L’India e le sue mille contraddizioni

Rajasthan, Agra, Varanasi, Delhi... confusione, caldo, fatica ma nonostante tutto un senso di nostalgia che ti rimane addosso
Scritto da: ScillaAlberto
l'india e le sue mille contraddizioni
Partenza il: 08/08/2016
Ritorno il: 22/08/2016
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Quest’anno, dopo diversi viaggi in Asia, abbiamo valutato di essere pronti per l’India. Per giungervi nel modo migliore, abbiamo deciso di farci prima qualche giorno di mare, così da riprenderci dalle fatiche di un anno di lavoro e soprattutto per non arrivare a Delhi col fuso addosso. Tra le località di mare vicino all’India, considerato il clima ed il periodo, la scelta è ricaduta sulla nostra amata Thailandia, in particolare su Koh Tao, che non avevamo visto nel viaggio del 2012. Quest’anno per la prima volta non saremo soli; condivideremo il viaggio in India con una coppia di amici, Marzia e Matteo, con i quali ci incontreremo direttamente a Delhi.

Dopo una settimana a Koh Tao, dove abbiamo ottenuto il brevetto open water SSI e ci siamo rilassati, siamo tornati a Bangkok, da cui ripartiremo per l’India.

08/08: Bangkok-Delhi

Sveglia presto, stamattina abbiamo il volo per Delhi. La vacanza è ufficialmente finita, le energie sono state recuperate ed il meritato riposo è stato ottenuto; ora comincia il viaggio. Arrivati a Delhi, prendiamo la metropolitana per giungere al Palace Heights Hotel, impiegando circa un’oretta. Arrivare in India dopo una settimana a Koh tao è come ricevere uno schiaffo in faccia all’improvviso: ti lascia un po’ stordito! Incontriamo in albergo i nostri amici e compagni di viaggio ed usciamo. Come prima tappa andiamo a rifocillarci in uno dei bar in terrazza della grande Connaught Place. Dopo una lunga attesa, ci portano degli ottimi falafel e del pollo fritto con zenzero. Prendiamo poi un tuk tuk in quattro, che è da pazzi, non solo perché io devo stare in equilibrio precario sulle ginocchia di Alberto , ma perché con la guida folle ed il traffico dell’ora di punta rischiamo di incidentarci più volte (ed io di rotolare fuori), ma lo troviamo dannatamente divertente. Ci facciamo lasciare in Old Delhi e proseguiamo a piedi per una lunga passeggiata nel caos assoluto. Sui marciapiedi c’è molta più gente di quanta ce ne possa stare e per strada c’è il mondo: clacson che suonano ininterrottamente, tuk tuk, motorini, venditori indaffarati, gente che trasporta ogni cosa, mendicanti, capre, cani, una vacca in mezzo alla carreggiata ed addirittura vediamo una scimmia inerpicarsi sui tralicci dell’elettricità. Noi quattro siamo gli unici occidentali e noi donne attiriamo molto l’attenzione maschile: gli uomini ci fissano pur essendo coperte. Un tizio mi manda pure un bacio dal tuk tuk ed ho la sensazione che pratichino la tecnica internazionale della ‘mano morta’. (Questi sguardi ed atteggiamenti maliziosi saranno una costante di tutto il viaggio, nonostante gambe e braccia fossero sempre coperte). Dopo circa un paio d’ore torniamo in hotel per una bella doccia rigenerante. Ceniamo al ristorante dell’hotel, che è aperto a tutti ed è uno dei migliori della zona, infatti è pieno (di indiani) e se non avessimo prenotato, non avremmo trovato posto. La nostra prima cena indiana è ottima! Il Palace Heights è stata una buona scelta: vicino alla metropolitana, in una bella zona, personale molto servizievole, buon ristorante e camere confortevoli. (N.B: si aspettano tutti la mancia. Questo ci ha sollecitati a studiare la ‘questione delle mance’: quando e quanta ai vari camerieri, facchini, tassisti, guide etc.. Abbiamo trovato un link che spiegava bene il tutto).

09/08: Delhi-Jaisalmer

Oggi abbiamo il lungo spostamento che ci porterà a Jaisalmer e che si suddivide in due tappe: la prima è un volo interno fino a Johdpur e la seconda sarà un taxi fino a Jaisalmer. Riprendiamo la metro ed arriviamo in aeroporto con buon anticipo. I controlli in metropolitana sono molto rigidi: ad ogni ingresso c’è il metal detector ed il controllo bagagli, inoltre ci sono molti militari in giro (di recente ci sono stati dei problemi al confine col Pakistan). Le donne vengono controllate in una stanza chiusa ed essendoci poche donne io e Marzia impieghiamo pochissimo tempo per superare i controlli. Un particolare che avevamo trovato anche a Kuala Lumpur è che sulla metro ci sono vagoni solo per donne, cosa che va sempre a nostro vantaggio perché si sta meno stipate. Essendoci scordati ieri di cambiare in città, ci tocca cambiare degli euro in aeroporto (con un pessimo cambio), così da avere a Johdpur il denaro cash per pagare il tassista. Il volo per Johdpur è un po’ movimento per via del maltempo; una volta atterrati c’è una pioggia scrosciante che allagherà la città, trasformando le strade in fiumi ed allagando abitazioni e negozi al piano terra. Al di fuori del piccolo aeroporto c’è l’angolo taxi a cui ci rivolgiamo (correndo con i k-way sotto l’acquazzone e l’acqua quasi alle caviglie) per richiedere il trasferimento a Jaisalmer (ci costerà 6000 rupie); nei pochi metri dalla tettoia alla macchina ci infradiciamo completamente! Inizia il lungo viaggio per Jaisalmer che durerà circa 4 ore e mezza; la pioggia scrosciante ci accompagna fino a che non usciamo da Johdpur, per poi terminare strada facendo. Lungo il tragitto il paesaggio cambia: da verdeggiante diventa gradualmente brullo e semidesertico. Il vero spettacolo sono le persone che incontriamo per strada, dai bambini che a Johdpur si divertono a giocare nelle pozzanghere ed incitano le macchine a passare più forte per essere investiti dagli schizzi, alle donne coi lunghi abiti porpora che trasportano brocche sulla testa, ai sikh, con i turbanti colorati. La guida del tassista è al cardiopalma, (cosa a cui ci abitueremo presto, perché in India guidano tutti così), con sorpassi in curva e numerosi rischi di incidenti frontali con macchine, pullman o semplicemente con le vacche. Per strada le vacche la fanno da padrone: camminano o dormono, bighellonando tra le due carreggiate ed ignorando i clacson dei veicoli. Vediamo anche numerosi greggi di pecore e capre, nonché diversi dromedari liberi. Al termine del lungo viaggio, arriviamo al nostro bellissimo albergo: The Gulaal. Stupenda la struttura, che richiama quella delle antiche Haveli, bellissime le stanze, la vista sul forte poi è spettacolare. Dopo un drink di benvenuto andiamo a farci una doccia e poi saliamo in terrazza per la cena con vista, questo luogo ci ha già incantati.

