Islanda: anima di ghiaccio e cuore di fuoco
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(by Luca, Sabrina, Federico e Leonardo)
SABATO 12 AGOSTO
Dopo una settimana infernale, durante la quale nella nostra città si sono superati i 43 gradi di temperatura, siamo in partenza per questo viaggio, da lungo tempo desiderato, nel quale l’ultimo dei pensieri, crediamo, sarà il caldo. Andremo infatti in Islanda, paese al limite del circolo polare artico, esteso poco più di 100.000 chilometri quadrati (circa un terzo dell’Italia), che con circa 300.000 abitanti risulta, per densità, uno dei meno popolosi d’Europa. Dal suo canto però dovrebbe offrire un altissimo tasso di bellezze naturali, essendo uno dei luoghi con la più marcata attività vulcanica e geotermica al mondo.
Due minuti dopo le due del pomeriggio prendiamo il via da casa e un quarto d’ora più tardi imbocchiamo l’autostrada A14 a Faenza … autostrada che oggi porta un traffico piuttosto intenso, tanto che, con un po’ di apprensione, affrontiamo anche qualche rallentamento.
Dopo circa un’ora arriviamo però, senza problemi, al parcheggio P4 dell’Aeroporto Marconi, dove lasciamo in deposito la nostra auto, quindi con la navetta raggiungiamo la zona delle partenze e dopo una breve coda imbarchiamo i bagagli direttamente per l’aeroporto di Keflavík, in Islanda, mentre noi faremo scalo a Düsseldorf, in Germania.
Oltrepassiamo i controlli di sicurezza e poi ci accomodiamo in attesa dell’imbarco alla porta 11 … così, poco più tardi varchiamo il gate e mettiamo piede sull’aeromobile ad elica Dash8-Q400 della compagnia Air Berlin, che, identificato come volo AB 8687, alle 17:50 stacca da terra virando subito verso nord.
Sorvoliamo la Pianura Padana e salutiamo l’italica canicola avventurandoci su di un mare di nuvole che ricopre l’intero arco alpino … Nuvole che ci accompagnano per l’intero tragitto, tanto che rivediamo terra praticamente solo quando atterriamo, alle 19:34, nell’aeroporto di Düsseldorf.
Appena sbarcati seguiamo un percorso ben segnalato e in breve ci troviamo in attesa del volo successivo alla porta B53.
I tempi si prolungano un po’ più del dovuto, ma alle 22:07 l’Airbus A320 dell’Air Berlin (volo AB 3928) rulla sulla pista teutonica e gira subito la prua verso l’Islanda. Nel mentre è calata la notte, ma prima di tutto sposto le lancette dell’orologio due ore indietro sul fuso di arrivo, poi, man mano che passa il tempo l’oscurità non avanza, anzi, il cielo torna a schiarirsi e già questo è un aspetto incredibile della terra verso la quale siamo diretti.
In questo modo atterriamo, felicemente, nell’aeroporto di Keflavík alle 23:07 locali, quando siamo nuovamente prossimi al tramonto e lì impieghiamo un po’ a ritirare i bagagli, che però, per fortuna, arrivano tutti. Poi usciamo ben coperti, al fresco della breve notte nordica, e ci mettiamo alla ricerca della navetta del B & B Keflairport, che dovrebbe portarci alla Mycar, autonoleggio presso il quale ritirare l’auto prenotata, ma non la troviamo, così decidiamo di prendere un taxi, che di lì a poco ci fa arrivare a destinazione, proprio mentre scocca la mezzanotte ed è …
DOMENICA 13 AGOSTO
Alla Mycar ci consegnano una nuovissima 4×4 Toyota Rav 4 bianca (ha solo 65 chilometri), targata MN R92, e con quella partiamo subito in direzione del paese di Grindavík, distante una ventina di chilometri. Con l’aiuto del navigatore troviamo così la Anita’s Guest House, dove erano al corrente del nostro arrivo tardivo e ci stavano aspettando, e dove passeremo le prime due notti (scarse) del viaggio … In questo modo, poco dopo l’una, possiamo finalmente concederci qualche ora di sonno.
Il riposo però è breve perché poco dopo le 7:00 suona la sveglia per dare il via, ufficialmente, alla visita dell’Islanda.
Consumiamo la nostra colazione autogestita e successivamente prendiamo a seguire la strada numero 425 che corre in fregio alla costa meridionale della penisola di Reykjanes, per girare a sinistra, dopo una manciata di chilometri, lungo un breve sterrato che ci porta all’area geotermale di Gunnuhver, mentre grazie al cielo splende un bel sole.
L’area di Gunnuhver è una delle più attive del paese e deve il suo nome alla presunta strega Gunna, che nel XVIII secolo fu attirata con un sortilegio nel luogo e fatta precipitare nel fango e nell’acqua bollente. In effetti sembra di arrivare alle porte degl’inferi e lo spettacolo è superlativo lungo il sentiero che porta al principale cratere, con grandi fumarole e il terreno tutto attorno colorato con sfumature di bianco, giallo e rosso.
Alcune passerelle si avventurano nell’area ed offrono scorci davvero eccitanti, su di un cielo più terso che mai … e se il buon giorno si vede dal mattino sono veramente portato a credere che questo viaggio sarà indimenticabile!
Esplorata l’area di Gunnuhver riprendiamo strada, ma subito facciamo un’altra deviazione seguendo la carrareccia che porta al faro di Reykjanesviti, il più antico d’Islanda, risalente al 1878, che domina un bel tratto di costa caratterizzato da intriganti scogliere. Riguadagnato l’asfalto continuiamo per una manciata di chilometri lungo la strada 425 fino a giungere nel sito di Midlina, laddove una enorme spaccatura del terreno altro non è che il punto di incontro fra le zolle tettoniche europea e nord-americana … il luogo però è tutt’altro che banale, infatti il piccolo canyon è attraversato dal cosiddetto “Ponte fra due continenti” e a pensare quali forze della natura ci siano dietro di esso mette letteralmente i brividi. Consumata con successo anche questa esperienza puntiamo il navigatore direttamente su Reykjavík, capitale dell’incredibile paese che ci stiamo accingendo ad esplorare, che con i suoi 120.000 abitanti ospita oltre un terzo dell’intera popolazione dello stato.
Ci fermiamo a fare qualche provvidenziale spesa in un discount e intorno a mezzogiorno arriviamo nel parcheggio adiacente il Vecchio Porto di Reykjavík. Così facciamo una breve passeggiata sul molo, fiancheggiato da storici edifici sapientemente restaurati, e poi pranziamo con i nostri panini, mentre il sole continua a splendere fiero sulla nostra testa.
Rifocillati a dovere c’incamminiamo quindi verso l’Harpa: strabiliante e modernissima costruzione rivestita di vetri convessi, inaugurata nel 2011, che si specchia sulle acque del prospiciente porto e contiene la sala concerti della capitale. Da lì ci avventuriamo poi nel piccolo centro storico di Reykjavík, dove si trovano il palazzo dell’Alþingi, ovvero il parlamento islandese, e a breve distanza, sulle rive del lago Tjörnin, il Raðhús, moderno edificio che ospita il municipio.
Passeggiando per le vie centrali, fiancheggiate da qualche caratteristico edificio in legno, torniamo all’auto e con quella ci spostiamo a vedere, a qualche isolato di distanza, anche la Hallgrimskirkja, grande e moderna chiesa, oggi particolarmente appariscente, col suo bianco candido che si staglia sul blu intenso del cielo, costruita negli anni centrali del secolo scorso su progetto dell’architetto Guðjón Samúelsson, che non visse abbastanza a lungo per vederla completata, nel 1983. Ultimata in questo modo la visita alla capitale, intorno alle 3:00 del pomeriggio, ce ne andiamo verso sud lungo la strada numero 42, che attraversa la penisola di Reykjanes e passa accanto all’interessante lago Kleifarvatn, circondato da severi paesaggi vulcanici. In questo modo arriviamo all’area geotermale di Krýsuvík, nella quale risaltano le sorgenti solforose e gorgoglianti di Seltún, mentre il cielo si va rapidamente annuvolando. Da un comodo parcheggio partono alcune passerelle in legno che portano a camminare tra fosse fangose e svariate fumarole, questo perché la temperatura nell’immediato sottosuolo arriva a duecento gradi e l’acqua bolle quando emerge dal terreno. Un terreno che grazie alla presenza di svariati minerali assume fantasiosi riflessi iridescenti, dando vita ad un paesaggio dall’aspetto dantesco.
Con ancora l’odore dello zolfo nelle narici ci spostiamo poi di un solo chilometro al laghetto vulcanico di Grænavatn, dalle acque insolitamente verdazzurre, causa la presenza di minerali e alghe termofile. La strada 42 poco più avanti incrocia la 427, che corre lungo il bordo meridionale della penisola di Reykjanes. Da qui un impervio sterrato porta alla spettacolare tratto di costa di Krýsuvíkurberg, dove imponenti scogliere nere si ergono davanti agli impetuosi flutti dell’Oceano Atlantico. Scattiamo qualche doverosa foto, purtroppo non coadiuvati dalla presenza del sole, e poi riguadagniamo la strada asfaltata, che percorriamo fino a Grindavík, chiudendo in pratica l’anello di questa prima tappa … ma non la tappa stessa, perché manca ancora, forse, la parte migliore. Ad una manciata di chilometri da qui si trova infatti la Bláa Lónið, la famosissima Laguna Blu islandese, che è un po’ il simbolo, turisticamente parlando, del paese. È un laghetto, magnificamente incastonato in un nero campo di lava, formato da acqua geotermale, azzurra e lattiginosa, proveniente dalla vicina centrale di Svartsengi, nella quale ci si può bagnare, visti i 38 gradi di temperatura, oziando per tutto il tempo.
Il luogo, naturalmente, è sempre affollato, ma noi abbiamo una prenotazione per le 18:00 e ci presentiamo con un po’ di anticipo, mentre il meteo non ci viene incontro e comincia anche a piovigginare … Non ci curiamo però tanto della cosa e corriamo subito in acqua a goderci un paio d’ore belle e rilassanti. Il tempo però vola nella Laguna Blu e ben presto dobbiamo fare ritorno all’Anita’s Guest House per concludere la prima magnifica giornata islandese con una spartana cena, consumata nell’accogliente cucina della struttura turistica.
LUNEDÌ 14 AGOSTO
Partiamo, con tutti i bagagli al seguito, dall’Anita’s Guest House per la prima vera tappa itinerante del viaggio, una tappa anche piuttosto impegnativa. Prendiamo il via verso l’est della penisola di Reykjanes con qualche sprazzo di cielo sereno sulla testa, ma andiamo incontro a grossi nuvoloni e ben presto comincia a piovere. Arriviamo così sulla Hringvegur, la strada numero 1, che fa tutto il giro dell’isola, e ne percorriamo un breve tratto verso oriente, poi prendiamo la via dell’interno sulla strada numero 35. Dopo un’altra manciata di chilometri giungiamo infine nel parcheggio prospiciente l’antico cratere vulcanico di Kerið, primo punto di interesse odierno, mentre continua a piovere con una certa insistenza. Indossiamo così per la prima volta le mantelle antipioggia ed equipaggiati a dovere paghiamo il biglietto d’ingresso (cosa rara in Islanda) e ci avviamo verso la sommità del cratere di Kerið, che, formatosi circa 6.500 anni fa, ha un’ampiezza che varia dai 170 ai 270 metri ed una profondità di 55, con all’interno un azzurro laghetto. Le sue pareti sono poi formate da roccia vulcanica rossastra, tappezzate di verdissima vegetazione. Un bel quadro d’insieme, nonostante la giornata grigia. Affrontiamo tutto il giro del bordo del cratere, assaporandolo dalle più svariate angolazioni, e poi facciamo ritorno all’auto per riprendere l’itinerario.
