Karpathos, l’isola dimentica

Karpathos 24/8 – 7/9, 2001 Karpathos, isola del Dodecaneso buttata tra Rodi e Creta così vicina, ma così isolata. E’stata scelta dopo un’accurata cernita tra le migliaia di possibili isole che la Grecia offre. I cataloghi che propongono Karpathos sono solo due, Columbus e Comit, in effetti già questo è una particolarità per...
Scritto da: Filippo Colombo 1
karpathos, l'isola dimentica
Viaggiatori: in coppia
Karpathos 24/8 – 7/9, 2001 Karpathos, isola del Dodecaneso buttata tra Rodi e Creta così vicina, ma così isolata. E’stata scelta dopo un’accurata cernita tra le migliaia di possibili isole che la Grecia offre. I cataloghi che propongono Karpathos sono solo due, Columbus e Comit, in effetti già questo è una particolarità per la Grecia, tutte le maggiori isole, quelle più grandi dell’elba per intenderci, sono ormai invase dal turismo di massa con i loro 100 tour operator e catene di alberghi degne di Rimini; altra particolarità, è praticamente impossibile arrivare privatamente in aereo a Karpathos, il volo costa circa 700.000 e bisgona fare scalo ad Atene e poi a Rodi, meglio un charter. Dopo una piccola ricerca su internet ci siamo resi conto che era l’isola più adatta al tipo di vacanze che cercavamo: sole, mare, mangiar bene e tranquillità. In Grecia ho passato tutte le mie vacanze estive di bambino, conosco la lingua, conosco le tradizioni, in poche parole sapevamo muoverci. Giunti in agenzia ci siamo rivolti alla gentile signorina che preso il telefono ha fatto due o tre chiamate confermandoci senza tanti problemi il volo aereo e la sistemazione in albergho, coincidenza vuole che anche lei avrebbe passatto le proprie vacanze sull’isola dimenticata dell’Egeo.

Tour operator Columbus, volo malpensa-karpathos con compagnia Blue Panorama, sistemazione in albergho *** “Miramare Bay”, trasferimenti e coriandoli, la vacanza era dal punto di vista organizzativo pianificata.

Volo di andata, 24 Agosto 2001, partenza prevista ore 11.30, ora comunicataci 7.30, arrivo in aeroporto ore 5.20, check-in e lunga attesa con gli altri compagni di viaggio e una grossa e chiassosa, vista l’ora, comitiva diretta ad Alicante. Pronti, partenza, via. Aeromobile nella decenza, hostess nella decenza, pasto nella decenza. Siamo arrivati dopo 3 ore su quella che doveva essere la Nostra isola; è apparsa dopo una breve picchiata in tutta la sua estensione, lunga, affusolata e montagnosa, da corollario una serie di piccoli isolotti e una più grande, a nord, rivelatasi poi Kos, isola del tutto disabitata da ormai 30 anni. Il mare appariva tranquillo, increspato solo a tratti con piccoli ciuffi di bianco in un immenso blu. L’abbiamo attraversata tutta per poi dirigerci verso la parte più meridionale e atterrando lungo una striscia di cemento (badate, non asfalto) gettata in una largo altopiano a ridosso del mare. La cosa che stupisce di più è lasciare la verde e rigogliosa pinura padana di fine agosto e trovarsi in un mondo dominato dal giallo paglierino a volte spruzzato di piccole macchie verdi e dall’altro colore dominante dell’isola, il blu del mare, un blu che lascia senza parole, il blu più profondo che conosca. L’aeroporto non era altro che due stanzoni 10×10 uno accanto all’altro, il primo per gli arrivi, il secondo per le partenze, all’esterno una grande gazebo a dar riparo nell’attesa di coloro che partivano. Scesi dall’aereo ormai giunto in prossimità della strada siamo stati colpiti da un forte vento, caldo, che a tratti faceva perdere l’equilibrio, sarebbe stato il nostro compagno di viaggio. Piccola attesa per i bagagli ed eccoci fuori davanti a tre vecchi autobus di quelli già tante volte visti in Grecia. L’assistente