Innamorarsi di Genova
Prima giorno (mezza giornata)
Dopo esserci trovate così bene in quel di Firenze, la zia Marisa e io decidiamo che è giunto il momento di fare un altro viaggetto insieme. La scelta è caduta su Genova un po’ per caso, un po’ per comodità. Ci troviamo alla centrale di Milano, io arrivo dal Canton Ticino e lei dalla Valtellina. Passare da un treno delle FFS a uno di Trenitalia è stato come sempre uno choc, ma almeno eravamo perfettamente in orario e un’ora e mezza dopo siamo sbarcate in Piazza Principe.
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Abbiamo deciso di trattarci bene ed il nostro hotel è un Best Western nella centralissima piazza Fontane Marose. Che i futuri avventori dell’hotel non si preoccupino, di fontane non ce n’é nemmeno l’ombra: da metà Ottocento gli abitanti della piazza possono dormire tranquilli senza essere disturbati dallo scroscio dell’acqua. Potranno però affacciarsi alla finestra e godersi le belle facciate di Palazzo Spinola dei Marmi e Palazzo Spinola di Luccoli-Balestrino, patrimonio dell’Umanità insieme a tutti gli altri Rolli di Genova.
Quello che consiglio a coloro che, come noi, staranno a Genova per pochi miseri giorni, è di iniziare il soggiorno con un piacevole vagare per le vie del centro. Servirà a sgranchirsi le gambe dal viaggio, ad orientarsi per le future attività e a calasi nell’atmosfera genovese. Camminando vi imbatterete sicuramente in un monumento che avevate progettato di visitare.
A noi è successo di incrociare la cattedrale di San Lorenzo. Bicroma e bella grande, la riconoscerete di sicuro.
Si è soliti giudicare un edificio seguendo criteri quali uniformità, coerenza stilistica e armonia. Su questo frangente la cattedrale di San Lorenzo è sicuramente da buttare. È necessario quindi cambiare punto di vista e immergersi in una caccia al tesoro che vi porterà a scoprire decine di stili ed influenze fra le più disparate. Ammirerete ciò che resta dell’epoca di fondazione (1100), ovvero gli imponenti portali laterali; negli altri portali, quelli della facciata, riconoscerete motivi scultorei ed elementi decorativi che vi faranno viaggiare dalla Normandia fino al vicino Oriente. All’interno i vostri occhi spazieranno dal gotico dell’elevazione e del rosone fino alla bianca cupola rinascimentale, passando per cappelle barocche affiancate da altre neoclassiche. Insomma, occhi ben aperti e radar acceso per non perdersi nemmeno un dettaglio.
Ho visto diverse persone seguire delle visite guidate: una soluzione davvero intelligente e che fa anche girare un po’ l’economia.
Continua il nostro vagabondare e, fra un fruttivendolo di quà e un pescivendolo di là, ci ritroviamo davanti alla chiesa di San Donato. Non fatevi ingannare dalla facciata perché fra Ottocento e Novecento alcune persone – sicuramente in buona fede – hanno deciso di restaurarla in modo molto… invasivo. Certo, nemmeno l’interno è esempio di perfetta armonia, ma è piccola e carina e vale una visita. Anche perché in una cappella laterale troverete Joos van Cleve con il suo celebre trittico dell’Adorazione dei Magi a riprova degli intensi rapporti commerciali fra Genova e il Nord. Neanche a dirlo, al centro osserverete un’Adorazione dei Magi (di quelle belle ricche di dettagli), mentre sull’anta di sinistra ci sarà il committente Stefano Raggio con il suo omonimo santo e, su quella destra, un’elegantissima Maddalena. Inutile che vi scriva un romanzo su questa e sulle altre opere in San Donato: sul posto troverete dei depliant che vi aiuteranno ad orientarvi. Saranno a pagamento, ma dovete ricordare che San Donato è una chiesa piccola e probabilmente poco facoltosa: un monetina per il custode, le pulizie, la bolletta dell’elettricità e la disponibilità ad accogliere turisti rompiscatole mi sembra il minimo.
