Istanbul: non solo lokum

La mia visita ad Istanbul è durata due giorni e mezzo, ovviamente troppo pochi per visitare (e gustare) tutto quello che questa meravigliosa città ha da offrire, ma sufficienti per farti venire l’acquolina e sentire il desiderio di ritornarci con più tempo a disposizione. Ho viaggiato con Austrian Airlines, in partenza da Bologna giovedì...
Scritto da: miticalu
istanbul: non solo lokum
Partenza il: 06/10/2005
Ritorno il: 09/10/2005
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
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La mia visita ad Istanbul è durata due giorni e mezzo, ovviamente troppo pochi per visitare (e gustare) tutto quello che questa meravigliosa città ha da offrire, ma sufficienti per farti venire l’acquolina e sentire il desiderio di ritornarci con più tempo a disposizione.

Ho viaggiato con Austrian Airlines, in partenza da Bologna giovedì mattina (6 ottobre) e con scalo a Vienna. Le tratte durano 1ora e mezza e circa due fino a Istanbul. Il volo di ritorno, domenica pomeriggio, è partito in ritardo di mezz’ora, ma fortunatamente non ho perso la coincidenza per Bologna: hanno dovuto aspettare anche altri passeggeri provenienti da altre destinazioni. Quindi la corsa frenetica e gli slalom degni del miglior Alberto Tomba sono stati pressoché inutili… Ma veniamo alla meta del mio viaggio. Specifico che per l’alloggio ero ospite presso una famiglia turca, la cui figlia minore, Ba§ak, era stata nostra ospite in luglio. Quindi non ho strumenti per descrivere le sistemazioni alberghiere di questa città.

La prima cosa che mi ha colpito, uscendo dall’”Atatürk Airport”, è stato il traffico selvaggio. Come avrò modo di notare, i semafori rossi sono assolutamente un optional, le precedenze una leggenda metropolitana, le strisce pedonali una semplice decorazione della pavimentazione stradale! Su alcuni semafori, poi, è presente un display con conto alla rovescia che indica quanto manca al verde, o al rosso. Un’altra caratteristica del traffico di Istanbul è il continuo, a volte inutile, fastidioso e stressante suono del clacson. Se esiti un secondo in più quando il semaforo diventa verde, subito parte un’orchestra di trombe impazzite. Nauseante, direi.

