Incredibile Iran

Viaggio in un Paese antico, molto lontano dagli stereotipi che noi occidentali immaginiamo, ricco di storia e di meraviglie architettoniche ma, soprattutto, di una popolazione ospitale e aperta
Scritto da: Oli79
incredibile iran
Partenza il: 29/07/2015
Ritorno il: 11/08/2015
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
Quest’anno la nostra meta estiva è l’Iran, malgrado tutti ci considerino “pazzi” perché nell’immaginario comune si tratta di un paese pericoloso e decisamente off limits. Dopo aver consultato il sito della Farnesina, all’inizio di febbraio acquistiamo il volo con la Qatar Airways, tenendo in considerazione i giorni con i prezzi più convenienti (non abbiamo particolari esigenze di date) e soprattutto la fine del Ramadan per non trovare tutto chiuso. Optiamo per un volo aperto con arrivo a Teheran e partenza da Shiraz (in questo modo evitiamo la tratta interna).

Alla BIT di Milano passiamo un’intera giornata a contattare tutte, ma proprio tutte, le agenzie iraniane: alcune, sentendo che si tratta di un tour personalizzato e per sole tre persone, torcono il naso e magnificano i loro viaggi organizzati, altre, tra un pistacchio e l’altro, ci assicurano un velocissimo preventivo via email. In realtà pochi tour operator ci risponderanno, sparando cifre assurde e proponendoci alberghi diversi da quelli scelti da noi. Alla fine, dopo una lunga serie di email, decidiamo di affidarci a Iran Gasht Tour (http://www.irangashttour.com; email info@gashttour.com), che ci consente di effettuare il viaggio così come lo abbiamo ipotizzato e ci fornisce tutti i servizi di cui abbiamo bisogno (auto con driver parlante inglese e alberghi) a un prezzo ragionevole. Per di più non ci richiedono anticipi (evidentemente si fidano…), facendoci così risparmiare il costo del bonifico estero. Nella preparazione di un viaggio in Iran bisogna tener conto che, per lo meno fino ad ora, è molto difficile contattare gli alberghi attraverso Internet o prenotarli utilizzando i normali circuiti. Gli unici hotel che siamo riusciti a prenotare dall’Italia per conto nostro sono stati quelli di Kashan e Kerman. Il manager dell’agenzia, Mr. Honari, ci fornisce gratuitamente il “visa number”, necessario per ottenere il visto. Quando questo documento arriva al Consolato di Milano (situato in via Monte Rosa 88), ci rechiamo di persona per consegnare il passaporto, due fototessere (alle donne non è richiesta la foto con la testa coperta), l’assicurazione medica e il modulo scaricato dal sito, per farci prendere le impronte digitali di tutte e dieci le dita delle mani e per pagare il tutto (€50,50 a persona). Dopo quindici giorni ci viene restituito il passaporto con l’agognato visto.

In visita all’Expo, al padiglione dell’Iran incontriamo una hostess iraniana che ci dà informazioni sull’abbigliamento da indossare in loco: per le donne è obbligatorio avere braccia, gambe e testa coperte e abiti che non evidenzino il corpo, tutti i colori vanno bene, anche se nelle città più tradizionaliste, come Qom, è preferibile utilizzare colori scuri. Gli uomini non possono indossare i pantaloni corti ma, beati loro, possono tenere braccia e testa scoperte. Facciamo qualche capatina da H&M, Zara e dagli scatoloni degli abiti d’annata e siamo pronti per la partenza…

29 e 30 Luglio 2015 – Milano/Teheran

Con l’ormai collaudato Malpensa Shuttle raggiungiamo l’aeroporto nel primo pomeriggio di una giornata calda e afosa. La consegna bagagli è ultrarapida: abbiamo fatto il check-in on line e, a quanto pare, siamo tra i pochi ad aver utilizzato questo servizio. Gironzoliamo per i negozi, tirati a lucido per l’Expo: è tempo di saldi così, tra gli sconti e il duty-free, è impossibile non acquistare una coloratissima borsa di Furla che rallegrerà (speriamo!) i cupi giorni di lavoro. Il volo per Doha parte alle 16.05 ed è pieno, soprattutto di cinesi residenti in Italia. Durante il volo c’è parecchia confusione e purtroppo non riusciamo a riposare (sarebbe necessario farlo, visto che perderemo la notte…). Come al solito, il cibo e il servizio sono ottimi. Arriviamo a Doha alle 23 e prima di imbarcarci per la capitale iraniana diamo un occhio ai negozi, anche se l’ora ormai tarda ci impedisce di essere vigili. Il secondo volo parte all’una di notte e dopo poco più di un’ora e mezza giungiamo a Teheran (il fuso orario è di +2h 30’ rispetto all’Italia). Prima di scendere dall’aereo tutte le donne, come prevede una legge della Repubblica Islamica Iraniana, indossano il velo. La ragazza davanti a noi ci sorride e ci dà il primo dei tantissimi “Welcome to Iran”, che ci sentiremo ripetere durante il viaggio. Passiamo senza problemi la dogana (gli uomini da una parte, le donne dall’altra), raccattiamo velocemente i nostri bagagli e la nostra avventura, forse con un po’ più di ansia del solito, ha inizio.

Cambiamo il minimo indispensabile di euro in rial, giusto per il taxi e la metropolitana (il cambio sarà comunque uno dei più favorevoli). Nell’area attesa vorremmo acquistare una Sim card ricaricabile della Irancell, ma sono finite. Ci sono molte persone che aspettano amici e parenti con bellissimi mazzi di fiori in mano (un’abitudine davvero gentile e per noi insolita). Incontriamo un ragazzo iraniano che parla uno splendido italiano (è una guida ed è in attesa della sorella in arrivo da Roma) e, dopo i soliti convenevoli, ci accompagna all’uscita a prendere un taxi autorizzato. Sebbene concordiamo il prezzo di 700.000 rial, alla fine della corsa il taxista ce ne chiederà altri 100.000 per i bagagli. Siamo troppo stanchi per contestare e preferiamo lasciar correre… Vista l’ora, non c’è traffico e in 40 minuti arriviamo all’Escan Hotel, un albergo anonimo, stile Romagna anni ’60, ma molto ben posizionato, in quanto è vicino a due linee della metropolitana. Malgrado siano le 6 del mattino e non fosse previsto, entriamo subito in possesso della camera. Abbiamo la possibilità di riposarci un po’ e di fare una doccia ristoratrice per poter affrontare al meglio una giornata che, dopo la notte insonne, si rivelerà davvero faticosa.

Abbiamo studiato tutti i percorsi così, mappe da una parte, guida dall’altra, raggiungiamo la stazione della metro Darvazeh Dowlat (linea rossa): è l’ora di punta, le carrozze sono ultra piene, ma già i sorrisi si sprecano e molte donne ci chiedono da dove veniamo e ci danno il solito benvenuto. Scendiamo alla terza fermata (Panzdah-e Khordad) e da qui andiamo a piedi al vicino bazar, il cuore pulsante della città. Il traffico è a dir poco caotico e il pedone non esiste proprio, nemmeno sulle strisce, fortuna che c’è sempre qualche anima pia che ci aiuta ad attraversare. Il caldo è notevole e lo sentiamo ancora di più per la notte insonne e per i vestiti inusuali che indossiamo. La sciarpa va spesso per i fatti suoi ma non importa, siamo nella capitale e i turisti vengono visti con un occhio di riguardo. Ovunque ci sono fontanelle con acqua fresca, se non addirittura fredda: non ci fidiamo a berla ma ci rinfreschiamo polsi e tempie. È giovedì e il bazar chiude a mezzogiorno, diamo un’occhiata veloce e facciamo scorta, con l’equivalente di pochi euro, di acqua minerale e di succhi di frutta (ce ne sono di tutti i gusti e saranno un leitmotiv del viaggio).