Continuiamo sulla strada numero 35… e dopo 35 chilometri arriviamo alla cascata di Faxafoss, un salto di sette metri, largo ottanta, formato dal fiume Tungufljót. Nulla di speciale, ma gli diamo un’occhiata non essendoci costato strada in più per raggiungerlo. Unica nota positiva la pioggia, che per il momento ha smesso di scendere.
Dopo percorriamo, come scorciatoia, un breve sterrato, che ci fa rientrare sulla strada numero 35 a pochi chilometri dal parcheggio presso la grande e famosa cascata di Gullfoss, prima irrinunciabile sosta lungo il cosiddetto Circolo d’Oro (noto percorso turistico che si dipana nei dintorni della capitale). Il meteo non è proprio eccezionale, ma comunque possiamo ammirare lo spettacolo delle fragorose acque del fiume Hvitá, che si gettano con un doppio salto di 32 metri in uno stretto canyon formando la cascata di Gullfoss (la cascata d’oro), forse la più famosa d’Islanda. È davvero impressionante la quantità di vapore acqueo che si sprigiona dalle tumultuose rapide … e pensare che agli inizi del Novecento una società era intenzionata all’acquisto della cascata per costruirvi una diga ed una centrale idroelettrica, ma poi vi rinunciò, grazie anche all’impegno di una coraggiosa contadina locale, che si oppose allo scempio, minacciando persino di gettarsi nelle acque di Gullfoss. Dopo la passeggiata lungo il sentiero che si dipana, con superbe viste, sul bordo della cascata torniamo all’auto e subito ripartiamo, perché siamo già in ritardo sulla tabella di marcia. In questo modo arriviamo per mezzogiorno nella località di Geysir con l’intenzione di visitare la sua nota area geotermale. Visto l’orario prima pranziamo e poi ci dedichiamo all’esplorazione della zona, a cominciare da alcune ribollenti pozze di fango per arrivare poi di fronte allo Strokkur, il più attivo dei geyser d’Islanda, attorniato da tanti turisti che ne attendono l’eruzione… e lui non si fa certo desiderare, perché ogni 5/10 minuti spara il suo potente getto d’acqua fino ad un’altezza di trenta metri… stupefacente!
Proprio accanto si trova invece Geysir, il padre di tutti i geyser, dal quale ne deriva anche il nome comune. È rimasto attivo per circa ottocento anni, alzando colonne d’acqua di oltre cento metri, ma dal 1916, purtroppo, si risveglia solo saltuariamente. Più avanti spiccano invece alcune sorgenti calde, fra le quali quella bellissima di Blesi, formata da due pozze: una di un lattiginoso colore blu e l’altra trasparentissima e dai riflessi cristallini. È da qui, credo, che si assapori il miglior colpo d’occhio dell’area se si ha la pazienza di attendere sullo sfondo delle due pozze un’eruzione dello Strokkur. Arricchiti anche da questa esperienza torniamo ad aggredire il nastro d’asfalto, ma solo per una mancata di chilometri, fin quando, seguendo una deviazione sulla destra non ci mettiamo alla ricerca del sentiero che porta all’interessante cascata di Bruarfoss. Lo troviamo, ma passa dentro ad una proprietà privata con alcuni cartelli che esortano a percorrerlo, allora desistiamo e riprendiamo il nostro programma verso la prossima meta.
In questa maniera, dopo meno di un’ora, giungiamo nell’aera del Parco Nazionale di Þingvellir, che è il sito storico più importante di tutta l’Islanda, nonché un luogo immerso nella sorprendente natura di questa terra ubicata ai confini del mondo. Þingvellir si trova fra le zolle tettoniche europea e nord-americana, così tutta la zona è percorsa da profonde spaccature e fenditure del terreno, e proprio dalle suggestive falle piene di limpida acqua di Flosagjá e Nikulásargjá cominciamo la nostra perlustrazione del parco, per passare poi, nelle vicinanze, alla caratteristica Þingvallakirkja, una delle prime chiese islandesi, risalente al XI secolo, anche se l’attuale struttura è di fattura ottocentesca.
In auto ci spostiamo poi in un’altra zona di Þingvellir dove, con una breve passeggiata, andiamo a vedere la bella cascata di Öxarárfoss, formata dalle acque del fiume Öxará, che si gettano dentro la faglia tettonica con un salto di circa venti metri. Ci troviamo infatti già all’interno della grande spaccatura di Almannagjá, che caratterizza gran parte del luogo. Alla zona più spettacolare della faglia si accedere però da un’ulteriore parte del parco, verso la quale siamo ora diretti. Poco più tardi così, mentre ricomincia a piovere, scendiamo, fra due ali di roccia all’interno dell’Almannagjá e lì camminiamo fino alla storica rupe di Lögberg (la roccia della legge), alla cui base si riuniva, fin dal 930 d.C., l’Alþingi, il primo parlamento democratico del nord Europa. Qui notiamo il punto esatto in cui si teneva annualmente l’assemblea, contrassegnato con la bandiera islandese.
Terminata anche l’impegnativa visita di Þingvellir riprendiamo strada con sollecitudine, visto che ci sono da percorrere ancora 170 chilometri per giungere al termine della tappa.
Arriviamo al mare e alla strada numero 1 praticamente nella periferia settentrionale di Reykjavík e da lì andiamo verso nord lungo la costa. Attraversiamo il profondo Hvalfjörður mediante un tunnel sottomarino (a pagamento) e continuiamo sulla Hringvegur per qualche decina di chilometri, fino a svoltare sulla sinistra lungo la strada numero 54, che va verso la penisola di Snæfellsnes.
Ormai in vista del traguardo facciamo però un’altra piccola deviazione, seguendo il breve sterrato che porta alla base di Gerðuberg Cliffs, una strabiliante sequenza di colonne basaltiche, alte fra i 7 e i 14 metri, formatesi in seguito al brusco raffreddamento in mare di un’antica colata lavica. Scattate le doverose foto riprendiamo a macinar chilometri e poco prima delle 20:00 arriviamo nella remota località di Staðarstaður alla Traðir Guesthouse, che ci ospiterà per la notte. Portiamo le valigie in camera, ci informiamo sulla cena e poi, mentre sotto le nuvole, in lontananza, si intravvede la sagoma dello Snæfellsjökull, il ghiacciaio sovrastante il grande vulcano che domina questa regione, scappiamo nuovamente in auto alla vicina spiaggia di Ytri-Tunga, dove pare si possano vedere le foche… e infatti ci sono diversi esemplari, che ci fermiamo per un po’ ad osservare in religioso silenzio. Conclusa così la giornata con la ciliegina sulla torta torniamo alla guesthouse per consumare la cena (non proprio economica, ma non avevamo alternative), poi ce ne andiamo verso la camera osservando gli splendidi colori del cielo ormai prossimo al tramonto … un cielo che speriamo domani possa essere un po’ più clemente.
MARTEDÌ 15 AGOSTO
Il cielo è grigio anche in questa mattina di un Ferragosto non certo infuocato, ma almeno non piove. Partiamo un po’ in ritardo, causa la colazione che non poteva essere consumata prima delle 8:00, e andiamo verso ovest lungo la costa meridionale della penisola di Snæfellsnes, attorniati da intriganti panorami, fra i quali spicca la cascata di Bjarnarfoss, un salto di ottanta metri ben visibile dalla carreggiata. Nei pressi della cascata svoltiamo quindi a sinistra lungo la strada numero 574, che compie il periplo completo della penisola, e dopo pochi chilometri giungiamo al parcheggio dal quale parte la passeggiata che porta a Rauðfeldsgjá, una strettissima gola che scompare fantomaticamente dentro la montagna. Fra verdissimi e singolari panorami giungiamo fino all’ingresso della forra rocciosa. Ne percorriamo un brevissimo tratto, assaporandone le peculiarità, e poi torniamo sui nostri passi. Successivamente arriviamo nella località di Anarstapi, dove si trova un piccolo monumento dedicato a Julies Verne, celebre scrittore considerato fra i padri della fantascienza, che proprio da qui fece idealmente partire il suo “Viaggio al centro della terra”. Poi andiamo in auto fino al porticciolo, caratterizzato tutto intorno da belle conformazioni di basalto, e subito dopo, a piedi, lungo le scogliere a sud dell’abitato dove si trova uno scenografico arco di roccia detto Gatklettur. Qui fra l’altro abbiamo anche occasione di osservare l’aggressività delle sterne artiche, che attaccano senza remore chiunque provi ad insediare il loro territorio.
Lasciata Anarstapi ci spostiamo quindi di pochi chilometri verso occidente fino allo spettacolare tratto di costa di Lóndrangar, caratterizzato da alte scogliere popolate da una ricca avifauna e da due enormi pinnacoli rocciosi (alti 61 e 75 metri) che la tradizione popolare identifica come un tempio degl’elfi.
Dedicato il giusto tempo anche a questo luogo seguiamo poi le indicazioni che ci portano al parcheggio nei pressi della spiaggia di Djúpalónssandur, mentre finalmente torna a farci visita il sole, che accende subito tutti i colori della natura. Qui osserviamo alcune suggestive formazioni rocciose, fra le quali un grande arco, ma soprattutto la desolante distesa di sabbia nera, disseminata ancora dei detriti del motopeschereccio inglese Eding, che vi fece naufragio nel 1948. Dal mare di fronte emergono alcuni faraglioni e all’ingresso della spiaggia si notano ancora oggi le “quattro pietre del sollevamento”, mediante le quali, nei secoli scorsi, veniva provata la forza degli aspiranti marinai: la più piccola si chiama Amloði (incapace) e pesa 23 chili, poi ci sono Hálfdrættingur (debole), che pesa 54 chili, la Hálfsterkur (mediamente forte), che pesa 100 chili, e la più grande Fullsterker (molto forte), con i suoi 154 chili… e per essere considerati abili si doveva sollevare almeno la seconda. Soddisfatti degli eventi riprendiamo strada e, attraversando vasti scenari vulcanici, giungiamo ai piedi del Saxhöll, un piccolo cono di scorie vulcaniche sul quale si può salire con una breve scarpinata. Da lassù il panorama sulle enormi distese laviche di Neshraun è affascinante, anche se mutilato dall’assenza del grande vulcano Snæfells, che se ne rimane costantemente nascosto sotto le nuvole.
Poco più tardi, deviando sulla strada secondaria numero 579 conquistiamo anche l’estrema punta occidentale della penisola di Snæfellsnes, dove si trova la bella spiaggia dorata di Skarðsvík e più avanti, al termine di un accidentato sterrato, le impressionanti e scure scogliere di Svötuloft, caratterizzate da un enorme arco di roccia e sovrastate da un appariscente faro color arancione, il tutto mentre l’ombra riprende il sopravvento sul sole. Riguadagnato il principale nastro d’asfalto cominciamo a risalire la penisola sul suo lato settentrionale e quasi alle 14:00 ci fermiamo a pranzare, con i nostri panini, nell’area di sosta prospicente la celebre cascata di Kirkjufellsfoss.
