Indimenticabile messico.. 2

Io, mio marito Andrea, i nostri amici Simona e Michele con i due bambini di 6 e 4 anni, e la nostra amica Alessia, siamo partiti da Milano Malpensa il 27 luglio 2008 e siamo giunti in Messico il 31 luglio, dopo una breve “deviazione” a Cuba causata da un overbooking sul volo. Ne abbiamo approfittato per rilassarci sulla splendida spiaggia di...
Scritto da: saraandrea
indimenticabile messico.. 2
Partenza il: 27/07/2008
Ritorno il: 18/08/2008
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
Io, mio marito Andrea, i nostri amici Simona e Michele con i due bambini di 6 e 4 anni, e la nostra amica Alessia, siamo partiti da Milano Malpensa il 27 luglio 2008 e siamo giunti in Messico il 31 luglio, dopo una breve “deviazione” a Cuba causata da un overbooking sul volo. Ne abbiamo approfittato per rilassarci sulla splendida spiaggia di sabbia bianca di Varadero e per immergerci nelle sue acque cristalline e calde; inoltre siamo stati all’Havana, città ricca di fascino e suggestione, e che merita sicuramente più di una fugace visita in giornata.

Giunti finalmente in Messico, destinazione sognata da molto tempo, siamo rimasti estasiati dalle condizioni climatiche (18 giorni di sole, con il cielo di un blu intenso e una umidità assolutamente sopportabile), dal contatto con la gente del posto e, ovviamente, dalle meraviglie della civiltà maya. Abbiamo soggiornato presso il Gran Bahia Principe Tulum, circa 15 chilometri a nord di Tulum, che si è rivelato un villaggio con elevati standard qualitativi e la cui ubicazione ci ha permesso di muoverci agevolmente nella penisola dello Yucatan.

Abbiamo effettuato tutte le escursioni autonomamente, o noleggiando un’auto o servendoci di un taxi o utilizzando i collettivos, il mezzo di trasporto pubblico locale molto efficiente e dal costo irrisorio (Tulum – Playa del Carmen 2 dollari, con fermate a richiesta).

Il nostro assaggio della cività maya è comiciato con la visita al sito archeologico di Tulum, che si erge su un promontorio a picco sul Mar dei Caraibi. L’ingresso costa 45 pesos cui vanno aggiunti 35 pesos per l’utilizzo della videocamera (all’incirca 10 pesos equivalgono a 1 dollaro). Il nome preispanico era Zamà che significa “alba”; per via della vicinanza al mare e dell’ubicazione che permettono di osservare l’ascesa del sole ogni giorno, non è difficile supporre la ragione del suo nome. Zamà significa anche “cerchio” o “recinto”; infatti le mura circondano per tre lati il settore principale dell’antica città.

La posizione costiera di Tulum, con l’alto edificio del Castillo a picco sul mare, ha fatto sì che la cittadella fosse la prima ad essere avvistata dagli spagnoli. Il 3 marzo 1517 tre vascelli spagnoli giunsero nei pressi della città e vennero raggiunti da alcune piroghe maya. Tulum fu teatro di un primo scontro tra maya e invasori, avvenuto allo sbarco degli europei e che si risolse a favore degli invasori. La favorevole posizione geografica collocava Tulum sull’asse commerciale che congiungeva l’altopiano messicano e l’America centrale. I commerci si svolgevano via mare, su grandi piroghe che approdavano nell’insenatura presso il Castillo scaricando merci quali miele, sale, pesci, oggetti di ossidiana e piume di quetzal.

Uscendo dal sito, abbiamo preso la strada a sinistra e, dopo aver percorso circa 1 chilometro sotto il sole cocente, siamo giunti nella splendida Playa Paraiso, che ci ha ripagato di tutti gli sforzi fatti per raggiungerla.