Fortunatamente i cartelli stradali hanno la doppia indicazione in farsi e in inglese, così, senza grossi problemi, riusciamo a trovare la strada giusta e a piedi ci dirigiamo verso il Palazzo Golestan, un complesso di edifici di epoca qagiara, il periodo di maggior splendore dell’impero persiano, disposti attorno a un giardino molto curato (ingresso 150.000 rial + 100.000 rial per le quattro sale che costituiscono la “main hall”). Le facciate degli edifici sono rivestite con piastrelle di maiolica che formano disegni molto colorati ed elaborati. Vediamo la Sala delle Udienze (Ivan-e Takht-e Marmar) con il magnifico trono in alabastro; la Nicchia di Karim Khan (Khalvat-e Karim Khan), una specie di terrazza dove il sovrano si rilassava e fumava il qalyan, ovvero la pipa ad acqua locale; la Sala dei Ricevimenti (Talar-e Salam) e la Sala degli Specchi (Talar-e Ayaheh), completamente rivestita con migliaia di specchietti, dove è stato incoronato l’ultimo Scià del Trono dei Pavoni e dove si svolgevano i matrimoni reali. Terminata la visita seguiamo l’esempio dei pochi turisti presenti (per lo più iraniani) e ci rilassiamo all’ombra degli alberi del giardino, stando ben attenti a rimanere svegli perché il sonno sta prendendo il sopravvento.

Nel primo pomeriggio, sempre a piedi (occorrono circa venti minuti, ma i tempi sono un po’ dilatati, perché ci stiamo trascinando), raggiungiamo il Museo Nazionale dell’Iran, il museo archeologico più importante del Paese (ingresso 150.000 rial). Ci sono alcuni notevoli reperti provenienti dai siti di Shush e Persepoli (splendidi sono i bassorilievi, finemente incisi e ricchi di particolari) e i resti mummificati di un minatore vissuto nel III o IV secolo d.C. (noto come l’Uomo di Sale). La stanchezza e l’esposizione non proprio curata non ci danno lo sprint per approfondire la visita come avremmo voluto.

Decidiamo di ritornare in albergo, utilizzando di nuovo la metropolitana (e azzardando anche un cambio di linea…). Ci fermiamo in Ferdosi Street, dove ci sono numerosi cambiavalute ufficiali (molti sono chiusi essendo un prefestivo). A questo punto ci impapocchiamo nel senso letterale del termine e ci infiliamo nella strada opposta rispetto a quella che avremmo dovuto prendere: ritrovare il percorso non è affatto facile e, dopo vari tentativi, riusciamo grazie all’aiuto di un ragazzo che, conoscendo l’inglese e la zona, ci fornisce l’indicazione corretta. I negozi che incontriamo non sono degni di nota, per lo più piccoli market e chioschi dove si vendono gelati e succhi di frutta freschi (qui le carote vanno per la maggiore) ma non è il caso di tentare la sorte, anche se tutto appare pulito. Finalmente in albergo, la nostra prima giornata iraniana volge al termine. Ceniamo nel ristorante dell’hotel con quella che sarà la miglior cena del viaggio, pagando per tre persone 1.500.000 rial, un vero sproposito per gli standard iraniani. Nel locale ci sono pochi clienti e siamo “deliziati” da un pianista che suona musica occidentale, tra cui anche L’italiano di Toto Cotugno (sarà in nostro onore?).

31 Luglio 2015 – Teheran/Qom/Kashan

Dormiamo benissimo con un sonno ristoratore che ci mette di buon umore, facciamo una colazione ricca di ogni ben di Dio e incontriamo il nostro driver, Mr. Mojtaba Mohaseli, un signore sulla cinquantina, molto puntuale, prudente nella guida, e disponibile ad accontentare ogni nostra richiesta. Con lui mettiamo a punto l’itinerario della giornata (è comunque al corrente di tutto) e poco dopo le 8 partiamo.

Primo foto-stop alla Torre Azadi, uno dei simboli della Teheran moderna, fatta costruire dall’ultimo Scià per commemorare i 2500 anni dell’impero persiano. Si tratta di una struttura di 50 metri che ha la forma di una Y rovesciata e che ricorda l’iwan, elemento tipico dell’architettura persiana, presente in ogni moschea.

Uscendo dalla città, ci rendiamo conto della sua dimensione, visto che la popolazione supera i 12.000.000 di abitanti. Passiamo nelle vicinanze del mausoleo dove è sepolto l’Ayatollah Khomeini, il padre della Rivoluzione che nel 1979 ha portato alla formazione della Repubblica Islamica. Prendiamo la strada per Qom, la seconda città santa dell’Iran (dopo Mashhad) e percorriamo, con un traffico ridottissimo, l’autostrada che attraversa tutto il Paese. Ci fermiamo per una sosta e qui il nostro driver inizia a “coccolarci”: ci offre un buonissimo tè caldo alla cannella (è proprio vero che una bevanda calda riesce a togliere l’arsura meglio di una gelida), accompagnato dai tipici dolcetti della sua città, Shiraz.

Impieghiamo circa due ore per arrivare a Qom, in ogni cittadina che attraversiamo ci imbattiamo nelle foto dei tanti martiri della Rivoluzione (il tema del martirio è insito nella cultura tradizionale iraniana). Il driver ci lascia davanti al santuario (Hazrat-e Masumeh): è venerdì e siamo arrivati proprio a mezzogiorno, l’ora della preghiera. Ci sono entrate diverse per gli uomini e le donne. Queste ultime devono indossare il chador, disponibile presso l’entrata. Non capiamo subito quale sia l’ingresso giusto e facciamo fatica a trovarlo. Finalmente riusciamo nel nostro intento ed eccoci con tanto di chador, i cui lembi dobbiamo tenere con le mani (ma come si fa a fotografare?!). Non possiamo girovagare all’interno del complesso per conto nostro, in quanto veniamo radunati con altri turisti e accompagnati da un imam, che in un buonissimo inglese ci parla per più di mezz’ora della loro religione (sono sciiti), delle differenze con il Cattolicesimo e dell’estremismo islamico (i musulmani veri, stando a quanto afferma, vogliono la pace per tutti gli uomini e rispettano le altre religioni). Come non musulmani non possiamo accedere al santuario vero e proprio ma solo alle aree comuni, dove c’è una quantità indescrivibile di gente, intere famiglie in pellegrinaggio. Scattiamo foto ai minareti e agli iwan e alle prime di una lunga serie di piastrelle decorate in tutte le tonalità del blu. Dopo circa un’ora usciamo e lungo la strada incappiamo in alcune donne vestite di nero dalla testa ai piedi che chiedono delle grazie urlando parole a noi incomprensibili. Prima di ripartire acquistiamo il sohun, il dolce tipico di Qom (biscotti fatti con pistacchi, mandorle, zafferano e cardamomo).

