KENYA: dal Turkana a Lamu

KENYA 28 giugno / 23 luglio 2002 Sono intimorita davanti allo schermo e alla tastiera: soffro di “ingolfamento emotivo” che a quasi una settimana dal mio ritorno stenta a sciogliersi, la pancia trattiene e non invia al cervello niente di diverso da insulsi aggettivi superlativi. Quando chiudo gli occhi il caricatore di diapositive non...
Scritto da: Luisa Benatti
kenya: dal turkana a lamu
Partenza il: 28/06/2002
Ritorno il: 23/07/2002
Viaggiatori: in coppia
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KENYA 28 giugno / 23 luglio 2002 Sono intimorita davanti allo schermo e alla tastiera: soffro di “ingolfamento emotivo” che a quasi una settimana dal mio ritorno stenta a sciogliersi, la pancia trattiene e non invia al cervello niente di diverso da insulsi aggettivi superlativi. Quando chiudo gli occhi il caricatore di diapositive non proietta alcunchè, se tento una conversazione con amici e parenti la bobina si intoppa, se ceno con Giuliana (la mia compagna di viaggio) rischio il pianto da raduno di vecchi alpini…

Il viaggio ha avuto inizio molto tempo prima della partenza, con un patto di alleanza tra me e Giuliana (“Viaggiamo solo noi due…, magari noleggiamo un’ auto…, ci vediamo il nord…, ce ne stiamo in giro un mese…, potremmo terminare con una settimana al mare…”), con l’acquisto della sempre preziosa Guida della Lonely Planet, con qualche ricerca su Internet, con richieste di informazioni sui siti di alcune Agenzie locali che organizzano Safari (troviamo un’ampia gamma di prezzi: da 60 a 100$, e di trasporti: 4 x 4, pulmini, camion) e con l’ostinato rifiuto ad ascoltare sconsigli e avvertimenti di conoscenti viaggiatori…

L’idea del noleggio di un’auto viene scartata a causa dei prezzi spaventosamente alti e dei rischi di cui molti ci parlano: piste difficili, fenomeni di banditismo. Decidiamo allora di fare una prenotazione di un Safari di 2 giorni e mezzo al Masai Mara con La Best Camping che con 245 $ comprende il trasporto dall’Aeroporto alla città, un pernottamento in Hotel e il safari in campo tendato per 2 notti. Il resto della vacanza lo organizzeremo in loco alla luce dei prezzi, delle condizioni di viaggio e dell’affidabilità che le varie agenzie ci garantiranno.

Prima di dare il via! alla narrazione, credo possano essere utili alcune notizie tecniche (per es.: moneta, trasporti, alcuni prezzi indicativi): 1$ = 75 Ksh taxi urbano: 200 Ksh, taxi per aeroporto: da 700 a 1000 Ksh volo per Nairobi a/r 676,57 €, volo per Lamu a/r 282 $ costo Safari: da 60 a 80 $ al giorno Hotel a Nairobi: da 1200 a 1500 Ksh la doppia Hotel a Lamu: da 800 a 2100 Ksh la doppia Pasti: da 140 a 200 Ksh la colazione, da 300 a 1000 la cena, 150 Ksh le bibite sigarette 80 Ksh costo dell’intera vacanza:1.885 euro + 677 volo 28 luglio Lavoro fino a mezzogiorno e alle 13 mi ritrovo con zaino in spalla su di un treno per Malpensa. Il nostro volo con Swiss Air comincia con la cancellazione della prima tratta per Zurigo, ci dirottano con la Britsh su Londra e, dopo una corsa masai da un terminal all’altro dell’Aeroporto di Londra, su Nairobi.

Dividiamo le nostre vicissitudini con una famigliola genovese: lui (Rinaldo), lei (Jillo, keniana), la figlioletta (Francesca di 9 anni), vivono a Quinto e sono sposati da 10 anni. Ci raccontano che stanno andando in vacanza dai parenti di lei che abitano a Marsabit. Ne approfittiamo per chiedere qualche informazione sulla veridicità dei pericoli nella zona del nord e sui trasporti. Jillo conferma la presenza di malviventi, ma aggiunge che quest’anno la stagione delle piogge appena terminata, sta garantendo un ottimo raccolto e sta impegnando tutte le forze nelle campagne. Circa i mezzi di trasporto ci dicono che gli autobus arrivano fino ad Isiolo perché le strade sono veramente impervie, per proseguire è necessario chiedere un passaggio a trasportatori di farine o di animali, oppure utilizzare un fuoristrada. Sono simpatici e gentili, “Se passate da Marsabit, venite a trovarci… Ci facciamo una spaghettata !” (?!). Prendiamo nota.

29 giugno Arrivo a Nairobi. Il bagaglio di Giuliana non c’è, non c’è nessuno della Best Camping (il programma di volo è cambiato e ci è stato impossibile comunicarlo). Ci sono gli “adottatoridituristeappenaarrivate” e in pochi minuti ci troviamo in un ufficio della Come To Africa (casafaris@kenyaweb.Com) al primo piano dell’aeroporto, con il venditore che ci dice di fregarcene della prenotazione fatta all’altra compagnia, “…Se non avete pagato… Non siete obbligate…” e ci convince che i loro safari sono i migliori sulla piazza (Ma va?!). Prenotiamo per un safari di 5 giorni in Campo Tendato (vicino all’Hippo Safari Lodge) con pulmino. Prevede 3 notti al Masai Mara e 1 notte al Lake Nakuru. Costo 60 $ al giorno.

Ci facciamo un giro all’ Amicabre Travel Services Limited in Kenyatta Ave. (amicabretravel@wananchi.Com) giusto per prendere confidenza con le Agenzie, prezzi, condizioni, ecc… E scopriamo che il noleggio di un fuoristrada è possibile a prezzi molto più ragionevoli di quelli visti dall’Italia. Nairobi ci appare caotica, i mendicanti e i cacciatori di turisti ci sembrano mosche (… E noi il letame, sic!). Per sfuggirne una colonia ci rifugiamo in un negozio di articoli d’artigianato Alloggiamo all’ Embassy Hotel in Biashara St. Ceniamo al Diplomatic Restaurant, vicino all’Hotel Terminal, una cena leggera. Il cuoco-cameriere sprizza piacere da tutti i pori, ci serve come se fossimo al Ritz. Noi siamo molto stanche ma apprezziamo… Dopo un quarto d’ora (ore 20) siamo a letto ! inizia così la nostra avventura africana di donne di mondo !!! 30 giugno Ci rechiamo all’aeroporto in attesa del volo proveniente da Londra sperando nell’arrivo del bagaglio di Giuliana, ma la Britsh conferma la sua fama (2 viaggi = 2 mancate consegne è una percentuale senza appello…).