Il nostro viaggio è proseguito con la gita all’isola Mujeres, uno scudo calcareo lungo 8 chilometri, che si trova 11 chilometri a nord-est di Cancun. Abbiamo preso un taxi fino a Cancun e ci siamo imbarcati sul ferry boat da puerto Juarez. Il biglietto di andata e ritorno costa 70 pesos; ci sono imbarchi ogni 30 minuti. Isola Mujeres è un’isola dall’atmosfera rilassata; perfino gli squali se la prendono comoda e spesso sonnecchiano nelle grotte a circa 25 metri di profondità. Gli esperti ritengono che la mancanza di anidride carbonica e l’abbondanza di ossigeno delle sorgenti subacquee inducano negli squali uno stato di sonnolenza. L’intera isola è costituita da poche strade con ristoranti, hotel e negozi; quasi ovunque si può andare in giro a piedi nudi e in costume.

Le acque di playa norte, la spiaggia principale dell’isola, sono adatte al nuoto e al relax; sulla spiaggia si trovano anche molti bar e ristoranti dove è possibile gustare ottime grigliate di pesce a prezzi irrisori. Abbiamo proseguito il nostro viaggio alla scoperta dei tesori del Messico visitando Chichen Itza, il sito maya più maestoso e dall’architettura più intrigante della penisola dello Yucatan.

Siamo partiti all’alba per poter arrivare al sito archeologico entro le 8.30 e riuscire così a visitarlo prima dell’arrivo dei bus dei tour organizzati. All’ingresso abbiamo incontrato Ernesto che ci ha fatto da guida durante la visita; il costo della guida è standard, indipendentemente dal numero delle persone del gruppo, ed è di 600 pesos. Ernesto ci ha accompagnato per circa 2 ore e poi abbiamo gironzolato da soli tra le rovine per altre 2 ore circa.

La struttura più celebre di Chichen Itza è sicuramente il Castillo, detto anche piramide di Kukulkàn, che venne eretto inglobando un più antico edificio maya al cui interno è stato trovato un Chaac Mool colorato di rosso. La costruzione piramidale presenta quattro gradinate che contano ognuna 91 scalini per una somma totale di 364; se si aggiunge l’unico gradino del tempio che vi è sulla sommità della piramide, il conto finale è di 365, cioè l’esatto numero dei giorni del ciclo solare.

Se avete la possibilità, visitate il Castillo durante l’equinozio di primavera o di autunno (21 marzo o 21 settembre); in tali giorni il sole illumina il fianco nord occidentale della piramide creando un’ombra a forma di serpente che zigzaga giù lungo i gradini fino ad incontrare un testa di serpente alla base della piramide stessa. Questo fenomeno testimonia l’incredibile competenza maya in matematica e in astronomia, e l’importanza del serpente piumato, divinità chiamata anche Kukulkàn.

Come in quasi tutte le città maya, anche Chichén Itzà ha diversi impianti per il rituale gioco della pelota; ne sono stati trovati sette. Il vero e proprio campo da gioco è lungo circa 146 m e largo quasi 37 m, circondato da mura alte 8,5m. Nel mezzo delle due mura laterali è posto, a un’altezza di 7,5 metri un cerchio di pietra; i giocatori dovevano tirare una palla di cauciù, pesante circa 2 chili, attraverso questi cerchi di pietra usando gomiti, ginocchia e fianchi. La palla, simbolo del Sole, non doveva toccare il terreno poiché altrimenti si sarebbe interrotto il corso simbolico del Sole. Si suppone che i perdenti in questo gioco fossero sacrificati. Dopo aver visitato Chichen Itza ci siamo diretti alle Grotte di Balankanché (‘Trono del Sacerdote del Giaguaro’). L’ingresso alle grotte costa 55 pesos e ci sono visite guidate ogni ora che durano circa 35 minuti. Le grotte sono state scoperte per caso nel 1959; l’accesso al sotterraneo, luogo di culto e di sepoltura inviolato per molti secoli, era sbarrato da grosse pietre. Le grotte sono illuminate artificialmente; all’interno sono visibili ciotole e vasi di argilla, altri reperti e oggetti usati per le cerimonie sacre, molti dei quali decorati con il volto del dio della pioggia. Al centro delle grotte c’è una stalattite congiunta a una stalagmite, che ricorda un Ceiba, l’albero sacro dei Maya. Uno stretto passaggio conduce ad un’altra cavità ricca di stalattiti situata più in basso, alla cui estremità uno specchio d’acqua cristallina circonda un altare dedicato sempre al dio della pioggia Tlàloc. Occorre prestare attenzione all’elevato tasso di umidità e al calore elevato che si hanno all’interno delle grotte; la sensazione di mancanza di aria si fa più forte man mano che si scende verso il basso.

