Istambul: un pezzetto di cuore è rimasto lì

Quell’anno si partì in tre per l’inter-rail, destinazione: Grecia, Turchia, Paesi dell’Est e poi chissà. Da Roma si parte di notte per Bari, di lì coincidenza per Brindisi e quindi traghetto per Patrasso. Io amo la Grecia, ma Patrasso… Mamma mia! Comunque, una volta sbarcati, scarpinata con 40 e rotti gradi sulla...
istambul: un pezzetto di cuore è rimasto lì
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
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Quell’anno si partì in tre per l’inter-rail, destinazione: Grecia, Turchia, Paesi dell’Est e poi chissà. Da Roma si parte di notte per Bari, di lì coincidenza per Brindisi e quindi traghetto per Patrasso. Io amo la Grecia, ma Patrasso… Mamma mia! Comunque, una volta sbarcati, scarpinata con 40 e rotti gradi sulla testa, zainoni pesantissimi in spalla alla volta della stazione per prendere il treno per Atene. L’avete mai vista la stazione di Patrasso? È orrenda! Ma noi siamo giovani e forti, ‘ste cose non ci scandalizzano. Con 4 ore di ritardo (passate anch’esse sotto il sole), arriva il treno. Saliamo e ci sistemiamo in una carrozza insieme a un gruppo di ragazzi di Napoli. Le circa 12 ore di treno fino ad Atene le passiamo raccontando barzellette e traducendo nei rispettivi dialetti modi di dire e parolacce. Ad Atene ci sistemiamo in un albergo sfigato dove siamo stati condotti da un ragazzo che ci ha accalappiati sin da sopra al treno. È l’una di notte e crolliamo esausti. Stiamo un giorno solo ad Atene, la sera partiamo per Salonicco. Anche la visita a Salonicco dura solo un giorno. La sera arriviamo alla stazione e aspettiamo il treno al binario. Vicino a noi ci sono 3 ragazzi milanesi che s’intrattengono affabilmente con una tipa francese. Ci scambiamo un po’ di convenevoli, poi il Campanile s’insinua nelle nostre giovani menti e dopo la risposta «Da Roma» alla loro domanda «Da dove venite?», si crea un po’ di gelo. Ma chi se ne importa, fate pure i lumaconi con la francese, noi facciamo a meno di voi! Arriva il treno. O meglio, arriva la latrina! Non ho mai visto una cosa più lurida del treno Salonicco-Istambul. Tutto è impolverato, ovunque c’è un dito di unto, coperto da polvere. I sedili sono di stoffa, la quale stoffa è totalmente impregnata di qualcosa di appiccicoso: sudore e umori vari, un vero schifo. Ovunque ti appoggi, ti sporchi. Ho preso ad usare i fresh and clean, ma appena mi appoggio da qualche parte, mi riempio di nuovo di sporcizia. La prendo con filosofia e smetto di pulirmi. Il caldo e l’afa ci accompagnano fino al tramonto. A tarda sera si arriva alla frontiera con la Turchia. Il treno si ferma. Salgono i militari Greci che ci controllarono i passaporti con fare scortesissimo e incazzato. Dopo parecchio, il treno riparte. Si passa il confine. Attraversiamo quello che mi sembra un ponte, nel buio della notte. Si vedono i militari schierati lungo il treno, coi mitra spianati. Che impressione! Il treno si riferma. Tutti giù. Ora siamo schierati in riga all’esterno dell’edificio della dogana turca, uno accanto all’altro, coi militari turchi che ci passeggiano davanti. È tutto buio. Ci fanno entrare a gruppi divisi per nazionalità, ci chiedono i passaporti, ci chiedono 5$ per il visto e ci ridanno il passaporto. Una volta ottenuto il visto dobbiamo risalire sul treno. Prima che il treno riparta ci vuole più di un’ora. Quando il treno riparte i miei amici si accucciano nel sudiciume dello scompartimento e si addormentano. Io esco a fumare e incontro di nuovo i ragazzi di Milano, sempre attaccati alla tipa francese ed al suo amico, chiacchieriamo un po’. Passiamo qualche tempo a parlare di lingue, dialetti, modo di dire e parolacce (argomento gettonatissimo quell’estate). Poi ci si chiede se in Turchia le pene per chi fuma hashish siano così severe come nel film “Fuga di mezzanotte”. Oh cacchio, ma che i Milanesi hanno il fumo con sé? Se hanno passato indenni al controllo dei cani poliziotto alla dogana, forse no. Infatti no, vogliono, semmai, comprarne un po’ lì. Comunque si fa tardi, meglio dormire. E mi corico.