Nei pochi giorni a mia disposizione sono riuscita a visitare alcune mete caratteristiche. I monumenti principali si trovano quasi tutti nell’area Sultanhamet. Venerdì è stato il turno di Aya Sofia (o Moschea della Divina Sapienza). Ora è stata trasformata in un museo e l’ingresso è a pagamento. Aya Sofia nacque come chiesa e mantenne il primato di più grande chiesa della cristianità fino al 1453. In quell’anno avvenne la conquista di Costantinopoli per opera di Mehmet il Conquistatore, che la trasformò in moschea. L’esterno dell’edificio appare un po’ spoglio, in muratura rossa sbiadita, ma imponente comunque. Entrando, si attraversa il nartece e si entra nello spazio centrale della moschea vera e propria. Nonostante l’illuminazione piuttosto scarsa, le dimensioni sono davvero impressionanti, con questa enorme, altissima cupola centrale. Appesi dappertutto, poi, ci sono questi enormi lampadari che arrivano a pochi metri da terra e che nel passato contenevano migliaia di candele che illuminavano la moschea. I mosaici sono un po’ rovinati, ma splendidi comunque. Dal piano superiore è possibile ammirare dall’alto questa magnifica struttura, dove la luce che filtra attraverso le vetrate crea dei meravigliosi riflessi. La tappa successiva è stata Topkapı Sarayı, il Palazzo Topkapı. La visita è durata circa due ore, viste le dimensioni imponenti della struttura. Siamo passate dalle cucine, con annessa mostra di ceramiche cinesi e giapponesi dell’epoca dei sultani, tutte meravigliosamente conservate. Quindi abbiamo visitato le Sale del Tesoro, dove sono esposti gioielli, caraffe, spade, troni, tutti riccamente decorati con turchesi, rubini, cristalli. E oro, naturalmente. Poi abbiamo attraversato la Porta della Felicità e passeggiato sul balcone esterno che si affaccia sul Mar di Marmara. La visita si è conclusa con l’Harem, la parte più gettonata di tutto il palazzo. Questa zona si visita solo con una guida, e sono accessibili solo alcune stanze delle oltre 300 presenti. Pur essendo molto belle e suggestive, quello che affascina di più è conoscerne la storia. L’harem rappresentava la parte del palazzo destinata agli appartamenti privati del Sultano, delle mogli e delle concubine. Il Sultano poteva avere massimo quattro mogli ufficiali e le concubine non potevano essere più di dieci. Oltre al Sultano, le uniche persone di sesso maschile ammesse nell’harem erano medici e insegnanti. La madre del Sultano era la donna più importante dell’harem e aveva potere decisionale nella scelta delle donne che sarebbero diventate le mogli del figlio. Le ragazze ospitate erano circa 300 (rigorosamente straniere) e a loro era insegnata la lingua e la cultura turca, i precetti dell’Islam, musica, pittura, arte del trucco e del comportamento, ricamo e danza. Tra le sale che abbiamo visitato c’era la Sala Imperiale, dove il Sultano si riuniva con le sue donne per dedicarsi ai passatempi preferiti, spesso allietati da musicisti. La madre occupava sempre la posizione centrale. Questa stanza, così come anche la camera da letto, era riscaldata da un sofisticato sistema che passava sotto il pavimento. In altre stanze, invece, era presente un camino. La decorazione della Sala Imperiale è molto suggestiva, le pareti sono ricoperte di piastrelle finemente decorate, nei colori più sgargianti e nelle forme più originali. Una parete è decorata con ceramiche provenienti direttamente dalla celeberrima Delft, coi tipici colori bianco e blu. Gli appartamenti privati del Sultano erano costituiti da tre ambienti distinti: la sala dei massaggi, il guardaroba e il bagno. Pareti dipinte di bianco e rifiniture in oro dei lavabo le contraddistinguono. La Biblioteca di Ahmet I era chiamata anche “gabbia d’oro”. Alle finestre erano (e ci sono ancora) presenti delle inferriate dorate che, colpite dal sole nelle ore centrali del giorno, illuminavano l’interno della stanza di una calda tonalità dorata. L’ultima curiosità di questa stanza riguarda delle piccole vaschette applicate nel vano delle finestre: riempite d’acqua, d’estate servivano da impianto di raffreddamento! Nella Camera Privata di Murat III è visibile un camino finemente decorato, accostato ad una fontana a tre piani, dalla quale facevano zampillare acqua nel momento in cui si svolgevano conversazioni private: in questo modo era impossibile, per chi stava dall’altra parte del muro, udire alcunché. Da qui siamo passati nel Cortile delle Favorite, su cui si affacciavano gli Appartamenti delle Favorite stesse. Nella parte bassa del cortile c’era anche una piscina. Uscendo siamo passati attraverso la Strada dell’Oro: quando il Sultano passava attraverso questo corridoio, un servo gettava monete d’oro alle donne affacciate lungo il percorso.

