L’ingegnere a Pamplona

PAMPLONA - Luglio 2004 1 luglio – sulla nave Siamo partiti per davvero. Non ho avuto il tempo di abituarmi all’idea di una vacanza, così la partenza è arrivata come un frammento di un satellite piovuto dal cielo. Quanto meno inatteso. Sì, siamo partiti. Io e Andrea, con addosso il nostro secolo di vita, ci portiamo dietro fuscelli di...
Scritto da: Angelo Agnello
l'ingegnere a pamplona
Partenza il: 01/07/2004
Ritorno il: 12/07/2004
Viaggiatori: in gruppo
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PAMPLONA – Luglio 2004 1 luglio – sulla nave Siamo partiti per davvero. Non ho avuto il tempo di abituarmi all’idea di una vacanza, così la partenza è arrivata come un frammento di un satellite piovuto dal cielo. Quanto meno inatteso.

Sì, siamo partiti. Io e Andrea, con addosso il nostro secolo di vita, ci portiamo dietro fuscelli di appena 17 primavere. La nave è una sorta di villaggio turistico a sette piani. C’è l’animazione, gente grassa e scoordinata che balla attorno la piscina. Grida, musica, battute invadenti e scontate. Si fa di tutto per fare passare il tempo senza pensare.

Ieri sera siamo entrati in un enorme salone dal soffitto blu puntellato di mille lucine. Al centro un palcoscenico, si esibiva una datata cantante giapponese in tipica blusa dorata, accompagnata da un anziano signore alla pianola. Calvo sopra e con capelli lunghi e disordinati ai lati, occhiali spessi e aria di rincogli…Ito artista di paese. Strano esemplare tirato fuori dal vasto campionario della razza umana. La cantante non ha una brutta voce, ma la sua pronunzia italiana richiede un nostro sforzo. Appena ci sediamo intona un vecchio successo che mi richiama alla memoria Mina e Alberto Lupo: “…Palole, palole …Calamelle non ne voglio più…” Ridiamo. Poi ci addormentiamo allo spettacolo “internazionale” del mago gay e restiamo a lungo, assonnati, ad osservare due sformate sagome di anziani volteggiare sotto tutti i ritmi da balera. “Palole, palole” diventano la nostra battuta di inizio viaggio.

La mattina passa sfuggendo dal fotografo del villaggio galleggiante senza mai capire se cammino in direzione della prua o della poppa. Cerco un po’ di pace sui ponti scoperti. Non la trovo. Non capirò mai perché fanno i ponti attorno al rumoroso fumaiolo. Ogni tanto la mia schiena mi sussurra “cogl…Ne, dove credi di andare?” Mi tappo le orecchie e continuo a camminare. Verso prua? Mi affaccio, vedo il mare calmo scorrere nel verso sbagliato. Verso poppa. Giorgia e Claudia si sono alzate dopo mezzogiorno, hanno fatto colazione per ora di pranzo ed ora, al bar, Giorgia mi passa due auricolari collegati al suo CD: il villaggio mi esplode dentro.

2 luglio – Sète La nave non arrivava mai. Ci siamo dovuti sopportare lo spettacolo finale, poi la giapponese ci ha lasciati con il suo ultimo successo “ a – a – bblonzatissima, sotto i laggi del sole…” Alla fine ci siamo messi finalmente in viaggio. L’autostrada è stretta, tutta curve e ventosa. Sembra poi un gioco dell’oca; avvisi luminosi ti avvertono: se guidi in stato di ubriachezza perdi 10 punti, se guidi sotto l’assunzione di droghe perdi 15 punti, se getti un pirito torni alla partenza.

All’imbrunire, stanchi, decidiamo di fermarci al primo posto dopo Imperia. Leggo “Mini Hotel”, 2 stelle, mi fermo. Giorgia scende e dice “io, in questo posto, non ci metto piede.” Sembra che io abbia prodotto uno spermatozoo blasonato senza essermene mai accorto; comunque il ristorante è chiuso, quindi dirottiamo su un altro 2 stelle, più avanti, a S. Lorenzo. Fa schifo come il primo ma la pizzeria è aperta.

Dormo malissimo. Dal rumore mi sembra di essere sopra un Tir, dal dolore mi sembra di essere sotto un Tir. Alle sei, finalmente, prendo sonno. Alle 6 e ¼ bussano alla porta: Giorgia. Perfettamente sveglia e vestita, e non ha chiuso occhio.

