India, il viaggio tanto atteso e desiderato

Non è delle tappe del mio recente viaggio che voglio parlare (l’itinerario è facilmente reperibile su un qualsiasi dépliant di Francorosso sotto il nome di “Passage to India”), quanto delle impressioni sulla mia personale esperienza. Il tour era tutto organizzato e pertanto si prevedeva un viaggio tranquillo e sicuro, il più adatto a due...
Scritto da: maros
india, il viaggio tanto atteso e desiderato
Partenza il: 18/02/2008
Ritorno il: 29/02/2008
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
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Non è delle tappe del mio recente viaggio che voglio parlare (l’itinerario è facilmente reperibile su un qualsiasi dépliant di Francorosso sotto il nome di “Passage to India”), quanto delle impressioni sulla mia personale esperienza. Il tour era tutto organizzato e pertanto si prevedeva un viaggio tranquillo e sicuro, il più adatto a due donne sole e “non più tanto” giovani da voler affrontare i disagi di spostamenti fai-da-te, ma ancora desiderose di visitare un paese come l’India che tanto fascino ha sempre esercitato su entrambe. Queste impressioni per forza di cose corrispondono al mio punto di vista, ma è chiaro che riflettono anche quelle della mia compagna di viaggio a cui va attribuita la condivisione di molte di esse, nonché, l’ indispensabile sostegno morale, fisico e logistico. Io, in particolare, da anni faccio Yoga e sono sempre stata affascinata dalla spiritualità orientale. In breve, il motivo principale del nostro viaggio era questo: visitare il paese dove più si sente, si tocca con mano (come mi raccontavano in molti) questa spiritualità e, proprio per questo, abbiamo scelto tra i vari itinerari proposti quello che più ci permettesse di entrare in contatto con il cuore dell’India scartando, invece i percorsi più “dolci” come il tour del Rajastan o del Kerala magari con puntatina a Goa. Ebbene, questo viaggio per me è stato come avere due sonori schiaffi in faccia. Innanzitutto il tour di 12 giorni delle Francorosso si è rivelato essere un tour molto (troppo) stressante: sveglie all’alba e rientri in alberghi quasi sempre non prima delle otto di sera. I nostri compagni di viaggio, frequent flyers di viaggi organizzati anche in paesi difficili tipo Cambogia, Vietnam Birmania o vari paesi dell’Africa, sostenevano che questo era per loro il viaggio più faticoso che avessero mai fatto. Pullman vecchi con arie condizionate mal funzionanti e le strade dell’India disagiate e affollate da ogni genere di umanità e animalità sicuramente hanno reso il viaggio ancora più impegnativo. In compenso abbiamo visto tanto: Delhi, Jaipur, Agra Gwalior, Orcha, Khajurao, Varanasi e tutti gli interessantissimi e bellissimi monumenti che queste città conservano. Ma la prima delle tante contraddizioni in cui ci siamo imbattute è quella di dovere affrontare gli svantaggi di un viaggio organizzato (non scegli tu i tempi e i luoghi e ti ritrovi come compagni di viaggio persone con le quali non avresti condiviso nemmeno una gita fuori porta), vivendo comunque i disagi che un posto come l’India comunque comporta (compresi i cessi luridi nelle soste on the road). Posti belli, naturalmente, bellissimi, fascino indiscusso, ma ovviamente di durissimo impatto. Chi ti può preservare dal continuo, ininterrotto fragore che imperversa nelle città come nelle campagne? Tutti suonano il clacson, auto, pullman, camion, motorini, biciclette e in mancanza di qualsiasi forma di codice della strada quello del rumore è l’unico segnale di presenza o di affermazione di precedenza che si conosca. Gli uomini in India non sostengono un esame per avere la patente. Basta che ne facciano richiesta. Per le donne è diverso: loro se vogliono guidare devono fare l’esame e superarlo(!). Per non parlare della sporcizia che c’è anche quando potrebbe non esserci o della miseria e della povertà dalle quali a un certo punto devi imparare a difenderti, se non ne vuoi restare sopraffatta. Come contorno a tutto ciò, non disponendo neppure del tempo necessario a riordinare le idee, ci siamo dovute sorbire tutti gli ovvi, banali commenti di chi si scandalizzava per la sporcizia, la miseria o la condizione delle strade, senza fare il minimo sforzo di cercare altro e anzi chiosando l’esperienza con frasette del tipo: “ma tutta ‘sta spiritualità io proprio non la vedo!” La mia ricerca era quindi ardua e solitaria, quando non ostacolata da queste affermazioni certamente banali e superficiali, ma non del tutto infondate. Insomma, per quanto si possa essere preparati e sensibili, è molto difficile penetrare una realtà così diversa usando le nostre categorie mentali e i nostri parametri percettivi. In effetti, la purezza per noi s’identifica quasi automaticamente con la pulizia e la spiritualità con il silenzio. Invece qui tutto è sporco e il frastuono non ti abbandona mai. Nemmeno all’interno dei templi induisti, dove c’è sempre qualcuno che sta officiando una cerimonia producendo il suo bravo “rumore”. Non senti musica new age insomma, ma rumore, sempre rumore di clacson di auto, di motorini, di biciclette. E si badi bene è una napoletana a parlare, non una valdostana abituata ai silenzi delle valli. E allora ti chiedi: non sarà che mi aspettavo un paesaggio umano e naturale costruito secondo i canoni dell’immaginario occidentale? Chi ti garantisce, cioè, che la spiritualità non stia proprio in un rapporto assoluto con la natura, che ovviamente non sempre è bella e armoniosa come nelle nostre pubblicità o nei film sulle praterie. Non è sempre l’uomo, come vogliono farci credere, a deturpare la natura, perché la natura non corrisponde sic et simpliciter all’ideale di bellezza e di bontà che nasce e si radica nelle nostre menti. Un rapporto totalizzante con la natura si può anche celebrare nella sporcizia: la spiritualità degli Indiani, insomma, non ha niente a che vedere con l’ossessione tutta occidentale per la pulizia… Non a caso il Gange, il grande fiume sacro degli Indù è lurido, inquinato da carcasse di animali e cadaveri di esseri umani non completamente bruciati mentre noi, secondo la logica scientista, continuiamo a chiederci: “ma come è possibile? Gli indiani si lavano, si bagnano, addirittura ne bevono l’acqua…”. La vita, la sacralità della vita, l’attaccamento alla vita non appartengono a questo popolo, non fanno parte della loro cultura. Dove la spiritualità si misura con il distacco reale, profondo, tanto autentico quanto per noi incomprensibile, dai beni materiali e il primo dei beni materiali è proprio la vita. Solo Il bagno purificatore del cadavere nelle acque del Gange può liberare l’uomo comune dalla condanna alla reincarnazione eterna, oppure l’elevazione spirituale del santone che si aggira nudo e sporco, ma illuminato come il Budda. Ognuno di noi può diventare il Budda … “Ma se non sei capace di trovare Dio nella tua cultura mi ha detto un saggio, come pretendi di trovarlo in una cultura che non ti appartiene?” Ecco questo è per me è stata l’India: una lezione di umiltà intellettuale.


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