Usciti dalle grotte ci siamo diretti verso Valladolid; a pochi chilometri dalla cittadina, merita sicuramente una sosta il cenote Dzitnup, dove è possibile fare un bagno rigenerante e ammirare gli spettacolari giochi di luce creati da una apertura nel soffitto che illumina la fonte sotterranea verde-blu. Fondamentale è recarsi al cenote in un giorno di sole, altrimenti l’effetto visivo è sicuramente meno entusiasmante. L’ingresso costa 25 pesos.

Giunti a Valladolid abbiamo pranzato, ovviamente a base di pietanze messicane, e ci siamo rilassati camminando nelle tranquille vie della città. Valladolid è la seconda città più grande dello Yucatan ma ha mantenuto un aspetto provinciale e le donne indossano ancora le caratteristiche vesti dette huipi.

Stremati, ma contenti e soddisfatti, siamo tornati al nostro villaggio, e abbiamo iniziato a pianificare la nostra gita sull’Isola Holbox. Situata a nord ovest di Cancun, l’isola Holbox è lunga 42 chilometri ed è separata dalla terraferma da una laguna, habitat naturale di moltissimi fenicotteri, pellicani e altre creature esotiche. L’isola è ancora una meta poco turistica, inaccessibile al turismo di massa, e piuttosto scomoda da raggiungere; abbiamo impiegato circa 4 ore di auto per arrivare a Chiquilà, caratteristico paese con un piccolo porto da cui ci siamo imbarcati per Holbox. Il tragitto dura circa 30 minuti ed il costo è di 45 pesos a tratta. Abbiamo lasciato l’auto in un “estacionamento” a pagamento (40 pesos al giorno) nelle vicinanze del porto. Una volta giunti a destinazione, ci è sembrato di trovarci in un paradiso naturale … stradine fatte di sabbia, niente auto ma solo carritos elettrici o biciclette, sabbia bianca, spiagge immense e quasi deserte, numerosi bar e ristoranti colorati direttamente sulla spiaggia … Il nostro hotel (hotel la palapa, 70 dollari la camera doppia), prenotato su internet, si è rivelato la ciliegina sulla torta; si tratta di un piccolo hotel in legno, ubicato direttamente sulla spiaggia, con poche stanze a dir poco spettacolari … e con un balconcino con l’immancabile amaca per rilassarsi ammirando lo splendido panorama dell’isola. Unica pecca dell’isola sono i fastidiosi mosquitos.

Vi chiederete come mai ci siamo recati proprio a Holbox … ebbene, l’idea è stata di mio marito il quale, curiosando su internet e su vari siti dedicati al mondo sottomarino (siamo tutti subacquei), si è imbattuto nella descrizione dell’isola, conosciuta soprattutto perché da metà maggio a metà settembre vi si può incontrare il famoso tiburon ballena, ovvero lo squalo balena. Lo squalo balena (Rhincodon typus) è il più grande pesce attualmente conosciuto; si pensa che alcuni esemplari possano superare i 100 anni di vita e raggiungere una lunghezza di ben 18 metri. Lo squalo balena nuota in tutti i mari temperati caldi e tropicali e si mostra con il suo caratteristico dorso bluastro con strisce e macchie rotondeggianti. Il ventre è bianco ed ha funzioni mimetiche, infatti dal basso verso l’alto la colorazione bianca si confonde con la luminosità della superficie marina, mentre dall’alto il dorso bluastro con macchie e strisce simula il riverbero del sole sull’acqua.

