L’essenza del myanmar

Viaggio in Myanmar Durata : 12 giorni , voli Thay compresi Periodo: Febbraio 2010Primo giorno: Partiti da Malpensa arriviamo a Bangkok e lì dopo un paio d’ore abbiamo il volo per Yangon. Anche se per noi è piena notte, a Yangon sono le 9 del mattino quando usciamo dall’aeroporto e incontriamo la nostra guida. Si chiama Giacomo ed è un...
Scritto da: PUCCI1974
l'essenza del myanmar
Partenza il: 13/02/2010
Ritorno il: 25/02/2010
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
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Viaggio in Myanmar Durata : 12 giorni , voli Thay compresi Periodo: Febbraio 2010

Primo giorno: Partiti da Malpensa arriviamo a Bangkok e lì dopo un paio d’ore abbiamo il volo per Yangon. Anche se per noi è piena notte, a Yangon sono le 9 del mattino quando usciamo dall’aeroporto e incontriamo la nostra guida. Si chiama Giacomo ed è un birmano fervente cristiano cattolico in un paese buddista. Dopo qualche ora di sonno, mangiamo i nostri primi noodles ai gamberetti nel ristorante dell’albergo e ci accorgiamo che nel giardino c’è un gran fermento. All’inizio pensiamo ci sia un matrimonio, ma solo dopo capiamo che stanno girando uno spot pubblicitario. Ci sono un attore e un’ attrice con degli ombrelli colorati che ballano e sorridono e tutto uno staff di fotografi e assistenti che li seguono. Divertente osservarli, anche se non abbiamo ben compreso che cosa volessero pubblicizzare.. Nel pomeriggio andiamo alla scoperta del tesoro di Yangon ovvero la Shwedagon pagoda. Siamo in uno stato di dormi veglia e tutto il brillare del complesso di templi e pagode ci sembra a dir poco onirico. La pagoda è antica e ci spiega Giacomo che solo da pochi giorni avevano tolte le impalcature per il restauro effettuato. In cima alla pagoda ci sono pietre preziose enormi e in gran quantità , ma a dir il vero ovunque io guardi mi sembra tutto preziosissimo e sfavillante. Ad un certo punto passa un gruppo di persone con le scope. Ci spiega che c’è una lista d’attesa molto lunga di volontari che ambiscono a poter passare la scopa in questi spazi sacri. E’ come San Pietro a Roma per i cattolici. Siamo incuriositi dai tanti fedeli che pregano e rovesciano acqua su piccole statue del buddha. Sono riti di purificazione ben augurali. Le persone portano fiori e accendono candele. Ogni dono ha un suo significato a seconda di quello che si desidera ottenere. Ricordo che le candele sono per il percorso di successo personale. Diverso dal significato cattolico. Camminiamo a piedi scalzi. In tutti i templi buddisti è rigorosamente proibito anche tenere su le calze. Devo dire però che ci si abitua in fretta. Girando tra i templi si arriva in un punto dove c’è una piccola fonte risorgiva e da li il re poteva pregare guardando la punta della pagoda senza rischiare di piegare il capo e far cadere la corona. Una bella fortuna! E’ la sera di san Valentino e a Yangon si festeggia alla grande. La cena è al ristorante Karaweik , attorno al quale c’è una sorta di fiera e mezza città converge lì a festeggiare. Un caos tremendo! Il nostro taxi riuscirà a parcheggiare a nostra cena finita! Il posto è eclatante, super turistico con buffet e spettacolo di danze. Pochi però i turisti in rapporto