Iran, quando la realtà supera la fantasia

L'antica Persia vista senza il velo dei luoghi comuni
Scritto da: giovanni panza
iran, quando la realtà supera la fantasia
Partenza il: 02/08/2010
Ritorno il: 16/08/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Era da tanti anni che desideravo visitare l’Iran, anche se non saprei dire esattamente il perché. Non ho mai avuto un’idea precisa di cosa questo Paese potesse offrire a un visitatore, ma mi affascinava l’idea dell’antica Persia, di una terra che nell’immaginario collettivo è legata a mistero, poesia, potenza, bellezza.

Già l’anno scorso avevo programmato di andarci, ma le note vicende delle proteste di piazza per i brogli elettorali avevano reso impossibile ottenere il visto d’ingresso. Quest’anno, grazie a una situazione un po’ più distesa, ho proposto a Tonia di unirsi a me in quest’esperienza, sapendo di chiederle uno sforzo importante. Invece mi dimostra, una volta di più, una complicità eccezionale, ed accetta entusiasta.

Com’era facilmente prevedibile, siamo stati considerati dei folli da tutti i nostri amici, che si sono preoccupati di metterci in guardia dai gravissimi pericoli di un Paese oscurantista, retrogrado, pullulante di terroristi e pieno di odio verso il mondo occidentale – “ma come, non li leggete i giornali?” – ci dicevano tutti. Purtroppo la Repubblica Islamica d’Iran è circondata da una pessima fama, dovuta sia all’accanimento dei mezzi d’informazione sia alla scarsa esperienza del Paese.

Immaginavo che la realtà fosse diversa, ma non potevo sapere, prima visitare l’Iran di persona, che fosse diametralmente opposta!

Siamo atterrati a Shiraz, la capitale della regione che rappresenta il cuore storico della Persia antica, il Fars, nel sud ovest del Paese. Di lì ci siamo diretti, rigorosamente con i mezzi di trasporto locali, verso est, poi verso nord e dunque verso ovest, per completare un giro dell’Iran centrale che ci ha portato a Kerman, Yazd, Esfahan, Kashan e Teheran.

Il primo approccio con l’Iran, inutile nasconderlo, è sicuramente shockante.

Colpisce e spaventa la folla di donne con il chador, il tradizionale abito nero che le ricopre dalla testa ai piedi, lasciando scoperti solamenti gli occhi, come fantasmi che si aggirano misteriosamente per le strade.

Stordisce e disorienta il traffico indescrivibilmente caotico che serpeggia nelle strade cittadine, al cui confronto le nostre città sembrano un angolo di Svizzera.

Inquieta e sorprende la presenza quasi ossessiva, per le strade, nei palazzi, persino nelle case, dei ritratti dell’Imam Khomeini e dell’Ayatollah Kamenei, rispettivamente il fondatore della Repubblica islamica e l’attuale Guida Suprema, minacciosi nel loro sguardo severo, che sembrano essere li per ricordarti sempre su quali rigide basi è costituito quello Stato.

Se questo può essere il primo impatto con l’Iran, poi magari ti capita che incontri Reza nella piazza centrale di Shiraz, accanto alla fortezza quajara del settecento. Reza è un soldato dell’esercito addetto al controllo delle prigioni di Shiraz. Ci fermò chiedendoci da dove venivamo e, per una forma di rispetto/timore per la divisa che indossava rispondemmo e ci fermammo a parlare. Nelle successive quattro ore visitammo moschee, scuole coraniche, bazar, monumenti e bevemmo un tradizionale infuso di rosa in una sorta di bar nel quartiere di Reza. Nonostante mi fossi ripromesso di non dare troppa confidenza ad estranei (e tanto meno a militari) non era possibile dire di no a Reza, all’entusiasmo con cui ci mostrava e spiegava i tesori della sua città in un inglese sicuramente migliore del nostro. Felicissimi per il giro turistico, saremmo stati ben disposti a lasciare la lauta mancia che ci aspettavamo Reza ci chiedesse. Invece nulla, ci salutò con un abbraccio solo perché era già in ritardo all’appuntamento con la fidanzata. Lì per li, quasi increduli che un soldato spendesse un intero pomeriggio libero a fare la guida turistica a due sconosciuti dell’ “odiato” occidente senza volere nulla in cambio, pensammo di aver incontrato una persona straordinaria, un vero colpo di fortuna. Nei giorni successivi abbiamo avuto modo di appurare che nulla di speciale era avvenuto quel pomeriggio a Shiraz. Semplicemente, eravamo in Iran!