Dopo affrontiamo la breve passeggiata che si dipana attorno alla cascata, per assaporarne tutti i suoi più noti scorci, sullo sfondo del fotogenico e piramidale picco di Kirkjufell, maestosa montagna che si erge a guardia del Grundarfjörður, quindi partiamo per intraprendere il lungo trasferimento di fine giornata.
Per non fare troppo tardi saltiamo la visita al curioso Shark Museum di Bjarnarhöfn, che si trova nei paraggi, perché avendo scelto di non prendere il traghetto che attraversa il vasto Breiðafjörður dovremo percorrere quasi 300 chilometri di strada, in gran parte sterrata, per giungere a destinazione.
In questo modo risparmiamo un bel gruzzoletto, ma soprattutto abbiamo la possibilità di godere di bellissimi scorci panoramici sull’incredibile serie di fiordi che si susseguono lungo la strada numero 60. Scorci impreziositi dalla presenza del sole e del cielo azzurro, un piccolo anticipo, crediamo, dei fiordi occidentali, che esploreremo domani. Poco prima delle 20:00 giungiamo infine nella minuscola località di Birkimelur, alla Bjarkarholt Guesthouse, dove passeremo la notte. Pranziamo nella cucina della struttura e poi ci ritiriamo in camera a riposare, mettendo la parola fine ad un’intensa ma bella giornata.
MERCOLEDÌ 16 AGOSTO
Partiamo di buon ora dalla guesthouse con il cielo, sopra la nostra testa, che presenta ampi e beneauguranti sprazzi di sereno.
Seguiamo la linea costiera verso ovest sulla strada numero 62, fin quando quest’ultima non di avventura su di un piccolo passo montano, che ci porta ad affacciarci dall’alto sul Patreksfjörður, primo fiordo occidentale della serie, letteralmente invaso da un mare di nuvole basse, che creano un effetto straordinario … nuvole che però vanno a dissolversi rapidamente, mentre scendiamo di quota.
Ci avviamo così lungo la sponda meridionale del fiordo sulla strada 612 e dopo pochissimi chilometri incontriamo, arenato sulla battigia, il relitto arrugginito del peschereccio Garðar, natante a vapore costruito oltre cento anni fa e qui abbandonato nel 1991, che, associato alle nuvole in dissolvenza, conferisce al luogo un aspetto spettrale. Dopo altri quattro chilometri deviamo poi verso l’interno sulla strada sterrata 614, che scavalca le montagne e giunge alla spiaggia di Rauðasandur. L’arrivo dall’alto sul vastissimo arenile, scendendo ripidi e stretti tornanti, è indimenticabile: l’immensa distesa di sabbia rossa si fonde magistralmente col blu dell’oceano in una sorta di abbraccio fra gli elementi, perché il mare penetra sulla terra formando una laguna e lembi di terra si spingono al largo dando vita a sfumature di colore quasi irreali.
Ammaliati dallo spettacolo scendiamo sulla sinistra dell’insenatura, dove si trova uno spartano campeggio, e lì c’incamminiamo sulla spiaggia per giungere fin sulle rive dell’oceano, nel magico silenzio di questo luogo, violato solo dallo sciabordio delle onde. Estasiati torniamo indietro per la stessa via e scavalchiamo nuovamente le montagne, poi continuiamo sulla riva del Patreksfjörður verso occidente. Anche questa strada diventa sterrata e fra grandiosi scenari arriviamo alla bianca spiaggia di Breiðdvík, nella cui solitudine spicca una caratteristica chiesetta, quindi proseguiamo fino al punto più occidentale d’Europa (se si escludono le Isole Azzorre), dove si trovano le strabilianti scogliere di Latrabjarg, le cui altezze variano dai 60 ai 440 metri! Dal parcheggio nei pressi del faro percorriamo a piedi un buon tratto delle falesie, che hanno una verticalità impressionante e offrono scorci davvero mozzafiato. Gli anfratti e le sporgenze delle scogliere sono poi abitati da tanti volatili, ma non riusciamo purtroppo a scorgere nessun esemplare di pulcinella di mare, simpatico uccello che è un po’ il simbolo delle coste islandesi.
A questo punto della giornata torniamo inevitabilmente sui nostri passi lungo tutto il Patreksfjörður, che subito dopo risaliamo sull’altra sponda fino all’omonimo paese, dove, oltre a far spesa e rifornimento, consumiamo anche il nostro pranzo.
Alla ripresa delle ostilità con i tracciati impervi di queste terre superiamo un valico e ci affacciamo sullo stretto Talknafjörður, poi ne superiamo un altro e planiamo, ormai persi in un labirinto di mari e monti, sul paese di Bíldudalur, da dove prendiamo a seguire l’accidentata strada 619, che corre sulla riva meridionale del vasto Arnarfjörður, a detta della guida, forse, il più bel fiordo della regione. Fra innumerevoli saliscendi, alte montagne e lussureggianti valli, la strada bianca 619 costeggia per oltre venti chilometri l’Arnarfjörður, offrendo a tratti scorci entusiasmanti, e arriva nella sperduta località di Selárdalur, dove si trovano alcune curiose costruzioni, opera dell’artista locale Samúel Jónsson, che qui trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Percorso poi a ritroso anche questo tratto di strada fino a Bíldudalur continuiamo a seguire la via principale, che si fa sterrata e sale vertiginosamente per poi calare, nell’infinito caos di acqua e roccia, e ancora risalire, fra vette nelle quali risalta ancora qualche traccia di neve. Infine scendiamo a picco sul Borgarfjörður, in fondo al quale si trova la meravigliosa cascata di Dynjandi. Dynjandi in lingua islandese significa tonante, come l’impeto con cui scende l’acqua sul fianco della montagna creando una serie spettacolare di cascate, fra le quali il magnifico salto principale, che si apre a ventaglio con una larghezza che varia dai trenta ai sessanta metri. A piedi saliamo lungo un ripido sentiero, fino alla base della grande cascata, godendoci appieno il luogo, anche se con il sole un po’ latitante. Terminata l’esplorazione della cascata di Dynjandi sono le 18:30 e dobbiamo percorrere ancora circa cento chilometri per giungere al termine della tappa, quasi la metà dei quali su sterrato. Seguiamo la sponda settentrionale del Borgarfjörður e poi affrontiamo un ardito valico che ci porta ad Dýrafjörður, nell’abitato di Þingeyri, dove ritroviamo l’asfalto. Da lì, ancora attraverso le montagne, ci affacciamo sull’Önundarfjörður, poi una lunga galleria ci porta al paese di Ísafjörður, ubicato su di una diramazione dell’Ísafjarðardjúp, il più vasto dei fiordi occidentali. Da Ísafjörður un’altra manciata di chilometri ci fa arrivare nella località di Súðavík alla Swanfjord Ghuesthouse dove alloggeremo. In questo modo si conclude un’altra positiva giornata e si conclude con una piccola curiosità. Vista la nostra attuale posizione geografica il buio completo proprio non arriva, infatti il cielo a mezzanotte è ancora chiaro a nord-ovest e questo nonostante sia già agosto inoltrato. Incredibile!
GIOVEDÌ 17 AGOSTO
Prende il via oggi la tappa più lunga del viaggio. Ci aspettano infatti oltre seicento chilometri, più che altro di trasferimento, dai fiordi occidentali alla regione centro-settentrionale dell’Islanda.
Prendiamo il via da Súðavíik poco dopo le 8:00 e prima di tutto passiamo dal vicino Centro per la Volpe Artica, istituito per studiare e proteggere quello che è, in pratica, l’unico mammifero terrestre autoctono dell’Islanda. Il centro è ancora chiuso, ma nel recinto adiacente possiamo notare la presenza di almeno due cuccioli. Subito dopo cominciamo a percorrere la strada numero 6, che segue verso sud-est tutte le infinite ramificazioni dell’Ísafjarðardjúp, purtroppo in assenza di un bel sole, ma almeno non piove. Ad un certo punto incontriamo un cartello turistico che indica la possibile presenza di foche nel tratto di mare antistante, allora ci fermiamo. E infatti ci sono, anche numerose, seppure piuttosto distanti dalla riva. Scattiamo qualche foto, assaporando la gradita esperienza fuori programma, e poi proseguiamo. Dopo oltre 150 chilometri dalla partenza usciamo dal grande fiordo, ma per uscire dalla regione e riguadagnare la numero 1 ce ne sono almeno altrettanti. Poco dopo mezzogiorno eccoci finalmente sulla Hringvegur, però ne percorriamo solo una trentina di chilometri in senso orario, quindi deviamo sulla sinistra verso la penisola di Vatnsnes, famosa per le sue colonie di foche. Ci fermiamo a pranzare nel paese di Hvammstangi sotto ad un bel sole e poi, a conferma dell’estrema variabilità del meteo in queste terre, partiamo alla scoperta della penisola di nuovo sotto ad un cielo plumbeo. Seguiamo la strada sterrata 711, che corre lungo la costa, e poco dopo arriviamo ad un punto di osservazione delle foche, ben segnalato. Posteggiamo il nostro mezzo e c’incamminiamo verso la spiaggia, incalzati da un vento gelido che soffia da nord. Giunti però sulla riva restiamo un po’ delusi perché intravvediamo, in lontananza, un solo esemplare. Torniamo allora sui nostri passi e riprendiamo il giro della penisola fino a giungere nel parcheggio presso il gigantesco faraglione di Hvitserkur. Qui lasciamo l’auto e a piedi scendiamo alla spiaggia per osservare da vicino questa conformazione basaltica, che s’innalza per 15 metri a pochi passi dalla battigia. Secondo la tradizione locale sarebbe un troll, sorpreso dai raggi del sole e qui pietrificato per l’eternità, ma in realtà assomiglia più ad un enorme drago che si abbevera in mare. Insomma un bel sipario fatto di natura e mitologia, solo che il faraglione tende al nero ed il cielo al grigio, così la scena non risalta come invece meriterebbe. Nella vicina baia poi si dovrebbero vedere le foche, ma non ce n’è traccia. Così lasciamo la famosa penisola delle foche con una sola bestiola all’attivo. E per fortuna abbiamo potuto godere di altre due precedenti esperienze al di fuori di Vatnsnes. Riguadagnata ancora la numero 1 la percorriamo spediti verso est, poi la abbandoniamo nel villaggio di Varmahlið per andare a nord lungo la 75, mentre torna anche a splendere il sole, che ci permette di fare una buona visita del sito di Glaumbær, dove è stata ben recuperata una tradizionale fattoria di torba, risalente al XVIII secolo. Sempre sul posto si trovano due belle case in legno del secolo successivo e nei pressi della vicina chiesetta un piccolo monumento che ricorda Snorri Þorfinnsson, considerato il primo europeo ad essere nato, nel 1004, nel continente nord-americano, il quale trascorse poi a Glaumbær buona parte della sua vita. Ormai nel tardo pomeriggio affrontiamo la strada numero 76, che s’inoltra lungo la costa della grande penisola di Tröllaskagi, avvolta nelle nubi. Arriviamo così nel remoto paese di Siglufjörður sotto ad una leggera pioggerellina che non entusiasma affatto. Scattiamo comunque qualche foto ai vecchi edifici che ospitano il Museo dell’Aringa, perché Siglufjörður fu capitale della pesca di questo pesce nella prima metà del secolo scorso, quando contava oltre diecimila abitanti … poi le aringhe scomparvero dalle acque locali e l’economia del luogo crollò drasticamente. Un po’ abbattuti per le condizioni meteo, che pare saranno tali anche domani durante la nostra prevista escursione di whale watching, ci avviamo quindi verso il termine della tappa e per mettere il giusto accento sulla situazione, lungo uno dei due tunnel che collegano Sigurfjörður a Ölafsfjörður (dove pernotteremo) ci prendiamo chiaramente anche un velox, i cui frutti vedremo a posteriori. Arriviamo infine al Gistihus Joa, struttura nella quale questa sera saremo ospiti, e portati i bagagli in camera andiamo a cena in un vicino ristorante, dove mangiamo un’onesta pizza, poi ci ritiriamo in camera, mentre fuori continua inesorabilmente a scendere la pioggia.
