Io, tre uomini e una giraffa… Sfigurata
Il tempo corre veloce, anche troppo, e da quella sera milanese ci troviamo catapultati al 6 agosto all’aeroporto di Malpensa, destinazione Johannesburg. I sudafricani siamo io, Gb, Enrico e Maurizio, new entry del gruppo. New entry perché io, Gb ed Enrico avevamo già vissuto l’esperienza di un viaggio insieme, e precisamente l’anno prima in Ecuador e Galapagos.
Ciò che sta in mezzo tra la sera milanese e il 6 agosto, è la cronaca di mesi di preparativi, incontri, itinerari possibili, ricerca di info, lettura di racconti di viaggio, prenotazioni, e tutto ciò che è necessario per affrontare 20 gg di viaggio rigorosamente “fai da te”.
A tutto questo aggiungo gli inevitabili commenti di amici e conoscenti sulla particolarità del gruppo-vacanza “una donna con tre uomini??”, addirittura qualcun mi diceva “ma ti fidi??”. Io, come faccio da un po’ di tempo a questa parte, seguo il mio istinto, che gridava “VAI!” e così è stato. Ora lo posso affermare, il mio istinto ha avuto ragione, perché questo rientra tra uno dei migliori viaggi che ho fatto, sia per quello che ho potuto vedere, sia per l’esperienza di vita.
A proposito di viaggio e del 6 agosto…Eravamo rimasti li. Il nostro itinerario prevedeva un volo Milano Malpensa-Zurigo e poi Zurigo– Johannesburg. Prevedeva appunto…Perché arrivati aell’aeroporto svizzero di fianco al nostro volo vi è la scritta rossa “ANNULLATO”. Il volto di Gb, che per primo legge il tabellone, è la maschera del nostro “non è possibile??”, e invece si. Il volo è rimandato all’indomani mattina alle 8! Porca miseria perdiamo un giorno! Gli svizzeri però ci trattano bene e ci alloggiano in un albergo a 4 stelle extra lusso.
Finalmente il giorno successivo ci imbarchiamo e alle 18 tocchiamo la terra sudafricana. Le 18 per Johannesburg, città tristemente famosa per la criminalità, è un’ora tarda. Enrico dice “..Ci fanno subito la pelle”, fortunatamente non sarà così.
All’aeroporto, terminate le formalità e acquisita la macchina noleggiata (Toyota Condor), recuperiamo un alloggio al banco informazione. Praticamente è un B&B senza tante pretese in prossimità dell’aeroporto. La proprietaria ci accompagna per la cena al CAESAR’S, casinò stile Las Vegas. Certo non mi aspettavo così il mio primo giorno in Africa. Tanto che ci siamo, decidiamo di tentare la fortuna e giochiamo 100 Rand alla roulette, perdiamo tutto…. Vorrà dire che saremo fortunati in amore.
Finalmente l’Africa, quella vera e, per me, la mia prima Africa e la vedo lungo la strada che da Johannesburg porta al Pilanesberg National Park. Ci sono tanti villaggetti, le cui case sono costruite con lamiere e penso al caldo insopportabile che farà la dentro; poi ad ogni incrocio ci sono bambini che vendono frutta (arance soprattutto). Il cuore mi si stringe e capisco quanto siano superficiali i miei problemi.
Eccolo finalmente il Pilanesberg! Scarichiamo i bagagli nel nostro cottage, veramente carino con tanto di soppalco. Ci lanciamo subito nel parco e siamo fortunatissimi, avvistiamo il primo big five: l’elefante! Penso subito di scendere dall’auto per scattare una foto, ma Enry mi blocca, è vietato scendere dalla macchina. Il giro in autonomia è breve, perché alle 17 abbiamo prenotato il safari. Fortunati per la seconda volta, avvistiamo il 2 big five: il leone, sebbene lontano! Dopo di lui, è un susseguirsi di giraffe, rinoceronti, gnu e antilopi.. In pochissimo tempo calano le tenebre, alle 18.30 è praticamente notte. Insieme al sole, calano anche le temperature e congelo sulla jeep aperta, però che spettacolo la savana e il cielo stellato.
Anche la cena al buffet del parco è ottima, assaggio la carne di Kudu, buona, ma poi vedo la foto del kudu sulla guida e un po’ mi pento.