Riprendiamo la strada per Kashan e in un’ora e mezza arriviamo al bellissimo albergo Manouchehri House, dove siamo accolti da una freschissima e deliziosa acqua di rose, la specialità locale (abbiamo comprato alcune bottigliette di questo sciroppo ma, non essendo riusciti a diluirlo in modo corretto, la bevanda che abbiamo ottenuto è completamente diversa… ha un vago, neanche troppo, retrogusto di sapone!). Manouchehri House è un piccolo boutique hotel, perfettamente restaurato sia nella struttura che negli arredi e ubicato in uno dei palazzi tradizionali fatti costruire nell’Ottocento dai ricchi mercanti. La dimora si articola, un po’ come la domus romana, intorno a un giardino al cui centro è posta una vasca. La nostra camera è molto graziosa, l’unica pecca è la luce che entra dai vetri colorati delle finestre (non esistono le persiane) e che renderà difficoltoso il sonno. Fa parecchio caldo e il nostro driver ci suggerisce di riposare. Alle 18 in macchina andiamo nel centro storico della città, caratterizzato da vicoli e vicoletti e dai muri in fango e paglia che nascondono le meraviglie di Kashan. Pur essendo venerdì, la maggior parte degli edifici è aperta: iniziamo la visita con l’Hammam-e Sultan Mir Ahmad (ingresso 100.000 rial), un hammam restaurato dal cui tetto a cupole si domina l’intera città. Successivamente ci dirigiamo verso lo splendido edificio che ospita la casa-museo Khan-e Tabatabei (ingresso 100.000 rial). Il palazzo è decorato sontuosamente con bassorilievi, stucchi, giochi di specchi e vetrate colorate. Una particolarità di tutte queste case è che la porta d’ingresso ha due batacchi, uno tondo e massiccio riservato alle donne, l’altro lungo e sottile destinato agli uomini. In questo modo, a seconda del diverso suono prodotto, si poteva intuire se gli ospiti erano uomini o donne!

Ceniamo in hotel con piatti locali, tra cui kebab di pollo in salsa di melagrane e noci, accompagnato da una “montagnetta” di riso con la crosticina di zafferano (costo della cena per tre persone 780.000 rial). Volendo, visto che non c’è la televisione in camera, potremmo andare nel vecchio locale cisterna e assistere alla proiezione di un film iraniano con sottotitoli in inglese… bella l’idea ma decidiamo di soprassedere.

1 Agosto 2015 – Kashan/Abyaneh/Isfahan

La notte, a causa del caldo e della luce, non è stata delle più memorabili. Iniziamo la giornata con una prima colazione tipicamente iraniana: succo di anguria fresco, tè o caffè, lavash (formaggio simile alla feta), marmellate dolcissime fatte in casa, uova sode con pomodori e cetrioli (sarebbero stati fantastici per uno spuntino a mezzogiorno!), datteri freschi (in Iran ci sono deserti e oasi a non finire…) e nun, un pane sottile, ottimo solo se caldo e fragrante di forno.

Ritorniamo in centro città per visitare la splendida Masjed-e Agha Bozorg (ingresso gratuito), una moschea sconsacrata con annessa una madrasa rigorosamente vietata alle donne. Il complesso è costituito da un grande cortile, due minareti e altissime torri del vento (badgir) che d’ora in avanti troveremo ovunque. Le pareti di mattoni fanno da contrasto con le maioliche dai colori ocra e turchese: la sensazione che proviamo è di un inaspettato misticismo, forse anche per l’assoluta mancanza di turisti. Passiamo poi al Khan-e Borujerdi (ingresso 100.000 rial), un’altra abitazione sontuosamente decorata di un ricco mercante. Tralasciamo il bazar e in auto raggiungiamo Bagh-e Fin (9 km da Kashan) per visitare il famoso giardino (ingresso 150.000 rial), che rappresenta l’archetipo del giardino persiano e che è molto diverso dai nostri (si tratta di un’oasi verdissima, curatissima e ricca di acqua, in una zona estremamente arida). Lo troviamo interessante ma un po’ deludente (ci rifaremo più avanti…), forse perché c’è molta gente e parecchia confusione.

Verso le 11 partiamo per Abyaneh, un piccolo villaggio posto a 2235 metri (finalmente un po’ di fresco!), che dista poco meno di 80 km da Kashan. Il traffico è praticamente inesistente e raggiungiamo la meta in circa un’ora (per entrare è necessario pagare 50.000 rial a vettura). Le abitazioni sono costruite con mattoni di fango rosso, hanno le finestre a graticcio e balconcini di legno. Il rosso che domina il paese forma un bel contrasto con il cielo azzurro intenso e gli alberi verdissimi e fa dimenticare l’aspetto un po’ troppo turistico. Vaghiamo tra i vicoletti per ammirare le case che seguono l’andamento della montagna, in modo tale che i tetti di alcune formano i cortili di altre. Incontriamo turisti iraniani che vogliono fotografarci, mentre non riusciamo a concordare il prezzo per fotografare una vecchina vestita con i tradizionali abiti colorati (un peccato ma la sua richiesta da top model ci è sembrata spropositata!). Arriviamo al trecentesco Imamzadeh-ye Yahya con il suo tetto conico rivestito di piastrelle di maiolica azzurra e alla vasca per le abluzioni del santuario di Zeyaratgah. Si sta proprio bene e non vorremmo lasciare questo villaggio sia per la tranquillità che si respira sia per il clima più clemente ma, si sa, la vita del turista è dura e faticosa… Molti viaggiatori tralasciano Kashan e Abyaneh per andare direttamente a Isfahan, secondo noi invece non sono da perdere e permettono di avere una visione più completa dell’Iran.

Verso le 14.30 ci rimettiamo in marcia con direzione la mitica Isfahan, definita anche “la metà del mondo”. La città non solo è famosa per le sue bellezze, ma anche perché negli ultimi anni è stata al centro di grosse polemiche per via della centrale nucleare costruita in periferia. Arriviamo all’Abbasi Hotel verso le cinque e rimaniamo affascinati da questo albergo, considerato il migliore dell’Iran e ricavato da un antico e grandissimo caravanserraglio. Abbiamo la fortuna (pagata con un supplemento) di avere la camera nell’edificio storico con affaccio sul meraviglioso giardino. Avete presente gli ambienti de Le mille e una notte? Ecco, ci siamo…

Decidiamo di lasciare a domani la piazza Naqsh-e Jahan Square con tutte le sue architetture per assaporarle con la dovuta tranquillità. Ceniamo nel ristorante dell’hotel con chelo fesenjun (pollo cotto in salsa di noci e melagrane e servito con contorno di riso), gamberi fritti e kebab di scampi. La cena è mediocre e costosa (1.755.000 rial) ma qui si viene soprattutto per la location. C’è tantissima gente che acquista l’ash-e- reshte (una zuppa bollente di tagliolini e verdure) nella sala da tè e se la gusta in uno dei tanti tavolini del giardino. Ci proponiamo di assaggiarla, ma alla fine non lo faremo (sarà per la prossima volta!). A nanna presto con il solito problema della luce e questa volta anche del rumore prodotto dai tanti avventori dell’hotel.

2 Agosto 2015 – Isfahan

Dopo un’abbondante colazione in uno dei saloni dell’hotel, tutto decori, fregi e specchi, ha inizio la nostra giornata di visite. Abbiamo lasciato libero il driver fino alle cinque, perché tutto quello che abbiamo in programma è raggiungibile a piedi. La vista della Naqsh-e Jahan Square (prima della Rivoluzione chiamata Piazza dello Scià e oggi Piazza dell’Imam) ci lascia letteralmente a bocca aperta, anche perché abbiamo la fortuna di poterla ammirare in tutta la sua magnificenza praticamente da soli. La piazza, la seconda più grande del mondo dopo piazza Tien’ammen di Pechino, misura circa 500 metri in lunghezza e 160 in larghezza e su di essa si affacciano due moschee, un elegante palazzo e le arcate del bazar. Nel centro della piazza, che in passato è stata anche utilizzata come campo da polo, ci sono giardini e una grande fontana, dove i bambini giocano e si rinfrescano.