VENERDÌ 18 AGOSTO
Piove… piove a dirotto a Ölafsfjörður! Ciononostante ci prepariamo per l’escursione di whale watching, prenotata fin da casa, consci del fatto che probabilmente verrà annullata. Facciamo colazione in fretta, carichiamo le valigie in auto e poco dopo le 8:30 siamo già nel vicino paese di Dalvík, all’Artic Sea Tours. Entriamo in ufficio e chiediamo lumi, per sentirci rispondere, con molta sorpresa, che tutto è confermato e che fra poco ci verranno consegnate le tute termiche con le quali affrontare l’escursione. Indossato tutto il necessario e attrezzati a dovere, all’ora prestabilita, usciamo sotto la pioggia battente e ci dirigiamo verso il porto di Dalvík, dove è ormeggiata l’imbarcazione che ci accompagnerà nella nostra avventura: un peschereccio adattato all’uso turistico, senza posti al coperto. Noi però riusciamo a rintanarci a prua in un angolo abbastanza riparato e, un po’ perplessi, in quelle condizioni, prendiamo il largo sull’Eyjafjörður cominciando subito a beccheggiare fra le onde. Dopo circa mezzora di navigazione arriviamo di fronte all’isolotto di Hrisey, dove il mare è più calmo e smette anche di piovere, allora la barca comincia a procedere lentamente, mentre gli addetti sono alla ricerca di un segnale della presenza delle balene. Il silenzio pervade l’ambiente in trepidante attesa, poi un grido dà il via al primo emozionante avvistamento, lo sbuffo, il dorso… e poi l’inconfondibile coda. Bellissimo! Ancora silenzio. E poi un altro avvistamento… e un altro ancora. E anche un quarto, molto ravvicinato, con il grande cetaceo che emerge a pochi metri dal fianco della barca! Dopo aver fatto anche una piccola esperienza con la canna da pesca, compresa la cattura di un grosso merluzzo (sfuggito però all’ultimo istante), affrontiamo il viaggio di rientro. La barca torna a beccheggiare e riprende anche a piovere con insistenza, così arriviamo nel porto di Dalvík bagnati e infreddoliti, ma pienamente soddisfatti dell’esperienza vissuta. Ci rassettiamo un po’ negli ambienti dell’Artic Sea Tours e poi saliamo in auto per riscaldarci e prendere strada in direzione della città di Akureyri, situata in fondo all’Eyjafjörður, dove arriviamo, senza pioggia, ben oltre mezzogiorno. Facciamo spesa e dopo consumiamo il nostro classico pranzo, mentre qualche timido raggio di sole fa capolino da uno squarcio di cielo azzurro, quindi riprendiamo l’itinerario. Seguaimo la Hringvegur verso est, valichiamo un passo sperduto fra le nuvole e poi svoltiamo a destra sulla strada 842 che, piuttosto accidentata, si avventura in direzione dell’interno. Nell’ultimo tratto il tracciato prende il nome di F26 (quindi percorribile solo con mezzi 4×4) e arriva nel parcheggio presso la cascata di Aldeyjarfoss. A piedi andiamo a vedere questa splendida cascata, originata da un salto di venti metri del fiume Skjálfandafljót in un anfiteatro di colonne di basalto. Il corso d’acqua prosegue poi la sua corsa entro una grande e scenografica ansa. Davvero uno spettacolo, peccato solo per il grigiore ed il freddo pungente, che non ci fanno soffermare troppo sul posto. Tornati per lo stesso percorso sterrato alla strada numero 1 ci rechiamo a far visita anche alla famosa cascata di Goðafoss (la cascata degli dei), formata dallo stesso impronunciabile fiume di Aldeyjarfoss. Il salto è solo di 12 metri, ma la sua ampiezza lo rende impetuoso e bellissimo, fra l’altro il luogo è anche indissolubilmente legato alla storia d’Islanda perché si narra che intorno all’anno 1000, quando il suo popolo scelse come religione il cristianesimo, l’allora oratore delle leggi dell’Alþingi (tale Þorgeirr) vi gettò i simulacri degli dei nordici, conferendole in pratica il nome. Vediamo la cascata da entrambi i lati, passeggiando a lungo alla ricerca delle migliori angolazioni, che forse si assaporano maggiormente dalla sponda occidentale, poi ci avviamo verso il termine della tappa. Percorriamo a ritroso tutto il tratto di numero 1 che ci riporta nella città di Akureyri, secondo agglomerato urbano del paese con i suoi ben 18.000 abitanti, e una volta transitati nel minuscolo centro, dove spiccano alcuni caratteristici edifici, oltre alla Akureyrarkirkja, chiesa opera dello stesso architetto di quella di Reykjavík, ci approssimiamo alla Bekkugata 33 Guesthouse, che ci ospiterà per la notte.
In questa maniera concludiamo una giornata dal meteo infame, ma dall’esito comunque positivo.
SABATO 19 AGOSTO
Il cielo è ancora grigio, ma le previsioni dicono che migliorerà.
Partiamo di buon’ora da Akureyri e andiamo lungo la strada numero 1 verso est. In questo modo passiamo nuovamente di fronte alla cascata di Goðafoss, ma le condizioni meteo sono molto simili a quelle di ieri e proseguiamo. A metà mattinata arriviamo così in vista del lago Mývatn, quarto in ordine di grandezza dell’Islanda, attorniato però dai più impressionanti fenomeni vulcanici del paese.
Per prima cosa andiamo a fermarci sulle rive meridionali, nella zona chiamata Skútustaðagigar, dove antichi fenomeni di esplosioni gassose, durante l’ennesimo cataclisma manifestatosi nell’area, hanno dato vita ai cosiddetti pseudocrateri, piccoli coni di scorie vulcaniche attualmente ricoperti da un fitto manto erboso.
Affrontiamo una piacevole passeggiata in riva al lago Mývatn, attorniati da queste bizzarrie geologiche e poi proseguiamo lungo la sua costa meridionale. Così facendo giungiamo nel piccolo promontorio di Höfði, dove un’altra breve scarpinata, attraverso una selva boschiva, ci porta a scoprire alcuni curiosi klasar (pilastri di lava), che punteggiano il litorale emergendo dalle acque del lago.
Ancora una manciata di chilometri e conquistiamo anche il parcheggio presso l’immenso campo lavico di Dimmuborgir, mentre il sole si appresta a vincere la sua battaglia con le nuvole.
Le sorprendenti conformazioni di Dimmuborgir (letteralmente fortezza oscura) si sono formate circa duemila anni fa e alcuni sentieri escursionistici permettono di andare alla loro scoperta. Noi seguiamo il percorso intermedio, lungo 2.300 metri, che ci porta a vedere prima il grande arco di Gatklettur, poi quello stupefacente di Kirkjan, dalle incredibili sembianze di un portale d’ingresso di una chiesa gotica. A Dimmuborgir pranziamo, mentre finalmente si apre sulla nostra testa uno splendido cielo azzurro. Ora le condizioni sono perfette per salire a piedi sul vicino cratere di Hverfell, la cui sagoma quasi perfetta caratterizza fortemente tutta la zona. È un cratere di nera tefrite, formatosi circa 2.700 anni fa durante un’apocalittica eruzione, con un diametro di 1.040 metri ed una profondità di 140. La scalata costa un po’ di fatica, ma ne vale assolutamente la pena: da lassù il panorama è straordinario, con le viste che spaziano sull’aspro paesaggio circostante e sul cratere stesso, solo il freddo, davvero pungente, toglie un po’ di piacere a questa grandiosa esperienza.
Scesi dall’Hverfell proseguiamo brevemente lungo la strada costiera del Mývatn e poi imbocchiamo sulla destra lo sterrato che ci porta di fronte all’impressionante fenditura di Grjótagiá. Qui la nuda roccia è stata letteralmente spaccata in due dalle forze della natura e si è creata una frattura i cui bordi risalgono verso l’alto a forma di V capovolta. All’interno del crepaccio si sono poi formate alcune suggestive grotte, piene di fumante acqua termale, nelle quali è però vietato bagnarsi. Il luogo, veramente singolare, è stato anche scelto per girarvi alcune scene della serie televisiva “Il Trono di Spade”.
Da Grjótagiá riguadagniamo la strada numero 1, che esce dal lago Mývatn verso est e proprio in corrispondenza dell’incrocio ci imbattiamo nell’aera geotermale di Bjarnarflag, molto attiva e sfruttata fin dagli anni sessanta per produrre energia geotermica. Il risultato di questa attività è uno scintillante laghetto turchese, sulle cui rive sbuffa una grossa fumarola. Non tutto quindi è opera di madre natura, ma comunque lo scenario è davvero intrigante. Proseguendo sulla Hringvegur per un breve tratto arriviamo quindi alla più nota area geotermale della regione: quella di Hverir. I colori di questa solfatara sono strabilianti, immersa in un paesaggio aspro e dall’aspetto marziano, con la sua dominante tonalità di ocra, è disseminata di bianche fumarole, pozze di grigio fango bollente, gialle colate sulfuree e mille altre sfumature, il tutto impreziosito dall’azzurro di un cielo disseminato di nuvole che sembrano tanti batuffoli di cotone.
Dopo aver vagato per un po’ nel caleidoscopio di colori di Hverir riprendiamo strada per seguire le indicazioni che portano, in una manciata di chilometri, alla zona vulcanica di Krafla, una delle più attive di tutta l’Islanda, che conta ben 29 eruzioni, le ultime delle quali fra gli anni settanta ed ottanta del secolo scorso.
Prima di tutto incontriamo le enormi tubazioni di una centrale geotermica, dalla quale scaturisce anche un bianco torrente, poi giungiamo in vista del cratere di Viti (che in lingua islandese significa inferno).
Ci affacciamo sull’orlo di questo cupo cono vulcanico dal diametro di circa trecento metri, mentre le nuvole già riprendono il comando dei cieli. Ciò non c’impedisce di esplorare il cratere, che si è formato durante un’eruzione del 1724 e attualmente contiene un azzurro laghetto, responsabile dell’ennesimo, stupefacente scenario di questa terra plasmata dalle primordiali forze della natura.