10/08: Jaisalmer

Giornata dedicata alla visita della città d’oro, l’hotel ci offre un servizio navetta fino al forte e da lì ci incamminiamo. La visita del forte è molto interessante e la vista dal terrazzo più alto che domina su Jaisalmer è bellissima. Ci rechiamo poi a visitare i templi giainisti che ci lasciano a bocca aperta per la complessità e la bellezza degli intarsi. Fa molto caldo e facciamo una sosta in un bar panoramico dove beviamo un tè e mangiamo il naan seduti sui cuscini. Decidiamo quindi di andare a visitare le haveli principali e scegliamo di farci accompagnare in tuk-tuk, rigorosamente in 4: Alberto finisce davanti a condividere il sedile con l’autista. Anche i vicoli della città d’oro sono piuttosto trafficati: ci sono soprattutto motorini, passanti e le solite vacche tra cui dobbiamo fare gli slalom. Il nostro autista è molto gentile e ci accompagna all’interno della Nathmal-ki-Haveli che in parte è ancora abitata dandoci anche numerose informazioni. Abbiamo bisogno di un portafogli per la cassa comune e ci fermiamo a curiosare in un negozio di tessuti di cui l’autista-guida comincia a spiegarci i diversi tipi di lavorazione. Il un attimo veniamo risucchiati dal negozio e ci troviamo in una stanza ventilata piena di tessuti lavorati di cui il venditore ci racconta meraviglie, offrendoci anche del tè. Effettivamente io e Marzia siamo interessate, ma quando chiediamo il prezzo di un runner lavorato a mano che vorremmo acquistare, il commerciante ci spara la cifra di, udite udite, 500€! A quel punto penso che la cosa migliore sia andarcene senza mezzi termini. Viriamo bruscamente sul portafogli per la cassa comune, che è l’unica cosa che ci serve davvero e gli diamo 250 rupie (era partito da una richiesta di 15€: gli piace ragionare in euro). Alla fine ci ripropone il runner, rivolgendosi soprattutto a Matteo, perché io ho azzerato l’interesse (solo il fatto che abbia chiesto una cifra del genere mi indispone, perché è un insulto alla nostra intelligenza). Matteo gli risponde che non gli darà più di 30€, anche se secondo lui il prezzo giusto sarebbe 20€. Ci sono momenti di tensione, perché il commerciante insiste nel dire che il prezzo è troppo basso e che stiamo mentendo, perché ha sentito Marzia dire in italiano che 50€ li avrebbe spesi. Cerchiamo di chiudere la questione senza troppe polemiche ed avviandoci all’uscita, ma alla fine dice che va bene 30€. Come?!? Era partito da 500€! A quel punto, visto che la fatica era stata fatta, lo abbiamo preso anche io e Alberto, sempre a 30€. Chissà qual’era il prezzo giusto, però il venditore non era molto contento, avrebbe voluto ottenere di più. Dopo questo inframezzo andiamo a vedere la Patwa-ki-Haveli, ma solo esternamente, perché siamo un po’ stanchi ed infine ci facciamo portare al laghetto che c’è nelle vicinanze e poi in hotel. Congediamo il nostro gentile autista e ci dedichiamo ad un pò di relax in piscina. Quando ceniamo è da poco tramontato il sole ed i colori rendono la vista sul forte ancora più bella.

11/08: Jaisalmer

Mattinata di relax in piscina, partiremo nel primo pomeriggio per l’escursione nel deserto e sfruttiamo queste ore per riposarci e rinfrescarci: siamo pur sempre in ferie! Abbiamo deciso di organizzare la gita nel deserto con il nostro albergo, perché ieri volevamo chiedere qualche preventivo in giro, ma non abbiamo trovato tutta l’offerta che ci aspettavamo, poi vinti un po’ dalla calura è un pò dalla stanchezza abbiamo deciso che le 1700 rupie a persona per la cammellata al tramonto e la cena nel deserto non fossero eccessive. Non mi aspetto granché da questa gita, forse perché ho già fatto una cosa simile in Marocco, ma quella volta addirittura dormimmo nel deserto col sacco a pelo, o forse perché ho letto sulla Lonely che è diventata una cosa molto turistica. Staremo a vedere; Alberto è comunque contento, perché non è mai salito sul cammello. La jeep parte alle 15 e ci porta a visitare dei punti di interesse, tra cui i cenotafi reali, un villaggio abbandonato che ora utilizzano come set cinematografico, un’oasi d’acqua potabile a cui attingono i villaggi limitrofi ed un forte. Infine veniamo portati al punto d’inizio della nostra cammellata ed inizia la lenta marcia verso le dune. Il deserto del Thar non è una distesa a perdita d’occhio di dune sabbiose come altri deserti, qui le dune ci sono, ma per la Maggior parte è rappresentato da un terreno arido con bassi arbusti verdi. In sella ai nostri dromedari veniamo condotti a delle dune che non sono quelle di Sam, le più famose, perché diventate troppo chiassose ed innaturali per l’eccessiva presenza di turisti. Qui intravediamo tra le dune in lontananza qualche piccolo altro gruppetto, ma in effetti siamo pressoché soli. Ci godiamo il tramonto tra le dune e la cena alla luce della luna che viene preparata al momento sul fuoco: riso con verdure e una purea di lenticchie, il tutto accompagnato dal chapati fatto al momento. Siamo stati bene ed anche se, come mi aspettavo, non è stata un’esperienza sconvolgente, è stato bello accamparsi alla luce del falò e banchettare sotto le stelle.

