Just one face, please. L’altra faccia del paradiso

Non c’è che dire, una bella isola. Con i suoi 127 Km2 Roatán è la più grande delle isole dell’arcipelago delle Bay Island situate nel mar dei Caraibi della Repubblica dell’Honduras. E’ un’isola rigogliosa, con alcune belle spiagge bianche (West Bay Beach, Alligator Nose Beach, Camp Bay) ed è particolarmente conosciuta ed apprezzata...
Scritto da: elisagiuliani
just one face, please. l’altra faccia del paradiso
Partenza il: 19/02/2007
Ritorno il: 27/02/2007
Viaggiatori: da solo
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Non c’è che dire, una bella isola. Con i suoi 127 Km2 Roatán è la più grande delle isole dell’arcipelago delle Bay Island situate nel mar dei Caraibi della Repubblica dell’Honduras. E’ un’isola rigogliosa, con alcune belle spiagge bianche (West Bay Beach, Alligator Nose Beach, Camp Bay) ed è particolarmente conosciuta ed apprezzata dai turisti per la sua splendida barriera corallina. Un paradiso per i sub ma anche un acquario formato gigante per chi va con maschera, pinne e cannello. Antica colonia inglese, Roatán entra a far parte dell’Honduras nel 1859, dopo un lungo conflitto durante il quale si alternarono governi inglesi a ispanici. Alla luce di ciò, Roatán ha una forte identità etnica, culturale e religiosa, molto diversa da quella dell’entroterra hondureño. Ospita una popolazione nera, Afro/Anglo-antillana, chiamata garifuna, di religione prevalentemente protestante e il cui idioma è l’inglese dei carabi, simile o coincidente con il patois. Insomma, un’isola caraibica, esotica, solare, tranquilla …Proprio quella che piace al turista occidentale. The right face! Just put your bikini on and relax on a beach!

Roatán è anche un’isola relativamente sicura per il turista. Si è aperta timidamente al turismo dagli anni ’60, ma è a partire dagli ’80 che si è verificata una crescita del turismo sproposita. Si stima che nel 1990 visitassero le Bay Island circa 15.000 turisti l’anno. Nel 1993 il numero di turisti internazionali ammontava a 30.000, poco più della popolazione locale che allora era pari a 23.850 persone, e che il numero dei turisti arrivasse a 40.000 nel 1994, l’80% dei quali era rappresentato da cittadini nordamericani. Per darvi un’idea della crescita del settore, il Tourist Intensity Ratio (TIR), misurato come percentuale dei turisti sull’intera popolazione dell’isola, incrementa del 167% dal 1988 al 1994 (si veda Stonich, 1998 per approfondimenti). Durante tutti gli anni ‘90, con l’apertura dell’isola ai voli charter, questi aumenti hanno seguito un trend esponenziale. Nel 2000 infatti il numero di turisti pervenuti nell’isola è stato di 50.000, a cui si aggiunge il flusso di 60.000 turisti delle navi da crociera che trascorrono sull’isola un solo giorno. L’industria del turismo genera un valore aggiunto di circa 12 Milioni di dollari annuali, più o meno il 15% del totale del Prodotto Interno Lordo dell’isola, altrimenti rappresentato dalla pesca ed attività collegate (25%), dal commercio ed altri servizi (30%), dall’edilizia (8%) ed in misura residuale, dall’artigianato, dall’agricoltura/allevamento e dalle attività immobiliari. So far so good, right…? Neanche a dirlo, questo arrivo massiccio di turisti ha generato una emergenza ambientale di grande portata nell’isola. Oohh yes, I’ll show you the other face of the island…But you do not need to bring your bikini there…