Al mattino presto ci siamo imbarcati nella speranza di avvistare qualche esemplare di squalo balena … e così è stato!!! A circa 20 miglia dalla costa, ci siamo imbattuti in un “cucciolo” di poco più di 5 metri. E’ stato un incontro che ci ha emozionato tantissimo e che non dimenticheremo mai … a turno, a gruppi di due più la guida, siamo scesi in acqua e abbiamo nuotato con lo squalo per circa una ora. Anche la piccola Beatrice di 6 anni ha vissuto questa splendida esperienza, mentre il fratellino non se l’è sentita e, con la scusa di un improvviso quanto sospetto mal di pancia, ci ha aspettato in barca. Nel tragitto di ritorno abbiamo avuto la fortuna di vedere anche tre delfini! L’escursione in barca costa 80 dollari a testa ma li vale davvero tutti!!!! Per ogni informazione visitate il sito www.Holboxisland.Com/ Appagati dai due giorni trascorsi sull’isola Holbox, ma comunque desiderosi di conoscere ulteriormente le bellezze del Messico, ci siamo recati sull’Isola Cozumel. Abbiamo preso il colletivos fino a Playa del Carmen; da lì abbiamo preso il ferry boat per l’isola Cozumel; il biglietto costa 12 dollari a tratta e il tragitto dura circa 45 minuti.

La vita dell’isola si concentra attorno a San Miguel, una cittadina che combina piacevolmente aspetti tradizionali della cultura messicana con caratteri più tipicamente “americani”. Ma l’isola è conosciuta e amata soprattutto per il suo mare cristallino, con una visibilità compresa tra i 20 e i 30 metri, una temperatura dell’acqua intorno ai 26 gradi e con splendidi fondali ricchi di spugne, coralli colorati, pesci angelo, cernie rosse e pesci farfalla gialli … Noi abbiamo fatto tappa alla Laguna Chankanaab, riserva naturale in cui è possibile fare un bello snorkeling. L’ingresso costa 176 pesos. Dopo questa bella escursione di mare, abbiamo visitato il sito archeologico di Cobà che si trova immerso nella foresta a 47 chilometri da Tulum. Abbiamo preso il collettivos fino a Tulum e poi un taxi che ci ha accompagnato fino alle rovine e ci ha atteso per riportarci indietro (costo 50 dollari A/R); il taxista, senza aggiunta di prezzo, si è reso disponibile ad accompagnarci al Gran Cenote ma la stanchezza ha preso il sopravvento e abbiamo declinato l’invito.

L’ingresso al sito costa 49 pesos cui vanno aggiunti 35 pesos per l’utilizzo della videocamera.

Una caratteristica di Cobà è la rete di strade e sentieri più impressionante incontrata nel mondo preispanico. Ad oggi si sono scoperti 40 sentieri chiamati “sacbès” (sac=bianche; bè=strade), la cui lunghezza varia da pochi metri a cento chilometri. Nell’antichità tali strade erano ricoperte di conchiglie che, illuminate dalla luna, segnavano il percorso anche di notte.

Attrattiva principale del sito è la piramide Nohoch Mul, che significa grande collina. E’ alta 42 metri ed è la piramide più alta di tutta la penisola dello Yucatan. Ci si può arrampicare fino alla sommità della piramide, da cui si gode di una magnifica vista sulla foresta yucateca, sui laghi attorno a cui venne costruita Cobà e sugli altri edifici del sito.

Il sito archeologico è molto esteso; all’interno è possibile noleggiare le biciclette o farsi portare con i risciò.

Sull’onda del motto “più cose visitiamo meglio è”, ci siamo recati alla biosfera Sian Ka’an, 3 chilometri a sud di Tulum, che è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco nel 1987. Racchiude 100 chilometri di spiagge, non ancora raggiunte dallo sviluppo edilizio, 2 baie, lagune salmastre e d’acqua dolce e la penisola di Punta Allen lunga 35 chilometri.