Partiamo per il Masai Mara, con un pulmino da safari (quelli col tetto apribile), con un autista di nome Lowly e due compagni di viaggio (lei Funda di Istanbul e suo marito, Tim, di Londra). Il tragitto prevede una sosta sulla strada che da Limuru va a Naivasha, ci sono una serie di punti panoramici dai quali è possibile ammirare il Nguruman Escarpment della Rift Valley. Facciamo una sosta pranzo all’Hotel Longonot sulla strada che da Mai Mahin va a Narok, sulla sinistra dopo un distributore, si mangia bene e il servizio è a buffet. Il viaggio dura circa 8 ore, lo spettacolo di panorami che appare ai nostri occhi è mozzafiato. Nonostante il Masai Mara sia il proseguimento del Serengheti visto lo scorso anno, mi sembra tutto straordinariamente diverso e meraviglioso. Assaporo la vista di vallate, di distese infinite di savana, la pancia si riempie di tuffi di emozione, la testa mi dice che per gustare le cose belle è necessario essere liberi da ogni scoria. E ora lo sono, c’è il silenzio giusto, la rilassatezza data da una compagna di viaggio che scopro ancora più simpatica, serena, piena di positività, più di quanto già non sospettassi. E ripenso a quante energie sprecate l’anno scorso con persone con le quali mi era difficile sintonizzarmi e, soprattutto con quello spaccamaroni nazi del capogruppo… Che fatica filtrarlo, ignorarlo, annullarlo, quanto poco spazio era rimasto al mio dentro… Ora, per contrasto, ne sono consapevole.

Arriviamo al Mara Ippo Camp verso le 18, dopo un paio di forature e una riparazione al radiatore. Ci sono tende permanenti, una cucina, toilette (la solita e comoda buca) e docce. 1 luglio Un’intera giornata nel Masai Mara. Inizia la serie delle fotografie a scopo didattico: i Masai, un Topi con le macchie nere in prossimità del taglio classico del perfetto macellaio (coscia, spalla, filetto, controfiletto…). E poi antilopi, zebre, struzzi, ghepardi, elefanti, uccelli sconosciuti a me (ma non a Giuliana che con pazienza infinita mi erudisce , per poi scoraggiarsi quando subito dimentico e confondo…). E poi leoni, leonesse, cuccioli. Ippopotami. Babbuini golosi che si impossessano di un litro di succo di frutta in scatola lasciato sul pulmino durante una sosta pic-nic. E poi gazzelle di grant, giraffe masai, impala (“…L’alte e mettila da palte…”: esempio di sciocchezze demenziali prodotte per un mese ininterrottamente…Ne cito solo alcune giusto per rendere l’idea: “Oh cara…, ogni tuo desiderio è… Un favore che ti faccio!”, e poi “…Gli avvoltoi avvoltoieggiano”, “Ma se lì c’è l’abito Masai, il nudo Masai dov’è?!”, “In questa minestra ci dev’essere il coriandolo – nella mia c’è una stella filante…” ,“Ho fatto solo un cucchiaino di pipì…”, “Quello è l’albero maestro… L’altro è l’albero bidello!” e via di questo passo).

La cena è preparata da una “cuoca” fantastica che ci stupisce per la cura che ripone nella preparazione dei piatti, per la varietà del menù e per il fatto che meraviglia vedere un gay in Africa.

2 luglio Sveglia all’alba. Viviamo l’emozione indescrivibile di assistere al pranzo di una gheparda. Siamo accanto a lei, a pochi metri, è intenta a sventrare un’antilope, infila il suo muso tra le zampe posteriori della sua vittima, ogni tanto ci guarda, dall’espressione soddisfatta che mostra, ti aspetteresti un cenno, un invito a dividere il banchetto con lei. Restiamo affascinate da un rito che prima d’ora avevamo osservato solo alla TV, ci diamo pizzicotti per provarci che non stiamo sognando, ci ripetiamo che è tutto vero, il documentario siamo noi! Assistiamo in religioso silenzio alla scomparsa dell’antilope nelle fauci della gheparda e poi all’assalto degli avvoltoi che spazzano via ogni resto. Il nostro film dura quasi 2 ore. Lo scenario è emozionante, comincia la serie di non-parole, di sospiri di pancia accompagnati da “Madoooonna, cosa abbiamo fatto di così straordinariamente bello da meritarci tutto questo?!…” “Che culo ragazzi ! Che meraviglia…” I nostri compagni di viaggio sono così discreti da scomparire e diventare un tutt’uno con il panorama, con i rumori/silenzi d’ambiente, i loro sospiri di emozione intrattenibile si mescolano ai nostri, la colonna sonora è un bisbiglio tra la preghiera, il pianto, la fiaba narrata a un bambino.

Al ritorno al campo, ci facciamo un giro alla Piscina dal Mara Hippo Safari Lodge, il bagno è una parola grossa che Funda e Giuliana decidono di pronunciare (la temperatura dell’acqua richiede un piumino d’oca).

Nel pomeriggio facciamo una passeggiata verso una collina panoramica in compagnia di due Masai. Il loro passo è quello della maratona di New York, il nostro, complice il caldo delle 3 del pomeriggio, è quello del ritorno dalla val trebbia… Tentano di accendere un fuoco con i legnetti, ma sulla collina c’è un vento fastidioso che glielo impedisce, sono tentata (al terzo tentativo) di prestargli l’accendino. La terra è rossa, il cielo è terso, il caldo è diminuito, le gambe e il fiato hanno raggiunto una forma invidiabile, se non fosse che al tramonto diventa buio rapidamente, camminerei tra questo verde, rosso e blu per ore.

Ritorniamo al campo per la cena. Non siamo più gli unici turisti: sono arrivate due coppie italiane, i loro bagagli non sono arrivati (è un vizio!) e il loro viaggio, che doveva essere in totale autonomia (campeggio libero, cucina da campo portata dall’Italia), sta subendo grossi mutamenti che compromette il limite di spesa che si erano dati. Uno di loro è un gran viaggiatore, racconta di mesi trascorsi nel Mali, di acrobazie fatte con il suo lavoro per ritagliarsi lunghi periodi per girare il mondo. E’ bello quando incontri persone che sono malate come te! 3 luglio All’alba ancora leonesse, giraffe masai, colori, odori, panorami da Paradiso Terrestre, mi immagino Adamo ed Eva che si rincorrono, giocano, si sentono i padroni del mondo. Ed è così che mi sento io, con o senza peccato originario, io mi sento in Paradiso.

