Kuta di Bali: induismo e birra

A notte inoltrata arrivo a Denpasar, l’aeroporto di Bali, Indonesia. Zona questa povera come quasi tutto il sud-est asiatico, ma non per questo pericolosa. L’Asia da questo punto di vista è molto sicura. Mi capita infatti, all’uscita dall’aeroporto, di dover camminare per almeno 500 metri da solo, al buio, all’una di notte e con gli...
Scritto da: Pietro
kuta di bali: induismo e birra
Partenza il: 05/07/2007
Ritorno il: 10/07/2007
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
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A notte inoltrata arrivo a Denpasar, l’aeroporto di Bali, Indonesia. Zona questa povera come quasi tutto il sud-est asiatico, ma non per questo pericolosa. L’Asia da questo punto di vista è molto sicura.

Mi capita infatti, all’uscita dall’aeroporto, di dover camminare per almeno 500 metri da solo, al buio, all’una di notte e con gli zaini in spalla. Mai l’avrei fatto in sud America, qui si può.

Questo perché qui bisogna contrattare tutto, compresi gli spostamenti in taxi. I tassisti infatti, all’uscita dell’aeroporto, facevano a gara a chi la sparava più grossa. Per un tratto di pochi chilometri mi hanno chiesto, nell’ordine, 50.000 rupie (4 euro), 100.000, 60.000 e 40.000. Nulla, li evito tutti ed esco dall’aeroporto a piedi per prendere il taxi dalla prima strada fuori. Qui ne trovo due, uno mi chiede 35.000 e poi 30.000, l’altro 20.000. Scelgo (ovviamente) il secondo che però, appena vede che l’altro taxi se ne va e rimane quindi solo nella piazza, rialza i prezzi. 25.000, 30.000, 35.000… Pazzesco! Sembrava di essere in borsa. All’arrivo gli do 25.000 rupie (2 euro) che, considerando anche l’ora tarda, mi sembrava il prezzo più giusto.

  Eh si, un primo innegabile piacere a Bali lo si ha all’arrivo, quando ci si rende conto dei prezzi. 1 euro equivale a 12.000 rupie, per cui quando faccio il primo prelievo al bancomat (125 euro), mi trovo fra le mani… 1.500.000 rupie! Bello avere oltre un milione in mano! Dopo la “povertà” italiana, qui mi ritrovo ad essere ricco sfondato! Si, perché in hotel (camera singola grande con bagno interno e ventilatore, pulito, colazione inclusa) pago 2,9 euro a notte, in ristorante 1 euro per un ottimo piatto indonesiano (è stata una felice scoperta la cucina indonesiana!) o 1,5 euro per un piatto di pasta ben condita o 2,5 euro per una grande pizza. Noleggio uno scooter a marce (100 cc.) per 2 euro al giorno, faccio il pieno (2 litri, 0,8 euro) e mi bastano per tre giorni, etc. Insomma, devo dire che, fra i paesi in cui son stato, l’Indonesia raggiunge l’economicità del Myanmar, finora in testa alla classifica dei paesi “cheap”.

Ma le sorprese di Bali non vengono solo dal lato economico, pur piacevole per chi viaggia con un budget ridotto. Anche nella confusione di Kuta, la prima località dove mi fermo a Bali, stracolma di turisti, inizio ad intravedere qualcosa che mi lascia perplesso. Per capirla meglio devo ricorrere ad un internet cafè (nel centro di Kuta ce n’è uno ogni 50 mt). Non ho infatti (ancora) la guida Lonely Planet, uno dei cui maggior pregi è non tanto l’indicazione degli hotel e ristoranti in cui andare (che si possono trovare anche in altro modo) quanto la sua parte iniziale, in cui per ogni paese viene sintetizzata la sua storia, cultura ed usanze particolari. Ora quindi, prima di continuare, devo riportare un minimo di cifre che aiutano meglio a capire Bali.

