettanto triste. Da sopra i bastioni, mentre ce ne stiamo un poco seduti accanto ai grandi cannoni, con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, i pensieri alle brutalità che in quel posto furono commesse ci ritornano con forza alla mente. La storia è questa, purtroppo, non si può cambiare, ma almeno serva da monito e da esempio affinché in futuro l’uomo non si macchi più di simili orrori. Terminata la visita, facciamo quattro passi tra i simpatici negozietti che si trovano appena prima dell’uscita e poi una bella passeggiata a piedi nudi sulla spiaggia, sulla quale si infrangono poderose le acque dell’oceano.

Il nostro viaggio prosegue quindi verso la vicina Elmina, dove visiteremo altri due forti. Elmina si trova a 15 km da Cape Coast, per cui si tratta di un breve trasferimento. Elmina è davvero un bella cittadina, che si sviluppa tra la costa e la sua laguna, che è praticamente un porto dove attraccano le barche dei pescatori. Sulle banchine poi si tiene un animato e colorato mercato del pesce. Poiché è oramai pomeriggio inoltrato decidiamo di fare le visite l’indomani mattina, tanto abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Qui alloggiamo all’Elmina Bridgehouse, un bell’albergo che si trova a due passi da tutte le cose che dovremo vedere. Meglio di così! Unica raccomandazione di Chuku è che la sera è meglio non andare in giro, c’è poca illuminazione e diversi borseggiatori.

Il mattino seguente iniziamo le visite dal mercato del pesce, che raggiungiamo con una breve passeggiata. Molte barche sono già arrivate, altre stanno arrivando. Le piroghe dei pescatori sono davvero molto belle, con i tipici colori sgargianti. Sulle banchine fervono le contrattazioni, vi sono pesci di tutte le dimensioni,granchi, aragoste. Girovaghiamo tranquillamente tra i vari venditori che espongono il pescato in grandi ceste. Fotografare non sempre è possibile, alcuni lasciano fare altri invece non ne vogliono sapere. Meglio comunque non puntare nessuno, in modo da evitare spiacevoli ed inutili discussioni. Ci rechiamo quindi a visitare il vicino castello, ossia il Saint George Caste, che offre davvero un bel colpo d’occhio, così proteso sul mare con le sue mura bianche. Fu costruito dai portoghesi nel 1482, divenne quindi di proprietà olandese nel 1637 e tale rimase fino alla conquista britannica nel 1872. Inizialmente progettato per custodire l’oro e per fini commerciali, con l’avvento della tratta degli schiavi subì un profondo cambiamento, con la trasformazione dei suoi magazzini in anguste ed umide celle dove venivano ammassati centinaia di poveretti. Anche qui possiamo visitare queste celle, le celle di punizione (ancora peggiori delle altre), la tristissima Porta del Non Ritorno, gli alloggi delle truppe e le lussuose e aerate stanze dei governatori. Anche qui sui bastioni vi sono delle lunghe fila di grandi cannoni protesi verso l’oceano. Nel bel mezzo del cortile interno vi è un grande edificio: questo era in principio una chiesa cattolica (per i portoghesi) che fu trasformata poi dagli olandesi in un luogo per la vendita degli schiavi. Ora ospita un piccolo ma interessante museo.

Questi forti e castelli sono molto interessanti da vedere, ma allo stesso tempo molto tristi. E’ triste camminare in questi luoghi, è triste visitare quelle stanze e immaginare, chiudendo per un attimo gli occhi, tutte quelle persone ammassate come delle bestie al loro interno. E’ triste affacciarsi alla Porta del Non Ritorno, pensando cosa significava per chi la attraversa a quei tempi. Questa è senza dubbio la parte più culturale del viaggio, ma certamente anche quella più dura e che ci ha colpito di più.

