Istantanee dalle Seychelles

Pesci colorati, scenari da cartolina e rocce mozzafiato
Scritto da: piccino
istantanee dalle seychelles
Partenza il: 11/05/2009
Ritorno il: 25/05/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Andando a ritroso con i ricordi del nostro primo intercontinentale insieme, vedo l’ala del 767 della Airseychelles che si staglia semplicemente enorme nel buio, probabilmente sopra qualche migliaio di km dal corno d’Africa. Chiudo gli occhi. Dormo, anche se a stento. Li riapro e sulla fila di oblò alla sinistra dell’aereo si vede il cielo tagliato in 2 dalle luci dell’alba: arancio e giallo che si separano bruscamente dall’azzurro a livello dell’orizzonte. Appoggio la fronte al mio finestrino: è una sensazione indescrivibile, l’oceano indiano è una tavola blu spruzzata di piccole gocce verdi sulla superficie: ti chiedi in che direzione siano le Maldive e se assomigliano a quello spettacolo, e come diavolo riuscirà mai ad atterrare un bestione del genere su un fazzolettino così piccolo. Invece atterra come una piuma e quando tocca a me uscire dall’aereo mi ritrovo su questa altissima scala, mentre Mahè mi avvolge tra le sue spire di vento caldo e umido. Questo è il mio primo impatto con il luogo che a distanza di 17 mesi ricordo ancora con una fitta al cuore, come un flash abbacinante che ti stordisce per qualche secondo. Le formalità si disbrigano in un sogno, tra il sonno arretrato e l’emozione di essere proprio lì dove siamo, non capita mica tutti i giorni, ma la stanchezza prevale e mi lascio trasportare da Pier Luigi fino al Taxi prima e sul Cat Cocos poi. Nel dormiveglia aggredito da vampate di nausea vedo scorrere dal finestrino dell’aliscafo il mare che ci separa da Praslin, mentre un banco di tanti piccoli pesci volanti ci scortano alla nostra prima meta. Praslin ci regalerà per 5 giorni una vacanza avventurosa: decidiamo infatti di visitarla con i Tatabus, blu, scassati e con autisti non si sa se più bizzarri o più spericolati. La Cote d’Or è un po’ deludente, enorme, bianca, ma con il mare torbido e in alcuni punti lattiginoso tutte le volte che abbiamo passeggiato sul lungomare, ci chiediamo quanti scarichi vengano riversati nelle vicinanze o comunque il perchè di un’acqua tanto poco invitante. Anze Lazio è una scarpinata pazzesca, prima di vederla la tentazione di fare dietrofront è tanta, ma quando ci troviamo nella nostra prima spiaggia tropicale da cartolina dimentichiamo tutto e ci tuffiamo in quella meraviglia. Tutto alle Seychelles ha sempre la stessa triade di accesissimi colori: l’azzurro del mare, il verde delle piante, il bianco della sabbia. Qua e là enormi massi di granito variegati stracciatella interrompono la tela. La vegetazione è lussureggiante e al primo acquazzone ufficiale che ci sorprende proprio alla fermata del bus ad Anse Lazio, scopriamo che le enormi foglie di banano servono alla popolazione locale come ombrelli efficienti e disponibili ad ogni angolo: e così mentre noi ci bagniamo come pulcini abbarbicati alle radici di un gigantesco albero tropicale, un signore con il suo parapioggia vegetale sgambetta celere e asciutto fino al Tatabus che proprio in quel momento si avvicina per la sosta al capolinea che, per fortuna, è abbastanza lunga da permetterci di raggiungerlo e salirci! Anse Georgette è certamente la spiaggia più bella e “da depliant”: per raggiungerla occorre attraversare il Lemuria Resort, una sterminata pianura di campi da golf che si susseguono tra dolcissimi rilievi e basse colline. Fa uno strano effetto camminare con pantaloncini, magliette da mare, Birkenstock e cappello di paglia come se anche noi avessimo pagato qualche centinaio di euro al giorno per starci, anche questa si incamera tra le esperienze incredibili che le Seychelles ci hanno offerto. Lo snorkeling è scarsino ma non ci si stanca mai di nuotare nell’acqua cristallina e di ammirare il paesaggio degno di un film hollywoodiano! Dovunque si alloggi credo che il proprietario come il nostro conosca