In tutte le città che abbiamo visitato abbiamo incontrato gente cordialissima, estremamente aperta e curiosa del nostro modo di vivere e dell’idea che noi avevamo di loro. Gli iraniani sono un popolo colto, fiero, accogliente, moderno. Si, esattamente il contrario di quello che trapela da servizi giornalistici superficiali e troppo sbrigativi.

Tante sono state le amicizie che abbiamo fatto, gli inviti che abbiamo accettato, le gentilezze che abbiamo ricevuto.

Sempre a Shiraz, al mausoleo del grande poeta Hafez, la signora Afsoon si è affezionata a tal punto a Tonia, con cui comunicava solo a gesti, da invitarla a dormire a casa sua, mentre io discutevo con la figlia Forousan del sistema scolastico iraniano ed italiano.

A Kerman siamo andati con Nikrou, la migliore guida locale, a fare un giro ai kalut, specie di colline dall’aspetto lunare nel mezzo del deserto del Lut, sulla nuova strada verso l’Afghanistan.

Prima di inoltrarci nella fornace abbiamo sostato nella fattoria di Morteza per preparaci e mangiare degli ottimi datteri raccolti direttamente dagli alberi. Al ritorno ci siamo fermati nuovamente nella fattoria per consumare, nell’ampia sala adorna solo di tappeti, un’ottimo pasto a base di carne di pecora preparato da, Sholeh, la moglie di Morteza, che era orgogliosa di affermare che non aveva mai comprato cibo, dal momento che tutto ciò di cui avevano bisogno lo producevano da sé.. Abbiamo assistito coi nostri occhi a quella che stava per degenerare in una lite, quando Nikrou ha cercato di dare qualche banconota a Morteza per l’ospitalità ed il pranzo. Alla fine l’incidente diplomatico è stato evitato col compromesso che il rimborso spese fosse affidato alla moglie.

A Yazd, una torrida città situata al margine occidentale del deserto del Lut, siamo stati rifocillati in un parco con del melone fresco: Yazd è un gioiello di fango e mattoni. Un’antichissima città nel cui centro storico, interamente dominato dall’arancione intenso del fango che ricopre le case, si potrebbe vagare per giorni interi, perdendosi nel labirinto di vicoli e stradine, e salendo sui tetti delle case per ammirare il paesaggio mozzafiato (ovviamente i padroni di casa sono felicissimi di accoglierti sul loro tetto!). Una città spirituale, sacra ai musulmani e ai zoroastriani, i seguaci dell’antichissima religione nata in questa terra. Un pomeriggio avevamo chiesto troppo ai nostri fisici non abituati al clima desertico, per cui ci eravamo stesi spossati all’ombra di alcuni alberi in un parco. Una splendida bambina sorridente si è avvinata a noi, non certo per chiedere qualcosa bensì per offrirci un intero melone verde, gustosissimo e dissetante, servito su una graziosa guantiera d’argento. Che squisitezza. La mamma della bimba, che non smetteva di sorridere in lontananza, si è corrucciata solo quando siamo andati verso una fontana per sciacquare la guantiera. La bambina ce l’ha tolta, quello non era compito nostro, noi eravamo ospiti!