Giornata safari. Sveglia alle 5.30 e partenza alle 6 per traking a piedi nel bush. Esco dal cottage ed il freddo è pungente, 2 felpe e il pile non sono sufficienti. Il ranger-guida ci accompagna al punto di partenza con la solita jeep aperta (congelo…), peccato che prima di arrivare a destinazione dobbiamo cambiare mezzo: abbiamo bucato! Il traking lo definiamo “giro degli escrementi”, perché è ciò che abbiamo visto, escremento di elefante, di rinoceronte, di kudu, ma di animali nemmeno l’ombra.
Dopo una ricca colazione, ci buttiamo sulla nostra Toyota Condor e ci avventuriamo nel parco. Questa volta va meglio, zebre, gnu, giraffe, impala e il ghepardo, anzi due ghepardi. Questa è proprio fortuna, perché il ghepardo qui è raro. In lontananza avvistiamo anche il bufalo, per concludere i big five manca il leopardo, forse al kruger lo vedremo. Cerchiamo disperatamente di rivedere l’elefante, ma nulla, non c’è più.
Stanchi ma contenti ci rilassiamo nel cottage e prima di cena c’è il tempo per una partita a scopa; la prima di una serie. A cena, i miei compagni mangiano zebra, io da juventina passo.
Lasciamo il Pilanesberg e ci trasferiamo a Sabie, dove abbiamo prenotato c/o il B&B www.Wayfarers.It (se capitate da quelle parte ve lo consiglio!), gestito da Sergio, italiano trapiantato qui. Veloce giro della città, doccia e cena, stasera coccodrillo.
La mattina successiva, guardo fuori dalla finestra ed il clima non è dei migliori, nuvole, freddo e aria di pioggia. In più mi accorgo che abbiamo dormito con la finestra aperta, ecco perché avevo freddo, nonostante il piumone!! Il clima condizionata la giornata che viene dedicata alla visita delle numerose cascate della zona, belle ma nulla di eccezionale. Tra una cascata e l’altra curiosiamo tra le bancarelle di artigianato locale e cominciano gli acquisti.
A Graskop compro un quadretto dipinto su una pergamena ricavata dagli escrementi di elefanti, e questo proprio non l’aveva mai sentita.
Si continua con l’obbligata visita a Pilgrim Rest, che non mi dice nulla di particolare; contrariamente mi affascina moltissimo la strada del Tom Pass, che grazie all’inaspettato sole pomeridiano ci fa scorgere paesaggi color ocra indimenticabili. Tocchiamo anche il passo a 2100 metri con immancabile foto sotto il cartello che ne indica l’altitudine.
La sera, terminata la cena tipica a base di trota (specialità locale), ci tratteniamo a parlare con Sergio che ci racconta quanto problemi ci siano ancora in questo paese, il cui sistema sociale non garantisce la pensione di vecchiaia e come ancora sia difficile la coabitazione tra bianchi e neri o meglio tra culture diverse e per l’ennesima volta capisco quanto sia facile la mia vita rispetto ad altre realtà.
E’ giunto il momento di salutare Sergio e di partire alla scoperta del Blyde River Canyon, che per me rimane uno dei luoghi più belli di questo viaggio. L’immensità del canyon e i suoi colori mi lasciano senza parole. La foto scattata sul sasso con le gambe a penzoloni nel vuoto del canyon, rimane sul desktop del mio pc a ricordo di un bel momento.
Dobbiamo muoverci, il Kruger ci attende. Il primo impatto non è idilliaco, i bungalow del Satara Camp non hanno nulla degli alloggi che si è abituati a vedere sui depliant dei safari sudafricani. Ne abbiamo prenotati due da due posti ciascuno e sono veramente piccoli e essenziali…Così è la vita dei “CAMP”.
Alle 17 via con il safari ed è il solito gelo sulla jeep aperta, ricompensato però dalla visione di una iena. Dopo cena, il Camp è veramente buio, noi abbiamo dimenticato le nostre torce in valigia e a fatica ritroviamo i nostri bungalow.