12/08: Jaisalmer-Johdpur

Partenza alle 8:30 per Johdpur in auto, organizzata dall’hotel alla stessa cifra dell’andata (6000 rupie), ma con un’auto decisamente migliore. Impieghiamo 4 ore e mezza per giungere nella città vecchia dove il tuk tuk dell’hotel, previa telefonata del nostro autista, viene a recuperarci; nei vicoli della città vecchia la macchina non passa. Le stradine sono completamente allagate perché nei giorni scorsi ha piovuto tantissimo qui, come non si vedeva da 22 anni, e probabilmente anche il sistema fognario non è dei più efficienti, fatto sta che la gente in alcuni punti cammina con l’acqua alle caviglie. Il nostro hotel, il Juna Mahal, è una Haveli originale e nonostante sia molto caratteristica per un attimo rimpiangiamo The Gulaal, forse ci eravamo abituati troppo bene! Dopo un breve pit stop al ristorante sul terrazzo, usciamo a fare quattro passi, qui le stradine sono asciutte. In strada c’è il delirio! I vicoli sono pieni di motorini, tuk tuk, gente a piedi o in bicicletta, in alcuni momenti i gas di scarico tolgono l’aria ed è un susseguirsi continuo di clacson. Rischiamo più volte di venire urtati o investiti. Ci rechiamo alla torre dell’orologio e facciamo un giro per il market; qui si vende di tutto, dai braccialetti alle stoffe, dai prodotti di artigianato alle spezie. Acquistiamo delle spezie e cambiamo un po’ di denaro prima di ritornare in albergo per il tramonto: dal terrazzo superiore la vista sulla città, con le scimmie che saltano tra i terrazzi ed i bambini che giocano con gli aquiloni è fantastica! Per cena andiamo al ristorante Indique, al roof top di un bellissimo hotel, purtroppo il forte rimane illuminato solo fino alle 21 per cui ne abbiamo goduto la vista solo per pochi minuti. La cena è stata buona, ma comincio ad essere stanca di mangiare pollo! Per tornare in hotel speravamo di fermare un tuk tuk, ma dopo una certa ora sono tutti fermi e non c’è molta gente in giro, forse non è nemmeno troppo saggio girare per i vicoli bui e semideserti della città vecchia. A quest’ora non c’è il caos ed il fastidioso ripetersi dei clacson di qualche ora prima, rimangono solo gli animali a bighellonare per i vicoli sudici e pieni di spazzatura, di cui spesso le vacche si nutrono. Anche questa è India.

13/08: Johdpur

Mattinata dedicata alla visita del forte di Johdpur; ci facciamo portare da un tuk tuk (sempre in 4) fino al forte perché la strada principale è impraticabile a piedi, per l’acqua che ancora non è drenata. Fortunatamente abbiamo deciso di prendere una guida, perché ci ha arricchito molto, spiegandoci non solo cose storiche riguardanti il forte, ma anche culturali di questo popolo così ricco di contraddizioni. Ci ha spiegato la questione delle caste, lui per esempio appartiene alla casta guerriera e tutti gli appartenenti a questa casta posseggono una spada con la quale, il giorno delle nozze, vengono fatti sette tocchi sull’immagine di Ganesh appesa alla porta della casa della sposa, un rituale che fa parte della cerimonia. Anche le altre caste fanno lo stesso rituale, ma per l’occasione affittano la spada perché, non appartenendo alla classe dei guerrieri, non ne posseggono una. Ci ha spiegato perché sulla strada da Jaisalmer a Johdpur abbiamo spesso incontrato persone a piedi che portavano una bandiera; si tratta degli appartenenti alla casta dei contadini, che per tutto il mese fanno pellegrinaggio ad un tempio sacro vicino a Jaisalmer. Ci ha anche detto che le vecchie tradizioni piano piano verranno abbandonate nelle grandi città, ma soprattutto in campagna vigono ancora completamente. Il matrimonio combinato, per esempio, è praticato nel 100% dei casi in campagna, mentre nelle grandi città un 20% si inizia a sposare per amore. Lui stesso ha conosciuto sua moglie il giorno delle nozze. Avere figlie femmine (per cui il giorno delle nozze si dovrà pagare una dote di circa 20.000€, dichiarata illegale, ma tuttora in uso) è ancora considerato un problema da molti. È stato davvero molto istruttivo, inoltre parlava italiano ed una volta è stato in Italia, ma solo in sogno. Dopo averci accompagnati nella visita al forte, ci ha proposto di andare a visitare le zone rurali nei dintorni di Johdpur con un suo amico e ci è sembrata una buona idea. Così, dopo aver mangiato un pasto veloce al bar all’uscita del forte, ci siamo recati in piazza della torre dell’orologio e ci siamo incontrati con questo altrettanto simpatico personaggio,che ci ha scarrozzati nelle campagne nei dintorni con la sua jeep. Abbiamo fatto visita ad una casa rurale, dove coltivano miglio e lenticchie e la coppia di signori ci ha offerto l’oppio da bere disciolto nell’acqua. Questa cosa sarebbe illegale, ma nelle campagne è di uso comune. La signora ci ha mostrato come macina il miglio per ottenere la farina che serve per fare il chapati. Successivamente siamo andati a vedere un’oasi dove solitamente vengono ad abbeverarsi gli animali, ma avendo piovuto tantissimo nei giorni scorsi, di animali non ce ne sono molti, perché si possono abbeverare un po ovunque. Infine ci ha portati in un altro villaggio dove lavorano la terracotta e fanno i tessuti stampati a mano. Questa gita al di fuori del caos e del traffico dei vicoli di Johdpur è stata molto rilassante. Senza tornare in hotel, rimaniamo fuori direttamente anche per cena e torniamo all’Indique, godendo non solo di un ottimo Thali, ma anche della bellissima vista sul forte.

14/08: Johdpur-Jaipur

Sveglia prima dell’alba insieme al richiamo del muezzin per prendere il tuk tuk che ci porterà in stazione, dove prenderemo il treno per Jaipur. Prenotare questo treno è stata un’impresa titanica: devi fare l’account sul sito ufficiale, dove viene chiesto un numero di telefono indiano (che bisogna inventarsi), per poi richiedere via email di ricevere il codice OTP inviato per telefono (e che ovviamente non hai mai ricevuto), poi bisogna fare l’account su cleartrip o makemytrip, (io alla fine mi sono trovata meglio con quest’ultimo). Insomma è un bel pò indaginoso e ci vuole tempo per ricevere i codici per cui va fatto con largo anticipo. Comunque, biglietti alla mano, ci rechiamo in stazione dove vediamo tantissimi indiani accampati per terra a dormire fuori dalla stazione. È la prima volta che vengo davvero colpita: vedere questi corpi avvolti da sacchi di iuta come fossero patate, sulla terra sporca, tra i cani randagi e l’odore di urina, ti dà la sensazione che le loro vite valgano meno di altre e cerco immediatamente di allontanare questo brutto pensiero. Probabilmente sono i tanti pellegrini che devono prendere i treni la mattina e che non possono permettersi di pagare un alloggio migliore. Abbiamo prenotato la classe 3ac e devo dire che siamo stati bene, abbiamo dormito nelle nostre cuccette, con lenzuola e cuscini forniti. Particolarità dei bagni: la turca scarica direttamente sulle rotaie!