La zona assai più primordiale di Krafla però si raggiunge con una passeggiata che c’impegna per un paio d’ore e che ci porta al cratere e alla solfatara di Leirhnjúkur. Il posto è davvero sbalorditivo: qui la crosta terreste pare sia particolarmente sottile e si cammina fra nere colate laviche, mentre qua e là, dagli orifizi del terreno, fuoriescono bianche esalazioni… Se gli inferi esistono non devono essere molto diversi da questo luogo!
Con la camminata attraverso le fumanti lande di Leirhnjúkur terminano in pratica le visite odierne, allora torniamo sui nostri passi fino al lago Mývatn e andiamo nel paese di Reykjahlíð all’Hlíd Hostel, dove ci assegnano il cottage che ci ospiterà per due notti.
Sistemate le nostre cose per cena recuperiamo una pizza, che poi consumiamo nella cucina dell’ostello, e subito dopo andiamo a passare la serata ai Mývatn Nature Baths, una piccola laguna blu, ad imitazione di quella più famosa nella quale siamo stati durante il primo giorno in Islanda. A questa però si accede, in costume, dall’esterno e non è proprio una sensazione piacevole, visto che il termometro segna solo 6 gradi … nell’acqua (a 38 gradi) invece si sta divinamente e vi trascorriamo due rilassanti ore, prima di far ritorno al nostro cottage e concludere questa intensa ma indimenticabile giornata.
DOMENICA 20 AGOSTO
Oggi è il giorno della prevista escursione all’Askja, desolatissima ed immensa caldera situata nel cuore dell’Islanda e raggiungibile per mezzo di alcune accidentate piste, inclusi guadi piuttosto impegnativi. Per questo abbiamo deciso di non rischiare e ci siamo affidati ad un tour operator locale.
La sveglia è puntata per le 6:30, visto che un’ora più tardi dobbiamo essere nell’area di servizio di Reykjahlíð al punto di ritrovo, e quando ci alziamo il cielo è grigio, perché è piovuto da poco, ma confidiamo in un miglioramento.
All’ora stabilita siamo all’appuntamento con il nostro mini-bus 4×4 dell’agenzia Fjallasýn e saliamo subito a bordo, poi di lì a poco arrivano altri quattro partecipanti (anche loro italiani) e insieme partiamo verso est sulla strada numero 1. Seguiamo il nastro d’asfalto per una trentina di chilometri, quindi svoltiamo a destra sullo sterrato F88 e lì vediamo il cartello: Askja 102 … sarà lunga!
Ci inoltriamo nella vastissima vallata del fiume Jökulsá á Fjöllum, uno dei più lunghi fiumi d’Islanda, e subito cominciamo ad affrontare accidentati campi di lava, poi arriviamo ad un guado e ad un altro ancora e dopo oltre un’ora di generale sconquasso giungiamo nell’oasi di Herðubreiðarlindir, caratterizzata da muschio, bassa vegetazione ed una sorgente. Lì ci fermiamo un po’ osservando anche l’angusto rifugio di un fuorilegge del XVIII secolo e poi ripartiamo.
Poco più tardi il nostro autista fa sosta presso Gljúfrasmiður, uno stretto e basso canyon entro il quale passa il Jökulsá á Fjöllum subito dopo aver affrontato un fragoroso balzo, il tutto, purtroppo, ancora condito dall’odierno grigiore. Da quell’eccitante e solitario luogo, dopo un altro lungo tratto di pista, quasi a mezzogiorno, arriviamo al rifugio Dreki, nelle immediate vicinanze della gola di Drekagil, ormai alle porte dell’Askja. Nei locali del rifugio pranziamo con i nostri panini, poi la guida ci accompagna a visitare la gola di Drekagil, che letteralmente significa “canyon del drago”, causa alcune conformazioni che ricordano questo mitologico animale. La forra rocciosa si estende solo per alcune centinaia di metri e termina con una bella cascata, alla cui base galleggiano tanti sassi di leggerissima pomice.
Rientrati al rifugio torniamo sul nostro mini-bus per affrontare gli ultimi otto chilometri di pista, fino al parcheggio dell’Askja. Così passiamo attraverso l’enorme colata lavica del 1961 (ultima eruzione in ordine di tempo) e arriviamo al capolinea.
Da lì ci sono da percorrere ancora circa due chilometri e mezzo a piedi per giungere al cratere dell’Askja. È però una passeggiata abbastanza agevole, grazie anche alla temperatura, meno rigida del previsto, e alla stagione ormai avanzata, che ci permette di camminare sulla terra e non sulla neve, come spesso accade. Alla fine sbuchiamo finalmente sull’enorme cratere, formatosi durante l’eruzione del 1875 ed esteso per ben 11 chilometri quadrati, che attualmente è occupato dalle acque color blu zaffiro del lago Öskjuvatn. Subito a fianco si trova invece il più piccolo e spettacolare cratere di Viti (stesso nome di quello di Krafla), dal diametro di circa 150 metri, che contiene lattiginosa acqua termale a 25 gradi, volendo balneabile … il tutto sarebbe davvero una meraviglia, se solo il cielo fosse azzurro e le nuvole non coprissero i bordi della caldera… peccato! Cerchiamo comunque di goderci il luogo da ogni angolazione e scendiamo anche sulle rive del lago Öskjuvatn, dove scaturisce una sorgente di acqua calda e dove qualche temerario fa pure il bagno, poi c’incamminiamo sulla via del ritorno e la nostra guida ci fa fare una piccola deviazione, per vedere un altro cratere, senza acqua sul fondo, ma con bellissimi colori. Ora ci sono da percorrere a ritroso i cento chilometri di pista e tutti d’un fiato sono interminabili, così è un sollievo quando, finalmente, riconquistiamo il nastro d’asfalto. Arriviamo a Reykjahlíð (con il sole!) poco prima delle 19:00 e subito andiamo nella stessa pizzeria di ieri sera (Daddi’s Pizza). Questa volta consumiamo sul posto e prima di far rientro al nostro cottage vaghiamo un po’ per le strade che si addentrano sul lago Mývatn cercando di cogliere qualche immagine del sole ormai prossimo alla linea dell’orizzonte. In questo modo ci avviamo al termine di una bella giornata, che con le giuste condizioni meteo sarebbe potuta essere memorabile.
LUNEDÌ 21 AGOSTO
Lasciamo il cottage di Reykjahlíð verso nord lungo la strada numero 87 per passare dal paese di Húsavík, considerato la capitale del whale watching islandese. Però noi abbiamo già fatto questa esperienza e ci accontentiamo di vedere il centro abitato, con la caratteristica Húsavíkurkirkja, chiesa in legno risalente all’inizio del Novecento, oltre ad alcune tipiche costruzioni affacciate sul porto. Tralasciamo il museo della balena, facciamo spesa e rifornimento, quindi proseguiamo con sollecitudine lungo la costa, perché ci aspetta un’altra intensa giornata.
Doppiamo il capo della penisola di Tjörnes e ci approssimiamo ad una vasta zona pianeggiante formata dai detriti alluvionali del fiume Jökulsá á Fjöllum, che qui va a sfociare nel Mar Glaciale Artico. È lo stesso fiume che si segue per andare all’Askja e che ci accompagnerà anche per quasi tutte le visite odierne. Ci stiamo infatti inoltrando nel maestoso canyon del Jökulsárgljúfur e nell’ex parco nazionale che portava lo stesso nome, istituito nel 1973 ed inglobato dal 2008 entro i confini del più vasto Parco Nazionale del Vatnajökull.
Prima di tutto andiamo a vedere lo stranissimo canyon di Ásbyrgi, nel quale un tempo passava il fiume, poi spostatosi più a est. Le pareti perfettamente verticali, alte oltre cento metri, che lo contornano hanno una conformazione a ferro di cavallo e al centro si erge una solitaria, imponente roccia, chiamata Eyjan. La leggenda vuole che il luogo sia stato originato da uno zoccolo di Sleipnir, mitico destriero alato di Odino, e che sia diventato il rifugio degli dei pagani, dopo che i loro simulacri erano stati gettati nella cascata di Goðafoss. Sul fondo del canyon si trova poi un laghetto, circondato da un raro bosco di betulle, che qui può crescere al riparo dei gelidi venti nordici. Il tutto dà vita ad interessanti scorci, che assaporiamo accompagnati dal sole e da una gradevole temperatura. Usciti dall’Ásbyrgi imbocchiamo la strada sterrata 862, che corre verso sud parallelamente al grande fiume. La percorriamo per una dozzina di chilometri, fino alla deviazione che porta sulle rive del Jökulsá á Fjöllum, nella zona detta Vesturdalur. Lì si trova un parcheggio da dove partono alcuni sentieri escursionistici e noi prendiamo a seguire subito quello segnalato come V-4, della lunghezza di circa cinque chilometri, che si dipana lungo il fiume verso nord. Nella prima parte del percorso passeggiamo fra le impressionanti rocce di Hljóðaklettar, generate da una portentosa eruzione e plasmate dalle terrificanti inondazione del Jökulsá á Fjöllum. Qui, nel caos di conformazioni, risaltano alcune contorte strutture formate da colonne basaltiche, oltre all’incredibile Kirkjan, una caverna dal tetto spiovente che ha l’aspetto di una gigantesca chiesa.
Successivamente il sentiero sale agli strabilianti coni di rosse scorie vulcaniche di Rauðhólar, da dove il colpo d’occhio sull’intera zona è superlativo. Poi torniamo al parcheggio lungo un cammino più agevole, che passa distante dal fiume, completando una passeggiata a tratti entusiasmante.
Pranziamo in una piccola area attrezzata e subito dopo affrontiamo anche il sentiero V-5, che permette di ammirare stupendi panorami sul canyon dove scorre il Jökulsá á Fjöllum e arriva di fronte a due enormi pilastri rocciosi chiamati Karl og Kerling (uomo e donna), che si ergono in un’ansa del fiume, poi torniamo al punto di partenza. Lasciamo euforici la zona di Vesturdalur e riprendiamo il viaggio verso sud lungo la strada 862, fino ad arrivare al punto in cui questa diventa asfaltata e dove si trova il vasto parcheggio presso la famosa cascata di Dettifoss. Una breve scarpinata porta a vedere il più impressionante salto d’acqua d’Europa per portata media (circa 200 metri cubi al secondo). Questo enorme volume di liquido spumeggiante si getta da un’altezza di 44 metri, con un fronte di cento, nel canyon dello Jökulsárgljúfur ed è una vera e propria meraviglia della natura, che cerchiamo di immortalare (per quanto possibile) da ogni angolazione.
Rimaniamo a lungo ad ascoltare il formidabile rombo delle acque e ad osservare le nuvole di vapore, che trafitte dai raggi del sole generano splendidi arcobaleni, poi c’incamminiamo lungo il corso del fiume verso sud e arriviamo anche alla vicina cascata di Selfoss, più piccola per dimensioni del salto (solo una decina di metri), ma comunque spettacolare per la sua conformazione a ferro di cavallo.
Riguadagnata l’auto continuiamo lungo la strada 862 fino ad arrivare all’incrocio con la numero 1. Lì giriamo a sinistra, passiamo davanti alla deviazione per l’Askja, scavalchiamo il Jökulsá á Fjöllum e giriamo di nuovo a sinistra sullo sterrato 864, che fiancheggia la sponda opposta del Jökulsárgljúfur.