Nel lato sud della piazza visitiamo l’imponente Masjed-e Shah (ingresso 150.000 rial), conosciuta anche con il nome di Moschea Reale. Si tratta di uno dei più validi esempi di architettura persiana per il perfetto equilibrio degli spazi. Peccato solo che il cortile interno sia “invaso” da una struttura che ne permette la copertura per evitare ai fedeli il caldo eccessivo… in questo modo non si riesce a cogliere la visione d’insieme! Ci spostiamo al Kakh-e Ali Qapu (ingresso 150.000 rial), la residenza dello scià Abbas I, cui si deve la costruzione della città. Le parti più interessanti sono la sala della musica e la terrazza (pur essendo in parte in restauro, permette un’ottima visuale sulla piazza). Una breve sosta alla fontana per rinfrescarci un po’ e, attraversata la piazza, siamo alla Masjed-e Sheikh Lotfollah (ingresso 100.000 rial), la moschea destinata alle donne dell’harem. L’edificio è compatto, diverso dalle altre moschee perché non ha il cortile né i minareti. I colori dominanti, oltre al turchese e al blu, sono le tonalità che vanno dal crema al giallo. In entrambe le moschee troviamo scolaresche che, come noi, si perdono in queste meraviglie e cercano di intravedere tra i mosaici le composizioni calligrafiche, tipiche dell’arte islamica. In una delle tante pasticcerie che si affacciano sulla piazza acquistiamo, a scatola chiusa perché non si può assaggiare nulla, il gaz, il tipico torrone di Isfahan al pistacchio aromatizzato con acqua di rose. Sul lato settentrionale della piazza si trova la Porta di Qeysarieh, che costituisce l’ingresso principale del labirintico Bazar-e Bozorg. Malgrado avessimo studiato un percorso, ci “perdiamo” tra gli antichi caravanserragli (ormai non più in uso), le piazze nascoste, le fontane e i tanti negozi. I venditori (i bazari) sono curiosi di sapere da dove veniamo e sono felici di lasciarsi fotografare…

Nel primo pomeriggio raggiungiamo il vicino Kakh-e Chehel Sotun (ingresso 150.000 rial), un palazzo destinato allo svago e ai ricevimenti, i cui interni sono ricchi di affreschi. L’edificio è situato all’interno di un parco, che fa parte dei nove giardini persiani Patrimonio dell’Unesco. Ritorniamo in albergo per un’oretta di relax e alle 17, puntuale come un orologio svizzero, incontriamo il nostro driver, super riposato e pronto ad accompagnarci a scoprire i famosi ponti sul fiume Zayandeh (quasi in secca), che, oltre a collegare le due parti della città, in passato svolgevano la funzione di diga. Ci fermiamo presso il Pol-e Si-o-Seh (Ponte delle 33 Arcate) e il bellissimo Pol-e Khaju e li attraversiamo a piedi. I ponti sono diventati luogo di ritrovo e così abbiamo l’opportunità di mescolarci con gli abitanti della città.

Il driver ci accompagna poi nei pressi della Naqsh-e Jahan Square, in quanto abbiamo deciso di cenare al tanto celebrato Bastani Traditional Restaurant (vicino alla Masjed-e Shah): non lo troviamo né affascinante né ben restaurato, ma solo un po’ pacchiano. Il cibo è comunque buono ed economico ma il servizio è pessimo: camerieri lenti (malgrado i clienti si possano contare sulle dita delle mani), tovaglia di plastica e mini tovaglioli di carta (questi ultimi sono una costante di parecchi ristoranti iraniani).

Prima di tornare in albergo passeggiamo nella piazza, animata da moltissime persone che hanno portato tutto l’occorrente per il picnic. La sera, visto che il clima è secco, la città è più vivibile e per gli iraniani questo è il momento per incontrarsi e, forse con la complicità del buio, per essere un po’ più liberi… Gli edifici non sono così ben illuminati come pensavamo ma l’atmosfera di grande serenità che si respira rende il luogo davvero magico.

3 Agosto 2015 – Isfahan

Oggi è previsto un primo approccio allo zoroastrismo, una religione antichissima che per prima ha riconosciuto l’esistenza di un dio onnipotente e invisibile e che si è basata sul dualismo tra il bene e il male. Alle 8.30 lasciamo l’hotel per raggiungere l’Ateshkadeh-ye, cioè il tempio del fuoco (ingresso 100.000 rial), che si trova a circa mezz’ora di auto dalla città. Lungo la strada facciamo una breve sosta presso i minareti oscillanti (Manar Jomban, ingresso 150.000 rial): la visita, a nostro parere, può essere tranquillamente tralasciata, perché da vedere c’è ben poco (tra l’altro i minareti oscillano solo a orari prestabiliti). Il tempio zoroastriano è un edificio ormai fatiscente in fango e si confonde con la collina su cui è posto e con la terra circostante. Vale comunque la pena raggiungerlo per la magnifica vista sulla pianura di Isfahan. La salita (più o meno mezz’ora, a seconda dell’età e dell’allenamento) è faticosa, in quanto il sentiero si perde nei massi ed è necessaria un po’ di arrampicata. La discesa è piuttosto pericolosa, perché è molto esposta e si rischia di scivolare (sono indispensabili scarpe da ginnastica robuste). Il nostro driver, perplesso per la nostra scelta, si tranquillizza solo quando ci vede tornare e ci rifocilla con biscotti e tè alla cannella, questa volta dolcificato con zucchero allo zafferano.

Ritorniamo in centro e ci fermiamo a Jolfa, il quartiere armeno dove vive una comunità cristiana che gode di una certa tolleranza, sempre considerando gli standard iraniani. Visitiamo la Kelisa-ye Vank, la chiesa armena più importante dell’Iran (ingresso 150.000 rial). Esternamente è anonima, mentre all’interno è una commistione tra oriente e occidente con piastrelle di maiolica, motivi islamici e immagini sacre della tradizione cristiana. Annesso alla chiesa c’è un museo che ripercorre l’olocausto subito dagli Armeni.

Ci facciamo accompagnare alla Masjed-e Jameh (Moschea del Venerdì) per le 13, in quanto a quest’ora dovrebbe essere aperta, almeno stando alle indicazioni della Lonely Planet. Invece è l’ora della preghiera e, visto il caldo cocente, ci accontentiamo di visitarla senza entrare nel santuario principale. La moschea è, a dir poco, maestosa e imponente. In Iran le moschee sono sempre aperte, notte e giorno: qui incontriamo persone che dormono, forse hanno trovato un rifugio o semplicemente sono “vittime” di un calo di zuccheri. Nei pressi della moschea si snoda il bazar e in questo punto ci sono prevalentemente negozi che vendono chador, tutti rigorosamente neri per le donne più tradizionaliste. Ci sono persino mini chador per le bimbe più piccole (una tristezza infinita e un ricordo manzoniano alla Monaca di Monza che, già da bambina, doveva indossare il suo bel vestito da suora con tanto di velo…).