Giunti a Jaipur prendiamo un tuk tuk per l’hotel e subito ci rendiamo conto che anche qui il traffico è terribile. Restiamo basiti di fronte al vigile urbano che mentre cerca di dirigere il traffico, prende a calci un guidatore di tuk tuk che ostruiva il passaggio! Giungiamo al Leisure Inn Grand Chanakya, il nostro hotel, dove pranziamo in attesa che vengano pronte le stanze. Dopo una doccia, siamo pronti per affrontare la città rosa e seguiamo l’itinerario a piedi suggerito dalla Lonely. A parte i soliti bazar, che qui sembrano più forniti e moderni, troviamo molto interessante il mercato dei sari; ce ne sono di molto belli ed è affascinante vedere le donne locali indaffarate nell’esaminare i tessuti e fare shopping. Oggi è domenica, sembra che tutti gli indiani di Jaipur siano qui a fare shopping e spesso camminiamo nei vicoli stretti strizzati tra la gente. Va anche qui in scena il delirante traffico delle strade, con tuk tuk, risciò, vacche e mezzi a motore strombazzanti. La sporcizia è la stessa e forse anche peggio, vediamo molti più uomini qui urinare lungo le strade o negli angoli, che altrove. Arriviamo al City Palace ed entriamo a visitarlo: è molto bello e ben curato e anche le gallerie espositive sono interessanti. Avvertiamo una certa spossatezza dovuta anche al caldo soffocante ed optiamo di tornare in hotel a riposarci un pò, rimandando il resto della visita alla città rosa a domani. Per cena ci rechiamo al ristorante Niros, molto conosciuto e ben frequentato (da indiani, soprattutto). Per strada ci sono gruppi di ragazzi in festa, alcuni cantano e ballano, altri gridano qualcosa festanti dai camioncini; domani è il 15 agosto, la festa dell’indipendenza.

15/08: Jaipur

Dopo una sveglia tranquilla ed un’abbondante colazione, fermiamo un tuk tuk elettrico (qui ci sono diversi tuk tuk elettrici, che è uno dei mille controsensi di questo paese), e ci facciamo condurre all’Amber Fort. Il traffico è intenso, l’aria in alcuni momenti irrespirabile, ci sono diversi ingorghi e ci mettiamo quasi un’ora ad arrivare; troppo tardi per la salita a dorso degli elefanti. Saliamo al forte a piedi, la salita è faticosa più per il caldo che per la salita in sé. Ci affidiamo ad una guida per accompagnarci nella visita, ma non siamo troppo fortunati perché questo ragazzo è alle prime armi, forse siamo tra i suoi primi clienti: è insicuro ed un po’ agitato, se gli facciamo delle domande perde il filo e non ci lascia il tempo per fare foto in tranquillità. Tuttavia il forte ci piace molto ed anche la vista è spettacolare, inoltre la guida è sempre utile per imparare cose nuove e comprendere meglio la vita dei maharaja. Torniamo dal forte in tuk tuk, con tappa intermedia al palazzo sull’acqua per qualche foto (particolarità: qui sono gli indiani a fare le foto a noi! Alcuni di nascosto, altri ci chiedono proprio di fare una foto con loro!), e come tappa finale al palazzo del vento. Inizialmente non avevamo intenzione di entrare nel palazzo perché la lunga visita all’Amber Fort ed il caldo ci avevano sfiancati, ma dopo esserci riposati in una bella piazzetta al fresco, lontano dai rumori della strada, ai piedi di un piccolo tempio Hindù, abbiamo ritrovato l’energia per entrare. Meno male! Il palazzo è davvero stupendo! Una vera chicca, con tutte le sue piccole finestrelle ed i reticoli di grate attraverso cui le donne potevano osservare ciò che succedeva all’esterno, senza essere viste. Torniamo in albergo per un po’ di riposo e per cena optiamo di nuovo per il Niros, ma questa volta boicottiamo la cucina indiana (cominciamo ad esserne saturi), e ci rifugiamo nel cinese.

16/08: Agra

Oggi il programma prevede una gita in giornata ad Agra. Eravamo indecisi se farla in treno o in macchina, alla fine abbiamo optato per l’auto per avere orari più elastici, ma non so se sia stata una buona idea perché in totale ci abbiamo messo quasi nove ore: 4 ad andare e poco di più a tornare. Il treno ci avrebbe messo più o meno lo stesso tempo, ma avremmo potuto sgranchirci le gambe al bisogno. Certo in macchina puoi vedere la strada, che è sempre folcloristica: pullman strabordanti, con gente caricata sul tetto, motorini sempre in 3 o 4 persone, su cui le donne siedono all’amazzone, con il Sari che, nonostante il vento, non si sposta di un cm. Il tassista, che ci è stato chiamato dall’hotel, faceva parte di un’agenzia ed una volta giunti ad Agra ci ha fatto incontrare una guida che era compresa nel servizio (costo totale taxi da e per Jaipur + guida per tutto il giorno: 6000 rupie) e che ci ha accompagnati nella visita al Taj Mahal e al forte rosso. Il Taj Mahal è letteralmente meraviglioso, giustamente è annoverato tra le sette meraviglie del mondo. Purtroppo due torri sono in ristrutturazione, rovinandoci parzialmente la visione. Si tratta del mausoleo fatto costruire dall’imperatore in onore della seconda moglie, che morì di parto, dopo aver dato alla luce il suo quattordicesimo figlio. In punto di morte fece promettere al marito tre cose: che non si sarebbe più sposato, che avrebbe avuto cura dei figli e che avrebbe fatto costruire in suo onore il mausoleo più bello che non si fosse mai visto. Ed ecco qui il Taj Mahal, perfettamente simmetrico in ogni sua parte, ad eccezione della tomba dell’imperatore, che è stata aggiunta dopo, e giace vicino a quella dell’amata moglie. Le decorazioni non sono dipinti, ma sono tutte pietre incastonate nel marmo bianco, alcune delle quali se vi si appoggia la luce di una pila si accendono come fossero retroilluminate. Questa cosa non si può fare; la nostra guida è stata colta in flagrante ed ha dovuto pagare una multa di 10 rupie. Al termine della visita al Taj Mahal, la guida insiste per portarci nei negozi di tessuti ed artigianato locale ed è inutile la nostra opposizione, ci porta quindi in un negozio di tappeti persiani dove ci mostrano il processo lavorativo e qualche tappeto finito, ma non siamo interessati ed usciamo subito. Fortunatamente non insiste nel portarci in altri posti ed arriviamo al Forte Rosso. Il forte non è male: è possente e piacevole nella sua semplicità, ma dopo il Taj Mahal è poca cosa (ed anche rispetto ad altri forti ben più sfarzosi ed imponenti). La particolarità è che l’imperatore stesso venne detronizzato dal figlio ed imprigionato al forte rosso, da dove poté osservare il compimento del mausoleo. Lo scorcio sul Taj Mahal è una delle cose più belle. Congediamo la guida con una tip e ripartiamo per Jaipur dove giungiamo alle 20:30. Nel tornare all’hotel passiamo per i quartieri nuovi di Jaipur e la città qui è irriconoscibile: strade ampie e pulite, senza immondizia, senza mendicanti o gente che urina o defeca per strada, il traffico è normale ed i palazzi e le case residenziali sono belli. Non sembra nemmeno di essere in India!