L’ora di pranzo è passata da un pezzo e la fame inizia a farsi sentire. Delle amiche mi avevano spiegato che a Genova ci sono dei negozietti dove per qualche euro ti fai fare un panino farcito con quasiasi cosa tu possa sognare. Ne troviamo uno in zona San Giorgio e mi gusto una bella rosetta con arrosto di maiale e pesto. Sempre in San Giorgio mi compro una mela alla bancarella di un signore talmente simpatico che gli avrei comprato addirittura quelle mini-barbabietole che mi ha obbligato ad assaggiare.
È giunto ora il momento di fare quello che tutti fanno a Genova, ovvero visitare l’Acquario. Avevamo prenotato, quindi abbiamo potuto iniziare subito il lungo percorso fra murene sinuose, stelle marine cicciotte, lamantini sorprendentemente eleganti, meduse appena uscite da un goa, camaleonti simpatici e gechi talmente grassi da sembrare salsicce. Non ho visto i delfini, ma non li amo particolarmente quindi sopravviverò. Calcolate due ore e mezza (come minimo) e preparatevi a divertirvi e sorprendervi come bambini!
Dopo aver approfittato a più riprese della disponibilità delle ragazze alla reception del nostro hotel, andiamo a cena ai Tre Merli in via Maddalena. Bell’ambiente, camerieri e proprietario gentili, forse un po’ caro. Mi do comunque alla pazza gioia e spazzolo un’insalata di polpo e patate tenera tenera e alcune specialità genovesi che però non mi hanno colpito nel profondo. Per il vostro bene, sappiate che la panéra (e non la pànera) è un semifreddo genovese che dovete assolutamente assaggiare.
Nel tornare in hotel facciamo una piacevole passaggiata in via Garibaldi: i Rolli di notte hanno una magia tutta loro.
Secondo giorno
Durante un’ottima e abbondante colazione in hotel ci consultiamo sul da farsi e decidiamo per il Castello d’Albertis. L’ascesa ha messo a dura prova i nervi della zia visto che è una fifona e un marchingegno a metà strada fra un ascensore e un trenino non è esattamente qualcosa che ti tranquillizza. Ma una volta giunte a destinazione i nervi le si sono sciolti come un calippo in agosto: appena si mette piede nel parco ci si sente come trasportati in un’altra epoca, quasi in un’altra dimensione. Non possiamo resistere alla tentazione e ci prendiamo un espresso sulla terrazza panoramica, baciate dal sole mattutino come due dame di fine Ottocento.
Iniziamo poi il nostro giro per il Museo delle Culture del Mondo, uno di quei musei che ti mettono il buon umore e che ti fanno pensare “grazie al cielo esistono posti simili!”. Prima di tutto un incontro ravvicinato con il Capitan Albertis e con le sue numerose passioni. Un cabinet des curiosités con armi, utensili e suppellettili esoteriche da ogni angolo del mondo, una sala dedicata all’hobby di costruire meridiane, altre sale tematiche come ad esempio quella turca (dove non ci sono solo cose turche, ma un’accozzaglia di cose orientaleggianti : si usava così e questa ne è una testimonianza da brivido), e poi libri bellissimi, libri magnifici e ancora libri fantastici. Di uomini così non ne fanno più, ci diciamo sottovoce io e la zia.
Si passa poi al vero e proprio museo delle Culture del Mondo, con annesso anche il museo delle Musiche del Mondo. Oltre a bearmi della museografia eccellente e dell’allestimento impeccabile (ormai, deformazione professionale), ho anche imparato moltissimo e quello del colle di Montegalletto sarà il più bel ricordo di Genova che mi porterò a casa.
Il Castello è senza dubbio da rivisitare la prossima volta, non solo per la sua bellezza, ma anche perché diverse sezioni del Museo delle Culture erano ancora in allestimento (e da quello che si poteva intravedere, promettono davvero bene).