alla grandezza della sala. Secondo giorno: Siamo di nuovo in aeroporto. La prima sorpresa è il check in dove i bagagli si pesano su una pesa gigante e poi ti danno un bollino adesivo da attaccare sulla giacca. In base al colore vieni assegnato ad un volo. In effetti i voli vengono chiamati e la persona oltre ad urlarli li indica con un simbolo corrispondente all’adesivo così i viaggiatori capiscono quando parte il proprio volo. Il nostro tarda un’ora per foschia mattutina, ma poco male. Bagan è un altro mondo. Arido e polveroso. Qui non piove mai. Neanche nella stagione dei monsoni. Si coltiva poco: solo arachidi, ceci e sesamo. Ovunque ti volti vedi stupa e pagode. Oggi ne sono rimaste circa duemila, ma erano più del doppio. Cominciamo ad entrare a vederne qualcuna. Quella che più ho amato è la pagoda Ananda. Antica, al suo interno ci sono molte nicchie con dei buddha e delle enormi porte in tek in ogni entrata che si aprono su 4 statue grandi del buddha , due delle quali originali. Le altre sono state ricostruite. Una di queste, era in origine in legno e a causa di una candela è andata distrutta. Ora infatti ci sono solo lampadine… Purtroppo non ricordo il nome del posto in cui ci siamo fermati a pranzo, era meraviglioso. Tutto in legno dava sul fiume Irawaddy ed era uno spettacolo incantevole. Anche questo ristorante era però praticamente deserto. Giacomo ci spiega che dopo il 2002, la giunta militare aveva puntato molto sul turismo e sono sorti hotel e ristoranti. In effetti il turismo aveva risposto molto bene e c’era gran fermento. Per degli anni aveva lavorato moltissimo. Poi ci sono stati un terremoto, un ciclone, la rivolta dei monaci ed infine ci si è messa anche la crisi economica mondiale. Turisticamente , soprattutto dopo la rivolta dei monaci, le strutture turistiche ne hanno risentito moltissimo. Lui ha dovuto per due anni tornare al suo villaggio perché non c’era lavoro come guida ed ora solo dallo scorso novembre comincia ad esserci qualche segnale di ripresa. La storia di Giacomo è molto interessante. Nato in una famiglia di contadini in un villaggio sperduto a sud del lago Inle, aveva un destino già fissato. E invece arrivano dei missionari italiani e fanno una scuola. Da lì comincia a studiare e impara il birmano e l’inglese. Poi conoscerà un italiano che ha aperto un tour operator, Kipling tour, e che è disposto a prenderlo con sé se impara la lingua italiana. Giacomo studia, impara l’italiano, ma deve trasferirsi a Yangon per lavorare e non ha i soldi. Chiede aiuto alla famiglia che è costretta ad uccidere due buoi per aiutarlo. Ma Giacomo riuscirà a risarcirli alla grande. Al tramonto saliamo su una pagoda e ammiriamo il paesaggio di stupa a perdita d’occhio, stradine, carrozze trainate da cavalli e gente sorridente con i visi impreziositi dalla corteccia gialla di tanaka, che per loro è sia un cosmetico sia un protettivo dal sole. La sera usciamo dall’hotel, Treasure Bagan www.myanmartreasureresorts.com , e muniti di pila raggiungiamo un piccolo e introvabile ristorantino, che si chiama Food House. Tre tavoli occupati in tutto. C’è un palco ed un gruppo di persone ci intrattiene con musica, canti e spettacolo di marionette. Ottima la zuppetta di crema di lenticchie