17/08: Udaipur

Anche oggi sveglia prestissimo per giungere in aeroporto, dove avremo il volo per Udaipur. Atterrati, prendiamo il taxi per il molo da cui parte la barca che ci porterà nel nostro hotel di lusso: The Leela Palace. Questa giornata di super relax è un regalo che ci siamo fatti prima della tappa finale che sarà Varanasi. Al molo troviamo ad attenderci il personale dell’hotel e partiamo con una barca privata per una mini crociera sul lago, attraverso cui giungiamo al nostro meraviglioso albergo. Veniamo accolti con petali di rose che cadono dall’alto, suonatori, cocktail e biscotti di benvenuto, addirittura un tizio con l’ombrello per ripararci dal sole (che al momento non c’è). La stanza è letteralmente da luna di miele con un balconcino che da sul lago, per non parlare del bagno, del letto.. Insomma un albergo da mille e una notte; è il posto giusto per una piccola pausa e per concederci una coccola. Tuttavia a malincuore lasciamo per qualche ora questo paradiso, per recarci a visitare i principali punti di interesse di Udaipur: in primis il City Palace, che è più sfarzoso e fiabesco degli altri visitati nel Rajastan. Dopo la visita, facciamo un giro per il bazar per qualche acquisto, ma veniamo presto assaliti dalla voglia di tornare all’albergo: c’è il sole e la piscina che ci attendono. Per quel poco che abbiamo visto di Udaipur, posso dire che è la più bella città di quelle viste finora. Le città precedenti infatti vantano dei monumenti molto belli, (il forte di Jhodpur e l’Amber Fort per esempio, il Taj Mahal o il palazzo dei venti), ma le città in sé, le vie, le piazze o gli edifici principali, sono mal tenuti e così luridi da far apparire i bei monumenti storici dei miraggi nel deserto, ultime vestigia di una grandezza perduta ed irriconoscibile nell’India moderna. Qui c’è meno caos, meno clacson, meno traffico e soprattutto meno sporcizia; si può godere il bello dell’India senza il suo brutto, binomio che fino ad ora è stato indissolubile. Infine qui c’è il lago, che ovviamente rende tutto più bello e romantico. Tornati nel nostro albergo da favola, ci rilassiamo in piscina, coccolati dalle carinerie messe a disposizione dello staff, come tè freddo, acqua fresca, frutta e salviette rinfrescanti. Il tramonto sul lago lo vediamo direttamente dalla nostra bellissima stanza. Cena con vista sul lago e sul City Palace illuminato, che si riflette sull’acqua al chiaror di luna.

18/08: Udaipur-Delhi

Ci godiamo le ultime ore nel nostro lussuosissimo hotel, con una colazione abbondante dai sapori occidentali (pan chocolate, croissant, egg Benedict e quant’altro), ed un pó di relax prima del check out. Oggi é una giornata di spostamento, in cui dobbiamo volare su Delhi, da cui ripartiamo domani mattina per Varanasi (purtroppo il diretto Udaipur-Varanasi non c’è). Veniamo riaccompagnati al molo con la barca privata e riprendiamo il taxi per l’aeroporto, il tragitto è di circa 45 minuti. Atterrati a Delhi, prendiamo un taxi piuttosto malconcio e giungiamo all’Atrio boutique hotel, a pochi km dall’aeroporto, che ha anche un ristorante interno ed una piscina che sfortunatamente è in manutenzione.