Ritorniamo in albergo per evitare le ore del primo pomeriggio, che sono le più calde. Usciamo verso le cinque senza una meta precisa, passeggiando nel vicino parco che circonda il Kakh-e Hasht Behesht. Qui ci rendiamo conto di come gli iraniani amino i giardini e li “utilizzino”: intere famiglie si rilassano sull’erba, attendendo l’ora per consumare la cena portata da casa. Ceniamo presto, perché alle nove dobbiamo incontrare il driver per il tour by night dei ponti. Seguendo il suo consiglio, scegliamo quello che dovrebbe essere il miglior ristorante della città, il Shahrzad. Si trova vicino all’albergo, in una zona di shopping e di struscio all’iraniana (ragazzi insieme a ragazzi, ragazze insieme a ragazze, famiglie con nonni e bambini, tanti bambini). Di solito abbiamo l’acquisto facile, ma in questo viaggio non riusciamo a trovare nulla che ci colpisca particolarmente (un po’ di risparmio non fa mai male!). Il ristorante è vuoto (gli iraniani cenano dalle nove in avanti), il cibo è buono e non particolarmente costoso e le porzioni sono pantagrueliche.

I ponti illuminati sono affascinanti: dalle arcate del Pol-e Khaju si sentono le voci di uomini e donne che cantano canzoni tristi e nostalgiche (avevamo letto che il canto era vietato, meno male una piccola apertura…). In questa zona il traffico è intenso e c’è un numero spropositato di persone che fanno picnic per la strada (vanno bene anche gli spartitraffico!). Ci adeguiamo a questa usanza iraniana e sorseggiamo un caffè (con smog), gentilmente preparato e offerto dal driver.

4 Agosto 2015 – Isfahan/Yazd

Oggi è giornata di trasferimento con soste programmate. La nostra auto è basica ma con aria condizionata, non è nuovissima ma ben tenuta e, speriamo, efficiente. Gli iraniani hanno una guida piuttosto “brillante” e spesso lungo le carreggiate si ritrovano auto non proprio uscite indenni da qualche sorpasso azzardato.

Alle 11, dopo circa due ore di viaggio, arriviamo a Na’in, una cittadina che quasi si confonde con il colore del deserto che la circonda. Ammiriamo, nel vero senso della parola, la Masjed-e Jameh (ingresso 50.000 rial), una delle moschee più antiche dell’Iran. Risale al X secolo, è austera nella sua struttura in mattoni di fango e decorata con elaborati disegni geometrici realizzati sempre in mattoni. Molto interessante (forse unica nel suo genere) è la sala di preghiera, posta sottoterra. Anche qui siamo gli unici turisti e questo ci fa apprezzare ancora di più la visita. Il nostro driver è in vena di surprise (come dice lui) e ci accompagna nella bottega di un artigiano che con telai antichi tesse splendidi tappeti a strisce colorate e i tipici pastrani in pelo di cammello. Ci sarebbe piaciuto comprare una passatoia ma è decisamente troppo lunga e per questo dribbliamo su alcune tovagliette che regaleremo a Natale.

Alle 14 arriviamo a Meybod, sempre attraversando un paesaggio arido. Secondo il programma (mai sgarrare, visto che è stato ultra studiato!) visitiamo il Narin Castle (ingresso 100.000 rial), uno dei più antichi edifici di mattoni di fango, da cui si gode un bellissimo panorama della cittadina e del deserto. Ci rechiamo poi al vicino caravanserraglio, restaurato e trasformato in una sorta di “shopping centre” locale (purtroppo non possiamo curiosare perché le botteghe sono chiuse) e dall’esterno vediamo lo yakh dan, una vera e propria ghiacciaia. Si tratta di una costruzione a forma di ziggurat a pianta circolare di mattoni di fango che conteneva il ghiaccio portato dalle montagne vicine e permetteva di conservare i cibi durante l’estate.

Alle 15.30 ripartiamo verso la nostra destinazione finale, che raggiungiamo in circa mezz’ora. Yazd, la città culla di Zoroastro e da dove, pare, siano partiti i Re Magi, ci appare come un miraggio nel deserto. Il nostro albergo, Moshir Garden Hotel, ufficialmente ha 4 stelle ma in realtà secondo noi non vale più di 3 stelle. Ha un bellissimo giardino con tanto di torre del vento ma la camera è troppo piccola per tre persone (per non parlare del bagno microscopico e della pessima illuminazione). Il personale dell’albergo e del ristorante dove, per comodità, ceneremo è inesistente: i tempi di attesa sono lunghissimi e la gerarchia esistente tra loro è a noi incomprensibile. Risultato: non sappiamo mai a chi indirizzare qualsiasi richiesta! La cena è comunque più che discreta (in particolare le trote) e i costi davvero contenuti. Dal momento che l’hotel è decentrato, alle 9 abbiamo appuntamento con il driver per un rapida perlustrazione della città. Ci fermiamo nella piazza principale ad ammirare il complesso di Amir Chakhmaq, che comprende un Hosseinieh (edificio adibito al culto islamico sciita), che ricorda il Palazzo dei Venti di Jaipur. Alcune persone pregano, altre passeggiano o fanno compere (qui i negozi, a causa del gran caldo, fanno un break nel pomeriggio e riaprono dalle 18 alle 22). L’insieme è molto suggestivo e, se vogliamo, proprio esotico. Abbiamo la sensazione di trovarci lontanissimi da casa e catapultati in un’altra realtà: Yazd (si pronuncia Yasd, con la esse) ci incomincia a piacere veramente…

5 Agosto 2015 – Yazd

La colazione è prevalentemente salata, come si usa qui, ma nel complesso discreta. Partiamo alle 8.30 per andare alla scoperta della città e dei suoi dintorni. La prima tappa è alle Dakhmeh-ye Zartoshtiyun (ingresso 50.000 rial), le torri del silenzio, tipiche dello zoroastrismo, situate sulla cima di due alture. Ai piedi di queste colline ci sono i resti di un piccolo villaggio, dove avveniva la cerimonia funebre. Le salme erano portate dai sacerdoti sulla cima delle colline, dove venivano deposte sul lastricato all’interno delle torri per essere date in pasto agli avvoltoi. In seguito le ossa erano gettate nel pozzo posto al centro della torre (il tutto per non contaminare la terra). Per arrivare alle torri (ne visitiamo una sola, quella apparentemente meglio preservata) bisogna scarpinare un po’ ma questa volta non ci sono pericoli.

In giornata ci saranno molte “surprise”: la prima di queste è la visita a un negozio di spezie, pieno all’inverosimile di polveri di tutti i colori, dove acquistiamo per 350.000 rial un sacchetto di zafferano in pistilli che si rivelerà eccezionale (peccato averne comprato uno solo!). Poi entriamo in un laboratorio, dove con antichi attrezzi vengono macinate e ridotte in polvere impalpabile le foglie dell’henné, da usare in cosmetica. Usciamo un po’ impolverati e facciamo due passi per non sporcare la nostra vettura.