con germogli di soia. Terzo giorno Oggi abbiamo un lungo trasferimento in auto da Bagan a Mandalay. Il tempo però scorre veloce, perché abbiamo molto da vedere. La mattina ci fermiamo in una sorta di negozio che un villaggio ha costituito per accogliere i turisti. Ci fanno vedere come fanno a produrre l’olio di arachide. Ovvero tramite tornio tirato da un bue che io avrò anche l’onore di condurre. E poi come fanno a fare anche i distillati e a raccogliere il sesamo. Interessante. Li incontriamo un gruppo di italiani di Reggio Emilia che poi scopriremo fanno capo ad un altro tour operator italiano in Myanmar., look Myanmar ( www.lookmyanmartravel.com ) L’attrazione della mattinata è il Monte Popa. Proprio in cima c’è il tempio. A noi, sarà per la posizione, ma sembra un castello. Ne saliamo a piedi una parte, tutta sarebbe troppo lunga. La salita è costellata da negozi di souvenir e da scimmiette. Ogni tempio ha i suoi spiriti e le sue leggende e così anche questo posto. Giacomo ci racconta una bella storia su un amore ostacolato e quindi sui loro spiriti che lì aleggiano. Un pizzico di magia.. Nel pomeriggio invece viviamo una esperienza meravigliosa. Ci fermiamo in un villaggio di contadini. Non vedono mai turisti e infatti facciamo l’effetto di alieni. Il villaggio letteralmente si ferma e tutte le persone sbucano dalle loro case o dai campi e vengono a vederci. Ci osservano e ridono e sorridono. Noi li incantiamo con le macchine fotografiche e la cinepresa. Si vedono dentro e non ci credono. Gli lasciamo quello che abbiamo: penne, saponette, profumi e biscotti ai bimbi. Ma il regalo più bello lo hanno fatto noi a loro con quella curiosità affettuosa con cui ci hanno accolto. Con i tanti bambini che mi circondano e mi seguono, organizzo un super girotondo e anche se io canto in italiano la filastrocca loro mi seguono e quando dico Giù per terra, vanno tutti giù per terra e poi ci rialziamo e ci battiamo le mani. Ma che bello, lo ricorderò per sempre!! Torniamo in auto. La strada è parecchio accidentata e ad un certo punto c’è anche una deviazione per lavori. Ci troviamo quindi a costeggiare un canale, quando vediamo un uomo su un motorino finire dentro al canale. Ci fermiamo subito e tutti corriamo ad aiutarlo. Andrea e Giacomo si preparano per tuffarsi, ma accorrono anche altre persone. Il malcapitato viene tirato fuori zuppo, ma intero. Dopo un paio d’ore siamo a Mandalay e torna il traffico. Il Mandalay Hill è un mega albergo internazionale. Il parco che lo circonda è infinito. C’è un garden dove le sere tengono uno spettacolo e un angolo spa, che in realtà sembra un angolo di paradiso. Io mi infilo lì come Alice che segue il bianconiglio zampettando su piastrelle a forma di fiore che paiono galleggiare su una via d’acqua e portano in una sala in tek che non mi riesce proprio di descrivere. Www.mandalayhillresorthotel.com

Quarto giorno Iniziamo la giornata con la visita alla pagoda Mahamuni che è assieme alla Shwedangon e alla roccia d’ora uno dei posti più sacri del paese. Qui c’è una statua del buddha totalmente ricoperta da foglie d’oro. Si crede sia una statua “viva” e addirittura ogni mattina vengono dei monaci a prendersene cura e “lavargli i denti” come se, appunto, fosse vivente.