19/08: Varanasi

Mattinata di imprevisti: il nostro volo per Varanasi è stato posticipato di un paio d’ore ed ha accumulato ulteriore ritardo, facendoci perdere tutta la mattina e parte del primo pomeriggio a vagare per l’aeroporto. Finalmente partiamo ed atterriamo a Varanasi, dove ci attende il taxi del Shree Ganesha Palace, l’albergo che abbiamo prenotato. Il povero tassista ci ha aspettato per ore in aeroporto per via dei ritardi del volo. Impieghiamo un’ora per giungere a destinazione e, dopo aver preso possesso delle stanze, usciamo per assistere alla cerimonia serale delle 7:00, seguendo le indicazioni dateci dal titolare della guesthouse. Avremmo voluto organizzare la crociera sul Gange, ma il livello del fiume è troppo alto ed il governo ha vietato la navigazione. Usciamo dall’albergo e ci buttiamo in strada in direzione del Ghat in cui avverrà la cerimonia delle 7:00pm. Varanasi ci piace subito; qui c’è più gente a piedi e meno motorini, di conseguenza camminare per strada è meno nevrotico e pericoloso, i clacson meno assillanti e le facce delle persone sono più belle e sorridenti. È forse più simile all’India che ci eravamo immaginati prima di partire. Ci rechiamo al Ghat prestabilito, ma veniamo fermati dall’acqua del fiume, che addirittura arriva in strada, interrompendo il passaggio alla scalinata, che è completamente sommersa. Nella folla di gente si avvicina un tizio che ci propone di andare con lui, perché dice di avere una casa con la vista sul fiume, perfetta per vedere la cerimonia. Mercanteggiamo sul prezzo (che ci costerà 200 rupie a persona) e gli diciamo che prima di decidere vogliamo vedere la vista. Il tizio ci fa strada tra i vicoli e passiamo attraverso un tempio (venendo anche redarguiti dai fedeli perché abbiamo le scarpe, ma noi non ci eravamo nemmeno accorti di essere in un tempio) da cui, salendo una scala a pioli instabilmente appoggiata ad un muro e tenuta dal tizio e dai suoi compari, ci inerpichiamo sopra il tetto della casa di fianco al tempio, il cui accesso via terra è reso impraticabile dall’acqua del fiume. Una volta qui sopra, vengo subito pervasa da un senso di euforia, sia per la bella vista sul fiume ed i colori del tramonto, sia perché effettivamente siamo esattamente sopra al punto in cui hanno allestito dei banchetti celebrativi su delle zattere di legno. La vista ci piace e paghiamo il dovuto, ma presto veniamo assaliti dal dubbio di aver preso una sòla, perché cento metri più in là c’è una zona con tanto di gradinata e sedie per il pubblico. Probabilmente la cerimonia verrà celebrata in quel punto, che evidentemente è un altro Ghat, e da dove siamo noi non vedremo nulla. In realtà dopo una mezz’ora, insieme al rituale che inizia sullo spalto nell’altro Ghat, comincia a muoversi qualcosa anche sotto alla nostra postazione ed arrivano i cerimonieri che iniziano una lunga funzione fatta di gesti, musica e riti propiziatori sul Gange. Il nostro punto di osservazione si rivela essere perfetto ed assistiamo a tutto il rituale, che dura almeno un’oretta, scattando foto meravigliose. Anzi ci riteniamo privilegiati, perché assistere a tutto questo da qui, direttamente sull’acqua, e non da uno spalto preconfezionato, come stanno facendo quelli a cento metri di distanza, ha un sapore più genuino. Alla fine della cerimonia non resta che tornare indietro, cosa non facilissima al buio, senza scarpe, tra i muri impervi del tempio da cui dobbiamo calarci stando attenti a non cadere di sotto, ma fortunatamente il tizio che ci aveva venduto la vista all’inizio ed i suoi amici sono pronti ad assisterci con la scaletta. Torniamo felici da questa piccola avventura e decidiamo di cenare in albergo, dove inaspettatamente si mangia molto bene. Poco dopo aver mangiato due forchettate di riso, Matteo manifesta un po’ di malessere e si assenta per tornare in camera. Dopo circa cinque minuti il titolare della guesthouse corre a chiamarci perché Matteo è svenuto. Corriamo a vedere cosa è successo e lo troviamo supino sulle scale non completamente cosciente! Lo assistiamo tempestivamente facendolo sdraiare ed alzandogli le gambe, rinfrescandolo e dandogli dello zucchero. Poco dopo si è già ripreso e rimesso in piedi, ma ha una piccola ferita alla fronte, perché dev’essere caduto di faccia. Forse il fatto che non avesse pranzato, rifiutandosi di mangiare anche in aereo, o che avesse bevuto poca acqua durante la giornata, forse il caldo; non sappiamo esattamente cosa sia stato, ma, superato lo spavento iniziale, abbiamo rivisto il video del suo svenimento ripreso dalle telecamere di servizio dell’albergo e ne abbiamo riso con lui. Anche questo fortunatamente rimarrà solo un aneddoto da raccontare.