Le visite proseguono con l’Ateshkadeh (Tempio del Fuoco Zoroastriano), un edificio moderno ma anonimo all’interno del quale arde un fuoco, simbolo di questa religione, ben dal 470 d.C. (riportiamo la notizia così come l’abbiamo ricevuta). L’ingresso costa solo 50.000 rial ma, a nostro avviso, non vale la pena visitarlo. Proprio di fronte al tempio zoroastriano c’è lo “Yazd Exchange”, per cui decidiamo di cambiare gli euro (vantaggioso il cambio!). Ci rechiamo al giardino persiano Bagh-e Dolat Abad (ingresso 100.000 rial), all’interno del quale si trova il badgir più alto del Paese (una sorta di primordiale impianto di condizionamento naturale). In città ci sono parecchi negozi di frutta e ci fermiamo per acquistare melone rigorosamente bianco, prugne dolcissime e banane che in un attimo diventeranno troppo mature e immangiabili. Poi in albergo per il meritato riposo forzato: ne approfittiamo per fare le foto al lussureggiante giardino, con corsi d’acqua e fontanelle.

Alle 18 riprendiamo il tour: iniziamo con la visita al Museo dell’Acqua (ingresso 150.000 rial), situato nella casa di un ricco mercante, sotto la quale si trovano alcuni qanat (canali d’acqua sotterranei), il cui funzionamento è dovuto alla forza di gravità. Qui incontriamo una famiglia iraniana con due gemelli vivacissimi che vogliono farsi fotografare con noi (accontentati!). Poi facciamo un salto alla vicina Amir Chakhmaq Square per acquistare i dolcetti tipici di Yazd alla pasticceria Haj Kalifeh Ali Rahbar. Non ci sono assaggi e compriamo a scatola chiusa una confezione di coconut louz (cocco, zucchero e acqua di rose), baghlava (mandorle, zucchero, pistacchi e cardamomo) e altri dolci che più dolci di così è impossibile. In auto raggiungiamo la Prigione di Alessandro (ingresso 50.000 rial) e da qui proseguiamo a piedi verso la Masjed-e Jameh. Il driver decide di venire con noi, forse perché sa che la città vecchia con i suoi alti muri e i mille vicoli è più labirintica del bazar e ha paura di perderci. Ormai il sole è tramontato e la moschea, perfettamente illuminata, ci appare in tutta la sua bellezza: il portale, uno dei più alti dell’Iran, e i minareti sono uno sfavillio di colori e si stagliano nel buio del cielo. A rendere il tutto ancora più affascinante è il muezzin, che invita i fedeli alla preghiera. Il fascino di questa città supera ogni aspettativa. Malgrado la presenza del driver, nel dedalo di vicoli e vicoletti facciamo fatica a ritrovare il parcheggio ma l’atmosfera è talmente magica e prende tutti i sensi che vorremmo perderci per davvero.

Sono le nove passate, siamo felici della nostra giornata e ceniamo nel ristorante dell’albergo, pieno di clienti. Ci sono anche gruppi di donne sole che con i loro veli e abiti da quasi inverno festeggiano con le amiche qualche avvenimento…

6 Agosto 2015 – Yazd/Kerman

Oggi trasferimento verso il deserto del sud, anche se in questa stagione è impensabile addentrarsi in questi luoghi, tra i più bollenti al mondo.

La prima fermata, dopo un’ora di cammino sulla rotta commerciale della Via della Seta, è a Saryazd, un paesino sonnolento in mezzo al nulla. Visitiamo velocemente due caravanserragli, i motel degli antichi carovanieri, restaurati di recente. Niente di che… In realtà la nostra meta è la fortezza sasanide, che purtroppo pare svanita. Il nostro driver torna sui suoi passi e chiede informazioni ad alcuni ragazzi che incontriamo per strada. Finalmente la fortezza si mostra ai nostri occhi in tutta la sua austerità e bellezza: ci sono ben due cinte murarie concentriche e alte torri ornate da mattoni che formano un disegno geometrico, quasi un ricamo (ingresso 100.000 rial). In passato era utilizzata per custodire granaglie e oggetti di valore e per dare ospitalità agli abitanti in caso di pericolo. Dopo l’immancabile “tè nel deserto” e gli applausi al driver che non si è dato per vinto, riprendiamo la macchina per un po’ di relax (per noi, naturalmente).

Altro stop al caravanserraglio a pianta circolare (unico nel suo genere) di Zein-o-din (un tempo a due giorni di cammello da Yazd). Il luogo è tornato alla sua vecchia funzione ricettiva, in quanto è stato perfettamente restaurato sia all’esterno sia all’interno. Unica nota dolente sono i costi: spendiamo 300.000 rial per tre Pepsi (anche qui la location ha il suo prezzo!).

A questo punto le soste sono finite e in tre ore raggiungiamo Kerman. Il paesaggio è monotono e privo di presenze umane: siamo sull’altopiano circondati dal deserto roccioso e avvistiamo qualche cammello in libertà e infinite coltivazioni di pistacchi (pisteh in farsi) che, grazie ai qanat, costituiscono una grande risorsa per questa zona dell’Iran. I pistacchi sono considerati l’oro verde del Paese, sono un simbolo di amicizia e vengono utilizzati nella preparazione dei dolci e persino nella medicina tradizionale (pare siano un ottimo rimedio nella cura delle anemie e dei problemi cardiovascolari).

Verso le 16 arriviamo all’Akhavan Hotel, il secondo albergo che siamo riusciti a prenotare attraverso Internet. L’albergo è situato in una zona decentrata, le tre stelle ufficiali in realtà non sono più di due, la camera è piccola e il bagno è decisamente fatiscente. Abbiamo dato appuntamento al driver per la mattina seguente, così veniamo assaliti da una forma di pigrizia che ci porta a dormicchiare e a incominciare a prendere appunti per questo diario, in attesa della cena (compresa nel prezzo). A parte il locale ristorante, che sembra una squallida mensa aziendale, il cibo si rivelerà ottimo (uno dei migliori del viaggio). Mangiamo all’iraniana di tutto e di più: insalata mista, zuppa di legumi, diversi tipi di umidi con carni magrissime e verdure, riso, kebab di pollo e, per finire, dolcetti e datteri (scopriamo che nel prezzo sono comprese anche le bevande). Dopo cena facciamo due chiacchiere con quattro italiani, zaino in spalla, sul genere radical chic, che per gli spostamenti utilizzano rigorosamente solo i mezzi locali.

7 Agosto 2015 – Kerman/Rayen/Mahan/Kerman

Così come la cena era ottima, la colazione è pessima: un uovo all’occhio di bue straunto, succo d’arancia “sintetico”, tè (quasi freddo), pane sottile colloso e marmellatine insapori. Oggi è venerdì e temiamo per le nostre visite, sperando di riuscire a rispettare tutto il programma.

Alle 8.30 partiamo per Rayen, una cittadina a più di 2000 metri di altitudine, che raggiungiamo dopo circa un’ora e mezza di macchina. La nostra meta è l’Arg-e Rayen (ingresso 100.000 rial), un’antica cittadella costruita in mattoni di fango essiccato. Dopo l’ultimo terremoto che ha distrutto Bam, Rayen ha avuto un’inaspettata rivalutazione. Le mura esterne e i bastioni sono imponenti e la vista che si gode da quassù è molto bella. La struttura urbanistica di questo complesso presenta un dedalo di vicoli coperti, case destinate alla popolazione e la residenza del governatore. Quest’ultima è stata recentemente sottoposta a opere di restauro ma, a nostro avviso, il risultato è un po’ troppo “finto”.