Siamo al monastero Mahagandayon. Si tratta di una sorta di seminario. Qui vivono e studiano molti monaci. Ci sono anche dei novizi, riconoscibili da una tunica di color chiaro. Le tuniche sono cucite con più pezzi di stoffa , ciò a dimostrazione della povertà. I lavori fervono. Un ricco birmano ha fatto una grande donazione e stanno costruendo una nuova casa per i monaci. Le donne lavorano nel cantiere e portano file di mattoni sulla testa. Non so davvero come facciano ad avere tanta forza ed equilibrio. Giriamo a vedere la tranquilla vita monastica. Ci sono le cucine con pentoloni enormi dove cuociono il riso, le docce all’aperto nelle quali i monaci, come qualunque altri giovani, giocano e si schizzano e il refettorio. Ad un certo punto suona la campana e tutti i monaci si predispongono in due lunghissime file. Ciascuno ha in mano la sua ciotola. Alla seconda campana entrano nel cortile del refettorio e ciascuno riceve il riso e la frutta. Possono mangiare solo fino a mezzogiorno, poi digiuneranno fino all’alba successiva. Ogni birmano anche solo per un giorno della propria vita sperimenta la vita del monaco. Anche i monaci devono fare una cerimonia che è all’incirca l’equivalente del prendere i voti della religione cattolica. Una grande differenza è che il monaco può poi decidere di lasciare la vita monacale e percorrere un percorso diverso, ma gli è anche possibile tornare a fare il monaco “riprendendo i voti”. Come a dire con flessibilità. I monaci devono ricevere dagli altri il cibo per cui non è raro trovarli in giro per le strade a chiedere offerte. Da lì ci spostiamo al ponte U-Bein. Costruito appunto per volere del signor U-Bein che era il sindaco del posto. E’ il più lungo ponte in tek del mondo. L’abbiamo percorso interamente ( un km e 200 metri ) ed è stata una bella esperienza. Si assapora tranquillità ad ogni passo. Si osserva la vita e si scopre un bel po’ di mondo. Su una riva abbiamo notato che un famiglia aveva fatto di un albero la propria casa, un gruppo di ragazzi e uomini invece pescava stando interamente immersi nell’acqua con un bastone, chi chiedeva la carità, chi voleva prevederti il futuro, chi semplicemente camminava . Una famiglia aveva organizzato la propria casa come un bar e noi ci siamo fermati a bere un cocco. Il padre ha preso una mannaia e con un bel colpo secco lo ha aperto, la figlia ci ha messo una cannuccia e ce lo ha portato. Intanto noi ci eravamo accomodati sulle sdraio di bambù. Che pace. Lì i pensieri volano via assieme alle centinaia di anatre sul filo dell’acqua. Interessante anche la visita al monastero Shwenandaw che è totalmente in legno di tek. Per fortuna il sovrano pensò di spostarlo dal luogo originario altrimenti oggi non ci sarebbe più, perché la zona dove era, nella seconda guerra mondiale è stata distrutta. I monasteri in legno sono i miei preferiti. Brillano di meno, ma danno vibrazioni diverse. Più di raccoglimento e di preziosità spirituale. Infine Giacomo ci ha tenuto per ultimo una sorpresa: il libro più grande del mondo! E il trucco c’è , eccome ! in realtà sono migliaia di templi in ciascuno dei quali si trova una iscrizione della “bibbia buddista”. Il colpo d’occhio è incredibile. Peccato però non ci sia un punto di osservazione dall’alto. In realtà un punto panoramico a Mandalay, c’è. Si sale con un ascensore che si chiama suonando una campanella. La persona che c’è dentro e lo comanda, la sente e fa muovere l’ascensore. Il panorama è bello, si vede il fiume Irawaddy, ma il libro più grande del mondo è distante per poterlo apprezzare al meglio. Ci godiamo il tramonto e poi andiamo a cena. Il ristorante si chiama Green Elephant. Mangiamo all’aria aperta , tra le piante e lanterne colorate. L’ambiente è piacevole, il cibo come sempre ottimo, in particolare il pollo con le arachidi. Facciamo una bella conversazione con Giacomo che ci aiuta a capire un po’ di più come si vive in Myanmar. Quinto giorno Questa volta il volo è puntuale. Arriviamo nel piccolo aeroporto di Heho e familiarizziamo con l’originale modo di riconsegna dei bagagli. Non ci sono sale per l’attesa di bagagli, semplicemente si esce dall’aeroporto e si attende che i facchini con biglietti alla mano leggano tutti i biglietti di tutte le valigie fino a che non trovano quello che stanno cercando. Ci mettiamo comodi , sgranocchiamo patatine, mentre Giacomo si fa fare un massaggio alle spalle da uno dei tanti uomini che offrono questo servizio ai viaggiatori. La nostra meta è Pindaya. La strada è meravigliosamente panoramica, ricca di colori e di vita agreste. Qui vive l’etnia shan, che è abbastanza ritrosa e non ama farsi fotografare.