Trasferimento verso Nakuru, pranzo a Mai Mahiu, ordino la Nyama Choma (spezzatino di capra) un po’ legnosa ma buona.

Passiamo dal Lago Naivasha. Alloggiamo al Hotel Genevieve di Nakuru.

4 luglio Safari al Lake Nakuru, vediamo rinoceronti e in particolare il raro rinoceronte bianco, fenicotteri rosa, pellicani, bufali, babbuini. Il Nakuru mi ricorda il Natron visto lo scorso anno in Tanzania: guano, terra arida salata, fenicotteri che spiccano il volo, silenzio, silenzio, silenzio…

Pranziamo al buffet dell’Hotel Longonot (quello dell’andata), abbiamo fretta di tornare a Nairobi per verificare se lo zaino di Giuliana è arrivato e per cercare di organizzare il nostro prossimo safari. Tim e Funda ci hanno lasciato per proseguire verso i laghi Baringo e Bogoria.

All’Agenzia Come To Africa ci attendono per saldare (ci eravamo riservate una quota -il 40%- da consegnare dopo il Safari, questa cosa ha sconvolto tutti !). Confessiamo che siamo pienamente soddisfatte del tour ed in particolare di Lowly, ci piacerebbe molto organizzare con loro il Safari al Turkana, ma hanno una partenza il 10 luglio e per noi significherebbe avere lunghi tempi morti, cerchiamo un tour che parta dopodomani.

Pernottiamo al Terminal Hotel (1300 Ksh) in Moktar Daddah Street. Il portiere ci fa parlare con un agente della Planet (David): è una compagnia specializzata in safari al nord. Gli spieghiamo che vogliamo un tour personalizzato (10gg. Di cui 2 notti al Samburu, 2 a Marsabit, 2 a Kalacha, 2 Loyangalani, 1 Maralal), solo per noi due, con fuoristrada, autista e cuoco. Dopo un’estenuante trattativa arriviamo a 1800$, lui deve parlarne con il suo capo e noi abbiamo bisogno di pensarci. Ci aggiorniamo alla mattina seguente.

5 luglio Non raggiungiamo un accordo con Planet (planet@africaonline.Co.Ke) , ma riusciamo ad avere lo stesso programma con la Primetime (primetime@africa online.Co.Ke) 1600 $. Ciò significa 80 $ al giorno, tutto compreso. Il problema del bagaglio non è ancora risolto, abbiamo scoperto che riusciamo a farcela con uno zaino solo (il mio): siamo più leggere e agili…

Ci rechiamo alla sede centrale della British Airwais e, dopo una serie di rimostranze, Giuliana ottiene un risarcimento di 100$ per i disagi fin qui sopportati e ci viene fornito un taxi per procedere ad un ennesimo controllo in aeroporto. Nel pomeriggio facciamo un po’ di spesa in preparazione del safari (litri e litri d’acqua…) e visitiamo il Kenya National Musem, purtroppo abbiamo poco tempo (chiude alle 18) e possiamo concederci solo una visita frettolosa, peccato: c’è molto materiale interessante (sezione antropologica, ornitologica, arte contemporanea, artigianato). Ci torneremo. Quando? Cena al Ristorante Cinese di fronte al Hotel Terminal: 1200 Ksh per un’anatra legnosa…Bocciato! 6 luglio Un taxi ci porta a Nanyuki dove incontreremo cuoco e autista e proseguiremo con fuoristrada verso Samburu. Ci fermiamo a Tika, Giuliana cerca un paio di ciabattine di gomma. E’ una cittadina tranquilla, molto africana, comincia qui la serie di posti nei quali immaginiamo di volerci trasferire. Giuliana passa in rassegna le attività di cooperazione nelle quali potremmo impegnarci, a me viene in mente solo che potrei farle da autista, accompagnarla tutte le mattine a Nairobi, organizzare una scuolina sul posto, e riaccompagnarla a casa la sera. Graditi sono cuoco e governante.

Pranziamo a Nanyuki, il cielo è coperto e questo ci impedisce di vedere verso est la vetta del Monte Kenya, alla nostra sinistra ci sono i monti Aberdare, davanti a noi il tanto desiderato nord. Banditi state attenti! stiamo arrivando!. Verso le 13 arriva il nostro Land Cruiser, Joseph è il cuoco, Isaac è l’autista e Sam è un “allievo-autista” che verrà con noi (?! Giuliana prende nota: “Ma questo chi gli ha dato il permesso di venire? …”: il suo ideale di viaggio è con un numero massimo di compagni uguale a uno!).

Arriviamo a Samburu nel tardo pomeriggio, safari fino al tramonto. Cena al Campeggio: c’è un’area in cui vengono montate le tende, le nostre ci sembrano un po’ sfigatine e ne abbiamo la conferma quando vediamo l’accampamento accanto al nostro (della Planet) molto più confortevole e carino. Basterebbe molto poco per migliorare un servizio che i nostri tre rendono rozzo: un paio di sedie uguali (anzichè quella specie di sgabelli spaiati che in cinque ci sottraiamo nel buio della sera…) una veranda per proteggerci dalle cacche degli uccelli che minacciano camicie (le mie!) e cibi nei piatti, e un po’ di rispetto per le principesse (noi !!!) evitando di unire al nostro tavolo amici e parenti chiassosi e ruttosi… È l’inizio di un lungo elenco. Primo brindisi con birra. Ne abbiamo acquistate quattro prima della partenza, le teniamo gelosamente nascoste e le stappiamo nel silenzio della notte in totale clandestinità ! … Alla nostra !!!! 7 luglio intera giornata di safari. Il Samburu è molto vasto, un fiume lo divide dal Buffalo Spring National Reserve. Incontriamo mandrie di elefanti, giraffe reticolate, zebre di grevy, bufali, orix, antilopi giraffa, gnu, impala, gazzelle. Osserviamo nidi di uccelli tessitori (sembrano pagnottelle tonde e soffici), palme dum, rose del deserto e alberi delle salsicce.

Al campo la lotta continua: contro la pioggia di cacche, cercopitechi che mi rubano gli scarponi infilandosi furtivamente nella tenda, altri che sottraggono al cuoco maionese e quant’altro di mangereccio. La fauna è numerosa e varia: ci sono manguste, marabù, babbuini chiassosi che saltellano da un tetto all’altro dei gabinetti in lamiera. Qui il silenzio è “una parola grossa…” e, se aggiungiamo il caldo, le conversazioni chiassose di Isaac e Sam (che da qui in poi chiameremo Bigolone 1 e 2) e il transistor di Joseph … Attendiamo con ansia la pace della sera, le news circa le “avventure di our president” narrate in tenda da Giuliana per tenere allenata la mia scarsa comprensione dell’inglese, il suo addormentarsi di scatto senza alcun segno premonitore che mi impedisca di parlare da sola per quarti d’ora, e le liberatorie pipì notturne (tra un picchetto e un cespuglio) rigorosamente in coppia.