Sulla strada del ritorno, a 70 km da Rayen (più o meno un’ora di auto) ci fermiamo a Mahan, una cittadina tranquilla, quasi un luogo di villeggiatura. Prima tappa al Bagh-e Shahzde (ingresso 150.000 rial), il giardino persiano più bello che abbiamo visto, sia per la location (un’oasi rigogliosa nel bel mezzo dell’arido deserto), sia per il giardino stesso pieno di verde e fontane a più livelli, sia per la gente. Siamo i soli turisti occidentali e proviamo il “brivido” dei VIP: gli iraniani ci fermano, vogliono parlare con noi, ci chiedono che cosa pensiamo del loro Paese, ci offrono frutta e dolci e i selfie non si contano… Trascorriamo così un’ora e mezza al fresco (si fa per dire!) e in pieno relax, poi la visita culturale prosegue all’Aramgah-e Shah Ne’matollah Vali, dove per l’ingresso dobbiamo pagare i soliti 100.000 rial. Qui incontriamo una ragazza molto giovane che vuole accompagnarci nella visita e che è assolutamente convinta che quando riuscirà a venire in Europa il primo Paese che visiterà sarà l’Italia! La L.P. suggeriva di salire sul tetto per ammirare la cupola e i minareti ma scopriamo che non è possibile. L’interno del mausoleo non è un granché ma la visita risulta comunque interessante perché riusciamo a cogliere momenti di vita quotidiana (gli uomini e le donne pregano in sale rigorosamente diverse). Per avere un’idea del complesso nel suo insieme consigliamo di effettuare un giro all’esterno.

Tornati a Kerman, recuperiamo le visite tralasciate il giorno prima, per cui ci catapultiamo nel Bazar-e Sartasari, dove la maggior parte dei negozi è chiusa. Fortunatamente i venditori di spezie e frutta secca sono al lavoro, così non ci lasciamo scappare l’acquisto dei famosi pistacchi di Kerman. Il driver anche oggi è in vena di surprise e ci accompagna prima all’Hamam-e Ganj Ali Khan (ingresso 100.000 rial), restaurato e trasformato in museo, poi nella miglior pasticceria della città per acquistare la delizia locale, cioè i colompeh (biscotti morbidi con ripieno di datteri).

La cena in hotel è anche migliore di quella della sera precedente con l’aggiunta di una frittata alle erbe da leccarsi i baffi.

8 Agosto 2015 – Kerman/Shiraz

Tutta la giornata è dedicata al lungo trasferimento che ci porterà a Shiraz, quasi 600 km da percorrere con catene montuose da attraversare. Il nostro driver è super concentrato e desideroso di arrivare a casa il prima possibile. Il paesaggio in montagna è molto bello, anche se non c’è nulla, ad eccezione di qualche yurta, le tipiche tende usate come abitazioni dalle popolazioni nomadi dell’Asia Centrale. Quando si ritorna sull’altopiano, invece, il paesaggio diventa estremamente monotono. Il cielo è sempre azzurrissimo, non c’è traccia di umidità e il traffico è molto limitato. Ci fermiamo in quelli che si possono definire autogrill locali, dove ai viaggiatori viene offerto gratuitamente tè e acqua fresca (preferiamo non rischiare e continuiamo con i nostri succhi di frutta…).

Ci fermiamo a Neyriz (346 km da Kerman) per sgranchirci le gambe, far riposare il driver e visitare la piccola Moschea del Venerdì, che inaspettatamente troviamo aperta (nulla di che). Siamo circondati da alcuni fedeli in preghiera che ci fanno un sacco di domande (sono curiosissimi!) e scopriamo che la moschea è stata costruita sui resti di un vecchio tempio zoroastriano.

Riprendiamo il viaggio e attraversiamo distese di alberi di fichi. In un banchetto improvvisato lungo la strada acquistiamo piccole confezioni di marmellate solide, tipo la nostra cotognata, un vero attentato agli zuccheri! Altra sosta a Sarvestan per la visita a un antico palazzo sasanide (Sasan Palace): è in restauro e il custode insiste per farci vedere le cupole e per salire su una precaria impalcatura. Interviene la restauratrice e lo blocca, perché la proposta è decisamente pericolosa. Qui non si paga il biglietto d’ingresso ma il custode ci chiede una mancia… I resti del palazzo sono suggestivi, anche perché siamo nel nulla circondati dal nulla. Il caldo è davvero soffocante (sembra di avere il phon acceso alla massima potenza) e dopo circa venti minuti ci rimettiamo in marcia per l’ultima parte del viaggio.

Nei pressi di Shiraz c’è un lago salato molto grande, all’inizio sembra un miraggio, poi si manifesta nella sua realtà. Verso le 18, dopo più di 9 ore, arriviamo finalmente in città, il cuore della cultura persiana, con un lungo applauso all’autista sempre prudente e attento. L’Homa Hotel è un edificio anonimo degli anni ’70 (pre-rivoluzione), tutto marmi, tappeti e lampadari di cristallo a gocce con campi da tennis e piscina, chiaramente ora inutilizzata. Siamo stanchi morti e, visto il bel giardino, optiamo per il ristorante dell’albergo: solito servizio lumaca e cibo caro e pessimo. In astinenza da carboidrati ordiniamo una carbonara, dove lo chef ha messo di tutto (uova, pollo, verdure… veramente immangiabile!). Fortuna che nel prezzo è compreso un buffet con verdure crude, frutta e dolcetti. A fine pasto dobbiamo scusarci con il maître che non riesce a capire perché abbiamo avanzato (eufemismo puro) la pasta, proprio noi che siamo Italiani!

9 Agosto 2015 – Shiraz/Persepoli/Shiraz

Fortunatamente la colazione è migliore della cena. Alle 9, come ci ha consigliato il driver (era stanco e non abbiamo avuto il coraggio di contraddirlo), partiamo per la visita di Persepoli, che raggiungiamo in un’ora, quando il caldo è già torrido. Consigliamo di arrivare alle 8, proprio all’apertura, in quanto c’è meno gente e la temperatura è più vivibile, visto che non ci sono ripari per proteggersi dal sole. Inaspettatamente il biglietto di ingresso costa i soliti 150.000 rial, nonostante Persepoli sia il sito archeologico più importante dell’Iran. Lasciamo gli zaini nell’apposito deposito ed entriamo muniti solo di acqua (indispensabile) e macchine fotografiche. Quel che rimane dell’antica capitale dell’impero achemenide è senza dubbio grandioso e in un viaggio in questo Paese è imperdibile. Tuttavia, secondo noi, non può competere con le meraviglie di siti storici come quelli giordani e libici. Facciamo il percorso suggerito dalla L.P. e rimaniamo colpiti dall’imponenza delle colonne e dai raffinati bassorilievi scolpiti sulla Scalinata dell’Apadana, raffiguranti delegazioni straniere che portano tributi al re achemenide. Malgrado il caldo, saliamo sulla collina dove ci sono le tombe di Artaserse II e III e in questo modo riusciamo ad avere un’idea della complessità di Persepoli, costruita non per essere abitata ma per stupire e celebrare la grandezza dell’impero.

Finita la visita, proseguiamo per Naqsh-e Rajab (a poco più di cinque minuti di auto), dove ammiriamo in una tranquillità assoluta tre bassorilievi sasanidi che raffigurano scene risalenti ai regni di Artaserse I e di Shapur il Grande (ingresso 50.000 rial). Successivamente visitiamo la necropoli di Naqsh-e Rostam (ingresso 100.000 rial), che ospita le tombe rupestri di alcuni importanti sovrani. Questo sito è molto suggestivo e ne consigliamo la visita.