qualcuno che traghetti i turisti all’isolotto di S. Pierre continuando il giro con Curieuse. La prima parte è fantastica, per la prima volta ammiriamo le bellezze della barriera corallina: blue powder, pesci sergente, gli enormi pesci tondi e piatti grandi come una pizza, parecchi degli amici di Nemo, sono tutti lì e si lasciano pure sfamare con delle briciole di pane! Poi andiamo a Curieuse dove prima ammiriamo le mastodontiche e antiche tartarughe giganti, ci divertiamo come bambini a strappare i rami delle piante di cui si cibano e darglieli, tutto sotto la supervisione degli addetti al parco naturale. Salutati i nostri nuovo amici con carapace, ci dirigiamo verso la spiaggia attraverso i paesaggi più varii: distese di mangrovie, interi appezzamenti di fango secco spaccati irregolarmente dal sole, sentieri sterrati con scalini fatti di pietre e rami. Un trekking in piena regola. E nella spiaggia immortaliamo in foto uno degli spettacoli più belli che questa vacanza ci regala: il temporale sul mare. Il viola dei nuvoloni minacciosi sovrasta il bianco della sabbia che dal contrasto diventa ancora più abbagliante. Il verde brillante delle palme si inserisce di prepotenza, il bagnasciuga aggiunge un’ulteriore tonalità a quelle della acqua della barriera. Mentre scatto una turista avvolta da un pareo arancione, inconsapevole fotomodella, cammina sullo sfondo della mia inquadratura come un punto colorato, creando un diversivo assolutamente perfetto nel suo insieme. Prima di proseguire però noto un’altra foto nell’album, non è da incorniciare ma è carina: mio marito in costume da bagno sotto il portico della casa del medico al lebbrosario, guarda estasiato la pioggia tropicale. E’ bella perchè il ricordo in questo caso è molto personale: lui odia la pioggia e si rabbuiava all’idea degli acquazzoni che potevano sorprenderci in qualunque momento. Ma lì, complice i miei elogi, che mi riportavano a struggenti immagini dei romanzi di Marquez (le associazioni di idee sono sempre strane), complice la giornata di gita fuori porta, anche lui si incanta ad ascoltare la musica che la pioggia suona con le sue minuscole innumerevoli dita sull’infinita di tasti che ha a disposizione sulle piante. E si sta lì, come bambini che hanno appena scoperto qualcosa di fantastico da dire agli adulti, che come sempre, sorrideranno con sufficienza. L’ultimo giorno decidiamo di vedere la Valleé de Mai, patrimonio dell’UNESCO. Mai mi sono sentita così vicina al Dr. Livingstone, ad Indiana Jones e a Lara Croft contemporaneamente. Una scalinata di terra rossa si apre in un corridoio verde sormontato da altissime piante. Da quel momento in poi non sarà più possibile vedere il cielo, se non filtrato in piccoli e abbacinanti raggi che filtrano dal fogliame delle altissime palme. Unica eccezione quando si raggiunge la sommità del piccolo promontorio dove si trova il rifugio: lì cielo e mare si uniranno un’altra volta prima di rituffarsi nella vegetazione fitta. Il microclima è estremamente caldo e umido, ci si sente bagnati e con l’affanno, ma lo spettacolo non ci consente tregua. In alcuni spiazzi ci sono delle panchine fatte con i tronchi d’albero. L’immagine fermata in quell’attimo è anacronistica: una giovane donna con cappello di paglia bianco e una striscia nera, pantaloni neri e una maglietta siede a gambe accavallate su quell’improvvisato punto di ristoro. Sorride, ma si vede a malapena perchè a causa della altissime e folte piante l’ambiente è sempre poco illuminato. Se non fosse per le Reebok che ha ai piedi, seppiandola si potrebbe davvero pensare ad una giovane esploratrice degli anni ’30. Ma è ora di dirsi addio, Praslin, un saluto al piccolo museo di storia naturale dove possiamo entrare nella gabbia dei pipistrelli della frutta e dare loro le piccole banane di cui sono golosissimi e che afferrano con le zampette, ma domani abbiamo il Catrose per La Digue. La Digue si presenta come un grazioso porticciolo affacciato su uno specchio di acqua azzurra e