Iran. Poesia degli antichi imperi della Persia.
“Ma i guai allora vai proprio a cercarteli”, è stata la frase più ricorrente quando ho accennato che intendevo andare in Iran. Così sulla partenza sono stato vago: Medioriente generico. Alla mammetta neppure quello. A farmi decidere per l’Iran, l’antica Persia, la lettura di alcuni libri. Poi, quando la voglia si è concretizzata, non si riusciva a trovare un touroperator che organizzasse il viaggio. Con l’amico Carlo, alla fine, siamo riusciti ad infilarci all’ultimo momento in una spedizione multipla, da vari aeroporti, con destinazione Teheran, dove siamo atterrati alle due di notte, con il visto da fare in loco. Dirottati in un ufficio, l’incaricato stava dormendo sul divano e quindi non ha fatto i salti d’allegria quando lo abbiamo svegliato. Un’oretta di smorfie, qualche parola in inglese, molte in veneto, sbadigli, moduli da compilare, 50 euro ingraffettate a due foto, una sosta in panchina, un passaggio in banca, altri sbadigli, infine il visto, con gli altri tre che avrebbero fatto parte del nostro commando di viaggiatori (due donne rigorosamente velate, con gambe e braccia coperte) ad aspettarci al ritiro bagagli, già in attesa, pure loro esausti, in un angolo. Un’oretta di bus con solo autista iraniano e alle cinque eravamo in hotel, con passaggio in branda, visto che la sveglia era fissata per le nove per il tour di Teheran. L’omino del visto, con nostra sorpresa, ci ha restituito le foto, memore, forse, che almeno la mia avrebbe fatto il giro dell’Iran. Eh sì, altro che Brad Pitt: sarò pure penalizzato da 20 anni in più ed una Angelina in meno, ma non c’è stata una tappa, da Teheran a Shiraz, da Persepoli a Isfahan e Kashan, dove un gruppo di ragazze, una coppia di coniugi, singole persone di entrambi i sessi, non abbiano voluto fare una foto con l’extraterrestre occidentale. Saranno stati i baffi, che Brad non ha! O, forse, proprio il bisogno di non sentirsi internazionalmente emarginati ed additati come “untori” di manzoniana memoria. Dopo i primi sguardi, infatti, le persone si avvicinavano e giù sorrisi e domande: da dove venite; come mai avete scelto l’Iran; vi piace il nostro Paese; cosa ne pensate; possiamo scambiarci la mail; facciamo una foto assieme…. Gente simpatica, disponibile, premurosa e sempre sorridente. La nostra guida, gentile e disponibile, come tutti gli iraniani che abbiamo incontrato nel tour, ci ha spiegato che purtroppo quel sabato si celebrava la Festa Nazionale del “Martirio di Hazrat e Fatima”, pertanto i musei erano chiusi ed erano state predisposte delle visite alternative. Il primo impatto con il traffico iraniano è stato traumatico. Per attraversare la strada la prima regola da tenere presente è che… non ci sono regole. Il colore del semaforo è un optional e le auto sbucano da tutte le parti, ti puntano, ti inquadrano nel loro virtuale mirino, smaniose di colpire il bersaglio. Non resta che sollevare lo sguardo al cielo e fare gli scongiuri di rito. Ad ogni angolo, comunque, dalle gigantografie, vigilano gli sguardi penetranti dall’aldilà di Khomeini e dall’aldiqua di Kamanei. Visitiamo la casa di Khomeini con un’interessante e a volte inquietante rassegna fotografica sulle tappe fondamentali della sua vita ed ascesa al potere. Pranzo in un bel locale con gustosi spiedini di pollo ed altro quadrupede non identificato. Niente alcol e la birra, analcolica, è pure inquinata da un’ampia varietà di frutta. Quella capitatami in sorte, un intruglio dolciastro ai frutti di bosco, sembrava uno sciroppo per la tosse. Giro fuori città a vedere la torre funeraria selgiuchide Toghoral, del XII° secolo, quindi le sorgenti Cheshmeh Alì, con famiglie e bambini a sguazzare nell’acqua e vicino alcune sculture di epoca cagiara. Poi il santuario dell’Imam Khomeini, fiancheggiato da 4 torri alte 91 metri, l’età dell’imam alla morte ed un vasto spazio pieno di famiglie che fanno il picnic dove, tra una foto e l’altra, sono stato invitato ad assaggiare melone e pesche. Sulla strada del ritorno, sosta al monumento all’Azadi (alla libertà), costruito nel 1971 per commemorare i 2500 anni dell’impero persiano, teatro di manifestazioni, anche recenti, di protesta, un’area verde e fiorita. In serata volo per Shiraz
Giornata dedicata alla visita di Persepoli, fondata da Dario I° nel 518 a.C., imponente complesso di antiche rovine, simbolo della grandezza dell’impero achemenide, visitato da numerosi iraniani, famiglie e scolaresche, con i palazzi di Dario e Serse, la Porta delle Nazioni, il Palazzo delle 100 colonne e quello dell’Apadania, con straordinari bassorilievi. Escursione poi alla suggestiva necropoli di Naqsh-e-Rostam, con le tombe scolpite nella roccia di Dario e dei suoi successori. Rientro a Shiraz, patria di uomini di cultura e di illustri poeti, molto amati dal popolo iraniano. Visitiamo i mausolei di Saadi e Hafez con i loro splendidi giardini; poi la moschea Nasir Ol Molk, tra le più eleganti dell’Iran e finiamo la giornata gironzolando senza meta e senza fretta nel Bazar-e-Vakil, ritenuto il più bello del Paese, con i soffitti a mattoni che assicurano un clima fresco, dove si può trovare di tutto, frequentato da un incessante e chiassoso andirivieni. Cena in un tipico locale con ottimi spiedini di pesce persico.