Partiamo, destinazione Montecarlo, Giorgia e Claudia hanno idee bellicose. Arriviamo e giriamo il paese più velocemente di una formula 1. Giorgia chiede: “…E se facessimo del sano shopping?” “…Sano?”, credo che lo spermatozoo di prima abbia sbattuto violentemente la testa contro l’ovulo prima di entrarvi.

Riusciamo a continuare il viaggio indenni. La schiena mi urla: “Cogli…Ne, te l’avevo detto io…” Mi fermo e le lancio contro un’enorme pillola arancione di Sinflex.

Continuiamo a tappe su un’autostrada ventosa, poi usciamo e, già stanchi, attraversiamo un’affascinante Carmague e arriviamo a Sète.

Molto carina, con il canale e ristorantini che vi si affacciano. Ne proviamo uno.

4 luglio – Balaguer (Spagna) L’altro ieri sera gran mangiata a Sète. Claudia, cascando nel tranello di Andrea, ha creduto che il suo piatto di Canard appena ordinato era di “rane”, anche quando glielo hanno messo davanti gli occhi strabuzzati.

Ieri mattina ci siamo messi in marcia verso la Spagna. Prima un bel pezzo di autostrada, quindi la statale verso i Pirenei. Facciamo sosta a Vinca e ci sediamo ad un tavolino di un bar. Giorgia vuole mangiare qualcosa, le do del denaro e la mando con Claudia. Entra ed esce da più negozi, poi torna dal panificio con una chilometrica “baguette”. Ai miei occhi interrogativi risponde: “…Era l’unica parola che conosco.” Ci rimettiamo in moto ed affrontiamo la salita sui Pirenei.

Certo il cemento e l’asfalto hanno rovinato i paesaggi naturali, hanno ferito indelebilmente la natura; i motori hanno contribuito fortemente all’inquinamneto dell’aria; l’elettronica ci ha resi tutti schiavi. Ma, …Cazzo, vuoi mettere l’emozione di vedere passare veloce sotto il rombo della tua moto il tratteggio bianco della strada? Il sinuoso nastro scuro che si staglia contro il verde intenso della montagna mentre dentro ti scuote un pezzo rock? La strada ci piace moltissimo. Passiamo il confine e ci fermiamo ad un bar della piazzetta del primo paese spagnolo. Ordino balbettando in 4 lingue mal parlate. Le ragazze ordinano pietanze, appena le vedono fanno smorfie e ne ordinano delle altre, io e Andrea evitiamo lo spreco e ci alziamo rotolando. Ci fermiamo a Balaguer. Pieno di tunisini. Mangiamo, andiamo a letto. Stamattina le ragazze sono pronte prima di Andrea. Il mio compagno di camera stanotte ha russato, ha defecato ed emesso vari altri rumori … una vacanza romantica.

5 luglio – San Sebastian Ieri abbiamo percorso una lunga “carrettera” attraversando tutti i paesaggi della Spagna del nord. Dapprima pianure dorate di grano appena falciato erano tagliate da lunghissimi rettilinei dove morbidi dossi si alternavano per darti continue ansiose attese su “chi spunterà ora di fronte in contro senso?” Abbiamo passato poi canyon profondi con fiumi tempestosi, colline verdi ed alte rocce rosse; laghi quieti e ruscelli. Spesso grossi rapaci ci volteggiavano sopra. Abbiamo avuto caldo ed abbiamo avuto freddo. Siamo passati da Pamplona, la nostra meta, e per la soddisfazione ho fatto due giri attorno a tutte le rotatorie che ho incontrato. Andrea mi ha seguito, ma le sue imprecazioni sono rimaste chiuse all’interno del casco integrale. Dopo le ultime case dai balconi fioriti poste dentro un verde paesaggio alpino si arriva all’oceano e quindi a San Sebastian. La città ti accoglie come una piccola Parigi, con un largo fiume attraversato da ponti dorati su cui affacciano edifici grigi con le mansarde scure puntellate da tanti abbaini, poi la particolarità del posto ti viene incontro. Il fiume combatte i suoi ultimi attimi di vita contrastando le onde dell’oceano. Un promontorio divide l’elegante città in due golfi. Uno dove si sviluppa la parte più moderna dominata dalla massa vetrosa del centro congressi, l’altro dove si affaccia la città antica, con le sue strette strade pedonali, i negozi, i bar.