8 luglio Trasferimento da Samburu a Marsabit: la strada diventa più impervia, le indicazioni di località scarseggiano. In prossimità dei centri abitati più grandi ci sono posti di blocco, inequivocabili assi chiodate distese sul manto stradale e poliziotti indolenti seduti in un ufficio attendono autisti che mostrano documenti (forse elargiscono mance) e “pole-pole” liberano loro la via. Superata Isiolo, la strada è davvero brutta e proviamo ad immaginaci come avrebbe potuto essere il nostro viaggio in cima a un mucchio di sacchi di farina… Ogni giorno ci sentiamo sempre più principesse, in carrozza, Bigol 1 e 2 sono un po’ rozzi e poco si confà a loro il ruolo di cocchieri, ma noi siamo su un fuoristrada tutto per noi e i paesaggi del deserto, alternato a villaggi Samburu, a oasi, e poi ancora deserto ci appaiono come un digitale documentario del National Geografic, un Geo and Geo, un Super Quark, un Overland in cui le voci fuori campo sono le nostre.

Dopo 6 ore di viaggio arriviamo a Marsabit, è un oasi densa di vegetazione tropicale a un’altitudine di circa 1700 metri , il campo in cui campeggiare è in cima al monte in cui si estende il Marsabit National Park.

Nel pomeriggio ci rechiamo in paese alla ricerca di Jillo e della sua famiglia, il numero di telefono che lei ci ha dato corrisponde ad una cabina telefonica e per una buona mezz’ora nessuno sa darci notizie che ci permettano di sperare in un incontro. Solo quando nominiamo Tullu’s, una ragazza messaci a disposizione da un prete missionario, ci accompagna dalla sorella di Jillo.

Io e Giuliana siamo molto orgogliose di avercela fatta ad arrivare fin lì, loro sono un misto di stupore e (spero) felicità di rivederci. Jillo è splendida nei suoi abiti tradizionali. Lei appartiene all’etnia dei Boran. A Marsabit convivono appartenenti a tribù diverse: i Rendille (vestiti di pelli), i Samburu (affini ai Masai), i Masai, i Boran, i Gabra, questi ultimi imparentati con i Galla dell’Etiopia. Andiamo nella casa che lei e Rinaldo hanno da poco terminato di costruire, è molto ampia (salotto, cucina, bagno, 3 camere da letto), ha l’energia elettrica grazie ai pannelli solari, sono presenti televisore, videoregistratore, telecamera. Ci mostrano un album di foto che guardiamo distrattamente: Francesca vuole giocare a carte con Giuliana, Rinaldo entra e esce dalla casa, a me sembra un po’ preoccupato dalla nostra presenza (forse teme di doverci adottare…), arrivano e se ne vanno persone di cui non riusciamo ad individuare la parentela. Jillo ci mostra la foto di un ragazzino di 8 o 9 anni, ci dice che è suo figlio (perchè non vive con lei? domanda che ci brucia dentro ma che non abbiamo il coraggio di rivolgerle…).

Usciamo per una passeggiata, acquistiamo biscottini (scaduti da mesi) nel negozio (capannuccia di un metro per due) della cugina, andiamo da cognate, zie, mamma, papà. Scopriamo che coltivano un’erba stupefacente, Jillo ne biasima l’uso ma non il fatto che i suoi parenti la coltivino e la vendano.

La camminata prosegue fin sulla cima di una collina dalla quale è possibile ammirare un panorama stupendo arricchito da tramonto, le distanze sono impressionanti, ma stiamo acquisendo un passo Masai che ben si inserisce in questa vacanza pigra da principesse…

Torniamo al campo per la cena e ci diamo appuntamento per l’indomani pomeriggio. Bigol ONE discute il fatto che noi vogliamo visitare il National Marsabit Park (“… Ma non eravate venute qui per stare con i vostri amici?!”) in sintesi sperava di avere una giornata libera. Dice che deve andare a telefonare all’Agenzia per avere conferma circa il nostro programma. La telefonata consiste in un’uscita collettiva dei Bigol 3, fino a notte fonda. Le principesse vengono lasciate in balìa della notte… Ma le nostre brindano alla loro salute, sghignazzano sulle sorti di “our president”, una boccheggia (lei), l’altra (io) gioca alla Tombola dei Rumori (facocero, babbuino, altre scimmie notturne nonsocomesichiamano, iene, frutti che cadono sulla tenda e sulla lamiera che ripara la cucina, vento che solleva la tenda). Faccio due terni e una cinquina, mentre Giuliana… Boccheggia supina.

9 luglio Al mattino c’è una nebbia che avvolge la cima del monte. Ci inoltriamo nel Parco, il tutto ha un che di spettrale, il muschio filamentoso che scivola attorno e giù dai rami mi fa pensare alla famiglia Adams e a boschi stregati.

Non incontriamo animali, ne vediamo solo le orme (rino, ippo, cacche di elefanti). Vi sono due laghi (Paradise e Bongole), sono all’interno di crateri. Facciamo una passeggiata sulla riva del secondo, Isaac ci scorta e ci allarma raccontandoci di erbe tossiche, di ippopotami furiosi… Se non fosse che noi siamo al di sopra di ogni bigolata, a tratti rischia di rovinarci la vacanza…

Nel pomeriggio abbiamo appuntamento con Jillo a casa della sorella che ci offre una doccia, lei ha l’acqua in casa e ne scalda una pentola per noi. Intanto la loro domestica aggiunge i nostri abiti al bucato di famiglia, anche dopo il lavaggio, il tutto mantiene una colorazione grigiastra.

Rinfrescate e ripulite, andiamo al mercato. E’ lì che devo esprimere il meglio di me stessa in qualità di contabile nonchè depositaria della cassa di viaggio: devo trattenere Giuliana dalla tentazione di acquistare tutto ciò che luccica, odora, irradia colori/profumi/aromi d’Africa. Altra fatica mi attende: NON fotografare le persone ! Sono l’aspetto più caldo e colorato in cui ci imbattiamo dall’inizio del viaggio, siamo lì in mezzo alle loro faccende quotidiane, i loro abiti, i tratti dei loro volti che parlano di etnie diverse, di incroci nei secoli. Pagherei per farmi rinchiudere in uno scatolone anonimo abbandonato in mezzo ad un crocevia, tratterrei il respiro pur di poter scattare foto a loro insaputa. Qui c’è un prezzo da pagare: o una vera e propria trattativa monetaria, oppure assistere alla fuga dietro scialli e ricevere qualche giusto insulto. Non ho le energie sufficienti per inoltrarmi nella prima incombenza e l’insolenza per fregarmene della seconda.