Dopo il Saint George Caste tocca al Fort Saint Jago, che si erge sulla collinetta proprio di fronte e che raggiungiamo in pochi minuti a piedi. Da quassù si gode di un bellissimo panorama sulla città e su tutto il suo circondario. E’ bello osservare il brulicare di persone al mercato del pesce e il via vai continuo delle variopinte piroghe dei pescatori. Questo forte è molto più piccolo e fu costruito essenzialmente per difendere il castello sottostante. Girovaghiamo un poco tra le varie stanze, accompagnati anche dal locale custode, che, manco a dirlo fa di tutto per spillarci una piccola mancia. Da quassù notiamo una grande cattedrale che chiediamo a Chuku di poter visitare più tardi. Prima di raggiungerla diamo un’occhiata al cimitero olandese, dove vi sono, in buono stato di conservazione, molte tombe e lapidi di personaggi di quell’epoca. Raggiunta la grande cattedrale cattolica, notiamo che si sta per celebrare un matrimonio. Ci permettono di entrare a vedere, prima di chiudere la porta. C’è molta gente, le donne indossano eleganti abiti ricamati. La sposa è vestita di bianco, un po’ all’occidentale. Rimaniamo lì per un po’ di tempo, ad osservare ed ascoltare i canti liturgici. Poi togliamo il disturbo, anche se ci dicono di restare pure quanto vogliamo e ci fanno ampi cenni di sederci comodi sulle panchine, in mezzo a loro. Saremmo rimasti lì ancora parecchio tempo, ma dobbiamo ripartire. Destinazione finale per oggi è la spiaggia di Kokrobite a circa una trentina di km da Accra. Il nostro viaggio volge al termine, purtroppo. Kokrobite è una località molto famosa da queste parti, tante persone infatti vengono qui nei fine settimana per sfuggire al caos della grande capitale. Ma di certo non si può dire che qui regni la tranquillità. Alloggiamo al Big Milly’s Hotel (camere semplici, piccolissime ma pulite) e dobbiamo dire che lo riteniamo di sicuro il posto più brutto di tutto il tour. Non tanto per la struttura, ma per la gente che lo “popola”: una marea di ragazzotti perennemente con il bicchiere in mano. Chuku ci dice di stare attenti alle nostre cose, in quanto i furti sono frequenti. Il posto non piace neppure a lui. Musica sparata ad alto volume, fiumi di birra ( e non solo…anche fumi assortiti…), canti e balli la fanno da padrone. Caos ovunque, nell’area dell’hotel ed in spiaggia. In più, in un albergo che si spaccia tra i migliori della zona, affacciato sulla spiaggia, strano ma vero non vengono serviti piatti a base di pesce al ristorante! Con Chuku, visibilmente infastidito, cerchiamo un altro posto dove mangiare e lo troviamo poco più in là. Il ristorante pare sia chiuso, non c’è anima viva, le sedie e i tavoli sono lasciati al loro destino e vi sono soltanto due ragazze nel chiosco che funge da bar e cucina. Ma anche se sembra tutto in disuso, anche se sembra tutto trasandato, quello che ci mangiamo è davvero un ottimo piatto di pesce locale! Alla faccia del Big Milly’s! Poi però le sorprese non sono finite, in quanto la nottata sarà davvero lunga da passare: musica a tutto volume fino oltre le due di notte, per cui si dorme proprio poco. Cara Elmina quanto ci manchi! Quanto ci manca la tua tranquillità! Questo posto non ci è proprio piaciuto e lo sconsigliamo vivamente, a meno che non si è amanti di questo genere di cose. Anche Chuku è contrariato e ci dice che non capisce proprio come mai venga sempre inserito questo hotel nel tour, nonostante la maggior parte dei turisti non lo ami. Certo, per una notte soltanto si può stare, ma sarebbe comunque meglio evitarlo, scegliendo un posto più tranquillo o magari, ancora meglio, fare una notte in più ad Elmina per visitare altri forti lungo la costa, che sarebbe di certo più interessante che assistere alla caciara di nugoli di ragazzotti color aragosta con il bicchiere sempre in mano e con la mente annebbiata da alcool e fumi vari.