Riprendiamo la macchina con un po’ di tristezza perché alla fine della giornata lasceremo il nostro driver. Ritorniamo a Shiraz e ci fermiamo a Bagh-e Eram (Giardino del Paradiso), ma sono le 14.30 e il giardino è chiuso (apre alle 15), così per non perdere tempo (una brutta storia quella del tempo, in fondo siamo in vacanza!) il driver ci accompagna al mausoleo dedicato a uno dei più importanti poeti persiani, una specie di Dante formato farsi, l’amatissimo Hafez, celebre per le sue poesie mistiche che tutti i Persiani conoscono a memoria. L’Aramgah-e Hafez (ingresso 150.000 rial) non ci prende più di tanto e, secondo noi, può essere tranquillamente tralasciato. Molto bello e lussureggiante, invece, è il Giardino del Paradiso (ingresso 150.000 rial), sede anche di un orto botanico gestito dall’università (peccato che solo la fontana centrale sia in funzione!).

Per una giusta conclusione il driver ci offre l’ennesima surprise: la pasticceria dove compriamo i famosi biscottini di Shiraz che ci hanno addolcito tante soste. Adesso, tornati in hotel, è l’ora degli addii: da parte nostra un grosso e sincero applauso al driver, the best in Iran, e da parte sua l’invito, la prossima volta che verremo in Iran, a essere ospiti suoi e della sua famiglia.

Alla sera ceniamo nel ristorante che dovrebbe avere i miglior kebab della città, Shater Abbas 1. Forse non è serata, ma sbagliano due volte l’ordinazione e il kebab di pollo è decisamente crudo (cena da dimenticare…). Torniamo in albergo verso le 10 attraversando l’Azadi Park, ancora pieno di gente che sta finendo il picnic, che gioca o che va in bicicletta in tutta tranquillità…

10 Agosto 2015 – Shiraz

Ultimo giorno di vacanza: abbiamo tutta la giornata a disposizione perché dobbiamo arrivare in aeroporto alle 2.30 di domani! Chiaramente non abbiamo prenotato la camera per la notte e questo significa niente nanna fino al ritorno in Italia. Ce la prendiamo con molto comodo: colazione, sistemazione valigie, check-out, deposito bagagli in hotel e prenotazione del taxi per l’aeroporto al costo di 200.000 rial. Siamo pronti per le ultime visite ed essendo “orfani” del nostro driver siamo costretti ad arrangiarci autonomamente. Con un taxi preso al volo (70.000 rial) raggiungiamo la nostra prima meta della giornata, la Masjed-e Nasir-al-Molk. La moschea (ingresso 100.000 rial) è senza dubbio bella ma è la sala invernale di preghiera che fa di questo edificio uno dei più fotografati e iconici dell’Iran meridionale. Le finestre colorate, i tappeti, le colonne scolpite e le pareti ricoperte di maiolica policroma con il sole che penetra dalle vetrate formano scenografici giochi di luce. A piedi raggiungiamo il Bagh-e Naranjestan (ingresso 150.000 rial), un padiglione ottocentesco con annesso aranceto nel quale un ricco mercante riceveva i suoi ospiti. Gli interni sono tutti un luccichio di specchi, peccato che fervano i soliti lavori di ristrutturazione nel giardino (visita carina ma non imperdibile).

Per strada incontriamo una coppia di ragazzi vestiti all’occidentale (pantaloni stretti e a vita bassa), che ci fermano per scambiare due parole. Alla nostra conversazione s’intromette una donna, palesemente integralista, che li redarguisce aspramente per il loro abbigliamento. Siamo ospiti di un Paese e accettiamo le sue regole. Certo che vivere qui non deve essere sempre facile!

Fa molto caldo e l’idea di indossare il chador non ci alletta, per cui decidiamo di tralasciare la visita all’Aramgah-e Shah-e Cheragh, meta di pellegrinaggio per gli sciiti. Sempre a piedi raggiungiamo il Seray-e Moshir, un caravanserraglio a due piani restaurato e trasformato in un piccolo bazar. Qui ci concediamo una sosta presso la Seray-e Mehr Teahouse per un po’ di relax con acqua di rose e dolcetti. Sempre con molta calma (oggi il tempo sembra dilatarsi all’infinito) facciamo due passi nel Bazar-e Vakil, dove la maggior parte dei negozi è chiusa per la pausa pranzo, e raggiungiamo la Masjed-e Vakil (ingresso 50.000 rial). La sala di preghiera è interessante per il soffitto a volte sostenuto da ben 48 colonne, ma la pavimentazione del cortile è in rifacimento e a causa delle transenne non riusciamo ad avere un’idea dell’insieme. Continuiamo il nostro girovagare fino ad arrivare all’Arg-e Karim Khan, che vediamo solo dall’esterno. Ormai quello che avevamo in programma è stato visto, per cui in taxi ritorniamo in zona hotel e raggiungiamo l’Azadi Park: ormai siamo di casa e il parco sarà la nostra “dimora” fino all’ora di cena… ormai abbiamo assunto lo stile di vita iraniano!

Per comodità decidiamo di cenare a buffet nel ristorante dell’hotel e, dopo l’ennesima peregrinazione, ritorniamo nella hall (ormai l’ora è tarda e non c’è nessuno), dove cerchiamo di dormicchiare… ma gli uomini delle pulizie hanno pensato bene di portarsi avanti con aspirapolveri vari e quindi addio anche a questo riposino!

11 Agosto 2015 – Shiraz/Milano

Lasciamo l’hotel in piena notte e nel giro di dieci minuti (non c’è traffico) siamo nel piccolo aeroporto di Shiraz, dove regna il caos più assoluto, nonostante il nostro sia l’unico aereo in partenza (in una giornata, ci sono solo quattro voli!). Partiamo in orario e dopo circa un’ora arriviamo a Doha. Qui il caldo è super, il cielo è grigio per l’afa e l’umidità è a mille. Finalmente facciamo colazione con muffin e cappuccino. Lo scalo dura tre ore che passano velocemente, poi secondo volo per Milano dove arriviamo in una città ancora molto calda.

L’Iran è un paese, per quello che abbiamo potuto vedere, in stallo. Ora che l’embargo è finito la situazione cambierà, nel bene e nel male. Gli Iraniani sono persone meravigliose, allegre, disponibili, desiderose di conoscere la realtà così com’è e non come viene loro fatta passare. Il Paese è, almeno in apparenza, di una calma piatta e non ci siamo mai sentiti né in pericolo né in difficoltà. Anzi, in un certo senso ci siamo sentiti avvolti dalla protezione di tutte le persone che abbiamo incontrato. Non ci siamo mai trovati a disagio: i welcome e i ringraziamenti per aver visitato l’Iran ci hanno accompagnato durante tutto il viaggio.

Per strada si vedono gruppi di ragazze da una parte e ragazzi dall’altra, ma nei giardini abbiamo incontrato giovani coppie mano nella mano, segno che i tempi stanno cambiando, come più volte ha detto il nostro saggio driver. Il velo in testa, anche per il gran caldo, si è rivelato una tortura. Pensiamo a come debbano stare le donne tradizionaliste, che in piena estate indossano jeans, calze e cappottino. Le giovani indossano prevalentemente leggings, camicioni e foulard (magari colorati), sorretti da alte code di cavallo, giusto per lasciar intravedere i capelli. In compenso i bazar pullulano di abiti super luccicanti per le feste in casa e di biancheria sexy colorata, piena di pizzi e anche leopardata…

Che dire, andate in Iran senza preconcetti perché è davvero un paese incredibile!

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La città santa di Qom - Hazrat-e Masumeh



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