Una giornata all’isola della Giudecca-Venezia

La Giudecca: un’isola visitata non da molti turisti e dove i suoi abitanti scambiano, magari da una finestra all’altra, due “ciacole” in serenità.
È mercoledì mattina e decido di trascorrere la giornata non a Venezia che amo, bensì nella dirimpettaia isola della Giudecca, dove attualmente i flussi turistici sono molto rari (come a Venezia e in tante altre parti del mondo), motivo dovuto anche alla pandemia che ci ha colpito in questi ultimi due anni e che non vuole andarsene.
La giornata è fredda, il cielo è terso, il sole comincia a scaldare e, quindi, ci sono tutte le caratteristiche per andare su quest’isola, detta anche la Spinalonga per via della sua conformazione a spina di pesce.
Uscito dalla stazione ferroviaria, scendo gli ampi grandini e arrivo al botteghino dell’azienda di navigazione (ACTV) dove vendono i biglietti. Acquisto il ticket andata e ritorno (3€ con cartavenezia, altrimenti 15 euro) e poco dopo arriva il vaporetto n. 4.1 proveniente da Murano.
Dentro, mi siedo vicino a due sposini di Napoli che mi chiedono quanto tempo ci vuole per arrivare sull’isola. Hanno prenotato il soggiorno al Mulino Stucky. Gli rispondo che in venti minuti, dopo aver effettuato le fermate di Piazzale Roma, Santa Marta e attraversato il profondo canale dal nome omonimo dove fino a qualche mese fa passavano le grandi navi delle compagnie croceristiche, il vaporetto giunge sull’isola.
La prima fermata è quella di Sacca Fisola e qui mi accingo a scendere. È una piccola isola artificiale, collegata alla Giudecca tramite due ponti con palazzoni di edilizia popolare ben tenuti e i fili della biancheria tirati tra un caseggiato all’altro su cui tanti indumenti sono appesi ad asciugare, giardini e orti messi a dimora, legna per il caminetto accatastata fuori dei portoni e gatti sui davanzali delle finestre che si godono questo tiepido sole.
Lascio Sacca Fisola, percorro un pontile e vedo in lontananza il Mulino Stucky, vecchio mulino adibito alla lavorazione del grano sorto a fine dell’ottocento fino al 1960 circa. Ora questa struttura è un hotel di charme da cui i suoi ospiti godono una vista mozzafiato sulla laguna e su tutta la città.
Ritorno indietro e, dopo aver sceso il ponte di Sant’Eufemia, percorro la fondamenta di fianco la chiesa che porta lo stesso nome. Le persone che incontro sono rare, si sente solo il vociare di alcuni pescatori che stanno pulendo le barche ormeggiate nel canale. Un’isola scevra veramente di rumori.
Arrivo alla fine del percorso e vedo in lontananza l’inizio della laguna dove alcune barche stanno uscendo al largo. Entro in un portone aperto e trovo un chiostro con una vera da pozzo al centro e un portico tutto intorno, sorretto da bianche colonne. Torno indietro e passo sotto ad una tettoia in legno sostenuta da pilastri in mattoni rossi lasciati appositamente scoperti, perché, chissà, risalenti a quale epoca.
La chiesa di Sant’Eufemia, risalente al IX secolo, con affaccio sul rio omonimo e non sul canale della Giudecca come le altre, è forse il luogo di culto più antico di Venezia. Purtroppo, non posso visitarla perché chiusa, ma, nonostante questo, l’esterno è a dir poco incantevole. Ammirevole il porticato con colonne in stile dorico e il tozzo campanile.