Percorriamo questo tracciato per una trentina di chilometri, fino alla deviazione che porta alla cascata si Hafragilsfoss, che si trova a valle di quella di Dettifoss. La osserviamo dall’alto, con lo spettacolo di tutto il canyon ai nostri piedi… un’altra sublime vista di questa indelebile giornata. Completamente presi dagli eventi non ci eravamo però accorti che si sta facendo tardi. Allora torniamo sui nostri passi sulla 864 e comunque facciamo ancora una piccola deviazione, verso la cascata di Dettifoss su questo lato, ma s’intravvede solo in lontananza e non abbiamo tempo per un’altra passeggiata. Niente di male, infondo l’abbiamo già vista molto bene. E da qui partiamo spediti verso il termine della tappa, con ancora più di cento chilometri da percorrere. Riguadagnata la Hringvegur andiamo per un buon tratto verso est, accompagnati da intriganti panorami, poi deviamo sulla strada numero 85 seguendo le indicazioni per Vopnafjörður e la regione dei fiordi orientali.
Poco prima delle 20:00 arriviamo così nei pressi di questo sperduto paese e prendiamo alloggio all’Ásbrandsstadir Cottage, con di fronte a noi alcune montagne innevate, altro piccolo ma non trascurabile particolare di un viaggio ricco di splendide emozioni.
MARTEDÌ 22 AGOSTO
Ci sveglia la luce del sole che penetra dalle finestre, nella quiete di Vopnafjörður. Facciamo colazione e poi lasciamo il nostro cottage seguendo la strada che va ad est lungo la costa, una strada che ben presto si fa sterrata.
Dopo alcuni chilometri facciamo la prima sosta della giornata per ammirare la bella cascata di Gljúfursárfoss, che si getta da 45 metri di altezza in una piccola gola situata a brevissima distanza dalle rive dell’oceano. Peccato però che sia completamente nell’ombra e contro sole. Poco più avanti vediamo poi la curiosa roccia chiamata The Elephant, che si erge appena al largo della costa e che ricorda proprio, nelle sembianze, un enorme pachiderma. Da lì la strada 917 comincia a salire vertiginosamente e scavalca uno spettacolare passo montano ad oltre 600 metri di altezza, fra grandiosi panorami, per poi scendere a picco in direzione della piana formata dal delta dei fiumi glaciali di Héraðssandur e continuare la sua corsa verso l’interno, fino a incontrare nuovamente la numero 1. In breve arriviamo così nell’abitato di Egilsstaðdir, dove facciamo spesa, e subito dopo ci avviamo lungo la riva settentrionale del lago Lagarfljót, che si estende per 38 chilometri ed ha la fama di ospitare, come il più noto lago scozzese di Loch Ness, un terribile mostro chiamato Lagarfljótsormur, avvistato fin dal XIV secolo e per l’ultima volta, pare, nel 2012, quando è stato anche filmato! Percorriamo il lago in tutta la sua lunghezza, senza vedere purtroppo il mostro, e arriviamo al parcheggio da dove parte il sentiero che porta alla cascata di Hengifoss, la terza più alta d’Islanda con i suoi 118 metri.
Ci avviamo, coadiuvati da splendide condizioni meteo, lungo il percorso, che nella sua prima parte è in forte pendenza, almeno fino ad incontrare una prima cascata, quella di Litlanesfoss, uno splendido salto di 35 metri fra imponenti colonne di basalto… Bello! Talmente bello che varrebbe da sola la fatica, ma il nostro obiettivo è Hengifoss, che si vede già in lontananza. Da lì in avanti le vedute sulla verde vallata, con la cascata che si getta in un anfiteatro di rocce striate di rosso, sempre più vicina, sono meravigliose e ad ogni passo verrebbe voglia di fermarsi per immortalarle. Arriviamo così fin dove termina il sentiero, che si perde nell’alveo del fiume, e restiamo per un po’ in contemplazione dinnanzi all’ennesimo spettacolo della natura, poi torniamo estasiati sui nostri passi fino al parcheggio, dove consumiamo il solito pranzo al sacco. Alla ripartenza costeggiamo tutto il Lagarfljót anche nella sua costa meridionale (senza vedere il mostro) e riconquistato il paese di Egilsstaðir imbocchiamo la strada che va verso i fiordi orientali. Siamo diretti verso il Seyðisfjörður, dove attracca tutte le settimane il traghetto proveniente dalla Danimarca.
Scaliamo un passo montano e osserviamo lo spettacolo del fiordo dall’alto, poi scendiamo a valle, passiamo accanto alla piccola cascata di Gufufoss e arriviamo nel paese di Seyðisfjörður, a detta della guida uno dei più caratteristici di tutta l’Islanda. Infatti nelle strade tutto intorno alla pittoresca Bláa Kirkjan (la chiesa blu) sono disseminate alcune tipiche abitazioni in legno del XIX secolo, che creano quadretti davvero interessanti. Dopo percorriamo lo sterrato che costeggia la riva meridionale del fiordo, fin quasi dove questo termina, godendo di belle viste, quindi non ci resta che lasciare il Seyðisfjörður lungo lo stesso tragitto fin qui seguito e tornare a Egilsstaðir. Pochi chilometri prima dell’abitato ci fermiamo però ad un parcheggio dal quale parte il sentiero per la cascata di Fardagafoss. Eravamo molto indecisi sul fatto di fare o meno questa passeggiata della durata di circa un’ora, e alla fine l’abbiamo fatta, ricavandone anche una buona dose di soddisfazione. Lungo il tragitto prima incontriamo un’altra piccola cascata, poi, fiancheggiando le rapide del fiume Miðhúsaá giungiamo al cospetto di Fadargafoss, che si getta fra spettacolari rocce, ma soprattutto, grazie ad un sentiero piuttosto irto, possiamo raggiungere anche una grotta che si sviluppa sul retro della cascata. Davvero una bella esperienza!
Tornati all’auto e subito dopo a Egilsstaðir imbocchiamo la strada numero 92 che va a sud, per poi girare a sinistra lungo il percorso sterrato 953 che porta a Mjóifjörður (fiordo stretto). È una strada piuttosto impervia e spettacolare, che si percorre però senza problemi, così, valicato l’ennesimo passo montano, scendiamo in direzione del solitario fiordo nel quale pernotteremo passando accanto alla curiosa cascata di Klifbrekkufossar, fatta tutta a gradoni, che però è nell’ombra e forse riusciremo a fotografare meglio domani mattina.
Appena giunti sulle rive del fiordo cominciamo a percorrerne la sponda settentrionale e quasi subito incontriamo il relitto di un mezzo da sbarco americano (probabilmente trasformato in peschereccio). Ormai divorato dalla ruggine fa ancora bella mostra di sé sullo sfondo di un magnifico paesaggio, con le montagne, nella parte opposta dell’insenatura, ancora in parte ammantate di neve. Arriviamo così a Sólbrekka, in uno dei più piccoli villaggi d’Islanda: un pugno di case, fra le quali il nostro cottage, uno dei due della Sólbrekka Holiday Homes, con stupenda vista sul fiordo! Ne prendiamo possesso, ma non ci fermiamo e proseguiamo ancora sull’unica strada del Mjóifjörður, fin quasi allo sperduto faro di Datalangi e fin quando il tempo, tiranno, non ci consiglia di tornare indietro al cottage. Più tardi, col sopraggiungere della notte e con il cielo sgombro da nubi, possiamo anche assaporare una leggera aurora boreale, che la App ci dà più chiara e definita poco più a sud, nelle isole Fær Øer. Peccato! Sarebbe stato l’epilogo perfetto di una splendida giornata.
MERCOLEDÌ 23 AGOSTO
Ci svegliamo con molto gaudio nella pace ancestrale di Mjóifjörður, anche se, questa mattina, le nuvole ricoprono le vette delle montagne tutto intorno. Percorriamo a ritroso tutta la strada 953 e passiamo per l’ennesima volta da Egilsstaðir, dove facciamo sosta per una veloce spesa, poi andiamo spediti verso sud sulla Hringvegur, fino all’incrocio sulla destra per la strada 939. È un impervio sterrato che ci farà risparmiare circa sessanta chilometri e che ci dovrebbe offrire qualche bello scorcio panoramico. Peccato però che sia completamente avvolto dalle nubi e i previsti panorami restino nascosti oltre l’impenetrabile cortina di vapore acqueo. Scesi sotto la coltre di nuvole ci fermiamo a dare un’occhiata alla cascata di Folaldafoss, un salto di una ventina di metri del fiume Berufjarðara, e più avanti, tornati sulla numero 1, anche la cascata di Sveinsstekksfoss. Entrambe carine, ma sicuramente di seconda fascia. La principale strada d’Islanda corre ora sulle rive dell’oceano e passerebbe in un tratto di costa moto bello (la costa di Lækjavík), con alte montagne di contorno e anche un bel faraglione, ma le nuvole e il grigiore non gli rendono giustizia.
Proseguiamo allora fino alla deviazione per l’intrigante spiaggia di Stokksnes. Anche qui il meteo fa un po’ le bizze e non riusciamo a goderci appieno il luogo, con le sue ardite vette alle spalle di uno spiaggione nero come la pece. Peccato! Così ci consoliamo un po’ vedendo, nella baia, la ricostruzione di un antico villaggio vichingo, che fra l’altro sta andando in malora. Era stato allestito come set cinematografico nel 2010 per un film che, causa problemi finanziari, non è stato mai girato … Pare però che l’idea venga presto ripresa, forse già il prossimo anno.
Tornando a macinar chilometri giungiamo nel paese di Höfn, dove torneremo per la notte. Per ora però ci fermiamo a pranzare in un’area di servizio, facciamo rifornimento e ripartiamo sulla numero 1 verso sud-ovest, mentre alla nostra destra si comincia ad intravvedere, fra le nuvole, l’immenso ghiacciaio del Vatnajökull. Divoriamo il nastro d’asfalto con le propaggini del ghiacciaio sempre più vicine a noi. Passiamo nei pressi della famosa laguna glaciale di Jökulsárlón, che per il momento ignoriamo, e proseguiamo per altri dieci chilometri fino a giungere ad un’altra laguna glaciale, quella di Fjallsárlón, e lì ci fermiamo. A piedi andiamo a vedere questo specchio d’acqua giallastra, disseminato di piccoli iceberg provenienti dal fronte del grande ghiacciaio, che s’intravvede sulla sponda opposta alla nostra… Tutto molto bello, ma solo il preludio alle meraviglie della laguna di Jökulsárlón, che ritroviamo più tardi tornando sui nostri passi. Prima ci fermiamo a vederla dalla sua riva meridionale: qui l’acqua è blu e gli iceberg che vi galleggiano sono molto più grandi. Dopo risaliamo in auto e andiamo nel punto in cui la laguna si collega al mare, tramite la Jökulsá, il fiume più corto d’Islanda, scavalcato dal ponte della Hringvegur. Qui, sulla spiaggia, si trovano una miriade di blocchi di ghiaccio, in magnifico contrasto con la sabbia nera, che danno vita ad uno stranissimo paesaggio, nel quale vaghiamo a lungo, alla ricerca degli scorci più originali. Infine accediamo alla laguna nel suo punto più spettacolare, dove enormi iceberg, a volte di un azzurro incredibile, si ammassano verso l’uscita in mare in uno scenario quasi surreale… e proprio mentre lo rimiriamo, completamente presi dalla cosa, appare anche un branco di foche che dà un piccolo spettacolo, quasi fosse tutto organizzato a priori. Non c’è che dire: Jökulsárlón è stata un’esperienza fantastica, di quelle che non si dimenticano, e se solo ci fosse stato il sole sarebbe stata sublime, ma non disperiamo, perché passeremo da qui anche domani.