Il mattino successivo, forse per la baldoria della sera precedente, la colazione viene servita più tardi del solito. Per forza, in giro non c’è anima viva, sono tutti in camera a sbollire le varie sbornie. Decidiamo di partire subito e di fare colazione più avanti, in un altro hotel.

Accra, dove tutto ebbe inizio 10 giorni orsono, ci accoglie con il suo classico caos e la sua immancabile umidità. Passiamo prima a conoscere i titolari dell’agenzia con la quale abbiamo prenotato il viaggio, per raccontare un po’ le nostre impressioni sul tour. L’agenzia si trova ad Achimota, un sobborgo di Accra. E’ una struttura molto semplice, situata proprio in mezzo alle case dei locali, con animali vari che vagano qua e là. L’organizzazione però è stata impeccabile, tutto ha funzionato a dovere, l’auto in dotazione era ottima, per cui il giudizio su di loro è certamente positivo. Qui veniamo sottoposti poi alla benedizione tradizionale, impartitaci da una grassoccia e simpatica signora. Ci fanno sedere all’interno di una stanza poco illuminata, mentre la “sacerdotessa” se ne sta appartata dietro una tenda pronunciando frasi misteriose e sputacchiando qua e là l’intruglio che ogni tanto sorseggia. Poi esce, ci offre un goccio dell’intruglio e qualche seme da mangiare, ci tocca in varie parti del corpo et voilà….eccoci benedetti e protetti.

Quindi ci catapultiamo nella grande Accra, anche se non è che abbiamo tantissimo tempo a disposizione. Facciamo una capatina in Independence Square poi una rapida occhiata alla casa presidenziale. La città non ha molto da vedere, per cui ci concentriamo sui vari mercatini per terminare gli acquisti. Del resto abbiamo una gran voglia di mercatini….. D’accordo con Chuku decidiamo di non andare la Makola Market, in quanto molto caotico e grande e simile a quello visitato a Kumasi. Ci fermiamo prima presso una serie di negozietti situati lungo la strada, dove possiamo girare tranquillamente senza pressioni, poi ci rechiamo all’Arts Centre, dove la scelta degli articoli da acquistare è più ampia. Qui i venditori sono un poco più insistenti, ognuno vorrebbe farti visitare il suo negozio, ma si riesce comunque a girare con calma e dopo lunghe ma simpatiche contrattazioni a portare a termine gli acquisti.

Poiché non abbiamo a disposizione una camera d’albergo per poterci sistemare un poco prima del volo di ritorno, il buon Chucku ci porta a casa sua per conoscere la sua famiglia e per darci la possibilità di fare una doccia. Chuku ha davvero una bella famiglia ed è stato molto piacevole ed emozionante per noi fare la loro conoscenza. Ci fa vedere la sua semplice casa ed il piccolo negozietto di verdure che la moglie gestisce e che si trova proprio davanti alla casa stessa. Poi ci fa conoscere ad alcuni suoi amici, si vede che è contento e anche noi lo siamo davvero tanto. Ci facciamo una doccia nel semplice bagno all’aperto utilizzando l’acqua dei secchi appositamente preparati per noi e quindi, dopo aver salutato con commozione uno ad uno tutti i membri della famiglia, imbocchiamo la strada che ci porta all’aeroporto. Qui purtroppo però Chuku non si può fermare molto con l’auto, per cui ci salutiamo calorosamente con grandi abbracci e con la promessa di scriverci appena possibile. E’ stato un breve ma intenso commiato, con gli occhi di tutti un poco lucidi. Carissimo Chuku, non ti scorderemo mai, non scorderemo mai la tua disponibilità e simpatia, non scorderemo mai i bellissimi giorni passati insieme, non scorderemo mai la tua bellissima famiglia. Si, il Ghana ci è piaciuto molto, ma ciò che ci è piaciuto di più è la sua gente, gente che si è sempre dimostrata aperta e cordiale con noi, gente davvero meravigliosa e che porteremo per sempre nel nostro cuore.

Lasciamo questo Paese con una certezza: Ghana, è la tua gente, adesso, il tuo oro.



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