Abbandoniamo a malincuore l’atmosfera magica del Castello e scendiamo in città, dove mangiamo una focaccia bella unta e gustosa. Vaghiamo un po’ per le vie del centro e facciamo “ambarabacciciccocò” fra i tre musei di Strada Nuova. Vince Palazzo Rosso, che visitiamo munite di un’ottima audioguida. Non ci sono capolavori, ma una serie infinita di dipinti minori tutti da scoprire, alcuni anche di personaggi noti ai più come a esempio Antoon van Dick, Guercino e Dürer (al momento, assente giustificato). Insomma, non è il Louvre ed è proprio questo il bello: calmo, intimo, quasi ovattato. È un po’ la sensazione che ho provato a paragonare Uffizi e Palazzo Pitti a Firenze.
Orrore del sublime e del pittoresco sul terrazzino di Palazzo Rosso. Durante la visita abbiamo intravisto diverse persone che, incuranti delle tele appese attorno a loro, cercavano la terrazza sul tetto. Beh, cerchiamola pure noi. Accompagnate da un custode un po’ viscido ma molto chiacchierone, abbiamo preso un ascensore fino al tetto, dove ovviamente la zia si è fermata. Io ho proseguito sulle scale (sola soletta) fino ad un vero e proprio terrazzino che offre una vista mozzafiato a 360° sui tetti di Genova. Mentre scendevo la testa girava e le ginocchia erano schifosamente molli, ma sono ancora qui a raccontarlo.
Per riprendere le forze compro a peso d’oro dei sostanziosissimi dolcetti della Quaresima nella rinomata pasticceria Profumo. A dire il vero ero entrata per guardare visto che il negozio era molto “belle époque”, ma alla fine il commesso mi ha messo in soggezione e ho deciso che un po’ di marzapane avrebbe solo potuto farmi bene.
E per fortuna che ho recuperato le forze! Da qui in avanti, tutto storto. Ci beviamo un caffé scomodo in un bar affollato alla sinistra della ticinesissima facciata di Palazzo Ducale. Come avrete immaginato, siamo lì per la mostra di Van Gogh e Gauguin. I quadri erano belli, anzi, bellissimi ed interessantissimi, ma il fil rouge del viaggio era davvero tirato per i capelli. Avessero fatto una mostra dicendo “abbiamo riunito un po’ di quadri famosi a casaccio per guadagnare un sacco di soldi”, sarebbe stato uguale. L’esperienza è stata in tutto e per tutto stressante: e non trovo dove si prendono i biglietti, e le audioguide, e dove sono le toilettes, e tu piantala di darmi gomitate, e aspetta che magari riesco a vedere un angolo di tela quando quelle venti persone si spostano, signorina guardi dove mette i piedi. Non sono mai stata a Rimini a Ferragosto, ma scommetto che la musica è la stessa.
Ceniamo in piazza delle Erbe. Di solito mangio anche i sassi, ma questa volta è stato davvero troppo e per la prima volta nella mia vita ho lasciato un ristorante senza quasi toccare il piatto. Era una trattoria, quindi chissenefrega se il servizio è stato pessimo. Ma il cibo me lo aspettavo buono. Entrambe ci siamo ritrovate davanti dei ravioli al pesce letteralmente in blocco (se cercavi di inforchettare un raviolo, ne alzavi tre o quattro tutti appiccicati) accompagnati da mostri marini che sembravano di plastica. Se non fosse stato pesce, l’avrei mangiato… ma ho preferito evitare il rischio di finire in ospedale. Non farò nomi perché i due ragazzi in sala erano ‘ggiovini’ e sono sicura che avranno mille occasioni per migliorare la loro cucina.
Ci consoliamo con un ottimo gelato, sempre in piazza delle Erbe.