Trascorriamo altri 3 giorni al Kruger in altrettanti Camp (SATARA-LETABA-MOPANI) e la mia opinione cambia totalmente rispetto alla prima sera, rimango estasiata da quello che vedo e dalle emozioni che provo e capisco quanto sia stato importante venire fin qui. Riporto quelle che per me sono le immagini più significative dei giorni trascorsi al Kruger e che rimarranno scolpite nella mia memoria: 1) la mandria di bufali che ci attraversa la strada…Paura n.1 2) l’elefante infastidito dalla nostra presenza che tenta l’attacco alla nostra automobile…Paura n.2!! 3) gli ippopotami nel fiume e Gb che scende per fotografarli: temerario o incosciente?? 4) il tramonto con colori mai visti prima, vissuto da uno dei punti di osservazione che mi permette di sentire il verso degli ippopotami e di assistere all’attraversamento del fiume da parte di elefante madre e figlio: meraviglia indescrivibile! 5) il safari alle 5 di mattina, io e Enrico che vogliamo saltarlo, GB e Maurizio che insistono e ci convincono e grazie a loro vediamo il Leone! Li in mezzo alla strada ad un passo da noi, questa si che è l’Africa che sognavo! 6) la partita a scopa nella veranda del bungalow con indosso il pile per sopperire al freddo pungente.
Che ferragosto indimenticabile e da brivido in direzione Swaziland. Dobbiamo arrivare alla frontiera entro le 16, peccato che non abbiamo considerato che gli ultimi 40 km di strada sono puro sterrato ed Enry li percorre alla velocità della luce perché “siamo tirati”..Le 16 si avvicinano ed infatti arriviamo alla frontiera alle 16.05: sbarra chiusa. Noooooo A fatica cerchiamo di convincere il doganiere a riaprire, sarebbe tremendo rifarsi tutto quello sterrato di ritorno. Dopo un po’ di insistenza ci viene aperto l’ufficio immigrazioni e i nostri nomi vengono annotati su un libro che sembra uscito dalle foto d’epoca.
Lo Swaziland è subito diverso, come raccontavano altri turisti per caso; le difficoltà economiche sono visibili: case povere e bimbi malconci. Forse qui è la vera Africa.
La sera dormiamo nella capitale Mbabane, in un albergo molto squallido nonostante i 350 rand a doppia. La città alle 19 è deserta, i ristoranti aperti si contano sulla punta delle dita.
Ci immergiamo nello Swaziland con un breve giro della capitale, con la visita alla ricostruzione di un villaggio zulu e con gli acquisti presso un mercatino lungo la strada. E qui incontro lei: la mia giraffa. Lo vedo subito, li al primo banchetto, era in assoluto quella che mi piaceva di più, di legno, bella e alta 1 m: sarà il nostro nuovo compagno di viaggio. Qui compro diverse cose, con la speranza che i miei soldi servano direttamente per la vita quotidiana della popolazione locale.
Di corsa, perché come dice Enrico “siamo tirati”, salutiamo lo Swaziland, ritorniamo in Sudafrica e raggiungiamo la cittadina di Hluhluwe, dove ci rimaniamo per due giorni. Da raccontare la cena della prima sera all’unico ristorante del paese. Io e Enry ordiniamo un pollo, convinti di mangiare una bistecca di pollo, invece portano ad ognuno un pollo intero cucinato alla diavola. Impossibile finirlo tutto, nonostante sia buonissimo. Così come sono inusuali gli ospiti che ritroviamo in camera, un geco e una rana. Gb a fatica riesce a farli accomodare fuori.
Hluhluwe significa omonimo parco e Hluhluwe Park per me significa: ? Gb che guida e che ci sveglia dai nostri pensieri al grido di “Un ghepardo!” E il ghepardo li, che cammina a meno di 5 metri da noi e che tranquillo attraversa la strada asfaltata; ? Rinocerente mamma e baby che attraversano e si fermano a bere alla pozza a noi vicina; ? I tanti bimbi che ci aspettano all’uscita del parco inscenando una danza zulu. Ancora una volta mi rendo conto quanto siano eccessivi tutti i nostri beni.
Durban è la nostra prossima meta e non ha nulla di africano, e non mi piace. Qui vivo uno dei pochi momenti tesi della vacanza. La sera, verso le 18, ci avventuriamo nel centro città, ad un incrocio ci ferma un bianco locale, invitandoci a ritornare in albergo perché la zona è pericolosa. Nel tratto di strada che percorriamo avverto la paura e capisco cosa vuol dire essere una minoranza, perché siamo gli unici bianchi. Capisco anche quanto sia ancora lontana in questo paese la completa integrazione tra bianchi e neri. Durban è presto dimenticata perché nel trasferimento verso Umtata attraversiamo paesaggi davvero particolari, intere collinette color ocra disseminate di casette colorate e ovunque bambini in divisa in entrata o uscita da scuola.