I negozi (parola grossa) sono box di circa 2m.X 3m. Pavimentati con pezzi di scatoloni appiattiti, pareti e soffitti in stuoia. Non credo che avrei delle spese troppo alte se decidessi di aprire un esercizio commerciale… Dischi?, libri?, strumenti musicali? ci penso.

Parei, abiti e sottoabiti, veli, scialli, e poi spezie, aromi, incensi, e ancora ceramiche, pentolame e frutta, verdura, profumi, colori, profumi, colori, profumi, colo…..

Il centro di Marsabit dista 7/8 Km dalla casa di Jillo che si trova in prossimità del bivio direzioni Etiopia / Chalbi. Il passo si scioglie, le gambe acquistano un ritmo fluido, guardo la mia ombra che cammina e non la riconosco, gamba slanciata, busto eretto, mento alto… Vuoi dire che sta uscendo l’africana che è in me? Appena in tempo prima che il buio ci avvolga, siamo a casa di Jillo, ci stanno preparando una cena che prevede una specie di ciccioli (gnocchettini di grasso fritto nell’olio), delle crèpe con erbette e carne a pezzetti. Tutto molto buono, davvero! Francesca mi aiuta a ricordare un canto swahili: “Jambo, Jambo buana ciao signore abari gani? nzuri sana tutto bene? bene grazie Wagheni asciari bisciua straniero sii benvenuto Kenya yeta nel nostro Kenya hakuna matata” non c’è problema Rinaldo filma nonostante la luce sia fioca, spiega che sta usando la funzione ultravioletta (come quella che usa l’esercito per le riprese notturne… !?!).

Facciamo foto di e con famiglia. Il fratello di Jillo, Dika, chiede il mio indirizzo… Nonostante l’età ho ancora qualche cartuccia in canna ! La mamma ci mostra come usano la resina : va aggiunta alle braci in un fornellino di terracotta, che poi agitandolo, diffonde il profumo che viene prodotto, ci spiega che serve a rinfrescare gli abiti quando questi odorano di pipì (operazione ticoprolapuzza!!!).

10 luglio trasferimento Marsabit – Kalacha. Ci impieghiamo circa 5 ore. Siamo nel bel mezzo del deserto del Chalbi !!!! il paesaggio è fantastico: deserto vulcanico, alternato a sabbia e poi roccia e poi ancora sabbia.

Incontriamo dromedari che si abbeverano alle oasi, deserto brullo, deserto di sale, strade che diventano piste, piste che diventano il nulla… E poi palmeti, e ancora deserto… “Che bella storia… E noi siamo qui… Ma dove ti ho portato Cedrone !!!” Si incrociano citazioni da “Marrakech express” a “La mia Africa” con divagazioni sul tema…

Il campo di Kalacha è a pochi minuti dal villaggio, ci sono docce, toilette e (roba da pazzi in un deserto…) una piscina ! ovvero una grossa e profonda vasca raggiungibile con una scaletta, dal diametro di circa 5 o 6 metri. Gli insetti e le foglie che vi galleggiano e il messaggio scritto su di un cartello “La Direzione non risponde di eventuali incidenti” ci dissuadono dal tuffarci. Fa caldo ma c’è una leggera brezza che rende la temperatura (40° circa) accettabile.

Bigol ONE è dall’inizio del Safari che si mostra molto perplesso di fronte al nostro programma che prevede due notti a Kalacha, sostiene che fa troppo caldo, che non c’è nulla da fare e da vedere ma che è solo una sosta nel lungo tragitto verso il Turkana. Ci rode molto… Ma dobbiamo ammettere che ‘stavolta ha ragione… Ce ne andremo domani e trascorreremo una notte in più a Lojangalani. Nel campo c’è un mulino a vento che aziona una pompa che estrae acqua. E’ una bella sensazione essere nel bel mezzo di un deserto e farsi una doccia.

Nel tardo pomeriggio facciamo una passeggiata nel villaggio di Kalacha, una specie di guida ci spiega che ci sono due tipi di case: la tonda per gli animali e la quadra ad uso abitativo. Qualche minuto dopo ci porta a casa sua… È tonda ! non so se noi o lui, ma qui c’è qualcuno che ha le idee confuse ! Davanti ai nostri occhi case coperte di stracci misti arbusti e cartoni, terra scura, e all’orizzonte le vette del Monte Kulal, deserto roccioso e cielo blu.

La serata preannuncia una notte di osservazioni astronomiche, motivo per il quale decidiamo di dormire all’aperto. Via lattea, scorpione con antares, corona boreale, grande e piccolo carro e milioni di fenomeni lucenti che sfilano lentamente sulla nostra testa e ai quali facciamo fatica a dare un nome.. Siamo a un centinaio di Km a nord dell’equatore, il buio è buio, la visuale è a 360°. Stappiamo il Prosecco (surrogato di una bottiglia di champagne lasciata in Italia per evitare problemi alla dogana). E’ arrivato il momento di fare il primo brindisi spumeggiante: a noi, al nostro successo, al nostro bel viaggio.

11 luglio Trasferimento da Kalacha a Loyangalani (5 ore), incontriamo carovane di dromedari, qualche pozza, deserto, deserto, deserto…

Il paesaggio è costituito da steppa desertica percorsa da lugga (letti di fiumi asciutti) e costellata da piante di acacia, in lontananza miraggi. Ci sono anche vulcani spenti, zone aride, frammenti di strati lavici, canyon attraversati da corsi d’acqua, oasi delimitate da monti scoscesi e vaste isole montuose ricoperte da foreste circondate da deserti sabbiosi.

Le piste non sono tracciate, Bigolone dimostra di essere un buon autista.

Ogni tanto vediamo qualche abitante spuntare dal nulla, chi con ampi gesti attira la nostra attenzione, altri immobili sul ciglio della strada. Ad un nostro cenno di fermata, accorrono, diamo loro bottiglie d’acqua, ringraziano e correndo in pochi minuti svaniscono, inghiottiti dal deserto roccioso. Tiriamo un sospiro di sollievo pensando che si accontentano di acqua e che non hanno cattive intenzioni: nonostante paesaggi, atmosfere, odori stiano rendendo magico questo viaggio, non possiamo evitare di ricordarci ciò che si dice circa i banditi, gli assalti ai turisti, alle scorte armate necessarie per passare di qui… Per ora niente di tutto questo… Dèi assisteteci ! Arriviamo sane e salve al Lago. Quando lo avvistiamo restiamo senza fiato: è davvero quel che si dice, un Mare di Giada, il colore è un verde-blu meraviglioso. E’ lungo e stretto, a nord c’è l’Etiopia.

