Jeddah, passaggio difficile

Comunità cristiana L'appartenere ad una chiara connotazione religiosa, crea una complicità di gruppo di decisa intensità. Ne avemmo una decisa prova, io e Tiziana, nel '75 all'aeroporto di Jeddah. Proveniendo dalla Giordania dovevamo aspettare nove ore in transito, prima che partisse un aereo per Sana'a la mitica capitale dello Yemen, allora...
Scritto da: Enrico Bo
jeddah, passaggio difficile
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Comunità cristiana L’appartenere ad una chiara connotazione religiosa, crea una complicità di gruppo di decisa intensità. Ne avemmo una decisa prova, io e Tiziana, nel ’75 all’aeroporto di Jeddah. Proveniendo dalla Giordania dovevamo aspettare nove ore in transito, prima che partisse un aereo per Sana’a la mitica capitale dello Yemen, allora del Nord. Non era ancora neppure in progetto la nuova aerostazione che oggi accoglie i milioni di pellegrini per la Mecca e quella vecchia in cui sostavamo sembrava più uno sgangherato terminal per autobus terzomondista. Una stanza con un bancone per i check-in ed un grande salone pieno di poltrocine in similpelle strappata qua e là, su cui si accampavano famiglie con bambini vocianti e gruppi carichi di borse extrapeso. In fondo si aprivano quattro porte numerate che davano alle piste. Un vecchio televisore, in alto, su cui mal si leggeva l’elenco dei voli, completava la scena. Il nostro volo veniva dopo un aereo per Beirut e noi ci apprestammo alla lunga attesa nell’incerdibile confusione dell’andirivieni continuo, tra ritardi e cancellazioni. Ogni tanto, inservienti paludati nelle lunghe galabeye bianche passavano con cartelli in arabo a cercare passeggeri dispersi, un altoparlante gracchiava in inglese, indistinguibile dalla riproposizione araba. Dopo molte ore, il volo per Beirut occhieggiava sempre sul monitor, ma mi accorsi con orrore che il nostro non era più in lista. Mi recai al bancone cercando di capire e mi mancò la terra sotto i piedi al sentire che il nostro volo se ne era già partito da dieci minuti con le nostre valigie. Ci avevano disperatamente cercati per tutta la sala, ma il nostro nome, orribilmente storpiato non era stato evidentemente sentito. La questione era grave, in quanto l’unico altro volo, in partenza dopo quattro ore era completo. Noi non avevamo visto saudita ed essendo vietato sostare in transito per più di 12 ore, eravamo in posizione assolutamente illegale. Ci sequestrarono i passaporti e fummo portati in una stanzetta con poliziotto armato alla porta, paventando una nostra eventuale fuga (dove?), in attesa di decidere della nostra posizione. Mentre la preoccupazione cominciava a farsi strada, fummo lasciati soli e dopo poco, comparve un grasso arabo, che i 40° C dell’ambiente facevano sudare copiosamente. Si avvicinò a noi con aria complice e dopo essersi guardato intorno, furtivo, ci mostrò una catena d’oro sotto la palandrana, con una croce appesa. -I’m christian – sussurrò, e ci fece segno di seguirlo. Come pecorelle smarrite ci incanalammo dietro al buon pastore. Il maronita sembrava autorevole e superati i varchi i varchi, ci condusse all’accettazione dove convinse il riottoso incaricato ad emettere comunque, anche se era aperta solo la waiting list, due carte di imbarco provvisorie, ma necessarie ad avere indietro i passaporti, quindi ci portò davanti alla porta numero 3 e anche se mancava ancora un’ora all’imbarco ci consigliò di non muoverci di lì, infatti poco dopo cominciò a formarsi la fila di cui noi rimanemmo a capo. Quando il gate finalmente si aprì e fummo i primi a consegnare il boarding pass, lanciammo un’occhiata di ringraziamento verso Jussuf, così si chiamava, che in fondo al salone ci fece un ultimo cenno tranquillizzante col capo, e corremmo verso la scaletta. Non credo che nessuno sia rimasto a terra comunque, ma quando fummo in volo, il nodo nello stomaco si sciolse a poco a poco. Dopo meno di un’ora, mentre scendevamo di quota, la luce dorata del tramonto illuminava le alte torri della capitale yemenita. Sana’a val bene una Messa. Enrico Bo enricobo2@tin.It


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