Columbus sul posto ci aspettava chiusa in un tayeur molto fuori luogo, tentando inutilmente di trattenere i capelli scossi dalla forza del vento. Dataci il benvenuto siamo saliti sul vecchio autobus e siamo partiti per la volta del nostro albergho. Ci simao subito resi conto che la vetustà dell’autobus era uguale a quella dell’autista, ciò non gli impediva di sfrecciare su di una strada poco più grande di un sentiero, tra dirupi e burroni che davano sul mare, mentre la ragazza Columbus tentando di mantenere un certo equilibrio, ci spiegava le meraviglie dell’isola farcendole di possibili escursioni che venivano offerte (in tutto tre e a pagamento) e di tutto quello che ci poteva essere utile, nulla che qualunque turista potesse già immaginare prima della partenza. Con noi sul pullman diverse coppie di neo sposini o ragazzi come noi che sfoggiavano un’intesa duratura, infatti isole di questo tipo, o consolidano ancor più una relazione o la fanno naufragare, di seguito capirete il motivo; ed un solitario tizio poi soprannominato il moicano agghindato da ultimo dei moicani (capigliatura compresa) che dava un’aria di sicurezza da greco di nascita. Giunti in città siamo stati accolti da un’aria rarefatta, forse l’ora di arrivo, circa le 13.00, forse il caldo, per le vie solo alcuni anziani per il resto la desolazione. Le case di una decente fattura non risplendono per bellezza architettonica né per colori. Il paglierino della natura si rispecchia anche nel colore delle abitazioni, di una beige sabbia, edifici non alti massimo tre piani, sparsi per il golfo che racchiude, un piccolo isolotto con a bordo il faro. Giunti all’hotel con altre 3 coppie di viaggiatori ci hanno sistemato al terzo piano, ultimo tra l’altro, la stanza pulita nella sua decenza, si affaciava sulla baia, con un piccolo balconcino munito di tavolo e sedie ottimo per serate in tranquillità, piccolo inconveninte all’interno la temperatura era di circa 50° e con la porta chiusa dal bagno guardando il profilo del letto era possibile vedere la fata morgana, siamo dunque scappati in riva al mare dove la temperatura era più sopportabile e dove c’era anche la possibilità di pranzare in un piccolo ristorantino con caratteristico pergolato, leggera brezza e gatto annesso, un piccolo pranzetto con i sapori tipici della Grecia che da tanti anni, ormai 4, non provavo, tzatziki, koriatikì, souvlaky, elies, (tutte le parole greche appositamente sono scritte come si pronunciano), ed il primo approccio con il popolo locale. Pomeriggio abbandonati ai primi raggi di sole, alleviati dal leggero vento che a tratti diventata teso rendendo la calura alquanto gradevole, il primo bagno nelle acque degli dei per far ritorno ormai a sera in albergho. Al ritorno in camera come previsto trovavamo un piccolo frigorifero richiesto precedentemente alla reception (a pagamenento) tanto più utile di quanto si possa pensare per la preziosità di una bottiglia di acqua ghiacciata in una sabbia senza l’ombra di acqua potabile (la consigliamo vivamente). Docciati, siamo partiti alla scoperta del paesino, primo obbiettivo era trovare un’auto per l’indomani, ad un prezzo accettabile per aggredire l’isola e scoprire ciò che a noi stava più a cuore, il mare. Dopo un breve giro perlustrativo nei dintorni, mi sono buttato su di una alquanto rassicurante agenzia AVIS, contrattando il noleggio di una Panda, semi cabrio per intenderci, o meglio con il tetto di tela, già per la mattina seguente, appuntamento fissato per le 8. Cenetta in uno dei parecchi ristorantini vicini il porto che tra l’altro mi ha sorpreso per la totale mancanza di barche a vela o qualsivoglia tipo di peschereccio, completavano un