Siamo nel luogo considerato dagli antropologi “la culla dell’umanità”: è qui che i coniugi Leakey hanno trovato i resti dell’Homo habilis.

Giungiamo a Loyangalani, pernotteremo al Mosaretu Camp Site, è una cooperativa di donne di diverse tribù (MOlo, SAmburu, REndille,TUrkana), ci sono una decina di “manyattas” (capanne in paglia) con all’interno uno o due letti, c’è una doccia (calda di sorgente termale), toilettes, una fresca veranda in cui pranzare.

Durante il primo pomeriggio la temperatura arriva a 50°, l’attività che meglio si addice è la pennichella, alternata a letture soft e a movimenti lenti rinfrescati da spruzzi d’acqua.

Notte sotto le stelle nonostante il vento fastidioso che si alza appena dopo il tramonto e non si placa prima dell’alba. Prosecchino per brindare ad un viaggio che continua a rivelarsi sorprendente!!! 12 luglio Sveglia all’alba. Giro sulle rive del Lago. Raccogliamo un po’ di sabbia (nera). Andiamo in un’oasi con laghetto-pozza con la speranza di vedere qualche coccodrillo, vediamo solo alcuni dei luoghi dove sono state girate alcune scene del Film “Le montagne della luna”.

Al ritorno al Camp Site chiediamo se è possibile trascorrere una notte in un villaggio Turkana, una delle donne responsabili del Mosaretu ci dice che possiamo andare da sua madre.

Ci rechiamo al villaggio che dista una mezz’ora di cammino, in tempo per vedere il tramonto. Ci preparano le stuoie all’esterno delle capanne (non vorrai mica perderti le stelle ?!), il nostro cuoco ci porta la cena che dividiamo con la famiglia che ci ospita. Chiediamo dove poter fare pipì, ci mostrano una specie di fossato distante qualche centinaio di metri, che svolge funzioni di discarica e di toilette.

Il buio avvolge il raggruppamento di case, si sentono voci dalle capanne vicine, qualche bimbo che gioca, una donna che canta una ninna nanna, arbusti schiacciati da passi di persone o di animali. Si vedono poche luci: di qualche cucina, di lampade a olio, delle nostre torce mentre ci prepariamo per la notte. Ma prima ci offrono un tè (è un infuso nel latte, ehm… Di capra e non bollito…!), mi passano nella mente i rischi igienici finora affrontati, le vaccinazioni fatte, le mani sporche mie e le mani sporche loro, decido di rimandare il rischio sfruttando le ombre della notte: mi allontano qualche metro giusto la distanza perchè le tenebre occultino quello che sto per fare. Rovescerò il tè dietro la casa… Ho rovesciato il tè sui miei calzoni… Ah quando soffia il vento…Cantavano i Dik Dik !…

Buona Notte, ‘notte.

13 luglio Al mattino, la prima immagine che appare ai miei occhi ancora intrisi di sonno è la nostra ospite che munge la capra (ci risiamo)… ecco la colazione. Prosit ! Non ci sono tenebre che mi salvano. Dèi di tutto il mondo unitevi !!!! Superato il rischio di tifo, enterogastrite, infezioni, cagarelle, ecc… Lasciamo il villaggio per recarci sulle rive del Lago.

Contrattiamo un giro in barca sul lago con visita alla tribù El Molo. Il capo che conduce la trattativa delude le nostre aspettative sia sul versante etnologico (maglietta americana e jeans, ma non è questa una delle etnie più autentiche e meno turisticizzata !?), che su quello più sfacciatamente commerciale (ci chiede 5000 Ksh, all’incirca 65 $ !!!! con questa cifra ce la compriamo la barca !!!).

Decidiamo di abbandonare gli El Molo ai loro pensieri spenna-turisti e optiamo per una passeggiata sulle rive del Lago.

Ogni nostro tentativo di goderci momenti di contemplazione risulta vano: un giovane del villaggio ci rincorre con aria e voce minacciosa, ci intima di tornare sulla jeep e di risarcire il villaggio per aver scattato delle foto.

Io ascolto la musica della conversazione, visto che con il testo ho qualche difficoltà. Giuliana è furiosa, dice che non abbiamo fatto foto a persone o alle case (io veramente ne ho scattate due da molto lontano), che il Lago è di tutti, l’aria, il cielo sono di tutti e rivendica il diritto di passeggiare in pace. Il ragazzo si calma, dice che è uno studente, che lo hanno mandato i vecchi del villaggio. Più tardi, leggendo la Lonely Planet, scopriamo che il divieto di fotografare è in questa zona allargato al paesaggio, che gli abitanti sono decisi a farsi pagare a caro prezzo una foto ai loro luoghi. Ehcchessaràmmaiiii ! Neanche ai napoletani è mai venuto in mente !!!! 14 luglio Da Loyangalani a Maralal (6 ore). Il tragitto è ancora più bello di quello fatto da Marsabit.

Diamo un passaggio a Cecilia e un’altra donna Turkana che si distingue in viaggio per un’intensa attività scatarratoria che provoca conati a tutto l’equipaggio e macchie corrosive sulla carrozzeria…

Durante una sosta per il pranzo pic-nic e pipì perdo i miei occhiali. Torniamo per cercarli, non ci sono più… Se vedete guerrieri samburu con occhiali da sole, sono i miei ! La cittadina di Maralal ha vie larghe e verande stile vecchio West, ci sono molti negozi e bancarelle, guardo se ci sono occhiali per me.

Il campeggio è distante 2 o 3 Km dalla città, è umido e freddo (siamo sull’Altopiano di Lerochi). Qui incontriamo un paio di gruppi che viaggiano in Truck, a parte l’alto numero di turisti (20) il camion è molto bene attrezzato: c’è un vano per i bagagli e, al lato opposto, una cucina attrezzata, i posti passeggeri sono collocati nella parte alta, ci sono sedili confortevoli e la visuale è ottima.

15 luglio Da Maralal a Nairobi (8 ore).

Lungo il tragitto (a Rumururi) decidiamo di compiere il misfatto: scegliamo alcune piante di euforbia a candelabro, e ne tagliamo due rametti da portare a casa. Ora abbiamo due tenere vite a cui provvedere: Tino e Aurora.