Ci fermiamo al primo albergo sul mare. E’ un due stelle. Giorgia storce il muso, ma le due stelle questa volta luccicano e tutto finisce bene. Ci riposiamo e poi ci facciamo belli per uscire. Osserviamo vetrine, giriamo per bar, ed alla fine entriamo nel ristorante prescelto. Le due pupette fatali prendono …Pollo e patatine. Io e Andrea ci concediamo un piatto unico di crostacei e frutti di mare vari. Noi restiamo digiuni e le due pupette rischiano di rigettare il pollo dalle risate alle spalle di un povero barista che si contorce in preda a tic.

La serata si conclude con passeggiata sulla spiaggia della baia, davanti al centro congressi con le alte pareti sobriamente illuminate. Entriamo poi in un piccolo pub dove si esibisce un giovane gruppo locale. Giusto il tempo per capire che deve crescere e torniamo in albergo.

Sono le 10,30 e le ragazze dormono ancora. Piove. Una pioggerella leggera leggera.

E’ lunedì ed il museo di Bilbao è chiuso, così restiamo a San Sebastian.

Piove.

Il tempo è cambiato, la Grecia ha vinto gli europei di calcio.

Piove.

Io e Andrea andiamo a fare colazione nella piazza dove si affacciano edifici tutti uguali con 147 aperture numerate. Arriviamo quando sta aprendo il primo bar. Orari spagnoli. Facciamo colazione. Scrivo. Torniamo verso l’albergo. Vediamo una bella chiesa tra i vicoli stretti ed entriamo a visitarla.

Il momento è mistico. Nell’ambiente debolmente illuminato da vetrate policrome si avverte appena una bella musica sacra. Spessi pilastri di pietra si ergono a sostenere snelle volte gotiche. Le pareti sono spoglie, solo quelle dietro l’altare sono rivestite da lignee sculture dorate. Lo spazio silenzioso sa di infinito. L’atmosfera ti proietta fuori dal mondo. Vedo Andrea che, davanti a me, guarda alto sopra l’ingresso. Mi volto ed osservo un enorme organo dalle mille canne brune. Mi viene di pensare “minchia organo!”. Purtroppo il collegamento blasfemo è immediato “…Mi piacerebbe sentirmelo dire da una bella donna…” Il momento mistico svanisce, meglio uscire dalla chiesa.

7 luglio – Plaza del Castello – Pamplona La sera a San Sebastian abbiamo mangiato nel piccolo ristorante sul porto, dopo che Giorgia, estratta dalla sorte (con il mo aiuto), si era esibita sull’entrata di un ristorante con il suo “shack …Run e rolled” La mattina ci prepariamo, carichiamo le moto e partiamo per Bilbao. Dopo 20 metri ci fermiamo, ci guardiamo attraverso le visiere dei caschi e decidiamo per Pamplona.

Amo questi cambi di programma repentini, ti fanno sentire in viaggio. In giro per il mondo. Ci immettiamo in autostrada, poi sbaglio direzione, torniamo indietro e di nuovo per Pamplona. Attraversiamo un passo di montagna con la nebbia, sentiamo un gran freddo, poi, finalmente, arriviamo: scoppia il caldo ed esplode la Fiesta! Non è facile descrivere l’inizio della festa di San Firmino, si può solo dire che il colore è il bianco e rosso. L’odore è di sangria, acqua e uova gettate dai balconi sulle persone, sudore, birra. Il suono è quello delle bande, delle grida e delle risate. Il tocco è spesso bagnato. Il sapore è di allegria e disponibilità allo scherzo, alle battute, a tutto. La folla è tale che non si riescono a vedere le strade e il popolo bianco e rosso salta, balla, ride, beve. E’ follia pura. Il contagio ci prende, così, un bar dopo l’altro, entriamo in ambienti con musica a tutto volume. Birra e ballo, senza pensarci su. Charrizo, ballo e birra. Sputo charrizo, ma continuo a ballare e bere birra. Con me Giorgia e Claudia, ed alla fine anche Andrea saltella con noi. Per un po’ ci scordiamo del mal di schiena, della protesi e dei problemi. Balliamo euforici, quindi compriamo delle magliette, regali e 2 biglietti per la corrida, poi in albergo a riposare.