trasparente su cui galleggiano tante piccole barchette: sul molo c’è un po’ di tutto, da chi ti consiglia la guesthouse migliore, chi ti vuole affittare le bici, carri trainati da buoi un po’ tristi e stanchi. Attraversiamo indenni tutto quel po’ po’ di vita e trainiamo i nostri trolley fino a Bernique, la nostra guesthouse. A La Digue si rafforza l’impressione già avuta sui Tatabus di Praslin: la femminilità delle donne creole è semplicemente prorompente! Le vedi sempre sorridenti mentre inforcano le biciclette, con i loro cappellini in foglie di palma di cocco, i loro vestitini floreali, che emanano afrori di vaniglia e spezie, parlano, tengono in braccio neonati, e pensi: ecco, la vera essenza della femminilità sta qui, in un’isoletta nel mezzo dell’oceano, fatta solo di sorrisi e profumi. A La Digue ci sono diverse istantanee che si sono cristallizzate in ricordi indelebili: io che cado come un cartone animato in un fossato in discesa perchè la bici ha freni che non funzionano bene, e l’ultimo pensiero logico che è “Oddio, ora mi romperò un braccio o una gamba, ma certamente mi romperò qualcosa!!” e invece mi rialzo, più scossa dalla vergogna che dal dolore, denti e ossa sono tutti lì insieme ad un’invidiabile collezione di graffi. Mio marito con le mani in testa che grida al miracolo, vuole che si torni in guesthouse a piedi, ma si sa, dopo un incidente la prima regola è riinforcare il mezzo e andare. Il ragazzo che ce le ha noleggiate è mortificato, non sa come scusarsi ma la colpa è mia che l’ho provata male prima di prenderla: non è successo nulla, e poi voglio vedere Lei…. E la vedremo: Anse Source d’Argent, immortalata da varie angolazioni. Massi di granito alti come palazzi a 2 piani rivolti verso la barriera corallina ormai da secoli, pietre scultoree che sembrano cambiare posizione da un momento all’altro e invece vengono solo cullate dall’alta marea nel pomeriggio, sabbia fresca e finissima sotto i piedi, calette tutte così simili eppure tutte da scoprire ogni volta che le si vede. Ovviamente tutte le immagini sono state immortalate in diverse volte e diversi momenti e la luce della mattina e della sera, insieme al movimento delle maree fa sì che ogni fotografia sembri scattata in posti diversi. Tappa giornaliera era la bella e vicina Anse Severe: in primo piano si vede una foglia di palma che cade verso il basso come una tendina, ma basta appena scostare le frange per vedere l’inconfondibile profilo di una palma obliqua che si staglia sul mare ben oltre la vegetazione e i piccoli massi ammonticchiati. E tra tanti ricordi statici, un vero video, con i paesaggi che scorrono nel periplo dell’isola in bicicletta: Anse Banane, Anse Patate, tutte purtroppo molto agitate in quei giorni ma sempre spettacolari. Scorrono ancora le immagini e si vede un signore francese che sfreccia a velocità iperbolica sulla sua bici nella discesa in cemento che porta a Grande Anse, pochi secondi dopo compare la moglie, più lenta e meno capace. E’ un attimo: noi scendiamo a piedi, si sente nell’ordine il fischio di una frenata arrivata troppo tardi, un urlo e poi il clangore metallico di una bicicletta irrimediabilmente ribaltata e accartocciata su sé stessa. La signora giace bocconi con la faccia schiacciata sull’asfalto. Fortunatamente è più la teatralità dell’incidente che i reali danni! E poi noi che facciamo il trekking tra una cala e l’altra per raggiungere Petite Anse, io che ho un colpo di calore e vedo buio, le secchiate di acqua fresca sulla testa mentre sono a terra stordita e poi la piccola piscina calmissima dove nuotiamo finalmente per procurarci l’agognato ristoro. Si può non morire di noia in un’isola così piccola per 5 giorni? Si, perchè i bambini non si annoiano e a La Digue si torna ad avere 8 anni sia che tu ne abbia 32 come me sia che tu ne abbia 70 come Etienne, il signore svizzero che trascorre con noi 2 giorni. Tutto si fa in bicicletta: vai a fare la spesa da Gregoire’s, si incontrano gli amici conosciuti in escursione, si