Kenya e zanzibar

Ho sentito parlare spesso di “mal d’Africa”, fino a poco tempo fa non sapevo cosa fosse, anzi, a dire il vero immaginavo fosse un’espressione ricorrente che si usasse maggiormente per inerzia, oggi ne ho consapevolezza piena. L’Africa (o almeno quella minima parte di Africa che ho visitato) è un paese strano, contraddittorio, che ami e...
Scritto da: bridgetitti
kenya e zanzibar
Partenza il: 14/09/2009
Ritorno il: 21/09/2009
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
Ho sentito parlare spesso di “mal d’Africa”, fino a poco tempo fa non sapevo cosa fosse, anzi, a dire il vero immaginavo fosse un’espressione ricorrente che si usasse maggiormente per inerzia, oggi ne ho consapevolezza piena. L’Africa (o almeno quella minima parte di Africa che ho visitato) è un paese strano, contraddittorio, che ami e odi fortemente. E’ una terra baciata da Dio e abbandonata dagli uomini. L’arrivo all’aeroporto di Mombasa lascia sconcertati. Ti ritrovi in un luogo congelato negli anni ’70 continuamente imbiancato. In pratica un vecchio vestito rattoppato, molto lontano da ciò che noi siamo abituati a considerare aeroporto. Il controllo doganale diventa un racconto ai limiti della realtà; gli “impiegati” aeroportuali fanno di tutto pur di accaparrarsi 1 o 2 dollari inventandosi controlli bagaglio inesistenti. Qui Babilonia non c’è più, tutti sanno parlare tutte le lingue, almeno ciò che serve sapere. Il tragitto dall’aeroporto a Tsavo (inizio safari) è stato quasi un viaggio indietro nel tempo. Alcuni abitanti vendevano carbone sotto l’ombra degli alberi, molte donne trasportavano grosse ceste sulla testa mentre alcuni tir, visti solo nei film degli anni ’50, venivano riempiti di ogni materiale.

La prima vera tappa in terra africana è stato il safari, un lungo viaggio in un territorio quasi desertico in cui gli animali trovano la loro naturale casa. L’orizzonte è un contrasto tra l’arancio carico della terra brulla e il celeste chiaro del cielo, al centro tanti animali che, curiosi, ricambiano i nostri sguardi umani. La naturalezza con cui incroci una giraffa è solo paragonabile a quella con la quale noi per strada incrociamo un cane al guinzaglio. Il viaggio che ci ha condotti dalla fine del safari a Malindi è stato, per tanti aspetti, impressionante. Abbiamo viaggiato su un furgoncino spediti a ca. 60-70 kmh in una strada che somigliava più a un sentiero, senza nessuna luce. In Kenya, per gli abitanti, il giorno finisce quando il sole va via. A destra e sinistra eravamo circondati da villaggi. Case fatte di fango prive di tutto ciò che ci ricorda casa nostra. Spesso fuori si vedevano dei falò con delle pentole poggiate sopra e, intorno al fuoco, radunata qualche famiglia che ansiosa aspettava ciò che dalla pentola sarebbe uscito, probabilmente lo stesso cibo di sempre. Chi aveva già cenato viaggiava in bici e si spostava di villaggio in villaggio per andare a fare visita a qualche amico. Sapori che si sono persi o che si sono trasformati. Tutto ciò avveniva sotto lo sguardo di un cielo stellato che mai ho visto in vita mia. Un blu tappezzato di scintillanti puntini argento, un incanto che lascia senza parole. Arrivati in hotel arriva la consapevolezza che nulla di ciò a cui sei abituato è ordinario lì. Anche un’azione assolutamente comune, quale quella di andare a dormire, ti pare innaturale in un letto a baldacchino che diviene un’oasi che tiene lontani gli insetti. Il mare non è certo quello del Salento, è chiaro ma non limpido. La spiaggia, invece, dipende dalle maree. Ogni sei ore esse cambiano, facendo alzare e abbassare il livello del mare. Può capitare al mattino di passeggiare su un tratto di spiaggia che dopo qualche ora è completamente immerso. Il tragitto tra un hotel e un altro è sempre come attraversare un varco. Fuori a ciascuna struttura alberghiera c’è tanta povertà e corruzione. Tutti cercano di accaparrarsi uno spicciolo o una penna da portare a casa ai loro bambini. Malindi è uno spartiacque tra questa povertà e la ricchezza di imprenditori (molti italiani) che costruiscono megaville. Fuori ad alcuni hotel ci sono ragazzi adolescenti con lo sguardo diverso, più cupo, segnato dalla vendita di loro stessi per il guadagno di 10euro che lì sono quasi lo stipendio di un mese. Tutto questo degrado e la povertà miserabile è qualcosa, però, con cui facilmente si impara a convivere ma non per indifferenza piuttosto per merito dei kenyoti. Ogni azione, ogni gesto, è accompagnato da un sorriso e da un “Hakuna Matata!” (Non c’è problema!) che rimbomba nelle nostre orecchie quasi come un monito per come affrontiamo le nostre “difficoltà”. Diverso da Malindi è il territorio di Diani, molto più ricco e “civile”. Le strade sono tutte asfaltate e gli hotel, nonostante siano più vecchi, sono gestiti da proprietari più informali. In questa zona si incontrano lemuri nel giardino di ciascuna struttura alberghiera. Diversa è l’impressione che, invece, ti dà Zanzibar. L’aeroporto sembra una zona allestita in maniera temporanea. Non ci sono i rulli portabagagli, le valigie vengono pesate su grosse bilance, il check in è fatto a mano e i tabelloni con le coincidenze scritti a pennarello su delle lavagnette. Nonostante ciò, l’isola appare da subito più ricca del Kenya ma anche più sporca. Quasi ogni strada è asfaltata e a ogni angolo ci sono macellai che tagliano carne scurita al sole. Traumatica è stata la visita a Stone Town, una città mercato. Il pesce e la carne vengono venduti in capannoni privi di acqua, gli animali sventrati davanti ai compratori. A parte Stone Town, Zanzibar è, soprattutto, una località consigliata maggiormente a coppie. Non c’è un gran che da fare al di fuori dei villaggi, soprattutto alla sera. Le escursioni, invece, sono sicuramente una tappa immancabile. In particolare il safari blu che comincia con una lunga passeggiata su una spiaggia emersa in seguito alla bassa marea, ci si accomoda su barche a vela interamente costruite in legno dove le vele sono grosse lenzuola cucite a mano. C’è il primo momento di relax su una lingua di sabbia dove ti può capitare di passeggiare e di trovare delle stelle marine meravigliose. Il pranzo, invece, avviene su un’altra lingua di sabbia e il tragitto tra un atollo e l’altro è scortato, per i più fortunati, da delfini. Il pranzo è un piacevole momento di convivialità, ci si siede tutti a tavola pur senza conoscersi e si condivide il cibo cucinato da assistenti delle guide. Interessante è stata anche la visita a un vecchio Baobab (albero tipico) colpito da un fulmine durante un temporale ma che ancora continua a crescere nonostante sia stato tranciato, proprio come tutti loro che vanno avanti pur affrontando mille disagi e difficoltà.

Il viaggio fatto in Kenya e Zanzibar oltre che un viaggio di lavoro è stato un viaggio formativo e sotto tanti aspetti illuminante, il mio primo viaggio in Africa, un luogo che se avessi dovuto scegliere per qualche vacanza avrei certamente scartato ma di cui oggi sento profonda nostalgia.



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