Nel pomeriggio io e Andrea andiamo alla corrida con i toreri a cavallo. La Plaza de toros è gremita, tutti in bianco e rosso, poi comincia il temporale e l’anello basso scoperto si colora di impermeabili e ombrelli. Della corrida si può dire tutto il bene e tutto il male, ma di certo è uno spettacolo e ci restiamo due ore, bevendo dell’orrido vino dalla fiasca di pelle che il nostro vicino continua a passarci. Applaudiamo, sventoliamo fazzoletti rossi, salutiamo il vicino amico ed usciamo. Anche questa è fatta.

Ha smesso di piovere ed arriva la telefonata di Giorgia. Sono affamate. Torniamo in albergo a prenderle e decidono per una cena da Pizza Hut. Da dimenticare. Torniamo nel centro storico dove si svolge la fiesta. I toni si sono smorzati. Si balla, si ride, si beve, ma si dorme anche, sui prati e sotto i portici. Piove di nuovo, torniamo in albergo.

Stamattina sveglia presto, c’è l’encierro.

Arriviamo e ci addossiamo alla calca vicino l’ingresso della Plaza de Toros. Solo Claudia, salita sulle spalle di Andrea, riesce a vedere qualcosa, noi solo spiragli. Poi gli spari, la gente si agita, freme. Si vedono i primi passare verso l’ingresso dell’arena con una corsa poco convinta, poi la folla ha un’accelerazione improvvisa. Scatti, grida, scarti improvvisi e si intravedono passare la grigie masse dei tori. La scena si ripete due, tre volte, poi è tutto finito, sono tutti dentro. Compro due biglietti dai bagarini ed io e Giorgia entriamo nella Plaza de Toros. Nell’arena tre torelli tentano impossibili incornate dei giovani che gli saltellano davanti irrispettosi. Qualcuno vola in alto e ricade sulla sabbia, poi si rialza e scappa. I torelli hanno le corna spuntate, ma l’encierro ha fatto otto feriti da ospedale.

La giornata continua piuttosto stanca, tentiamo di andare a Bilbao in treno. Troppo lungo e complicato, torniamo in centro e dormiamo su un prato di questa piazza. Come molti.

8 luglio – St Giron Stamani sveglia presto, io e Andrea torniamo all’encierro. Indosso la mia divisa bianca e rossa e ci immergiamo nel popolo vociante. Questa volta entriamo nella Plaza de Toros. Andrea resta fuori, tra quelli che aspettano l’arrivo dei tori, io entro nell’arena.

Le gradinate sono piene di giovani che ridono, cantano, si agitano nell’euforia dell’attesa. Parte una ola che fa sei giri dell’anfiteatro. Al centro dell’arena una banda conclude la sua esibizione ed esce tra gli applausi. Ad un ratto la folla è presa dall’eccitazione: è l’ora. Quelli posti ai lati dell’ingresso si sporgono per vedere meglio. Il vociare aumenta di volume, tutta l’arena freme ed infine, tra l’ovazione generale, entrano i primi corridori. Continuano ad entrare e spandersi nell’emiciclo come formiche, bianche e rosse naturalmente. Poi i corridori che entrano hanno uno scarto, si gettano di lato ed entrano i tori. Sei, sette, forse di più. Applausi, incitazioni, olè! Entrano altri tori, al centro si crea un corridoio libero e i tori escono dall’arena. Applausi. Giù, il popolo dell’encierro applaude a se stesso, esulta. Abbracci, baci, felicità di essere arrivati sani e salvi, sorrisi larghi e si riapre la grande porta rossa con su scritto “toril”, entra un torello nero pieno di energia. Entra pure Andrea, ma sulle gradinate, accanto a me. Il torello si scatena. Ragazzi lo colpiscono con giornali, con le mani, lo incitano e poi scappano. Qualcuno viene colpito e vola per aria, si rialza e scappa. La scena si ripete in continuazione. C’è chi vola sul torello, applausi. Uno riesce a prenderlo per le corna, lo blocca per qualche attimo. Tutti accorrono e si concentrano sul toro che non si vede più. Uno scossone tra la folla, qualcuno vola e il torello riprende la sua corsa. Entra u toro anziano con il campanaccio, si affianca al torello e i due escono dall’arena. Applausi. Lo spettacolo si ripete con altri torelli. Magliette strappate, qualche spavento ma niente di grave. Decidiamo di tornare all’albergo ed usciamo dall’arena. Per strada vediamo un’autoambulanza e gente accovacciata su un corridore di encierro disteso immobile per terra.