va a mangiare e tutte le strade, tutti gli angoli ,diventano qualcosa che hai sempre conosciuto, un’isola che non c’è in cui tutti abbiamo vissuto almeno una volta con la mente, e ti sembra che potresti non stancarti mai di quelle spiagge, i pesci, i take-away, i ragnoni che tessono le tele tra le enormi foglie color smeraldo, i bambini che la domenica si riversano in spiaggia usando per il surf semplici e rozze tavole di legno. E c’è l’escursione a Coco Island, quella certamente migliore di tutta la vacanza. Acqua verde-azzurra e centinaia e centinaia di pesci che vengono a salutarti, le tartarughe marine che giocano con te e cercano di “beccarti” (e fanno pure male… ahia!) se ti poni frontalmente non “identificandoti”. Ma anche La Digue va lasciata alla fine. Non dimenticheremo le fantastiche colazioni da Bernique con le marmellate fatte in casa, i succhi di guava e le omelette tutti i giorni diverse, oppure scoprire che i creoli utilizzano la frutta tropicale matura come frutta e dolce, mentre quella acerba come verdura cotta o cruda: sapere che quei saporiti “crauti” che tanto bene si accompagnavano al pollo al curry erano in realtà una specie di mela cotogna grattugiata (il golden apple) che ogni mattina mangiavamo in zuccherose fettine che si squagliavano in bocca, e che la mirabile insalata di polpo assaggiata da Chez Marston era condita con il mango ancora verde ci ha stupito tantissimo, ma non ha intaccato il sapore delizioso di quelle prelibatezze! Il mio ritorno a Mahè non passa inosservato: mentre tutti dormono, mio marito compreso, io penso bene di cacciare l’anima sull’aliscafo, grazie al pilota che, col mare lungo, ha l’alzata di ingegno di prendere tutte le onde di prua…. A nulla valsero i 2 antiemetici. Mahè è effettivamente più spenta delle altre 2 isole. Ci divertiamo per la prima volta in vita nostra a guidare a sinistra, fortunatamente il traffico è scarso a parte la capitale e grosse difficoltà non ce ne sono. In più, per misteri insondabili della meteorologia, piove sempre. Qui le fotografie memorabili sono di meno. Una serie di fronde a foglie piccole e ovali che aggettano sulla lunga spiaggia di Port Launay, dove le famiglie si riuniscono per la domenica. Nella fotografia questo non si vede ma la sporcizia è davvero disgustosa: cartacce, bottiglie, polistirolo per il take-away. E non la lasciano i turisti. Ho ancora vivo il ricordo di noi due che facciamo il bagno a Beau Vallon al tramonto, l’acqua calma e tiepida, non limpidissima ma sicuramente un bel posto per una pausa prima della cena. Il panorama dalla vecchia missione che consente di vedere il profilo di tutta Mahè sud come un ricciolo verde nell’oceano. Le centinaia di mangrovie, il Little Ben e poi le cene alla Boat House, con la barca che traboccava di ogni ben di Dio, dalla pasta alle verdure cucinate in mille modi, al bonito freschissimo marinato, grigliato e servito ancora fumante sul piatto. Le nostre compere le abbiamo affidate a Kenwyn a Mahè, una piccola boutique dove si trovavano soprammobili e quadri per tutte le tasche: dai 5 ai 2000 euro! Noi scegliamo una serigrafia e una tela su seta originale dipinto nell’atelier che sta proprio fuori da Source d’Argent. E sulla via del ritorno ci fermiamo ai chioschetti dove non posso far mancare alla mia collezione un bel cappello a tesa larga in foglie di palma di cocco. Il resto dei souvenir lo acquistiamo direttamente in aeroporto dove un po’ col magone attendiamo l’imbarco sul nostro 767. Stavolta però il viaggio è tutto in stato di veglia: e con tanta nostalgia vediamo Mahè farsi piccola piccola, e i km di blu farsi rossi per il corno d’Africa, si delinea il profilo del nord del continente nero, il comandante ci indica il Nilo, il Cairo. Per ultima la foto sfocata di 2 quadratini neri con il con due diagonali tracciate a matita: la didascalia ci dice che sono le piramidi egizie. E con questa si chiude il nostro album. Au revoir Seychelles!


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