A Pindaya si trova una grotta dove ci sono circa 9000 statue del buddha di diversa dimensione. Le hanno portate o regalate donatori di tutto il mondo, anche dall’italia. All’entrata del tempio c’è la rappresentazione di un principe che uccide un ragno gigante. Questo perché qui c’è la storia del salvataggio fatto da questo principe verso tre sorelle che erano rimaste intrappolate nella grotta dal ragno, che aveva tessuto la sua tela sull’entrata della grotta stessa, intrappolandole. Le leggende sono sempre suggestive, anche se ancora una volta ciò che lascia veramente abbagliati è l’idilliaco paesaggio che si gode nella salita verso la grotta

Dopo il pranzo al ristorante Memento, dove siamo gli unici clienti, raggiungiamo il piccolo paese in cui si trova il nostro albergo, l’Hu pin. La nostra camera è su palafitta e guarda verso il lago, per cui tramonto da favola garantito! Conosciamo il piacevole direttore che ci racconta le difficoltà che hanno dovuto affrontare negli ultimi due anni, ma adesso guarda con fiducia al futuro e noi glielo auguriamo di cuore, il posto è molto bello e il personale, come sempre, graziosissimo. Sesto giorno Si parte in barca alla scoperta del lago. Bellissima la visita di In Dein dove si raggiunge a piedi la pagoda di Alaungsitthou che ha circa 1000 stupa del diciassettesimo secolo avvolti dalla vegetazione. E’ un sito che necessita di un restauro o rischia seriamente di crollare. Al momento è molto suggestivo. Giacomo ci spiega che una volta l’anno la barca d’oro che noi vediamo “parcheggiata” ospita uno dei 4 buddha sacri che sono conservati lì nella pagoda Phaung-Daw U per una cerimonia. Narra la leggenda che il quinto buddha non debba mai essere spostato, altrimenti la barca affonderebbe come era successo al re che invece li aveva trasportati tutti e 5. A guardarli non si capisce che sono dei buddha, perché sono molto antichi e a forza di attaccarci foglie d’oro, hanno perso la forma e si sono arrotondati. Di fronte alla pagoda c’è il nostro ristorante, Htun Htun, dietro il quale si fa una bella camminata nel villaggio di Thar Lay: la scena che più mi colpisce è quella della sartoria. Delle ragazze cucivano con le macchine da cucire a pedali che aveva mia nonna e ascoltano la radio a tutto volume. Attraversiamo un ponticello e vediamo che nell’acqua sottostante ci sono uomini e bufali al lavoro. Riprendiamo la barca e andiamo alla scoperta degli orti che galleggiano sull’acqua e arriviamo al monastero di Nga Phe Chaung detto dei gatti che saltano. E’ tutto un legno. Una volta erano i monaci, ora sono delle donne che organizzano le spettacolino: dei gatti saltano dentro dei cerchi.