20/08: Varanasi

Questa mattina gli uomini sono ko: Matteo è ancora un po’ debole e Alberto ‘deve aver esagerato con il cibo piccante’. Restiamo solo io e Marzia che decidiamo di uscire a fare quattro passi. Abbiamo due obiettivi per la mattinata: andare al golden temple e provare il lassi al ‘blue lassi’, che pare essere il migliore di Varanasi. Decidiamo anche di prendere un risciò, più per sfizio che altro, ma non può portarci in prossimità dell’entrata del tempio perché la strada è chiusa al traffico. Fa comunque un tentativo sotto lo sguardo minaccioso del vigile, che gli si fa contro col bastone in mano urlandogli qualcosa, per cui desiste e ci porta all’altro ingresso della zona dei vicoli, dicendoci di proseguire a piedi. Comincia così il nostro percorso tra i vicoli della città vecchia: qui c’è più pace perché i motorini (ed i rispettivi clacson) non possono entrare (quasi mai, perlomeno). Arriviamo di fronte all’entrata del tempio, dove i poliziotti controllano che non vengano portati all’interno telefoni e macchine fotografiche, che possono essere lasciati nelle ‘cassette di sicurezza’ esterne per 50 rupie. È inutile fare le furbe (come ho tentato di fare io): c’è anche una poliziotta donna che ti perquisisce minuziosamente e se ti trova il telefono, ti rispedisce indietro. Dopo aver lasciato tutto al deposito, ci avviamo verso il tempio per il controllo passaporti, ma il poliziotto addetto ci dice che non possiamo entrare perché non siamo di religione hindu, indicandoci un cartello che dice lo stesso. Dannazione! Al controllo precedente avrebbero potuto dircelo! Torniamo indietro con le pive nel sacco e, mentre ci riprendiamo le cose al deposito, un ragazzo italiano sta per cadere vittima della stessa situazione, per cui lo avvisiamo che comunque non lo avrebbero fatto entrare, perché non è induista. Il tizio del deposito argomenta che dobbiamo vestirci da indiane per sembrare induiste e poter entrare, gli rispondiamo che avrebbe potuto avvisarci prima. Nel mezzo di questa discussione, il ragazzo italiano, che se ne era andato, torna per dirci che gli hanno detto che dopo le 12:30 possono entrare anche i non hindu. Il tizio del deposito conferma, ma a noi sa tanto di presa per i fondelli perché: ‘cosa aspettava a dircelo? Mah!’. Decidiamo di abbandonare il progetto di entrare al golden temple per recarci al blue lassi, ma anche questa risulta essere un’impresa titanica! Raccapezzarsi all’interno dei vicoli non è facile e nessuno dei personaggi interpellati (per lo più poliziotti) parla inglese, dandoci delle indicazioni spannometriche con le mani. Alla fine riusciamo a giungere a questo rinomato blue lassi, che però non ci conquista, perché ci aspettavamo una sorta di oasi nel deserto, mentre questo minuscolo locale dove viene preparato il lassi direttamente sulla strada (a pochi cm dal sedere di una vacca), ci ispira poca fiducia e rinunciamo a provarlo; del resto siamo le uniche a star bene di salute, perché rischiare?! Nel frattempo si sono fatte le 12:10 e ritorniamo all’ingresso del Golden Temple per vedere se è vero che dalle 12:30 possono entrare anche i turisti ed un poliziotto ce lo conferma. Per ammazzare l’attesa, andiamo ad un altro tempio in zona e notiamo che ad un certo punto iniziano tutti a cantare pregando, probabilmente è l’ora delle cerimonie. Ci godiamo un po di fresco fuori da questo tempietto, tra gli indiani che si accalcano per pregare ed il laconico richiamo di un uomo che non riusciamo a vedere, ma di cui distinguiamo una parola, ripetuta continuamente, quasi come una triste preghiera: ‘scilla’. È un po’ inquietante. Infine ritorniamo al Golden Temple per un secondo tentativo. Rimettiamo tutto nelle cassette di sicurezza, passiamo il minuzioso controllo della poliziotta e ci rechiamo al controllo passaporti dove veniamo registrate su un apposito registro ingressi. Questa volta nessuno fa menzione del fatto che i non Hindù non possano entrare. Dobbiamo togliere scarpe e calzini e metterci in coda camminando sul pavimento bagnato di acqua e fango. Un tizio ci intima di porgere le mani e ci versa sopra dell’acqua per lavarle, quindi ci da una grossa foglia su cui piazza una collana di fiori e altre cose che dovremo donare a Shiva e nell’altra mano ci mette un bicchiere pieno di un liquido bianco, probabilmente latte; infine ci spinge via dicendo che al ritorno gli avremmo dovuto dare 50 rupie ciascuna. La lunga e lentissima coda termina in un tempietto interno ove c’è una sorta di pozzo ove c’è una pietra e dell’acqua (probabilmente del Gange), in cui va rovesciato il contenuto del bicchiere e della foglia. Un tizio bagna le nostre corone di fiori nell’acqua sacra e ce le rimette al collo, infine con un rapido gesto ci benedice la fronte con una tintura biancastra, mentre un poliziotto ci spinge fuori, per far posto ai fedeli in coda. Vaghiamo un altro po’ ed un altro tizio (forse un brahamino), ci benedice con dell’acqua e vorrebbe dei soldi che però non abbiamo. Poi finiamo in un altro tempietto con un altare dedicato a Shiva e vorremmo donare le collane di fiori, ma non essendo sicure di fare la cosa giusta, ce le teniamo al collo, perché qui ci sembrano tutti un po’ suscettibili. In generale posso dire che questo tempio di dorato ha ‘solo’ la cupola, comunque enorme e bella e che è frequentatissimo dai devoti, per cui rappresenta un interessante spaccato della loro vita spirituale. Uscite dal tempio, ci riavviamo sulla strada del ritorno per vedere come stanno i nostri uomini e per riposarci un po’, perché sono le ore più calde della giornata.

Dopo un pranzo rigenerante, verso il tardo pomeriggio, usciamo di nuovo accompagnate da Matteo, che sta meglio (mentre Alberto per oggi è fuori gioco); dobbiamo recarci al Ghat delle cerimonie funebri. Arrivati in prossimità del Ghat, si ripresenta lo stesso problema di ieri: tutto è sommerso dal Gange, che inghiotte la strada, il Ghat stesso, case e templi. Come ieri non passiamo inosservati ed un ragazzo ci dice di seguirlo, per salire su un terrazzo e vedere le cerimonie dall’alto. Lo seguiamo e dobbiamo fare un breve attraversamento con una barca, così da arrivare all’edificio di fronte, da cui parte una scala che arriva al tetto. Dal tetto abbiamo la vista sul Ghat, o meglio, sul punto in cui vengono cremati i cadaveri in sostituzione del Ghat sommerso, che secondo Matteo è il terrazzo di un edificio, secondo me una piattaforma poggiante su non so cosa. Si vedono le persone camminare nell’acqua fino alla vita, portando in spalla la barella con il cadavere avvolto in una stoffa arancione, per giungere al punto di cremazione. Ognuno aspetta il proprio turno e la combustione completa durerà circa tre ore, dopo di che le ceneri e le poche ossa rimaste verranno lasciate andare nel fiume. I cadaveri vengono prima lavati nel Gange per purificarsi, poi adagiati su un fascio di legna e ricoperti da altra legna, infine viene appiccato il fuoco. Il ragazzo che ci ha accompagnati fino a qui ci racconta minuziosamente il procedimento e ci spiega che le donne non sono ammesse, mentre in passato solo una donna era ammessa, la moglie del defunto, che si buttava nel fuoco e moriva col marito. Grazie al cielo questa pratica è attualmente illegale. È severamente vietato fare foto ai morti e al Ghat, eppure qualche scatto sarebbe stato bello farlo, soprattutto alle cupole dei templi sommersi. Il nostro ‘amico’ ci spiega che il Gange è talmente gonfio da aver sommerso la città di 20 metri. Rimaniamo qui un bel po’ a osservare e cercare di capire queste persone, con le loro profonde credenze ed i loro rituali religiosi, ma forse non c’è nulla da capire: siamo solo spettatori, non giudici. Sulla via del ritorno un religioso mi sorride e mi benedice, applicandomi un Bindi rosso sulla fronte. Pensavo volesse dei soldi (si diventa prevenuti dopo un po’), invece elargiva solo un po’ di benevolenza. In questo viaggio posso dire che l’unica vera esperienza con la religione e la spiritualità indiane è stata la tappa di Varanasi. Questo misticismo rende a mio avviso Benares la città più affascinante di tutte quelle incontrate prima. Qui non ci sono monumenti da vedere, non ci sono forti o palazzi reali, c’è solo un fiume, considerato sacro, a cui queste persone si rivolgono, per purificarsi o per cremare i loro parenti, nella speranza di interrompere il ciclo delle reincarnazioni.