Terzo giorno
Volevamo andare a Boccadasse, ma il tempo era bruttino e quindi niente. Optiamo allora per per una lunga mattinata di shopping in corso XX Settembre (eh si, mica vivo solo di pane e arte!). Rimango sconvolta dal fatto che nonostante sia lunedì i portici e i numerosi negozi sono affollatissimi. Incurante della folla, ne approfitto dell’euro basso e dei numerosi negozi che qui in Svizzera non esistono per rifarmi un po’ di guardaroba estivo. Stufe e affamate, ci ritiriamo nei carrugi dove mangiamo focaccia e farinata (che, onestamente, non apprezzo particolarmente). Passiamo da via del Campo, che, come ci diranno delle signore scuotendo la testa, “non è più la via del Campo di una volta”. A voi giudicare se fosse meglio una volta o adesso.
Zig-zagando arriviamo in Piazza Ferrari e, dirette verso il nostro albergo ci rifocilliamo al Panino Doc, vera e propria istituzione genovese (ci dicono). Dopo un pisolino ricominciamo il nostro peregrinare e approdiamo alla chiesa di San Filippo Neri. Pur non essendo una grande fan del Barocco, sono rimasta piacevolmente colpita dall’edificio. Subito dopo visitiamo la prima cattedrale di Genova, San Siro (quello del basilisco). Niente da far tremare le ginocchia, ma sono comunque interessanti gli affreschi delle volte di GB Carlone, quasi mio conterraneo. A proposito di chiese, visitiamo anche la Santissima Annunziata del Vastato. La Controriforma ha trasformato una chiesa semplice in un tripudio Barocco pieno di stucchi e dorature; ma il tutto è molto armonico e spazioso, quindi niente mal di testa. Non visitiamo invece la Maddalena : stavano dicendo Messa e noi non volevamo fare le turiste inopportune.
Le suole delle scarpe consumate, ce ne torniamo in albergo. Le signorine della reception sentita l’avventura della sera precedente ci consigliano di tornare in piazza delle Erbe, ma questa volta di fermarci da Panson. Che bel consiglio! Il servizio era ottimo: la cameriera gentile, efficiente e con tanta voglia di lavorare; il proprietario accogliente e disponibilissimo: ci ha spiegato con tanta passione l’origine delle pietanze (cosa che farà almeno 20 volte al giorno, quindi complimenti per non aver perso la poesia!) e con altrettanta pazienza ha tirato fuori da un cassetto la cartina di Genova spiegandoci cosa valeva la pena visitare. Abbiamo antipasteggiato con delle alici fritte per poi continuare con delle trofie al pesto (zia) e dei ravioli al pesto di noci (io). Era la prima volta che assaggiavo questi due piatti e quindi non posso permettermi paragoni, ma a me é sembrato cibo coltivato in paradiso. Dopo una piccola passeggiata per digerire passando dietro Palazzo Ducale, attraversando Piazza Ferrari e allungando la strada fino ai nostri bei Rolli illuminati, andiamo a dormire con sorriso sulle labbra.
Ci terrei a fare un piccolo appunto sulla Genova in notturna. È vero che io e la zia siamo una coppia un po’ bizzarra che difficilmente sarà importunata, ma devo dire che sono rimasta piacevolmente colpita dalla tranquillità delle strade del centro di Genova la notte (esclusi i carrugi in zona porto, che abbiamo evitato sotto consiglio di tutti). Certo, diverse persone ti guardano male e capita spesso di incontrare gente sola che non si regge più in piedi. Ma in quattro giorni solamente un ragazzo gentile ci ha chiesto dei soldi, e la storia (come da copione) è finita con la zia che prima si fa raccontare la di lui vita, morte e miracoli e poi attacca con la predica materna e lo sgrida affettuosamente perché é un disgraziato.
Quarto giorno (mezza giornata)
Ci alziamo con la consapevolezza che Genova ci è rimasta inaspettatamente nel cuore e che ci mancherà da morire. Quella che sembra soffrire di più è la zia, seriamente convinta di non aver visto abbastanza e già a controllare l’agenda per decidere il prossimo soggiorno in questa magnifica città. Io la prendo un po’ meglio essendo convinta che, tirate le somme, il poco che abbiamo visto è stato variato e stimolante; e poi Genova è vicina!