Torniamo in albergo, prepariamo le moto, partiamo. Affrontiamo nuovamente i Pirenei. Belle curve. Freddo. Passiamo per Roncisvalle. Incontriamo pellegrini del camino di Santiago di Compostela, poi scendiamo. Lasciamo la pazzia della Spagna ed entriamo in Francia. Ci fermiamo in un bar, parlo come al solito le mie lingue di confine. Questa volta qualche parola anche in tedesco e Claudia si piscia addosso dalle risate. Ordino birra e prosciutto. Andrea mi rivolge un “…A quest’ora?” poi debbo strappargli il prosciutto dalle mani per poterne mangiare anch’io. Riprendiamo il viaggio. La strada si distende in curve più larghe ed alla fine di una di queste la mia moto muore. Matata come un toro nell’arena. E’ qualcosa di elettrico, mi accosto con il cuore stretto. Tragedia. Le ragazze si preoccupano “…E ora?” Poi arriva St Andrea, protettore delle BMW. Smontiamo il sellino, la tanica, il faro e il coperchio del blocco motore. Scopre un filo scoperto, lo ringuaina con dello scotch. Funziona. Siamo salvi. Almeno fino a stasera, fino a questo bar di St Giron, posto sotto il simpatico vecchio hotel con letti unici e cuscini modello maxibaguette. Si chiacchiera, Andrea ricorda di quando a San Sebastian sono entrato in un negozio, sono andato dietro Giorgia che stava sfogliando un album di non so cosa e, per farla spaventare, le ho preso il braccio da dietro e le ho detto “Segnorita do no toche…” Lei seria si gira appena, giusto per capire che non è Giorgia. Giro sui tacchi e muto esco svelto dal negozio. Questa non la volevo scrivere, sono stato costretto.

10 luglio – Arlès Ieri siamo partiti da St Giron, ma prima, durante le petit dejeuner, le due stracchiole confessano candidamente che il lenzuolo che ci avevano scippato la sera prima (perché nel loro letto ce n’era uno solo ed il materasso era pieno di peli) in effetti era in più, perché si sono poi accorte di avere sollevato due lenzuoli insieme. “Minchia, e perché non ce l’avete ridato?” “…L’abbiamo usato come federa per la baguette gigante.” Così Andrea si è grattato tutta la notte combattendo contro una coperta ruvida sulla pelle solo per la comodità di due testoline vuote? E’ il segnale della giornata che affronteremo, ma non lo cogliamo, e scegliamo una scorciatoia che si rivela una strada dal manto dissestato che ci shekerizza per 80 kilometri.

Arrivati in autostrada il freddo della montagna si trasforma in caldo pesante. Direzione Arlès, poi mi fermo: “e se andassimo a dormire in quel paesino medioevale della Camargue, che è sul mare e così ci possiamo fare anche un bagno?” Ma Giorgia misura il cerchietto con cui il paesino è rappresentato sulla carta stradale e lo paragona a quello di Arlès “Non se ne parla. Io mi debbo fare una doccia e voglio un albergo 3 stelle, basta con questi paesini!” Lo spermatozoo blasonato vince come al solito la sua battaglia ed arriviamo ad Arlès. Giriamo tutti gli alberghi, pieni, anche quelli 3 stelle. Disperati finiamo in una sorta di villaggio turistico di seconda categoria fuori dal centro abitato. Diamo un’occhiata alle camere che si erano liberate in quel momento: fanno schifo, ma c’è il bagno e noi siamo stanchi e scarichiamo i bagagli. Io e Andrea siamo alloggiati in una stanza isolata accanto una cabina Enel (che qui si chiamerà forse Enèl).