Ancora a Yazd ci siamo affidati a Mashoud per vivere l’emozione di una notte nel deserto. Col fuoristrada ci siamo inoltrati per piste appena accennate all’interno di un paesaggio desolato e brullo, la zona rocciosa del deserto. La meraviglia di trascorrere tutta una notte sotto le stelle in mezzo al nulla, soli con noi stessi, è stata impagabile. Ma altrettanto prezioso è stato lo scambio di vedute con Mashoud, su tanti argomenti. Intorno al fuoco che avevamo acceso abbiamo discusso di tutto, delle nostre vite, delle rispettive abitudini e culture, ma soprattutto del modo in cui gli iraniani vivono il loro Paese. Mashoud ci ha parlato con franchezza e passione della situazione politica del suo Paese, dei disagi della popolazione, dei problemi del governo religioso, dell’insoddisfazione che serpeggia tra i più giovani, delle manifestazioni di piazza dell’anno precedente, della loro paura verso lo Stato israeliano. Non pensavo si potesse parlare tanto liberamente di questi temi in territorio iraniano.

L’ultima sera trascorsa a Esfahan, una perla di architettura e storia che gli iraniani chiamano la “metà del mondo”, stavamo mangiando avidamente la zuppa di rape e fagioli che ci eravamo guadagnati dopo una giornata intera di digiuno a causa del ramadan (durante il mese sacro musulmano, in particolare il venerdì, è difficilissimo trovare dei posti che vendono cibo). Eravamo seduti nella Piazza Grande, la seconda piazza più grande del mondo, continuavamo ad ammirare le maestose cupole della moschea dell’imam e della moschea di Alì, quando un bambino si avvicina a Tonia e, a gesti, ci fa capire che la sua famiglia vorrebbe che ci unissimo a loro per il picnic. Quella di ritrovarsi la sera nei giardini delle piazze, con figli e genitori, è un’abitudine diffusissima in tutte le città iraniane, un modo per riunire la famiglia e stare assieme, come forse noi usavamo fare tanti anni fa. Ci uniamo volentieri e il capofamiglia ci offre dei dolci al pistacchio mentre la moglie ci versa del tè con tante zollette di zucchero da intingerci dentro. Fanno tutti a gara per comunicare con noi, anche se il loro inglese non consente di andare oltre qualche frase. Ma va bene così. Si ride, ci si scambiano sorrisi, partecipo a un paio di giri di narghilè (una sorta di grossa pipa mediorientale) sotto lo sguardo scettico di Tonia, e si gioca coi bambini.

Ma non poteva finire lì: infatti, dopo poco, ci spostiamo di una decina di metri, caldamente invitati da un’altra famiglia, che ci offre ancora tè ed altri tipi di dolci. Alla fine, siamo troppo stanchi per accettare l’invito a casa dei nostri ultimi ospiti, ma ci prestiamo volentieri ad una serie di foto di gruppo insieme a loro.

Il giorno prima avevamo monopolizzato il taxi e le preziose informazione su monumenti, e moschee di Namvar, un simpaticissimo signore sulla quarantina che alla fine di una giornata intera trascorsa a portarci dove gli chiedevamo e ad aspettarci, ci ha fatto pagare… fate voi, ci ha detto!

Questi sono solo alcuni dei tantissimi episodi in cui il calore del popolo iraniano ci ha conquistato. Quando dicevi Italia, ti si aprivano portoni interi. Hanno il mito dell’Italia e degli italiani, forse anche eccessivo, come abbiamo dovuto amaramente ammettere con noi stessi, e ci tengono ad essere capiti e conosciuti.

L’Iran offre delle bellezze straordinarie, sia dal punto di vista naturalistico che dal punto di vista storico-architettonico. Siamo passati da deserti a cascate, attraversando montagne e campi verdeggianti. Siamo stati catturati dalla raffinata arte islamica e dalla superba imponenza delle rovine archeologiche dell’impero persiano. Tutto questo costituisce una grande attrazione turistica per questo Paese. Ma quello che, a nostro parere, lo rende unico, speciale, è il suo popolo. Gente che accoglie con gioia il visitatore e lo ospita nel modo più pieno e spontaneo. Gente che al primo incontro non diffida ma sorride. Laggiù, dove molto pensano che si annidi l’oscurantismo e l’odio, abbiamo trovato curiosità, apertura e gioia di incontrare. Mi piacerebbe che ne avessimo un po’ di più anche noi in Italia.



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