21/08: Varanasi

Passiamo la mattinata tutti e quattro insieme (Alberto si è rimesso in sesto), tra i vicoli di Varanasi. Siamo tornati a quel tempietto che ci era piaciuto il giorno prima e, poco dopo esserci seduti sulla panchina esterna, abbiamo sentito nuovamente, continuamente, lo stesso richiamo di disperazione ‘Scilla’. Ovviamente ci abbiamo ricamato sopra, secondo Alberto è qualcuno che si è reincarnato in quel povero vecchio un pò pazzo e che cerca di chiamarmi! Da quel momento Matteo mi chiama con la stessa cantilena e tonalità. Nella passeggiata seguente credo di essere stata truffata da una mendicante che teneva un neonato i braccio ed un biberon vuoto: l’ho guardata e lei ha cominciato a dire che non voleva soldi, ma solo del latte per il suo bambino. Mi si è stretto il cuore, lei continuava a pregarmi di comprarle il latte e poco più avanti c’era un negozietto di cibo e bevande. Ho coinvolto Alberto, che ha il cuore tenero, ed anche lui mi ha detto subito ‘compriamoglielo’. Il latte in polvere è costato ben 290 rupie, ben più di ciò che le avremmo lasciato di elemosina se le avessimo dato dei soldi. Ovviamente nel momento stesso in cui facevamo l’acquisto, si sono presentate un’altra donna con neonato ed una bambina che voleva dei biscotti, ma abbiamo tagliato la corda prima di venire placcati. Quello che mi fa specie è che poi mi sono resa conto che ad ogni angolo si presentava la stessa scena: donna con neonato in braccio e biberon vuoto. Non ci avevo fatto caso nei giorni precedenti, perché c’era molta più gente, mentre oggi essendo domenica si gira meglio. Partendo dal presupposto che ritengo improbabile che tutte abbiano problemi di lattazione, ne deduco che molto probabilmente lo rivendano, magari allo stesso negoziante, che è d’accordo. È giunta l’ora di ripartire per Delhi, da cui domani sera ripartiremo per tornare in Italia. Arriviamo all’hotel Palace Heights di New Delhi verso le 20:00 e ceniamo allo Zaffron, il ristorante dell’hotel: sono piuttosto sollevata dal fatto che questa sia l’ultima cena indiana, inizio a non tollerare più questi sapori.

22/08: Delhi

Ultimo giorno a Delhi ed ultimo giorno in India. Avremmo voluto visitare il museo di Ghandi, ma oggi è lunedì per cui è chiuso, così come la maggior parte dei monumenti. Decidiamo di recarci al tempio Sikh Gurudwara Bangla Sahib, rimanendone molto colpiti. Innanzitutto il tempio è molto bello, con il suo marmo bianco e le cupole d’oro, ma la vera bellezza di questo posto sta tutta nell’accoglienza e nella filosofia Sikh. All’ingresso un Sikh ci accoglie e ci dice di seguirlo in una stanza ove lasciamo scarpe e calzini e ci copriamo i capelli con dei foulard che forniscono loro, poi ci fa accomodare e ci racconta la storia del Sikhismo ed i loro principi guida che sostanzialmente sono tre: lavorare, meditare rivolgendosi a Dio ed aiutare gli altri. Per loro Dio è uno solo ed è lo stesso per tutti, qualcuno lo chiama Budda, qualcuno Krishna, qualcun altro Allah e così via. Per loro è così radicato il principio del donare e condividere che ogni giorno preparano cibo gratis per tutti e alla loro mensa può mangiare chiunque, di qualsiasi credo religioso e di qualsiasi estrazione sociale. I Sikh non possono tagliarsi i capelli (che sono coperti dal tipico turbante), né farsi barba e baffi, cosa che gli conferisce un aspetto caratteristico. La nostra guida ci ha fatto visitare il laghetto interno, dove le persone possono fare il bagno ed anche la sala mensa (che straripava di persone, sedute sui tappeti in attesa del pasto), con le cucine. Ci ha offerto lo stesso cibo ed abbiamo mangiato la nostra porzione di chapati, riso, verdure al curry e lenticchie. Non avevamo fame, ma non potevamo rifiutare tanta generosità. Questa visita ci è piaciuta molto, trovo che la filosofia Sikh sia molto saggia e solidale. Il sistema si basa sulle donazioni spontanee dei devoti o di chiunque abbia voglia di donare;prima di andarcene anche noi abbiamo fatto una piccola donazione. Per concludere il tempo che abbiamo a disposizione prima di andare in aeroporto, raggiungiamo in tuk tuk un bel negozio governativo su più piani di artigianato locale, consigliatoci da un indiano che stranamente non voleva spillarci soldi, ma solo rendersi utile. Questa India di New Delhi sembra ora così diversa da quella che abbiamo visto a Varanasi o nel Rajastan, sembra un’oasi di pace. In alcune strade c’è addirittura il divieto di suonare il clacson! Il viaggio è finito ed è il momento di tirare le somme.

Fare un resoconto di questo viaggio è più difficile del solito, perché l’India è un paese fatto di chiari e scuri, di mille contraddizioni. È il paese dove le vacche sono sacre, ma spesso si ritrovano a mangiare l’immondizia, di cui le strade sono invase. Solo qui puoi vederle camminare lungo la carreggiata con il loro incedere lento ed ondeggiante, indifferenti ai clacson assordanti di motorini, macchine e tuk tuk, che devono evitarle. È il paese dove i matrimoni sono combinati e la società è suddivisa in caste (nonostante la legge le vieti), dove le donne hanno il Bindi, vestono il coloratissimo Sari ed amano riempirsi di gioielli. È il paese dove i bambini hanno gli occhi grandi e neri, allungati dal kajal, e gli uomini si tingono i capelli con l’henné. È un paese in cui c’è una miseria diffusa, estrema ed ai limiti della dignità, ma è anche il paese per cui ‘ci sono più feste che giorni dell’anno’ (detto indiano). È un paese sporco, caotico, in cui per strada vige la legge del più forte e se ti metti in coda ad uno sportello, ti passano davanti scalzandoti, ma è anche la patria della meditazione e dello joga. È un paese con una storia di maestosità, in cui i palazzi storici sono un tripudio alla bellezza, ma fuori c’è incuria e degrado. È il paese del Gange, di una spiritualità intensa, dei pellegrinaggi e della reincarnazione. L’India è bellezza e bruttezza allo stesso tempo, non potrai godere della prima, senza biasimare la seconda. L’India è soprattutto un’esperienza.



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