  Bali è una piccola isoletta (1/3 circa della Sardegna) situata proprio al centro dell’Indonesia, il quarto paese più popolato del mondo (225 milioni). I suoi abitanti sono in larga parte musulmani (88%), facendo così dell’Indonesia il paese islamico più grande al mondo. Ma, in mezzo a tutti questi musulmani, c’è una zona dove prospera invece la più antica religione del mondo, l’induismo: Bali. Qui però non è rimasto puro come in India ma si è mescolato con varie credenze e riti locali, formando così un’identità religiosa unica al mondo e resistendo, negli anni, sia alla vicinissima ed enorme espansione islamica e sia alla più recente invasione… dei turisti-barbari! Se infatti tutta Bali costituisce la destinazione turistica indonesiana più frequentata, Kuta e dintorni sono meta in particolar modo di quello che viene denominato “turismo di massa”. La “Rimini” indonesiana insomma (povera città italiana, perché viene sempre usata come cattivo esempio di turismo?) con centinaia di hotel e ristoranti, bar davanti alla strada con musica ad alto volume, discoteche, inglesi/australiani sbronzi da ogni parte (un giorno in una discoteca ne ho trovato uno che dormiva con la testa dentro un lavandino e l’acqua aperta che gli scorreva sulla nuca, sembrava morto), traffico caotico, prostitute, insomma un caos totale. Per strada si incontrano più turisti che indonesiani. Ecco, questa è Kuta. Pur con una bella e grande spiaggia e con i più bassi prezzi di Bali.

  Ma, nonostante tutto questo casino, camminando per strada spesso si assisteva ad un rituale che i balinesi ripetono varie volte al giorno. Più spesso effettuato dalle donne, che per l’occasione indossano pregiati e colorati abiti, viene adagiato per terra, davanti alla porta di casa o l’entrata di un negozio, un piccolo contenitore fatto con foglie di banano contenente offerte varie (riso, fiori, caramelle o biscotti, qualche monetina, uno o più stick di incenso accesi) destinate agli dei. A quanto ho capito io, chiedendo in giro, le offerte appoggiate a terra sono destinate agli dei del male, in modo da tenerseli buoni (a Bali insomma sono amici con tutti, anche con i cattivi). Ma non viene semplicemente appoggiata la scatolina a terra, c’è tutto un rituale intorno in cui sembra che chi lo stia facendo si isoli completamente dal mondo circostante, anche se si trova in una via centralissima di Kuta. In silenzio, l’induista balinese compone pian piano per terra l’offerta al suo “mostro” (gli dei del male) cospargendo poi con gocce d’acqua le zone intorno e pensando (o pregando) chissà che cosa. Il tutto con grande cura e attenzione, anche se magari sa benissimo che pochi minuti dopo passerà un tedesco con i piedi grandi e lo schiaccerà mentre cammina distratto o mentre si scola la sua bottiglia di Bintang (la birra indonesiana) per strada. Non importa, lo fa con cura lo stesso.

Questo contrasto fra antichissime culture e usanze e moderni (e degradati) stili di vita è molto forte ma estremamente affascinante. Anche vedere poco dopo magari la stessa persona che parlava al cellulare non toglieva nulla al fascino di quel rituale. Ormai il cellulare son sicuro ce l’hanno anche nelle remote tribù africane, per cui non sorprende più. Sorprendeva invece molto di più vedere la forza dell’Induismo che se ne infischiava dell’invadenza dei barbari del terzo millennio, i turisti di massa, qui nella loro variante alcolica. Per fare un paragone italiano, sarebbe come se a Porto Cervo, nel cuore della Costa Smeralda, che fino a 50 anni fa era un paesino non tanto di pescatori quanto di pastori, ogni mattina i pochi sardi rimasti si mettessero a mungere le pecore in mezzo a quei preziosi vialetti di granito e marmo. Forse qualche turista apprezzerebbe la tradizione, ma sicuramente uscirebbe fuori il Briatore di turno con il suo solito esibizionismo che rilascerebbe velenose interviste televisive sui sardi incivili e ingrati.

Nel resto di Bali naturalmente queste tradizioni sono più forti ed evidenti, ma alla fine credo di non aver fatto male a passare prima a Kuta; facendo il contrario magari non avrei notato, nella bolgia locale, il persistere di questo antico rituale.

   5 giorni a Kuta con visite agli spettacolari templi Indù di Pura Tanah Lot e Pura Luhur Uluwatu, entrambi costruiti su scogliere vicino al mare e, il secondo, affollato di tante simpatiche scimmie.

  Kuta infine si ricorda anche per gli attentati terroristici del 2002 e 2005, dove morirono oltre 200 persone (nel primo) e 26 (nell’ultimo), in gran parte australiani. Ora sorge un grande monumento con una lapide nel luogo del primo attentato, sempre affollato di visitatori.

  Buona Bali a tutti! Pietro www.Travelbaila.It



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