A sera ci rechiamo all’Aeroporto e, udite! udite! c’è lo zaino di Giuliana !! 16 luglio volo per Lamu: utilizziamo un aereo da 10 posti. Dopo circa 1h e ½ arriviamo all’isola di Mandala, da lì proseguiamo su di un battello che in 10 min. Ci porta a destinazione. L’isola ci appare vivace ma non caotica, non ci sono automobili, il mezzo di trasporto più diffuso è l’asino, si aggiungono qualche bicicletta e pochi motorini. Pernottiamo allo Stone House Hotel (una doppia con prima colazione 2100 Ksh = 26$) ha un ristorante con terrazza, stanze ampie all’interno delle quali spiccano letti con baldacchini e inquietanti zanzariere…

Durante la nostra prima passeggiata esplorativa riceviamo saluti cordiali e proposte di giri in barca, per ora non siamo interessate ad organizzare alcunchè, preferiamo scoprire l’isola un po’ per volta: domani esploreremo le spiagge di Shela, raggiungendola a piedi seguendo il lungomare. Adocchiamo negozietti e ristorantini interessanti, uno di questi, l’Olimpic, ha una boutique, entriamo a curiosare, ci sono cose molto carine e il cameriere-sarto (?!) ci è molto simpatico, dopo un lungo giro, torniamo da lui e gli prenotiamo un tavolo.

Gli approcci dei locali sono gentili e non invasivi, non riusciamo ad esprimere loro il nostro compiacimento ! Tra i giovani e meno giovani che ci propongono giri nell’arcipelago ci piace un certo Abu che ci dà appuntamento per il giorno dopo. (ma lo riconosceremo ? si assomigliano tutti!).

Torniamo all’Hotel per una doccia e quando decidiamo di uscire ci rendiamo conto che il lungomare è totalmente avvolto dall’oscurità e che solo i ristoranti vicino al porto sono illuminati, con dispiacere desistiamo dal raggiungere l’Olimpic e con qualche senso di colpa ceniamo al Bush Garden (cena a base di granchio: 900 ksh = circa 6 $ a testa !).

17 luglio con passo spappolato, dopo circa 2h arriviamo a Shela, la spiaggia è splendida, sabbia finissima, dune, silenzio, turistizero, bagno oceanico, godimento principesco.

Incontriamo Abu, ci propone un giro in barca a Manda Toto per 100 Ksh, ci mostra una stanza a Shela (800 ksh = 5 $ a persona) che ci appare deliziosa, ha una terrazza bellissima, è a pochi passi dal centro (che parolona…) caratterizzato da alcuni uomini seduti a chiacchierare e a 5 minuti dal lungomare e dagli unici 2 ristoranti. Ci accompagna in barca a Lamu, ci diamo appuntamento per l’indomani. Andiamo all’Olimpic per scusarci e prenotiamo giurando che questa volta non ci faremo intimorire dal buio…

ore 20: siamo sedute al nostro tavolovistaoceano, oltre a noi il nulla … Abbiamo fatto bene a prenotare !!!!. Said, il cuoco, è caloroso e di una buffità straordinaria. Ci racconta che ha recitato con Abatantuono in “Il continente nero” e Omar Sharif (boh) in “Le Montagne della Luna”. Mangiamo aragoste, ci procura delle birre che scopriamo difficili da trovare, ci descrive l’isola come il Paradiso dove non ci sono problemi, la gente è onesta e il turista è sacro, la sua gioia è contagiosa.

Al termine della cena ci presenta un amico: Capitano Rasta Baby, è un misto di Bob Marley, Rud Gullit, tra un disc jockey e un beach boy, ci dice che ha una barca con la quale offre “safari blu” ovvero un viaggio di 3 giorni nell’arcipelago fino a raggiungere Kiwayuu (confine con la Somalia). Ci inebriano parlandoci di silenzio del mare, di pesce fresco cucinato per noi, di relax, di bagni e immersioni, di un villaggio incontaminato e … Se vendessero aspirapolveri ne avremmo comprati 6 !!!! A me e a Giuliana luccicano gli occhi, siamo tentatissime, a me il compito di tenere a bada le spese: i soldi sono praticamente finiti, abbiamo in disparte gli ultimi dollari per coprire le spese previste a Nairobi, resta sempre la carta di credito…

Inizia una trattativa intercalata da spot di Rasta Baby che sembra provvisto di autorevers. Da un prezzo di partenza di 24.000 Ksh (maseiscemo ?) arriviamo a 13.000 che comprende 5 uomini di equipaggio (cuoco-capitano-mozzi), 3 pasti al giorno, attrezzatura per diving, … Solo per noi !!! Ci diamo appuntamento per dopodomani a Shela.

Prima di dormire mi chiedo come faremo a pagarli !!!! n.B. La cena, ci è costata 1400 ksh… Nel borsellino, tolto l’acconto per il tour, me n’erano rimasti 1300. Said ci fa lo sconto. Roba da matti ! invece di dargli noi la mancia … ! 18 luglio Partiamo con Abu e un suo socio. Ci dicono che non è possibile raggiungere Manda Toto a causa delle maree. Non riusciamo a capire se sono tonti, scaltri o che altro(ma non lo sapevano ieri ?!) Accettiamo di partire lo stesso e raggiungiamo le spiagge di fronte a Shela. Ci cucinano il pesce (pescato e comprato), ci offrono massaggi a base di olio di cocco (no grazie!), bagnetto e ritorno. Recuperiamo il nostro bagaglio allo Stone House e ci trasferiamo a Shela.

Ceniamo allo Stop House, oltre a noi, altri due turisti. Molti locali si presentano come capitani e ci propongono tour, sono gentili, ci dicono che Rasta Baby è un ottimo capitano.

Al nostro arrivo a Lamu molti si erano avvicinati per offrirci i loro giri in barca e con tutti avevamo tenuto un atteggiamento attendista, “Vedremo, forse, …”. Nonostante ciò un paio di loro si è sentito offeso “Perchè partite con loro e non con me ?!” Bella domanda… E adesso cosa gli rispondo ? e poi “… Io oggi non lavoro …” con aria di rimprovero. Sembra quasi che ci sia una sorta di esclusiva da parte di chi ti contatta per primo. Uno di loro mi aveva anche portato a casa sua per farmi conoscere il suo bambino malato… Accidenti solo ora mi rendo conto che involontariamente gli ho dato motivo di credere che ci saremmo rivolte a lui e alla sua barca. Dove ho sbagliato ? 19 luglio inizia il viaggio tra canali, mangrovie che scompaiono con l’alta marea, casco di banane appese all’albero maestro (o bidello?). Gli uomini dell’equipaggio lavorano freneticamente, la barca veleggia che è una meraviglia, Said è eccitato come un bambino a Gardaland, non c’è Rasta Baby ma un capitano serio e capace, la barca sventola la bandiera del Che, è la mia !!!! Kiwayuu è un’isola stupenda, al suo interno c’è un villaggetto che domani andremo a visitare. Ci accampiamo sulla spiaggia al di sotto del campeggio. Said cucina l’aragosta per noi. Paradisiaco.