Neanche il tempo di chiederci “ma dove siamo finiti” che si sente il terreno tremare, Giorgia viene verso la nostra cabina lanciando fulmini “Non funziona la doccia! Claudia ha le mestruazioni e sta male! Qui è uno schifo!” Saliamo nella loro camera. Prendiamo un po’ di zucchero per Claudia, distesa sul letto, languida. “Tu Giorgia, vai a vedere se la doccia della nostra stanza funziona.” Giorgia torna “nella vostra camera c’è una puzza di piedi insopportabile!” E’ il segnale (il secondo) e iniziano i fuochi d’artificio. “Ma insomma, che cazzo vuoi? E’ tutta la giornata che rompi i cogl…Ni!” La mia voce sale, quella di Giorgia sale di più “E tu vattene, non mi stare ad ascoltare!” Andrea è chinato dentro la vasca tentando di aggiustare la doccia. “Tu rompi i cogli…Ni!” Il villaggio trema. Claudia si muove appena “…Zucchero …” “E tu vattene!” Andrea, idraulico oramai liquido, esce dal bagno “…Non si può riparare.” “Hai visto? E ora? Nella vostra stanza c’è una puzza di piedi che fa schifo!” Cadono le prime tegole dal tetto, Andrea resta pietrificato come il calcare della doccia. “Tu rompi i cogl…Ni!” Claudia praticamente sviene su un letto zuccherato. “Vattene ti ho detto!” La porta esce dai cardini. Me ne vado, forse è meglio.

Andrea decide che abbiamo bisogno di un bagno in piscina, si butta in acqua e scoppia in un ingiustificato, ridicolo attacco di risata. Il bagno comunque funziona. Giorgia si è fatta la doccia nella nostra cabina Enel e riceve la telefonata di uno dei suoi fidanzati e, forse telefonicamente appagata, l’atmosfera si distende. Usciamo a cena. L’impianto elettrico della mia moto è agonizzante, la batteria non si carica più e la moto non parte. Voglio tornare. E’ troppo tardi per parlare con l’agenzia di viaggio e fare anticipare la nave di un giorno, così non ci resta che andare a mangiare.

In effetti Arlès è carina, c’è il festival della fotografia, per questo non c’era posto negli alberghi, che ci potessero scoppiare tutti gli obiettivi. Mangiamo in una piazza lastricata di tavolini e ristoranti. Con la mente ancora a Pamplona ordiniamo toro. Ad Andrea lo portano molto al sangue (praticamente vivo) e deve affrontare la sua personale corrida per mangiarlo. Nel tavolo accanto c’è una fotografa italiana che non la smette di parlare, anche quando mangia, dei due che sono con lei uno forse è sordomuto. In un altro tavolo c’è uno con una risata da Oscar. Tre cani tentano un’impossibile inchiappettata sotto il nostro tavolo, forse pisciano sul mio giubbotto di pelle. Il vino rosso fa il suo effetto e troviamo le solite somiglianze con persone conosciute. Ora basta, è tardi, siamo stanchi, torniamo a casa. Anzi alla cabina Enel. Cazzo c’è da spingere la moto.

12 luglio – sulla nave L’albergo visto dopo averci dormito su non è poi così terribile. Ho fatto una prima colazione di mattina presto al bordo della piscina e, senza le 30 ragazzine vocianti che alloggiano qui, è stato piacevole. Restiamo un’altra notte, così oggi andiamo nel parco della Camargue. Con calma si alzano gli altri, ci prepariamo, spingiamo la mia moto e via. Attraversiamo paludi, risaie, stagni, vediamo cavalli, aironi bianchi e fenicotteri rosa, arriviamo a St Marie de la mer ed alla sua spiaggia. Mattinata al sole, cantando con gli auricolari nelle orecchie e Andrea che riprende il penoso spettacolo. Faccio il bagno. Per pranzo decidiamo di andare ad Aigues Mortes e attraversiamo altri trenta chilometri di parco. Il paesino è racchiuso tra spesse mura medioevali con tanti bastioni. Mangiamo crèpe salate e ordiniamo una bottiglia di “vin des sables”, che abbiamo visto reclamizzato un po’ dovunque. Il vino ci stronca e io e Andrea ci buttiamo come barboni a dormire su due panchine di una piazza subito fuori il centro turistico. Giorgia ha la faccia color “vin des sables” per il sole preso, vuole tornare, ci alziamo e ci incamminiamo verso le moto. Una signora tedesca ferma Giorgia, la indica con decisione, fa il segno di mettersi qualcosa in bocca, poi indica una direzione lontana ed erutta parole tedesche. Non capiamo. Poi indica delle cartoline e riprende la pantomima. “Giorgia, dove hai messo le cartoline?” “Ma non le avevi tu?” Anche Giorgia aveva assaggiato il vino, ed aveva dimenticato al ristorante le cartoline da me dipinte ad acquarello, scritte e firmate, e pure francobollate.