piccolo molo dall’acqua trasparente una decina di piccole imbarcazioni da diporto e laggiù in fondo tre imbarcazioni per le escursioni ad Olympos, Diafani, Apella mete in seguito del nostro itinere. Stanchi e cotti dal sole ci siamo ritirati non prima di ammirare le basse montagne che circondano la capitale illuminarsi di tre gruppi distinti di piccole luci come un surreale presepio estivo. Colazione internazionale come da catalogo e con la panda bianca con grossa scritta AVIS siamo partiti alla volta della parte nord dell’isola non senza aver ricevuto istruzione dal noleggiatore sulle zone “off limit” (tutte le strade oltre Volada) e quelle di possibile visita. In effetti appena lasciata alle spalle Karpathos la strada cambiava decisamente fisionomia apparendo sempre più stretta e tortuosa, il pandino comunque si comportava egregiamente anche su salite anguste e tornati stretti, saliti fino a Volada la strada si apriva a sinistra verso Otos e Piles e giù per Arkasa mentre a destra verso Spoa e Olympos, ma anche verso quella che poi sarebbe stata la costa più affascinante e rigogliosa quella orientale. All’altezza del bivio la strada diventa sterrata con un fondo di piccoli sassi, ma ancora tranquillamente percorrbile dalla piccola fiat. Tutto assume un color sabbia anche i nostri capelli e i vestiti nonché l’interno di tutta la vettura. La prima proposta che ci viene data è quella per la spiaggia di Kira Panagia, ma imperterriti pur contravvenendo alle indicazioni, anzi agli obblighi, datici dal noleggiatore, proseguiamo verso Apella destinazione ultima. E’ un continuo di curve e buche che man mano aumentano e rendeno ancor più lento il nostro percorrere quelle strade che sembrano uscite da un ritratto del Mato Grosso con una vegetazione alquanto meno prosperosa, tutto lungo la strada è coperto da questo impalpabile strato di polvere sollevato dalle poche jeep che la percorrono; tra un tornante e l’altro incontriamo un taxi, uno dei tre dell’isola, con a bordo due ignari turisti di tutto ciò che li circonda. Abbiamo il tempo per alcune suggestive foto con come sfondo il mare sempre più blu che degrada in tutte le tonalità dell’azzurro nei pressi delle poche insenature che il brusco dirupo offre. La strada propone la seconda opportunità per la spiaggia di Ahata ma imperterriti proseguiamo ed ecco dopo circa 40 minuti di viaggio arrivare al bivio per Apella, un minuscolo cartello scritto a mano ne indica la direzione, la strada a questo punto si fa più stretta e impraticabile, in alcuni casi siamo convinti che il pandino non riesca più a tornare indietro, ma colti da un’irresisitibile voglia di mare ci avventuriamo su questo che ormai è un sentiero e non ha nemmeno la parvenza di strada. Dopo altri 10 minuti di saliscendi e sobbalzi vari, giungiamo in vista di una splendida caletta bianco splendente con un mare azzurro cristallino e grossi ciottili bianchi post candeggina. Lasciavo la stanca panda posteggiata in posizione precaria e ci accorgiamo che oltre a essere l’unico mezzo di quel tipo, i consigli del noleggiatore non erano inutili ma saggi. Ci buttiamo nel mare cristallino e tutta la giornata passerà tra sole, mare e un piccolo ristorantino con annesse camere (che consigliamo come luogo di soggiorno) abbarbicato sul dirupo che sovrasta la spiaggia. Il ritorno è stato ancor più avventuroso dell’andata perché ivece di ripercorrere la strada al contrario abbiamo proseguito per Spoa giungendo al bivio per Olympos, con vecchi mulini, si dice medioevali che non rendono giustizia alla numerose foto viste su internet, ma poiché l’ora era tarda e perché la strada era peggio di quella appena percorsa abbiamo preferito rimandare