Ormai è tardo pomeriggio e ci avviamo verso il termine della tappa, non prima però di esserci concessi qualche altro brivido. Sulla via del ritorno a Höfn infatti imbocchiamo la strada F985, per soli mezzi 4×4, che in 16 impervi chilometri sale fino alle propaggini del Vatnajökull, una delle calotte glaciali più grandi del mondo, con un’estensione di circa 8.100 chilometri quadrati (più o meno come l’Umbria intera) ed uno spessore che raggiunge quasi i mille metri!
Le pendenze di questa strada sono importanti, ma il suo fondo sterrato è in ottime condizioni, così senza particolari patemi raggiungiamo la vetta, che però è avvolta dalle nubi e non si vede proprio niente … che disdetta! Il piccolo Leo gioca per un po’ in una chiazza di neve e poi, proprio mentre stiamo per andar via, le nuvole si diradano temporaneamente lasciandoci intravvedere il ghiacciaio, non una vista eccelsa, ma meglio di niente.
Scendiamo con calma dalle montagne e andiamo verso Höfn, dove arriviamo poco dopo le 20:00. Troviamo la Sauðanes Guesthouse e subito dopo andiamo a cena in una pizzeria del centro, concludendo una giornata bellissima, ma non troppo fortunata … certo, siamo in Islanda e a volte bisogna dir grazie se non piove, ma, come si suol dire, l’appetito vien mangiando … e allora poteva andare anche meglio.
GIOVEDÌ 24 AGOSTO
Il meteo è ancora cupo quando ci svegliamo nella Sauðanes Guesthouse di Höfn. Facciamo spesa e poi partiamo lungo al numero 1 verso sud-ovest, affrontando il tratto già percorso ieri, fino alla laguna di Jökulsárlón. Mentre siamo per strada e facciamo sosta a fotografare cavalli il cielo però si apre lasciando filtrare qualche raggio di sole e col passare del tempo gli sprazzi di sereno sono sempre più numerosi, così quando siamo alla laguna di Jökulsárlón possiamo fermarci ad immortalarla inondata dalla splendida luce della nostra stella. È davvero uno spettacolo! In più c’è la bassa marea, che favorisce l’uscita degli iceberg in mare e nella spiaggia nera ci sono tantissimi blocchi di ghiaccio, anche di grandi dimensioni, fra i quali ci soffermiamo a lungo. In questo modo dedichiamo un’altra ora abbondante alla laguna e ringraziamo la buona sorte che ci ha permesso di vederla in tali condizioni, poi riprendiamo il viaggio per concentrarci sulle visite di giornata. Cinquanta chilometri dopo Jökulsárlón deviamo sulla destra lungo la strada sterrata che porta nei pressi della laguna glaciale di Svinafelljökull, alla quale si arriva con una breve passeggiata. Ci si avvicina parecchio e al suo cospetto la grande massa di ghiaccio fa davvero impressione, incute quasi timore. Subito dopo ci spostiamo al vicino e grande parcheggio dal quale parte il sentiero che porta alla celebre cascata di Svartifoss, mentre è uscita fuori una giornata coi fiocchi, caratterizzata da un bellissimo cielo limpido. Ci sono da percorrere a piedi quasi due chilometri in salita, ma ne vale assolutamente la pena. Prima si incontra un’altra cascata (Hundafoss), poi in lontananza s’intravvede Svartifoss, che a primo acchito può anche deludere perché appare quasi come un insignificante rivolo d’acqua. Ma non è tanto per la portata o per l’altezza del salto (20 metri) che la cascata va famosa, quanto per la sua straordinaria ambientazione, infatti si getta in un anfiteatro quasi perfetto, interamente formato da nere colonne di basalto in posizione verticale. Così quando giungiamo dinanzi a Svartifoss ne restiamo ammaliati e ci attardiamo ad osservare quell’ineccepibile quadretto fatto di elementi primordiali sapientemente modellati da madre natura! Tornati dalla passeggiata ci fermiamo a pranzare in alcuni tavoli all’aperto, sovrastati dalla bianca sagoma del Hvannadalshnjúkur, la più alta vetta islandese con i suoi 2.109 metri, oggi visibile grazie alla splendide condizioni atmosferiche, quindi riprendiamo a percorrere la strada numero 1 verso occidente.
Dopo svariati chilometri attraverso il desolante Skeiðarársandur, una vasta regione piatta e desertica formata dai detriti dei fiumi e dalle devastanti alluvioni dovute alle eruzioni dei vulcani posti sotto la calotta glaciale, giungiamo prima in vista e poi alle pendici dell’imponente sperone roccioso di Lómagnúpur, che svetta, con i suoi quasi settecento metri e la sua forma tozza, sull’intero paesaggio circostante. Scattate le dovute foto proseguiamo e dopo un altro breve tratto di strada passiamo di fronte al Fosshotel Núpar, al quale dovremo tornare per la notte. Ancora una decina di chilometri e arriviamo al parcheggio presso il sito di Dverghamrar, dove dal terreno emerge una splendida serie di colonne esagonali di basalto, un luogo magico, che la tradizione ritiene essere dimora di elfi e folletti. Vaghiamo per un po’ fra le conformazioni, che a tratti offrono suggestivi scorci, arricchiti in lontananza dalla bella cascata di Foss á Siðu, che si getta da un alto costone roccioso … Cascata che poi andiamo a vedere da più vicino, per assaporarne l’ambientazione fatta di nere rocce basaltiche e verdissimi prati.
Successivamente continuiamo sulla numero 1 conquistando anche il paese di Kirkjubæjarklaustur, dal nome impronunciabile (per gli amici solo Klaustur) e alla sua periferia ci rechiamo a vedere l’interessante cascata di Stjórnarfoss (purtroppo un po’ carente d’acqua), poi nelle immediate vicinanze le curiose formazioni rocciose di Kirkjugólf. Qui alcune tozze colonne di basalto emergono di pochi centimetri dal suolo e, disposte a nido d’ape, lisciate e cementate dalla vegetazione, in passato hanno anche fatto pensare che fossero l’antica pavimentazione di una chiesa (questo è il significato del nome), anziché un’opera della natura.
Nel centro di Klaustur passiamo a dare un’occhiata pure alla cascata di Systrafoss, deludente perché quasi a secco, e proseguendo lungo uno sterrato che esce ad ovest del villaggio ad assaporare, con una breve passeggiata, gli intriganti panorami di Systrastapi, una verdeggiante ansa del fiume Skaftá, caratterizzata dalla presenza di un enorme monolite che rende il luogo particolarmente scenografico.
Ormai è tardo pomeriggio e nei programmi resta ancora un meta da esplorare, allora percorriamo i pochi chilometri che ci dividono da essa e in breve guadagniamo il parcheggio presso la suggestiva gola di Fjarðrárgljúfur. A piedi seguiamo poi il sentiero che si dipana alla sommità del canyon scavato dal fiume Fjarðrá, a tratti entusiasmante per i suoi vertiginosi scorci, non a caso è stato scelto anche per girarvi alcune scene del video musicale “I’ll show you” di Justin Bieber, rinomata star internazionale. Peccato solo che l’ora un po’ tarda rileghi il tutto già nell’ombra.
Subito dopo, stanchi ma contenti per l’esito della fantastica giornata, facciamo ritorno al Fosshotel Núpar, dove prendiamo possesso della nostra camera, poi, non avendo alternative, ceniamo nel ristorante (piuttosto caro) della struttura, quindi ci dedichiamo al meritato riposo.
VENERDÌ 25 AGOSTO
Ci alziamo al Fosshotel Núpar con il cielo grigio e il viaggio che volge ormai inesorabilmente al termine, ma almeno non piove. Riprendiamo il nostro itinerario verso ovest percorrendo la stessa strada di ieri fin nei pressi della gola di Fjarðrárgljúfur e da lì imbocchiamo la pista F206, per fare un’esperienza off-road autogestita, non fino ai crateri di Laki (distanti circa 50 chilometri) ma più o meno a metà percorso, dove si trova un’interessante cascata. Lo sterrato comunque, seppur accidentato, si percorre senza problemi e oltrepassiamo agevolmente anche i due guadi presenti, soprattutto il secondo, del quale avevo qualche timore. Così possiamo assaporare dall’alto la vista sulla bella cascata di Fagrifoss… bella di nome e di fatto, visto che Fagrifoss significa, appunto, bella cascata: uno splendido salto di circa ottanta metri di uno dei mille corsi d’acqua provenienti dal ghiacciaio del Vatnajökull.
Dopo percorriamo a ritroso tutta la F206, compresi i due guadi, e riguadagniamo l’asfalto della Hringvegur, che s’immette subito nella vasta area di origine vulcanica di Eldhraun, enorme campo di lava frutto di una delle più impressionanti eruzioni della storia documentata, risalente al 1783, oggi completamente ricoperto di muschi e licheni. Un paesaggio a tratti surreale, che si estende per ben dieci chilometri. Oltrepassato Eldhraun arriviamo nella località di Vík, famosa per la sua spiaggia nera e le antistanti falesie. Superiamo il paese e seguiamo la strada che ci porta alla vasta spiaggia di Reynisfjara, dominata da un poderoso promontorio roccioso interamente composto da colonne di basalto e in cima alla scogliera riusciamo finalmente a vedere anche le simpatiche pulcinella di mare, che però risultano un tantino lontane, ma soprattutto inavvicinabili. Facciamo una passeggiata lungo la spiaggia fino al suo limite orientale, dove si trovano alcuni faraglioni, che però non risaltano a dovere, essendo loro neri sullo sfondo grigio delle nuvole, mentre verso l’opposto punto cardinale si intravvede il grandioso arco di roccia di Dyrhólaey, dove andremo più tardi. Lasciamo Reynisfjara e ci fermiamo a pranzare in alcuni tavoli lungo la strada, ma facciamo in fretta perché soffia un gelido vento da est. Così ben presto ci ritroviamo sulla via del promontorio di Dyrhólaey, accompagnati anche da una leggera pioggerellina. Andiamo prima di tutto nella sua punta più orientale, rivolta verso la spiaggia di Reynisfjara, e lì, con grande gioia, mentre esploriamo le scogliere, ci imbattiamo in una colonia di pulcinelle di mare, che possiamo osservare da distanza molto ravvicinata, saggiandone il comportamento e le particolari caratteristiche estetiche, col dorso nero, il ventre e le guance bianche, ma soprattutto il grande becco, che nella forma ricorda quello del pappagallo, a tinte multicolore che vanno dall’arancione, al blu e al giallo. Estremamente soddisfatti per l’esperienza vissuta ci spostiamo poi in auto nella parte più occidentale del promontorio, dove le falesie sono altissime e sovrastate da un grande faro, quindi, a piedi, raggiungiamo il punto dal quale si può ammirare l’eccezionale arco che ha reso famoso il luogo. Riordinate le idee e le emozioni accumulate in questo straordinario tratto di costa ripartiamo, però con una certa sollecitudine, perché ci sono ancora tante cose da vedere in questa intensa giornata.