Visto che manca poco non possiamo più permetterci di ciondolare per le vie, ma decidiamo comunque di fare un giro veloce passando davanti ai monumenti e per le strade che più ci hanno colpito. La mezza giornata prima della partenza è ovviamente dedicata anche al cibo: non si può tornare a casa a mani vuote! Il posto migliore per gli acquisti è sicuramente il dedalo di vicoli in zona San Donato. Facciamo man bassa di varie squisitezze sott’olio, focacce, farinate ; ci rifacciamo gli occhi davanti alle piccole pescherie ma, per la gioia di chi dividerà il vagone con noi, non compriamo nulla. Concludiamo con una lunga sosta in una pasteria consigliata dal gentilissimo Mr. Panson; vorrei indicarvela, ma non ricordo la via e la proprietaria ci disse che di lì a poco avrebbero traslocato. La pasteria ahimé era chiusa per problemi tecnici, ma madre e figlia ci fanno entrare lo stesso e, nonostante i problemi in corso, ci intrattengono con una chiacchierata durata una buona mezz’ora. Usciamo di ottimo umore e con due sacchetti gonfi di pasta fatta in casa, pesto e la mia adorata crema alle noci.
Prima di tornare in hotel a recuperare i bagagli, ci facciamo ancora un giro per gli antiquari della città. Uno spettacolo! Chiaramente avevamo scritto in fronte la parola “turiste” ed eravamo anche un po’ trafelate da quest’ultimo sprint, quindi non siamo sempre state trattate con la dovuta cortesia. Ma l’ambiente è snob per antonomasia, quindi non ce ne siamo preoccupate più di tanto. Oltre alla quantità smisurata di antiquari, la mia deformazione professionale (sì, ancora lei) mi ha fatto notare la grande presenza di case d’aste, linfa vitale per l’economia e l’identità culturale di una città storica come quella di Genova.
Con la lacrimuccia andiamo (questa volta a piedi) in stazione, da dove partiamo alla volta di Milano. La zia se ne tornerà in Valtellina ed io a Friborgo, dove i tavoli della biblioteca sentono già la mia mancanza. Ci terrei a concludere con un piccolo elogio alla città di Genova.
Sono stati quattro giorni meravigliosi (la parola preferita della zia), e non solo per la compagnia. Sarà perché l’accento genovese è terribilmente simile al mio, sarà perché io sono un po’ timidina e i genovesi sono dei gran chiacchieroni, sarà perché non ho incrociato criminali e a nessuno è passato per l’anticamera del cervello di fregarmi (a parte la donna del chiosco di piazza Ferrari che non voleva vendermi solo i francobolli), sarà perché ho mangiato come una regina, sarà perché da (futura) storica dell’arte ho trovato pane per i miei denti, ma io qui mi sono davvero sentita a casa.
Il fatto poi che questa città abbia iniziato solo negli ultimi anni ad aprirsi al turismo la rende una fonte di ispirazione inesauribile. Tutti quanti, dai ristoratori ai custodi dei musei, sono pieni d’entusiasmo e di voglia di piacere e le strutture quali alberghi e musei sono nuove o recentemente rinnovate. Insomma, un esempio pulsante di voglia di migliorare che andrà sicuramente a trasformare Genova in una città turistica e non nella città “dove sono passato quando ho preso il traghetto per la Sardegna”.
Ho visitato diverse città ma questa è una delle poche ad essermi entrata nel cuore: nel giro di due giorni ti innamori e non vuoi più lasciarla, vorresti viverla tutta, camminare ogni giorno in via san Lorenzo, visitare tutti i musei, andare a teatro una volta la settimana, fare la spesa nei vicoli e qualche volta prendere il bus e andare al mare, anche d’inverno.