È l’alba, in treno fa freddo, il cielo è grigissimo. Sono tutto appiccicoso. Non voglio neanche immaginare di che tipo di materiale organico sono ricoperto: sicuramente di polvere. Ho assunto un colorito marrone-beige, tipo il colore delle giacche “coloniali”. Mi pulisco il viso con una salviettina profumata, mi preparo un nescafè, esco nel corridoio e mi fumo una sigaretta. Tutto intorno è silenzioso, tutti dormono; il treno passa vicino a casette cubiche di colore azzurro cielo o rosa confetto: sembrano le casette dei Lego. Poi si vedono case di legno, tutte diroccate. Vedo i primi Turchi che vanno al lavoro, che escono dalle loro baracche o case cubiche e s’incamminano. Un ferroviere entra nel corridoio della mia carrozza e strilla «Ügnagnà hahüllüllü uh Istànbul!», lo guardo un po’ interdetto e lui mi riguarda negli occhi e mi fa: «Ügnagnà hahüllüllü uh Istànbul!!!!». Ah, ora è più chiaro! Grazie! Evidentemente stavamo arrivando ad Istambul; sveglio i miei amici e ci prepariamo.

Arrivati in stazione, andiamo all’ufficio di cambio. Io do 100.000 lire al cambista e lui mi dà un milione e rotti di lire turche: che ficata, sono milionario!!! Salutiamo i ragazzi di Milano: loro vanno a dormire presso certi Salesiani che hanno un convento ad Istambul, noi tre cerchiamo un alberghetto. Appena usciamo dalla stazione abbiamo la prima vera idea della Turchia. C’è il mare, si vedono un po’ di barche, le case un po’ malconce, la gente che passa. Sono circa le 8 del mattino e il cielo è plumbeo. Ci muoviamo verso la Santa Sofia per trovare un albergo. Inizia il diluvio. Una pioggia fortissima c’investe. Percorriamo la strada in salita e vediamo un hotel. Entriamo e chiediamo il prezzo: circa 40 dollari al cambio: troppi. Fuori piove a dirotto, siamo stanchi, sporchi e puzzolenti «Non conoscete un albergo che costa un po’ meno?», il portiere non ci risponde, chiama un ragazzo «Üblablà hagörö üg!» o cose simili, il ragazzo ci fa: «Seguitemi!». Oddio! Dove ci porta? Inizia a camminare. Ha spiovuto. Gira e gira, noi con gli zainoni seguiamo il ragazzo. Entra in una viuzza, poi svolta per una via ancóra più uzza. Ci assale un fetore fastidioso, tipo di carne marcita. «Mamma mia!». Il ragazzo entra in un alberghetto. Costa 15 dollari, accettiamo. Ci dànno la stanza, ci facciamo una doccia ristoratrice che monda tutte le lordure del treno e ci addormentiamo come tre pere cotte.

Ho messo la sveglia per Mezzogiorno e lei puntualmente suona. Ci svegiamo più rinko che mai. Anche lo stomacuccio santo reclama la sua parte, orsù ragazzi, alziamo le terga e andiamo a scoprire Istambul e mettiamo qualcosa sotto i denti. Usciamo, la puzza non c’era più; percorriamo la straduccia, giriamo a sinistra e imbocchiamo la stradina, giriamo a destra sullo stradone e arriviamo davanti alla Santa Sofia. Che bello. È tutto diverso ora: il sole splende, ma non arrostisce, la pioggia ha pulito l’aria e le strade, la gente va e viene, gli uccellini cantano sugli alberi, i fiori delle aiuole sono belli e vividi. Cavolo che bella che è Istambul! Lo sguardo arriva fino alla Moschea Blu, alta, bianca, imponente. Ho ancóra l’immagine davanti agli occhi e ancóra oggi mi emoziona. Pranziamo in un ristorantino niente male. Ceci col pomodoro, timballo di verdure, bürek al formaggio (tipo involtini primavera) e baklavà, dolci di pasta sfoglia con pistacchi e miele. Caffè turco, sigaretta e iniziamo il giro turistico. Davanti alla Moschea blu ci sono parecchi venditori ambulanti di souvenir; mi compro un fez: 50.000 lire turche (5.000 lire italiane – 2,58 €). Il fez l’ho portato per tutto il resto del viaggio in un sacchetto appeso allo zaino. È tornato a Roma che sembrava un hamburger. Ora giace in coma su una mensola in camera mia, tutto masticato.