Partiamo per Isfahan, con sosta al sito di Pasargade, fondata da Ciro il Grande nel 546 a.C., dove attorno alla tomba di Ciro, imponente cenotafio in pietra, restaurata, pare, da Alessandro Magno, incontriamo una comitiva di scolari e bambine con il velo, che fanno un po’ impressione così agghindate, ma sono sorridenti ed esuberanti e ci fanno una grande festa. Lungo ed un po’ monotono il trasferimento fino ad Isfahan, con l’umore che prende quota alla vista dei famosi ponti e dell’accogliente albergo con il ristorante, dove si è mangiato bene, dedicato nientemeno che a Venezia, il top per noi veneti.
Intere giornate dedicate alla visita ad alcuni fra i luoghi più affascinanti di tutto l’Iran, Isfahan è stata definita come “la metà del mondo”, iniziando dalla stupenda piazza dell’Imam, con distese verdi, miriadi di fiori colorati, giochi d’acqua, circondata da cupole, minareti, colonnati ed arcate. La moschea dell’Imam, capolavoro dell’arte islamica per la ricchezza dei mosaici e delle decorazioni; l’elegante moschea di Sheik Lotfollah, con la cupola dai colori tenui che assumono varie sfumature al variare della luce durante il giorno; il palazzo di Ali Ghapu dalla cui terrazza si gode di una splendida vista sulla piazza e su Isfahan. Poi le visite al Manar Jomban, il minareto oscillante, con incontro di un simpatico imam e alla Cattedrale di Vank, nel quartiere armeno, edificata tra il 1606 e il 1655, con stupendi dipinti. Quindi il Palazzo Hast-Behesht, del XVIII° secolo, con notevoli mosaici; la Moschea del Jameh, un museo di architettura islamica che racchiude 800 anni di stili architettonici diversi; il Palazzo delle Quaranta Colonne, prima di tuffarsi nei meandri del coloratissimo Bazar-e-Bozorg, dove anche i manichini hanno il velo. Pranzo nel caratteristico ristorante Bastani, in posizione spettacolare all’ombra dei minareti della moschea dell’Imam, con ottimo kebab. Al tramonto i famosi ponti sul fiume Zayandeh, in questo periodo scarso di acqua: il Siosepol, costruito nel 1602 ed il bellissimo Khaju, costruito dallo scià Abbas nel 1650. Dopo cena, giro notturno in piazza dell’Imam molto affollata da gente, famiglie con bambini, giovani, che bighellonavano sotto i portici o seduti sulle distese verdi e ai bordi delle fontane davanti alle moschee in un clima festaiolo e spensierato, con cordiali sorrisi verso gli ospiti stranieri.
Lunga e monotona la strada del rientro a Teheran. Sosta a Kashan, racchiusa dalle vestigia delle antiche mura, una piacevole cittadina che ospita alcune delle più belle case tradizionali dell’Iran, con fioriti giardini molto frequentati e notevoli edifici di architettura islamica. In particolare il Khan-e-Borujerdi, con un bel cortile sul quale si affacciano palazzi invernali ed estivi ed il Khan-e-Tabatabei, con intricati motivi scolpiti a rilievo nella pietra e raffinati stucchi. Sosta pranzo in un grande ristorante, almeno 200 coperti, dove aspettiamo più di un’ora che si liberi un tavolo, tutto pieno di iraniani. Dalla quantità di riso che circolava lo dovevano preparare con la bitumatrice, ma gli spiedini erano buoni ed il servizio rapidissimo. Arriviamo a Teheran all’imbrunire, passando sotto i cavalcavia imbandierati e con le immagini dei martiri della guerra con l’Iraq, prima di imbottigliarci nel traffico caotico, come da noi all’esodo estivo, ultimo tassello prima del volo di rientro, via Istanbul.
Un viaggio piacevole, forse troppo breve, ma quello passava il convento vista la situazione dell’area, con delle mète molto interessanti, senza alcuna avvisaglia di qualsivoglia pericolo, buoni alberghi, pranzi e cene all’altezza delle aspettative, a parte la carenza di frutta e di una birra normale e la ciliegina dello splendido impatto con la gente sempre sorridente e disponibile.
Roberto Lazzarato