Torniamo in albergo e usciamo a fare un giro nel villaggio. Tutti ci salutano ci sorridono, i bimbi ci seguono, noi ci fermiamo a guardare un gruppo di ragazzi che giocano a pallavolo. Non è la prima volta che vediamo nei villaggi le reti da pallavolo, si vede che è uno sport praticato Settimo giorno Si parte per il mare. Salutiamo Giacomo con la speranza di rivederlo al nostro ritorno a Yangon. L’atterraggio è a filo d’acqua ed è la prima volta che atterrando guardo fuori dal finestrino e vedo la spiaggia. Ci vengono a prendere e su un pulmino colorato partiamo per il villaggio, Amata Resort Ad Ngapali la strada, se possibile, è anche peggio delle precedenti. Tutti i resort sono ben calati nella natura e quasi ci si perdono dentro alle palme. L’Amata ha un’entrata spettacolare con tanto di cascatelle dalle pareti e piscina che si perde tra cielo e mare. Non andiamo al mare da tanti anni e avevo quasi dimenticato cosa vuol dire: sole, spiaggia, lettino, ombrellone e..niente da fare! Il primo giorno lo dedichiamo ad orientarci. Scopriamo presto che a circa 15 minuti di camminata c’è il bellissimo ristorante del resort Pleasant view. E’ su una scogliera che dà sul mare. Da lì osserviamo le tante barche dei pescatori. La sera , appena fuori dal resort, ci sono 4 ristorantini. Il migliore di questi è quello che si chiama Best one. Sono tutte casettine in legno e bambù, adornate con lucine colorate. Si può dire che la maggior parte dei turisti sia lì piuttosto che nei ristoranti dei resort. Si mangia in due pesce con 8 dollari… www.amataresort.com www.pleasantviewisletnresort.com Settimo giorno Raggiungiamo a piedi il paese di Lone tha, dive vivono i pescatori. Le scene di vita, sono più che mai, spaccati di altri tempi. Assistiamo al mercato del pesce, vediamo come lo dispongono su grossi teli blu per scegliere i pesci da vendere e quelli da far essiccare, guardiamo i bambini che disegnano sulla spiaggia ed è tutto talmente armonico che sembra musica su uno spartito che si scrive da solo. Con questo però non si deve negare la povertà estrema di queste persone e la durezza di questa vita, semplice, ma anche difficilissima. Notiamo che tra le tante baracche ogni tanto spunta qualche casa in muratura di innegabile buona fattura. In effetti osservando un po’ chi incontriamo, capiamo che ci sono delle persone europee, solitamente di una certa età, che hanno eletto questo posto come nuova dimora, qualcuno per sempre , qualcuno per qualche mese all’anno. Il posto è bellissimo, i costi irrisori, come non li si può capire? Segnaliamo un posto sulla spiaggia dove abbiamo mangiato e dove si può anche pernottare. Molto carino! www.royalbeachngapali.com

Ottavo giorno Usciamo in bicicletta e pedaliamo, pedaliamo, pedaliamo…fino al villaggio di Thantwe. Sulla strada del ritorno vediamo dei barettini molto carini sulla spiaggia e decidiamo di fermarci in uno di questi. E’ subito dopo il Thande beach hotel. Qui vive , in una baracca di legno, la famigliola che gestisce il piccolo bar/ristorante. Sono di una gentilezza oserei dire commovente. Torneremo qui, a piedi, anche nel pomeriggio perché ci avevano detto che per il tramonto fanno l’happy hour. In effetti quando siamo tornati sono stati felicissimi di vederci e ci hanno preparato un tavolino per noi che più fronte tramonto non poteva essere. Inutile dire che al di là dell’happy hour gli abbiamo lasciato molto di più, l’impressione è che fossimo stati gli unici clienti di tutta la giornata. Abbiamo fatto delle belle foto assieme e personalmente li ricorderò sempre con tanto affetto. Nono giorno Un giorno da mare dovevamo farlo. In attesa del volo nel pomeriggio siamo rimasti in spiaggia Tornati a Yangon ritroviamo Giacomo, con grande gioia

Decimo giorno Ultimo giro per la città. Andiamo al porto sul Yangon river e scopriamo che una persona per guadagnare un dollaro deve trasportare dieci sacchi da 30 kg l’uno… La vita a Yangon è cara. Un affitto medio mensile è sui 60 dollari, e uno stipendio medio da impiegato sugli 80/100 dollari. I palazzi in gran parte sono fatiscenti e danno l’idea di crollare da un momento all’altro. Il centro della città ha qualche bel palazzo di epoca coloniale, ma le tracce degli inglesi mi sembrano comunque poche. Un ultimo giro per il più grande mercato della città e poi l’ultimo pranzo in un bel posto www.monsoonmyanmar.com Una riflessione personale: è vero che andare in Myanmar vuol dire anche dare soldi alla giunta militare, ma vuol dire anche sostenere l’economia di tante famiglie che contano molto sui turisti per vivere. E al di là di questo credo che sia un viaggio che fa bene all’anima



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