l’escursione e buttarci verso strade più battute e soprattutto asfaltate, quindi oltrepassato Messochòri puntando a sud abbiamo passato nell’ordine Finiki, Arkasa fin su a Menetes oltrpassando il grande mulino a vento e giungendo all’imbrunire in paese trovandolo più affolato della sera preceente e ricco di vita, luci e colori. Cena in riva al mare con sapori di quella che sentivo ormai essere la mia terra, la mia ragazza ormai abituatasi completamente a quei sapori diventava gran intenditrice di tzaziki. Purtroppo o per fortuna a voi stabilirlo, la vita notturna era del tutto assente ad eccezione di un gradevole disco bar semi vuoto che non recava fastidio e sembrava adatto alla situazione, noi optavamo come nella maggior parte delle serate per un passeggiata rilasssante e soporifera in vista della lunga giornata marina. Come accade spesso le giornate sono trascorse tutte uguali nella concezione occidentale del termine, non c’erano lunedì stressanti o venerdì sospirati, tutti i giorni erano il giorno X, diverso dall’altro solo per i panorami che ci venivano proposti. Il Panda lo avevamo noleggiato per 3 giorni quindi a ritroso abbiamo trascorso le giornate seguenti alle spiggie di “Ahata” e “Kira Panagia”, simili nell’impostazione di fondo, baia con rupe a picco sul mare, mare cristallino, cittoli bianchi, da segnalare la presenza di numerosi mosconi nella prima e di un bellissimo monastero che domina la seconda. Consigliamo inoltre a Kira Panagia il piccolo baretto/”psistaria” alle spalle di Kira Panagia, alla destra arrivando dal sentiero. Terminata l’esperienza utility car ci siamo buttati alla scoperta della parte meridionale dell’isola, con strade asfaltate e spiaggie sabbiose. Eccoci il martedì successivo ad Ammopi o Amoopi, distinta in tre separate spiaggette di sabbia rossastra con una quantità innaturale di pesci adatto a noi amanti di snorkeling. Il mezzo di locomozione ero uno scooter 50cc che rendeva più di quanto si pensi, oltre a ciò rendeva l’intero viaggio momento anche per abbronzarsi, lo consigliamo caldamente per coloro che che come noi, magari giovani, vogliono ammortare le spese per il noleggio di un’autovettua (circa 6000DR per il primo, 40000DR per la seconda). Durante il nostro peregrinare nella parte meridionale dell’isola ci siamo imbattuti in una lunga spiggia di sabbia battuta da un forte vento da oriente che permetteva a molti di surfare. Giunti in prossimità dell’aeroporto ci siamo visti sbarrare la strada da un grande cancello che non permetteva di raggiungere il promontorio più a sud dell’isola. Per la sera il programma era consolidato per amanti della buona cucina come noi, segnaliamo un risatorante in centro a Pigadia di cui non ricordo il nome ma caratterizzato da delle vetrine verdi e all’interno un giardino rialzato interno, la vista non è mare, ma la cucina forse la migliore dell’isola. Consigliamo anche il secondo ristornate scendendo verso il porto a sinistra con delle sedie azzurre e la facciata bianca, ottimo i souvlaki di cotopulo (pollo). Venerdì dopo lunghe e difficoltose trattative con i pochi “rent a car” dell’isola abbiamo raggiunto l’accordo per il noleggio di una jeep per 3 giorni: Suzuki Samurai bianco cabrio. Con un mezzo più adatto siamo tornati ad Apella per poi proseguire verso Spoa e su fino a Olympos, la strada è da considerarsi impraticabile in quanto con nessun altro mezzo al di fuori di una jeep ben tenuta è possibile arrivarci. Oltre alla completa mancanza di protezioni lungo la strada era completata da una serie di voragini, il profumo come su tutta l’isola era intenso, misto a ginepro, mirto, rosmarino e altre numerosi cespugli aromatici di cui ignoro la natura, siamo