Umatata è il paese di nascita di Nelson Mandela e non possiamo perderci la visita al museo a lui dedicato. Subito mi rendo conto, quanto poca conosca di quest’uomo e di quello che ha significato per questa nazione, mi riprometto di acquistare la sua bibliografia una volta arrivata in Italia.
Da Umtata, tappone di trasferimento a Port Elisabeth, ma sbagliamo strada e finiamo a Jeffreys Bay, cittadina di surfisti. Ci arriviamo alle 19, tirati come sempre, ci salva “la Lonely” che per il pernottamenti ci consiglia un resort in legno da favola.
Mare, mare e balene. Si perché a Jeffreys Bay ci godiamo un po’ di spiaggia e poi sarà balene. La “mia prima balena” la vedo dal pub in cui ci fermiamo per il pranzo. Sono li seduta ad aspettare ed ecco che tutti si voltano verso il mare, la vedo, prima la pinna, poi il soffio: che emozione.
A Wilderness, dove decidiamo di pernottare (caldamente consigliato il B& B www.Dolphindunes.Co.Za ) vedo dal terrazzo un balenottero che nuota tranquillo nell’oceano appena sotto di noi.
Peccato lasciare Wilderness e il B&B Dolphindunes, ma non abbiamo alternative, il tempo stringe e noi ci siamo ripromessi la visita alle caverne Cango Caves (che mi deludono perché troppo turistiche) e al paese degli struzzi Oudtshoorn che invece mi fa sorridere perché nei prati pascolano gli struzzi invece delle mucche. Neanche a dirlo siamo tirati con i tempi e quindi non passiamo fermarci per il pranzo in un ristorante tipico ma dobbiamo correre verso la prossima e ultima meta.
Ci siamo, siamo arrivati a Cape Town, ultima meta del nostro viaggio e un po’ di tristezza mi coglie.
Facciamo il giro della baia fino a Cape Point e al Capo di Buona Speranza e mi fa un po’ impressione se penso dove è collocata sulla carta geografica. Alle 15 prendiamo letteralmente al volo l’ultimo traghetto per Robben Island, l’isola in cui sorgeva il carcere di Mandela.
La visita mi tocca, capisco quante ingiustizie ci siano state e quante ancora ce ne siano nel mondo. Peccato non aver compreso tutto quanto spiegato durante la visita.
La sera alloggiamo in un elegantissimo albergo a Stellenbosh (www.Devonvalleyhotel.Com). Gb, causa traversata in traghetto da forfait per la serata, mentre io, Maurizio ed Enry non ci risparmiamo, prima cena e poi disco pub. Rientriamo scortati dalla polizia perché perdiamo la strada per l’hotel e così la polizia piuttosto che spiegarci la strada ci intima un “follow me!”.
Come ultimo giorno ci viene regalata una splendida giornata di sole, peccato che il vento ci impedisce di salire con la funivia sulla Table Mountain. Di questa città mi piace molto il porto, anche se lo trovo molto europeo e poco africano. Ma Cape Town è anche la baraccopoli che sorge ai fianchi della N2, migliaia di persone vivono stipate in case di lamiera e attraversano come nulla fosse la N2.
Al ritorno verso Stellenbosh, tentiamo la visita alle cantine, ma arriviamo dopo le 17 e troviamo tutto chiuso. Ripieghiamo sul supermercato e così ci portiamo a casa il vino sudafricano.
L’ultimo giorno è la solita cronaca dell’attesa, del check.-in e degli ultimi acquistati al duty free.
Noi che siamo carichi di bagagli, zaini, borse, souvenir e la mia giraffa che sfortunatamente cade dal carrello bagagli e perde il naso…A casa papà provvederà ad aggiustarla con un po’ di colla: è più simpatica la mia giraffa sfigurata! La fine di questo viaggio, che per me rimane uno dei migliori, porta con se la voglia di tornare in Africa e la consapevolezza che alcune persone diventano sempre più importanti nella mia vita.
Claudia