Dopo una manciata di chilometri tralasciamo così la lunga scarpinata (otto chilometri andata e ritorno) che porta al fotogenico relitto di un aereo DC3, precipitato nel 1973 sulla nera e solitaria spiaggia di Sólheimsandur, e affrontiamo invece la comoda deviazione sulla destra che arriva al ghiacciaio di Sólheimajökull.
Questa lingua glaciale non è paragonabile a quelle viste nei giorni scorsi, ma ci ha particolarmente intrigato, perché è facilmente accessibile e ci ha permesso di fare, in tutta sicurezza, qualche passo al suo interno, assaporando l’emozione di camminare fra i primi crepacci.
Ripresa strada in breve giungiamo nella località di Skógar e qui andiamo a parcheggiare l’auto proprio di fronte allo Skógar Folk Museum, che però non è il nostro obiettivo (fra l’altro le tipiche casupole islandesi lì ricostruite sono chiaramente visibili, anche se solo esternamente, senza dover pagare il biglietto d’ingresso).
A piedi ci avviamo invece verso una valletta situata quasi alle spalle del museo… un luogo sul quale non troviamo indicazioni lungo il percorso e del quale non c’è traccia sulla nostra guida, solo in rete avevo trovato qualche cenno. Così rimaniamo sbalorditi, perché ci ritroviamo in un ambiente idilliaco, con la verde vallata che termina in un anfiteatro roccioso, dove si getta la fragorosa cascata di Kvernufoss, un meraviglioso salto di trenta metri che si può osservare, in maniera molto suggestiva, anche da dietro, cogliendo angolazioni quantomeno originali. Estremamente compiaciuti torniamo al parcheggio del museo e in auto ci spostiamo di non più di un chilometro alla più celebre cascata di Skógafoss, mentre comincia a piovere, tanto che per andare fino ai suoi piedi dobbiamo indossare le mantelle. In più l’imponente salto, largo 25 metri e alto 62, crea una fitta nube di vapore acqueo e bagna di per sé stesso, quindi, per non uscirne completamente fradici, ne vien fuori quasi una visita lampo. Riconquistato l’asciutto abitacolo della nostra auto riprendiamo strada perché per oggi non è ancora finita. Da Skógar, sulla numero 1, percorriamo infatti una trentina di chilometri verso occidente (durante i quali per fortuna spiove) e arriviamo proprio di fronte ad un’altra meraviglia d’acqua: la cascata di Seljalandsfoss.
Da un costone roccioso alto sessanta metri scende un potente getto d’acqua, che anche in questo caso si può osservare da dietro. Lo si fa seguendo un sentiero piuttosto accidentato, lungo il quale un po’ ci si bagna, ma ne vale decisamente la pena perché lo spettacolo è unico e in quei momenti ci si sente quasi parte dell’evento naturale!
A poche centinaia di metri di distanza, nello stesso dirupo, si trova poi la cascata di Glijúfurárbui, che ha una particolarità davvero incredibile, perché giunti quasi al suo cospetto si sente, ma non si vede. Infatti si getta all’interno di una strettissima forra rocciosa e per raggiungerla dobbiamo anche camminare in bilico su alcuni sassi che affiorano dal fiume … così dopo questa piccola avventura possiamo finalmente ammirare la fragorosa massa d’acqua che precipita dentro ad una grotta … un contesto a dir poco sbalorditivo!
Usciti un po’ bagnati anche da questa bizzarra situazione, con una breve scalata, osserviamo Glijúfurárbui anche dall’alto e in questo modo completiamo le visite in programma per la giornata, che a tratti sono state entusiasmanti, nonostante il meteo non troppo favorevole.
Saliamo in auto e ci avviamo verso il nostro ultimo pernotto islandese, così intorno alle 20:00 arriviamo nel paese di Hella per prendere alloggio in un cottage del Cafe Árhús Hella.
Ceniamo con una pizza nel ristorante della struttura e poi ci ritiriamo nella nostra casupola di legno a sistemare un po’ le valige, in vista della partenza verso casa di domani sera.
SABATO 26 AGOSTO
Siamo all’epilogo di questo straordinario viaggio, ma lasceremo l’Islanda solo in serata, così anche per oggi saremo impegnati in una serie di visite ed esperienze… non coadiuvati però dal bel tempo, infatti il cielo risulta completamente coperto e non promette nulla di buono.
Partiamo lungo la numero 1 verso ovest, ma ben presto svoltiamo in direzione dell’interno imboccando la strada 26, che poi percorriamo per circa ottanta chilometri, mentre comincia anche, inesorabilmente, a piovigginare. Non ci perdiamo d’animo e prendiamo a seguire la pista F208, che dovrebbe portarci alla grande area geotermale di Lanmannalaugar e fin dalle prime curve il panorama si fa decisamente interessante, caratterizzato da lande desolate e picchi di origine vulcanica, un contesto suggestivo, che non osiamo pensare come sarebbe strato con la presenza del sole! Dopo una ventina di chilometri giriamo a sinistra per una breve deviazione che ci porta fin sulle sponde del Hnausapollur: scenografico lago ubicato all’interno di un antico cratere (chiamato anche Bláhylur per il colore blu turchese delle acque). Le sue scoscese rive, formate da detriti vulcanici ricoperti di verde muschio, creano eccezionali contrasti di colore, che riusciamo ad apprezzare nonostante la pioggia ed il forte vento. In seguito facciamo un’altra deviazione, questa volta un po’ più lunga ed impegnativa, per raggiungere un altro splendido lago vulcanico: il Ljótipollur, talmente bello, con la sua azzurra acqua e le sponde rosse derivanti dai depositi di minerali ferrosi, che il suo nome (per ironia della sorte) significa invece pozza brutta! Ci fermiamo giusto il tempo per qualche foto e poi torniamo a percorrere la F208, che poco più avanti costeggia il lago Frostastaðavatn, con begli scorci che spaziano anche sul piccolo cono vulcanico dello Stutur, dove saremmo anche voluti salire a piedi, ma le condizioni meteo ce lo sconsigliano.
Poco più tardi svoltiamo sulla pista F224 che dopo due chilometri arriva al guado di Landmannalaugar, un guado che si può attraversare su di un ponte pedonale, ma che avremmo potuto affrontare anche con la nostra auto se solo ne fosse valsa la pena. Da lì, infatti, saremmo dovuti partire per una passeggiata di due ore alla scoperta dell’area geotermale e dei paesaggi vulcanici multicolore di Brennisteinsalda, ma la pioggia battente oggi è davvero troppo fitta, così abbiamo dovuto abbandonare l’idea. Mestamente cominciamo quindi a percorrere a ritroso tutta la sterrata fatta sin qual. Peccato! Anche se lo sforzo ci ha offerto comunque grandi emozioni.
Riconquistato l’asfalto della strada 26 ci fermiamo a pranzare, rigorosamente in auto causa il maltempo, poi ripartiamo e proviamo ad affrontare un’altra pista, la F332, che in sei accidentati chilometri porta al parcheggio nei pressi della cascata di Háifoss, la seconda più alta d’Islanda, con i suoi 122 metri. Ci fermiamo per qualche tempo nel parcheggio in attesa che rallenti la pioggia e dopo un po’ lo fa, così partiamo lungo il breve sentiero che porta a vedere la cascata dall’alto. È un panorama grandioso quello che si dipana ai nostri piedi, con il rumore assordante dell’acqua che cade sul fondo del canyon, acqua che però torna a cadere copiosa anche dal cielo e per far ritorno all’auto ci prendiamo una bella bagnata.
Scendiamo dalla F332 e quando arriviamo all’asfalto smette di piovere, tanto che mi vien quasi voglia di tornare su alla cascata, ma desisto. Andiamo così poco più avanti lungo la strada 32 fino ad imboccare un’altra pista (la 327), che porta alla vallata di Gjáin, con il sole che addirittura fa capolino fra le nuvole. Gjáin è una piccola conca paradisiaca, immersa nel verde, con acqua che scende da tutte le parti e lì, finalmente, possiamo fare una gradevole passeggiata, poi riprendiamo l’itinerario. Un itinerario che però è ormai all’epilogo, infatti rimane solo un luogo da vedere e dista non più di dieci chilometri.
L’ultima cosa che visitiamo in Islanda è la cascata di Hjálparfoss: niente di entusiasmante dopo tutte quelle viste durante il viaggio, ma comunque carina, con la sua ramificazione in due salti divisi da una conformazione di basalto. Subito dopo comincia l’ultimo tratto di strada in direzione di Reykjavík prima e dell’aeroporto di Keflavík poi. Lungo il tragitto piove sempre a dirotto, ma ormai conta più poco.
Giunti a destinazione andiamo nel paese di Keflavík a trovare un locale nel quale cenare, quindi ci avviamo verso l’autonoleggio Mycar a consegnare l’auto. Lasciamo così la nostra fedelissima Rav 4, con la quale in Islanda abbiamo percorso la bellezza di 4.648 chilometri e con un taxi ci facciamo accompagnare in aeroporto.
Imbarchiamo tutti i bagagli direttamente per Bologna, oltrepassiamo i controlli di sicurezza e ci mettiamo in attesa di fronte al gate A14 … e lì si conclude la peggior giornata, causa meteo, della vacanza, perché ci imbarcheremo quando sarà già.
DOMENICA 27 AGOSTO
Mettiamo piede sul volo Air Berlin AB 3929 qualche tempo dopo l’orario previsto e con lo stesso ritardo, all’1:07, l’Airbus A320 stacca da terra diretto a Düsseldorf. Posiziono le lancette dell’orologio avanti di due ore sul fuso tedesco, ma anche italiano, e poi provo a chiudere un poco gli occhi per riposare, ma non troppo, infatti ben presto sento l’aereo che comincia a scendere verso la città germanica, dove atterra alle 6:02 locali. Adesso ci saranno oltre tre ore prima della prossima tratta che ci riporterà in Italia, così restiamo in attesa per tutto il tempo al gate 42, poi finalmente saliamo sul velivolo Dash8-Q400 dell’Air Berlin che, identificato come volo AB 8682, alle 10:00 in punto prende quota, virando subito verso sud. Fila via tutto liscio. Scavalchiamo l’arco alpino e poi scendiamo in direzione della Pianura Padana. Così atterriamo nell’aeroporto Marconi di Bologna alle 11:37, mentre fuori ci sono ben oltre trenta gradi … uno sbalzo termico non indifferente considerando che solo ieri eravamo prossimi allo zero! Recuperiamo le valigie, quindi l’auto al parcheggio P4 e già poco dopo le 12:30 siamo sulla via di casa. Usciamo dall’autostrada alle 13:00 a Faenza ed esattamente sedici minuti più tardi concludiamo felicemente, molto felicemente il viaggio di fronte alla nostra dolce dimora. È stato un viaggio straordinario, uno dei più belli di sempre, nel quale madre natura l’ha fatta da padrona, manifestandosi in numerosi aspetti: dalle coste selvagge alle incredibili cascate, dall’emozionante incontro con le balene e la ricca avifauna ai fenomeni climatici estremi delle zone polari e l’intensa attività vulcanica, perché questa magica terra si può dire che abbia un’anima di ghiaccio e un cuore di fuoco. Una peculiarità più unica che rara, che mai dimenticheremo!
Dal 12 al 27 Agosto 2017
Da Keflavík a Keflavík km. 4648