arrivati a Olympos vedendolo da lontano come una macchia di colore tono su tono, lo distingevano solo le linee squadrate delle case, la domanda che sorge immediatamente è come facciano persone a vivere in un eremo naturale per 365 giorni all’anno, la risposta non ci è dato saperla ma dopo la nostra visita tutto ci è sembrato più normale e a misura d’uomo. Ci hanno dato il benvenuto i paesani per lo più donne anziane vestite con i tipici costumi del luogo, pronte a vendere qualsivoglia oggetto possa ricordare alla lontana il mondo ellenico, miele in bottigliette usate dell’acqua, origano, copricapi tradizionali, il trucco è non far capire di essere italiani per non subire il solito repertorio: ..Italiani, greci, una faccia, una razza. Dopo un breve giro ad ammirare il panorama sul lato occidentale, le numerose chiesette, e i tipici locali tradizionali a bordo strada dove fermarsi a bere un ouzo e un “frappe cafè me gala”, dopo i soliti acquisti lascio Olympos con una certa amarezza nel vedere che il turismo si è spinto fino alle propaggini più estreme di una grecia ancora orgogliosa e antica. Facciamo tappa a Diafani piccolo porticciolo collegato direttamente a Olympos dall’unica strada asfaltata di tutto il nord dell’isola. Qui le imbarcazioni viste le sere prima nel porto di Pigadia scaricano gruppi di tedeschi che vengono caricati su pullman e portati come polli da spennare fin su a Olympos, niente di più, il mare che sappiamo essere per lo più infinito a fare da sfondo. Un po’ malinconici ci buttiamo sulla più divertente e avventurosa strada che ci condurrà fino a Pigadia sempre passando per la strada occidentale ben più agevole e scorrevole. Il fatto di avere questo mezzo di trasporto ci ha portato per i restanti giorni ad Apella, nettamente la miglior spiaggia dell’isola. Il lato occidentale si presenta poco appetibile e meno suggestivo dal punto di vista marino, con le sue lunghe spiaggie di sabbia ma la possibilità di vedere bei tramonti dai colori stupefacenti. E’ ad Arkassa che ceniamo in un ristorantino a bordo strada ed è a Menetes, piccolo paese caratteristico e fiero di essere stato l’avamposto per la liberazione dell’isola, ne è testimone una statua di bronzo al karpaziano che si libera dell’oppressore, situata in alto ad una lunga scalinata da dove si gode un ottimo panorama che si trova sulla strada che da Menetes porta a Pigadia. I giorni di noleggio della jeep passano in fretta e ci rimettiamo alla nostre tasche per terminare la vacanza a bordo di un nuovo scooter come turisti doc. Gli ultimi giorni li passiamo nella ben più dolce località di Amoopi a respirare gli ultimi sprazzi di iodio ed ad ammiarare il fenomenale fondale della piccola baia dell’ultima spiaggia, quella più isolata. Non c’è altro da fare che acquistare gli ultimi ricordini e affogarci nelle ultime “pites me ghiro”, preparate da un smunta signora nei pressi della fermata centrale degli autobus proprio di fronte ad una tipica pasticceria greca, per avere i veri dolci greci bisogna entrare e non acquistare direttamente sulla strada, quelli esposti sono la visitazione occidentale di sapori ben più marcati e forti. Un ultima colazione, saldiamo il conto e la nostra accompagnatrice columbus mai vista se non in rare occasioni, con il suo tayeur sempre impeccabile, ci viene a strappare da quel mondo tanto lontano. Un nuova corsa su di un più nuovo autobus con un più giovane autista ed ecco rivedere, un lungo volo, la rigogliosa pianura, niente più vento, niente macchia mediterranea, tanta nostalgia e un pizzico di solitudine lontani da quello che è stato per 15 giorni il nostro eremo perfetto.



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