La moschea blu è bella parecchio all’interno. Bella la sensazione di camminare scalzi sui tappeti. Il resto della giornata lo passiamo in giro per il porto. Un viavai incredibile, i vaporetti che vanno e vengono, i pescatori che vendono le cozze col limone sulle banchine. Al tramonto siamo sul ponte Galata: da lì guardiamo Istambul. Il sole rosso che scompare dietro ai palazzi, alle moschee, i gabbiani che sfrecciano nel cielo rosso e blu, l’arietta fresca del tramonto: bellissimo. Mangiamo in un bar, ci prendiamo una pizza turca e facciamo amicizia col barista. È un ragazzo che ha creato tutto da solo il suo ristorantino. Sta in una via piccolina, ha i tavolini fuori sulla strada, la cucina sta al secondo piano di una casa stretta stretta; lui è simpaticissimo, ha un foglietto con le frasi scritte in tante lingue, per parlare coi turisti nella lingua loro, e ci chiede di insegnargli qualcosa in italiano. Si fa tardi, salutiamo e torniamo a dormire. Il giorno dopo visitiamo la Santa Sofia, la Cisterna Yerebatan e passeggiamo per le vie limitrofe. Vicino alla S. Sofia c’è un parco, andiamo a vederlo. Facciamo la fila per il biglietto. Il bigliettaio mi chiede se siamo cristiani. Gli dico di sì e lui mi dà il biglietto scontato. Il perché non l’ho mai saputo. Nel parco c’è un piccolo zoo e tra gli animali c’è un maiale: il maiale più fortunato del mondo, in Turchia non finirà mai cucinato! Ci sediamo ad un tavolino e ordiniamo da bere. Accanto a noi c’è una ragazza molto appariscente con due ragazzi. Scattano i commenti. Capirai, siamo in Turchia, loro parlano turco, i commenti sono in romanesco stretto, chi ci capisce? Lei ci capisce! Si gira e ringrazia dei complimenti… ha studiato belle arti a Roma! Grandioso! Gli amici suoi molto turchi e molto grossi non avevano capìto, ma noi alziamo i tacchi lo stesso! Il pomeriggio passa a zonzo per l’Urdu Caddesi, una grossa via commerciale. La sera ceniamo in uno di quei ristoranti caratteristici fatti per i turisti, dove bevo per la prima volta l’ayran, il latte rancido. Dopo cena si va al baretto dell’amico turco della sera prima e si va a dormire, lì ci passeremo tutte le sere. L’indomani tocca andare al consolato Rumeno a chiedere il visto. Dove sta il consolato rumeno? Boh, chiediamo alla polizia turistica, c’è un commissariato proprio vicino all’albergo. Come entriamo vediamo una gabbia, tipo zoo, con dentro 3 signori buttati in terra. Oh Madonna santa!!! Mi riviene in mente “Fuga di mezzanotte”, passiamo oltre ed entriamo in una stanza con 4 scrivanie, con le lingue parlate dai poliziotti che ci lavorano: mi avvicino e chiedo informazioni. Ci dicono dov’è il consolato. Prendiamo il taxi e lo raggiungiamo, dall’altra parte della città. Al consolato ci fanno fare le pratiche e ci dicono di aspettare. Mentre aspettiamo qualcuno ci fa domande sull’Italia, tra cui «Come sta il Papa?», e che ne so io come sta il Papa!!! Non è che lo vedo tutti i giorni! In Irlanda più di una persona c’ha chiesto di salutarlo, e pure i Rumeni lì a Istambul volevano sapere di lui… bah! Luoghi comuni! Al ritorno ci facciamo portare dal tassista al Gran Bazar, e lui si fa pure un paio di strade contro mano per farci arrivare il più possibile vicini: che gentile! Il pomeriggio incontriamo i tre ragazzi di Milano con la francese al séguito. Ci raccontano dei loro Salesiani, di un ragazzo che nella Moschea Blu ha fatto una “proposta indecente” ad uno di loro, di un quartiere malfamato in cui hanno cercato di comprare un po’ di fumo. Andiamo a cena e poi in una sala da tè a fumare il narghilè. Noi ce ne siamo presi uno in 7, ma i Turchi se ne fumano uno per uno… fumano davvero come Turchi! I giorni successivi li passiamo girovagando un po’ qua e un po’ là. Prendiamo il traghetto per Üsküdar, un quartiere nella parte asiatica della città. La traversata del Bosforo ha un che di magico.

Ad Istambul abbiamo avuto incontri strani, con la polizia che ci ha cacciato in malo modo da un praticello su cui ci siamo appisolati, con un lustrascarpe che ci spiegava che per capire se uno è Italiano o Turco, basta parlare in turco, se non ottiene risposta, vuol dire che la persona è Italiana (dice che è un metodo matematico, non si scappa!), con un venditore di cartoline che quando gli ho detto che sono italiano ha tirato fuori lo scudetto del Milan e ha cominciato a fare «Alé oho!», vagli a spiegare che io col Milan ho poco a che vedere.

I Turchi, gente cortese, affabile, gentile e ospitale. Tutti quelli che incontro sono così, gente semplice e di cuore.

Ma l’esperienza più bella ce l’ho alle 5 di un pomeriggio. I miei amici dormono, io salgo sulla terrazza dell’hotel a scrivere le cartoline. Ad un certo punto sento un urlo «Uààààààà!», al quale segue un altro «Uààààààà!» e poi più lontano ancóra «Uààààààà!». Sono i muezin che dai minareti delle moschee chiamano i fedeli alla preghiera. Tutta l’aria è piena delle melodie dei muezin. La cantilena dura un quarto d’ora circa. Sono rimasto completamente rapito da questo canto. Almeno per 3 volte al giorno mi càpita di sentire i muezin mentre sono sveglio, ma ora sto sul terrazzo, con la brezza del pomeriggio che mi sfiora, con la vista della Moschea blu e di S. Sofia proprio davanti agli occhi, di fianco si vede il Bosforo coi suoi traghetti: non lo so, è un’esperienza unica. Alla fine uno per uno i muezzin smettono, finché anche l’ultimo non dice «Uuuuuàm!» o quello che in realtà è, e torna tutto silenzioso, si sentono solo i gabbiani.

Ho lasciato un pezzo di cuore a Istambul.



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