Un recente studio commissionato dal Banco Interamericano di Sviluppo (IADB) ha evidenziato una serie di effetti negativi generati dall’industria del turismo, mal gestita e regolamentata dal Governo locale. Il primo è legato alla crescente scarsezza di riserve di acqua sotterranea, la maggiore fonte di acqua potabile per i residenti ed i turisti. Alcune stime riportano che i turisti fanno uso di acqua potabile in misura fino a tre volte superiore rispetto a quello dei residenti del luogo. Una serie di studi finanziati dall’IADB evidenziano infatti che le falde acquifere dell’isola sono ad oggi seriamente contaminate. Anche il deterioramento dell’acqua di mare è divenuto un fenomeno via via sempre più preoccupante, ed è soprattutto dovuto agli scarichi in mare non controllati dei numerosi resort ed alberghi localizzati a due passi della riva del mare. In secondo luogo, il turismo di massa ed il conseguente proliferare di resort e di palazzine di luxury apartments [venduti ad un prezzo base di 250.000 Dollari] localizzate sulle principali e più belle spiagge dell’isola, sta degradando notevolmente l’intero eco-sistema naturale. A Roatán, statistiche ufficiali mostrano che, su circa il 60% della barriera corallina, si riscontra un tasso di morte dei coralli superiore del 50% alla norma. Altri effetti negativi del turismo di massa sono la riduzione delle mangrovie, l’aumento dei sedimenti e degli scarichi non trattati. La speculazione edilizia e la mancanza di un sistema giuridico chiaro che regoli la proprietà del suolo pubblico ha inoltre aggravato la situazione e contribuisce attivamente alla distruzione del contenuto paesaggistico dell’isola. L’incapacità del governo locale di fronteggiare quest’emergenza costituisce un problema ulteriore. Nel 2002 non esisteva infatti un piano regolatore per l’uso della terra, né una regolamentazione ambientale che identificasse regole chiare per l’edilizia, l’uso delle acque, lo smaltimento dei rifiuti. Lo studio IADB menziona inoltre che il personale governativo locale non ha una formazione professionale adeguata a far fronte a questi ‘repentini’ stravolgimenti del territorio. Beh si, i locali avranno pure le loro responsabilità, d’altro canto l’Honduras è uno dei paesi più poveri dell’America Latina. Ma non ci dimentichiamo però che a costruire le palazzine in riva al mare sono soprattutto i nordamericani. Oggi, West Bay, una delle spiagge più belle dell’isola, è un cantiere in costruzione. Costruzione di appartamenti con tutte le comodità e con un fabbisogno energetico spropositato e insostenibile. Ma che ci vuoi fare, gli americani quando vanno in un altro paese non si adattano al contesto, bensì vogliono mantenere tutte le loro abitudini ed loro il tenore di vita, rigorosamente intensivo in uso di energia (quella elettrica ovviamente, non quella del loro corpo sovrappeso). Quindi agli investitori non sfiora neanche lontanamente l’idea che invece di una palazzina in cemento armato forse avrebbero potuto costruire alcune cabañas di legno mimetizzate tra la vegetazione, e che invece di costruire a due metri dalla riva avrebbero potuto costruire a cinquanta metri, e che invece di tagliare tutte le palme, per fare spazio a dei patios anche quelli in cemento e a dei mini giardini addomesticati, avrebbero potuto lasciare la natura selvaggia, cosi come c’era all’origine. Forse, oggi, allontanandoci in barca dalla spiaggia, il nostro occhio non si sarebbe accorto della presenza di un nuovo (deturpante) complesso turistico. Del resto, quel che diventa privato, è sottratto al resto dell’umanità. Tutto è infatti rigorosamente Private Property in quella spiaggia. Così, al tramonto, mentre un gruppetto di ciccioni americani beve birre e balla senza ritmo qualche musica caraibica, ai garifuna locali rimane solo un pezzettino di spiaggia dove andare a godersi il loro mare. In alcune ore della giornata, poi, la spiaggia diventa un altisonante mix di musica latina, rumori di generatori, martelli pneumatici, moto da spiaggia contro i mosquitos, e grida dei nostri connazionali…Anche quelle non possono certo mancare…E mi vien da ridere quando, in qualche sito internet, leggo che Roatán è un paradiso terrestre per i turisti, il cui unico nemico è costituito dai “fastidiosissimi mosquitos”, i pappatacei locali. Posso assicurare che sono molto più fastidiosi gli italiani che buttano i mozziconi di sigaretta in spiaggia o, peggio ancora, in quel mare incontaminato, per non parlare poi delle zanzare tigre del mio giardino di Pisa…

A questo ritmo incalzante, e senza un cambio di rotta dell’amministrazione locale, tra venti anni Roatán potrebbe essere un’isola senza futuro. Ai residenti rimarrà un territorio degradato, mentre gli investitori migreranno da qualche altra parte. D’altronde dove non esiste una pianificazione di lungo periodo dello sfruttamento del turismo e dell’ambiente, succede spesso così. Appena sfruttata a pieno un’isola tropicale, quando la spiaggia non è più bianca ed il mare non è più incontaminato, si abbandona l’isola, si “downgrada” a turismo low cost e si investe nella prossima isola…Ce ne sono ancora tante vergini…Che aspettano il profumo dei dollari… Ma voi, questo, non lo chiamereste prostituzione? Well, now you can put your bikini on again…

Impressioni di Elisa Giuliani. Informazioni e dati basati su: Stonich S. (1998) Political Ecology of Tourism, Annals of Tourism Research, 25 (1), pp. 25-54. Stonich S. (2000) The other side of paradise: tourism, conservation, and development in the Bay Islands, Cognizant Communication Corporation, New York. IADB (2002) Honduras. Bay Island Environmental Management Program II, http://www.Iadb.Org/exr/doc98/apr/ho1113e.Pdf



  • samuclem samuclem
    Grazie pensavo di andarci a metà aprile, mi o fratello c'era stato 5 anni fa ma l'aria mi sa che era molto diversa, in spiaggia poca gente, mare stupendo ovunque e pochi alberghi...come sempre l'uomo ha rovinato un altro paradiso...vedremo, forse trovo un altra opzione."
  • samuclem samuclem
    Grazie pensavo di andarci a metà aprile, mi o fratello c'era stato 5 anni fa ma l'aria mi sa che era molto diversa, in spiaggia poca gente, mare stupendo ovunque e pochi alberghi...come sempre l'uomo ha rovinato un altro paradiso...vedremo, forse trovo un altra opzione."
  • samuclem samuclem
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  • lucaorbit lucaorbit
    Finalmente qualcosa di diverso!"
  • lucaorbit lucaorbit
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