20 luglio giro del villaggio: la gente è cordiale, sono riservati e affaccendati, i bambini non chiedono le solite caramelle o soldi, alcuni costruiscono piccoli portachiavi in gomma (utilizzando la suola delle ciabattine da doccia) e le vendono ai turisti per la creazione di un fondo di solidarietà per i più bisognosi. Incontriamo il maestro che ci porta a visitare la scuola: ci sono classi elementari, materna e media. E anche ‘stavolta il mio digiuno didattico viene interrotto e ne sono felice.

Torniamo alla spiaggia. Mentre facciamo un bagno comincia a piovere, è la prima volta che nuoto sotto ad un acquazzone! Il pranzo viene servito e consumato seduti su delle stuoie sollevate da terra e riparate da una veranda. Il tempo torna rapidamente al bello e il caldo pomeridiano, unito al rumore delle onde e al chiacchiericcio dei “nostri uomini” concilia il riposino pomeridiano. Chebellavitacheculocheabbiamo.

Qualche ora dopo ci rechiamo in cima alla collina, da lì ammiriamo un panorama straordinario: il villaggio, la capanne del campeggio, di cui una in cima ad un baobab, un’altra sul punto più alto dell’isola da cui è possibile vedere il contorno di Kiwayuu, l’oceano aperto che si incontra con il mare che la separa dalla terra ferma. E poi il tramonto. Saidi è il gestore del campeggio, mi insegna giochi africani (una specie di gioco alle bocce, con qualche somiglianza con quello dei piattelli colorati, il tutto con i frutti della palma dum).

Cena davanti al fuoco, i profumi del cibo si uniscono all’odore del mare e …Della marijuana (siiiii !!!!). Mi passano davanti spinellini che bruciano velocemente. ‘Stasera riesco a mettermi in posizione strategica e riesco a fare un paio di tiri.

Converso con Said, mi godo il fuoco, l’oceano, bisbigli e rumori di sassolini nel bao.

21 luglio Forse è il giorno buono per fare snorkeling. Io e Giuliana, scortate da due fanciulli dell’equipaggio maciniamo chilometri sulla riva, fino a giungere in un punto dove la marea è sufficientemente alta, ma l’acqua è freddissima e non mi dispiace affatto quando ci dicono che non è la giornata adatta per vedere pesci.

Dopo pranzo comincia la navigazione di ritorno verso Lamu.

Ore, ore, ore … Fino alle 9 di sera quando il capitano lascia il timone e si infila nel suo sacco-lenzuolo: non si può proseguire, siamo insabbiati, resteremo qui fino a che non tornerà l’alta marea…! Said brucia bottiglie di plastica per fare un fuoco e cucinare spaghetti, i ragazzi ridono, si canta, si mangia, ci si prepara per la notte. Pipì tra sabbie mobili e radici di mangrovie. Dormiamo.

Dopo un paio d’ore si riparte. Arriviamo al porto di Lamu alle 3 di notte. L’intera navigazione è durata 14 ore (!!!).

Said ci accompagna in un albergo gestito da un parente, si chiama Casaurina (una doppia costa 600 Ksh, non ha il bagno in camera, ma è in una splendida posizione: accanto all’ospedale degli asini, con veranda vista mare) 22 luglio E’ arrivato il momento di saldare i conti con Said, è stato un viaggio fantastico e lui è una persona deliziosa. Io e Giuliana andiamo in banca per prelevare dalla mia carta di credito il contante necessario, lui ci attende per fare colazione insieme.

Più tardi vado con lui che mi propone un giro per i vicoli di Lamu. Said è un’istituzione, raccoglie e distribuisce saluti. Mi dice di essere il Presidente dell’isola. Mi presenta amici e parenti, mi mostra la sua casa. Alla Nursery School incontro la sua bambina (Siila) di 4 anni e, più tardi, la più piccola (Ajsha) di 2 anni. Mi accompagna a fare acquisti. Mi sembra di conoscerlo da sempre…

Con il resto dell’equipaggio navighiamo verso Manda, alle 15,30 è previsto il decollo del nostro piccolo aereo che ci riporterà a Nairobi (sic!).

La serata (l’ultima in terra africana) meriterebbe cene da ultimi risparmi e brindisi a suggellare una vacanza indimenticabile, ma… Ho un gran mal di testa (somatizzo la separazione?) 23 luglio Si torna. Il mal d’Africa ora è più di un concetto romantico, è un velo languido che riesci a controllare solo ripetendoti “…Tanto ci ritorno…” Prima e durante il volo mi imbatto in qualche notizia italiana, un groppo alla pancia mi rammenta che il ritorno è anche questo, è il sentirmi responsabile delle sorti del mio paese e angustiarmi per ciò che avviene.

Ieri sera il mio mal di testa mi proiettava verso casa, mi ricordava che il tempo era finito, mi faceva desiderare la mia vasca, il mio letto. Mi sentivo al termine di una scalata, il momento in cui dopo aver gioito, assaporato la gloria, esserti commossa di tanta bellezza, l’unica cosa da farsi è scendere, non c’è altro, solo scendere.

Qualche giorno dopo il nostro ritorno apprendiamo che sulla strada che va da Loyangalani a Maralal, in direzione sud, il giorno successivo al nostro passaggio, un camion che trasportava farine e persone è stato assalito da banditi. A raccontarcelo è stata Jillo che era su quel camion e che ha visto morire due compagni di viaggio colpiti dal fuoco dei fucili degli assalitori.

Era diretta a Nairobi per ritirare il suo nuovo passaporto, per fortuna non c’era Francesca con lei.

Durante la mia permanenza non ho avuto mai la percezione di un reale pericolo, mi sento di collocare il rischio scampato nel capitolo imprevisti e non certamente in caratteristiche del paese.

Ho visto, sentito, annusato un Kenya ospitale, ben organizzato per soddisfare i turisti/viaggiatori, un territorio buono per tutti gli stati d’ animo: dolce e morbido nella savana, arido, crudo, misterioso nel deserto, vivo, caldo, avvolgente a Lamu.

Abbiamo relizzato il viaggio perfetto, nei tempi, nei modi, nei luoghi: evitatando le località più gettonate della costa circoscrivendo il nostro raggio di interesse muovendoci con lentezza e in solitudine.



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