Torniamo stanchi in albergo e decidiamo di restare lì a mangiare per la sera, ma prima passiamo dal centro di Arlès, Giorgia vuole comprare un paio di scarpe. Passiamo davanti un negozietto di cappelli, vedo esposti dei bellissimi Panama, mi sono piaciuti sempre ed entro per curiosità. Chiedo, inizio a provare, mi guardo allo specchio. Troppo grandi per me. Poi il signore mi da un modello che mi sta meglio, ma lo sento un po’ piccolo sulla testa. “Come mi sta? E’ piccolo?” “No, c’est juste. No plus grande” asserisce la signora. Guardo i miei “Come mi sta?” “Bene, bene” Ma sì, mi decido e lo compro. Ad Arlès non mi conosce nessuno così decido di indossarlo subito. Panama in testa, camicia fuori dai pantaloni, mani in tasca e petto gonfio. “Andrea, come mi sta?” “…E’ un po’ piccolo.” Andrea scherza, spero, così continuo a passeggiare impettito sino a quando un bambino che gioca con un pallone lo tira alto verso di me. Il lancio è perfetto ed io non ci penso su, dimentico il mio bel Panama e lo colpisco con la testa. Dietro il bambino spunta la madre “Monsieur! Le chapeaux!” Lo riconosco non sono fatto per il Panama.

Ieri viaggio in autostrada, rientriamo in Italia ed usciamo a San Remo. I telefonini di Giorgia e di Claudia iniziano a scatenarsi, poi riprendiamo. Un bel pezzo di strada sulla costa e poi di nuovo autostrada, un ultimo breve tratto e dritti dritti ci imbarchiamo sulla nave. Cerchiamo la nostra cantante giapponese dell’andata, ma la nave è diversa e restiamo “amaleggiati”. Il mare monta e fa oscillare la nave, Giorgia e Claudia prendono una pillola contro il mal di mare e andiamo a vedere lo spettacolo buttati su un divano di un enorme salone. Lo spettacolo è penoso e si conclude con una danza del ventre che sa di tuca-tuca tunisino. Poi una signora si alza per andarsene ed all’altezza di Andrea, vuoi per il dondolio della nave, vuoi per la scarsa qualità artistica dello spettacolo, vuoi per la non gradevole vista di noi quattro dopo un viaggio faticoso, afferra un cestino e oscillando vomita in direzione di Andrea. Questi fa un balzo verso di noi, si gira e vomita una risata irrefrenabile. Ci stringiamo tra di noi, nascondiamo le teste come gli struzzi per un residuo di decenza davanti alla signora che sta male, e iniziamo a sobbalzare in un’unica massa ridente. Ci calmiamo che la signora è già andata via, forse è il caso di andarcene pure noi, tutto sommato la responsabile dell’animazione lo aveva detto: spettacolo con finale a sorpresa.

Stiamo tornando a Palermo. Abbiamo percorso oltre 2.800 chilometri. Abbiamo visto le nevi dei Pirenei, le pianure aride e le montagne verdi, stagni, laghi, fiumi. L’oceano atlantico ed il mediterraneo francese. Abbiamo visto la corrida, l’encierro e lo scatenarsi della follia spagnola. Abbiamo salutato centinai di motociclisti e due poliziotti in motocicletta. Abbiamo mangiato il toro, la paella e bevuto tanta cerveza. La mia schiena ha continuato a borbottare di tanto in tanto ma, anche con l’aiuto di qualche pillola, l’ho tenuta a bada. Ora lo posso dire: gliela ho messa in quel posto, anche se la frase ha un forte sapore ermafrodita. Possiamo ritenerci soddisfatti. Ora possiamo archiviare tutto. Un’altra piccola tacca da segnare nella nostra vita.

Che ne dite? Vi è piaciuto? … Volete che ve lo racconto di nuovo? … No? …

…Come? un altro viaggio? …

… E chissà quando lo faccio un altro viaggio …

…Volete che vi racconto un’altra cosa? …

…Un’altra volta? … …Ed io che faccio ora?…

… Dai, una cosa breve? …

… Piccola …

… Una sola … ……..

……..

ooh! … Per favore … Qualcuno me la rompe questa penna? … …… …… … crack …… grazie.



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