La meta successiva è stata il Grand Bazaar, che potremmo definire amichevolmente “trappola per turisti”. È una struttura coperta, composta di un labirinto di km di vie, fatta solo di negozi e luoghi per il ristoro. L’entrata principale immette in una via rilucente di botteghe di orafi. Da qui un intrico di vie e viuzze ti fa perdere l’orientamento, intontito come sei dalla moltitudine di suoni/odori/colori che ti avvolgono. In vendita trovi tutti quegli oggetti che fanno perdere la testa ai turisti: sciarpe di ogni foggia e colore, sgargianti abiti per la danza del ventre, piccole lampade dai vetri finemente decorati, amuleti portafortuna, magliette, profumi, ceramiche dipinte, bicchierini per il tè, tessuti per confezionare gli abiti, asciugamani, tovaglie, pantofole dalla forma appuntita e dai colori scintillanti, orecchini e bracciali. I venditori sono appostati fuori e cercano di catturare la tua attenzione, ma non mi sono sembrati troppo invadenti. La parola d’ordine in caso di acquisti è comunque solo e sempre una: CONTRATTARE! E il vantaggio di avere con me una persona del luogo si è rivelato estremamente utile… Altra destinazione tipica è stata la Moschea Blu. Purtroppo l’abbiamo visitata il giorno stesso del mio rientro, e quindi con poco tempo a disposizione. Per arrivarci abbiamo attraversato la zona dell’Ippodromo, dove si possono ammirare l’Obelisco di Teodosio, scolpito in Egitto nel 1450 a.C. E fatto portare a Costantinopoli dall’imperatore bizantino Teodosio nel 390 d.C., e la particolare Colonna Serpentina, un tempo molto più alta e sormontata da tre teste di serpenti. L’esterno della Moschea Blu, a differenza di Aya Sofia, è molto più imponente. Struttura grigia in mattoni, tante piccole cupole e una grande cupola centrale, perimetro segnato da numerosi minareti. Nel cortile interno era allestita una mostra-mercato di libri. Per entrare nella moschea bisogna levarsi le scarpe e le donne devono avere il capo coperto. In caso di bisogno, sono disponibili foulard. La prima cosa che mi ha colpito però, stando sulla soglia, è stato il tanfo… L’interno è molto imponente, finemente decorato, ma sinceramente non ho avuto l’impressione che fosse nei toni del blu (come il nome suggerisce): siamo entrate durante il momento della preghiera e non ci siamo attardate più di tanto. Se avessi avuto più tempo, sicuramente avrei apprezzato maggiormente le decorazioni parietali, gli enormi lampadari, le finestre policrome… Esternamente, sui lati, ci sono delle piccole fontane nelle quali gli uomini si lavano testa, mani e piedi come simbolo di purificazione prima di entrare.

Ho inoltre visitato la zona di Ortaköy con omonima moschea. Questa mi è piaciuta particolarmente: l’interno era molto luminoso, sui toni del bianco e verde, con enormi lampadari in cristallo e dalle finestre si scorge il mare. Si affaccia, infatti, sul Bosforo e alle sue spalle si può ammirare il maestoso ponte che collega la Istanbul europea con quella asiatica. Uno scenario davvero affascinante.

Un’altra zona che ho visitato è stata quella di Taksim. Dall’omonima piazza parte una via commerciale sulla quale si affacciano negozi, pasticcerie, alberghi, agenzie varie. La strada è un fiume di gente che cammina in ogni direzione, travolgendoti incurante. L’ultima parte di questo lungo racconto la dedicherei all’aspetto culinario… La famiglia mi ha fatto assaggiare diverse specialità turche, tra le quali: mercimek çorbasi (una zuppa di lenticchie – delicata), köfte (polpettine di carne, dal sapore leggermente speziato – molto gustose), karnıyarık ve pilav (carne tritata mescolata a verdure e melanzane, accompagnata da riso bianco – buona), yaprak dolmasi (foglie di vite bollite e ripiene di riso, erbette, pinoli e mirtilli – sapore delicato, ma non di mio gusto), su böregi (pasta sfoglia ripiena di formaggio e prezzemolo – molto buona), döner kebap (carne di agnello servita con purè, verdure bollite, riso bianco con mirtilli – deliziosa). E questo riguardava il salato… Per la parte dolce, oltre ai tradizionali lokum (cubetti di gelatina con ripieno di pistacchi, arancia, mandorla, acqua di rose e tanto altro ancora – sì Marco, te ne ho portato una scatola bella colma!!!), ho assaggiato i kemalpaşa tatlisi (dei dolcetti morbidi, fatti con farina e zucchero e retrogusto al latte, dorati e molto sugosi – sublimi, ma troppo dolci per il mio palato) e baklava (dei dolcetti di pasta sfoglia con uno strato di ripieno che può essere di noci, pistacchi o arachidi, e avvolti da uno strato appiccicoso di miele – anche questi molto dolci, ma indubbiamente guduriosi). Lungo le strade, poi, è tutto un susseguirsi di negozi di alimentari: pasticcerie, rivendite di kebap e panettieri. Il pane turco è qualcosa di veramente paradisiaco: lo trovi di varie forme e dimensioni, semplice o con sesamo e semi di papavero, soffice e dal profumo inebriante, che si spande per le vie e arriva fino a te, impossessandosi delle tue narici e stimolando l’appetito. Non importa se hai appena finito di mangiare. Decisamente visitare Istanbul è un attentato bello e buono alla linea! Buona visita e… Buon appetito!!! Luciana



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