Non bisogna farsi spaventare da quanto riportato sulle guide turistiche che affermano che, per raggiungere il paese di Punta Allen, ci vogliono circa 3 ore in quanto la strada è sterrata e piena di buche. In realtà, noi abbiamo noleggiato una semplice Atos e ci abbiamo impiegato un’ora e mezza. Una volta giunti a Punta Allen, abbiamo noleggiato una barca da una delle tre cooperative che ci sono sulla spiaggia; hanno tutti gli stessi prezzi e compiono tutte lo stesso giro. La gita di 2 ore costa 1000 pesos e sulla barca ci si può stare anche in 8; abbiamo visto i delfini, le tartarughe, abbiamo fatto snorkeling sulla barriera corallina e un bagno rigenerante nelle piscine naturali.

Dopo aver girato in lungo e in largo la penisola dello Yucatan, ci siamo dedicati ad un po’ di shopping a Playa del Carmen. Noi ci siamo stati sia di giorno che di sera e il suo fascino è notevole.

Un capitolo a parte meritano le immersioni, in particolare quelle effettuate nel Cenote Dos Ojos (due occhi). Sapevamo che i cenotes erano pozzi sacri per i Maya perché rappresentavano le uniche fonti di acqua potabile nello Yucatan, ma solo entrarci per una immersione ci ha permesso di capire cosa significassero quelle pozze di acqua collegate tra loro da una serie infinita di arterie sotterranee.

Abituati alle immersioni in mare ci è sembrato molto strano partire dal diving e percorrere alcuni chilometri di strada sterrata all’interno della giungla tropicale con in mano erogatori e maschera. Giunti all’ingresso del cenote, una ripida scalinata ci ha portato alla grotta da cui è iniziata la nostra avventura. La paura di poter soffrire di claustrofobia e il timore dovuto alla consapevolezza di non poter riemergere in qualunque momento si sono dissolti appena entrati in acqua. L’acqua era cristallina, dolce ma un po’ troppo fredda (25 gradi) per i miei gusti… tuttavia, io non faccio testo dal momento che sono freddolosa al punto da immergermi con una muta da 5mm anche nei mari tropicali! La limpidezza dell’acqua ci ha portato spesso a “dimenticare” di essere in immersione; avevamo la sensazione di camminare e non di nuotare all’interno delle caverne.

Appena entrati nella prima caverna, siamo stati avvolti da un paesaggio misterioso e un po’ “lunare”, ricco di stalattiti e stalagmiti, testimoni di quando, milioni di anni fa, quelle caverne erano emerse dall’acqua. Le nostre torce sembravano impazzite, le dirigevamo verso un punto, poi verso un altro a cercare angoli particolari o giochi di luce diversi. Le caverne si succedevano, una più bella dell’altra, intervallate da fessure attraverso cui gli alberi della giungla e la luce che le attraversava creavano effetti cromatici e riflessi indimenticabili.

La prima immersione è durata 45 minuti; siamo rimasti fuori dall’acqua il tempo necessario a smaltire il poco azoto che avevamo assorbito. La seconda immersione, nel secondo “occhio”, si è svolta quasi interamente al buio: le nostre torce hanno illuminato vere e proprie cattedrali di stalattiti e stalagmiti. Verso la fine dell’immersione, siamo giunti nella cueva dei pipistrelli, una caverna non completamente piena di acqua, dove abbiamo potuto toglierci l’erogatore e respirare l’aria proveniente da una apertura nel soffitto. Tutto ciò in compagnia di numerosi pipistrelli, abitanti naturali della caverna stessa.

Anche la seconda immersione è durata 45 minuti. Sono state due esperienze fantastiche, completamente diverse da quelle a cui siamo stati abituati finora.

Nel corso della vacanza abbiamo effettuato altre immersioni; certo, non ci sono il fondale né la moltitudine di pesci colorati che abbiamo potuto osservare nelle due estati precedenti a Sharm el Sheikh ma sono comunque belle immersioni in cui è molto facile avvistare le tartarughe. Occorre fare molta attenzione alla pesata: i messicani non usano i chili ma le libbre, e i loro calcoli per preparare la cintura dei pesi sono sempre molto approssimativi!!! Sara Sara_bonaccorsi@libero.It



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