Incredibile India: Rajasthan e Varanasi
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Dato poi che il volo da Roma a Delhi prevedeva uno scalo ad Abu Dhabi, ci siamo detti che anche questa era un’occasione da non perdere e ne abbiamo approfittato per fermarci lì due giorni in più in modo da andare a trovare nostro nipote che per motivi di lavoro vive temporaneamente ad Abu Dhabi con tutta la famiglia.
Il titolo di questo diario è “Incredibile India” perchè penso che l’India ai nostri occhi occidentali sia davvero un Paese incredibile. Naturalmente abbiamo visto forse la parte più turistica dell’India e quindi non posso certo dire di conoscerla e soprattutto non posso dire nulla sui luoghi frequentati da chi va alla ricerca della parte più “spirituale” o semplicemente più genuina e incorrotta dell’India. Avverto inoltre che questo è un diario un po’ lungo in quanto il viaggio è durato complessivamente 18 giorni. Ho anche omesso, tranne alcuni casi, la descrizione di monumenti, templi, castelli e palazzi in quanto si trovano facilmente in tutte le guide turistiche.
Come prima cosa, se pensate di andare in India con un viaggio “fai da te” affittando un’auto senza autista vi consiglio vivamente di rinunciare. Al di là del rischio di malattie più o meno gravi o dell’igiene piuttosto precaria, un ostacolo insormontabile è senz’altro costituito dal traffico stradale. E lo dico io che vivo a Roma! A parte che in India si guida a sinistra e che le strade e le cosiddette autostrade sono piene di mucche che non si spostano nemmeno con le cannonate, il vero problema è che il codice stradale è composto da due soli articoli:
1- suonare il clacson sempre e comunque
2- tutti possono fare tutto.
Sono rimasto davvero stupito di come gli indiani riescano a guidare senza andare a sbattere ogni due minuti. E, poichè i semafori si contano sulle punte delle dita, l’altra cosa che mi ha stupito è come riescano a uscire indenni e in tempi abbastanza veloci da ingorghi a dir poco colossali. Riflettendoci sopra però, credo di aver capito quale sia il loro “segreto”. Penso che vada cercato nella loro filosofia di vita. A differenza di noi, che cerchiamo sempre di sgomitare, di superare, di prevalere e prendiamo un sorpasso quasi come un’offesa personale, gli indiani si aiutano molto l’un l’altro e quando guidano cercano comunque di facilitare le manovre degli altri.
Ho visto macchine spostarsi nella cunetta laterale per farsi sorpassare perchè altrimenti ci sarebbe stato un frontale clamoroso oppure rallentare fin quasi a fermarsi per far sì che la macchina che viene di fronte possa sorpassare quella che ha davanti. In questo modo non è raro vedere due sorpassi in contemporanea su una strada a due corsie e vedere come magicamente possano passare quattro macchine là dove a mala pena ne potrebbero passare due!
Un’ultima annotazione: come detto abbiamo fatto un viaggio organizzato dormendo sempre in hotel a 4 o 5 stelle tipici dei giri turistici e mangiando negli stessi hotel o in ristoranti frequentati abitualmente da turisti. Non posso quindi dare alcuna indicazione su specialità culinarie, posti particolari dove mangiare o alberghi caratteristici ma decenti. Ciò non toglie però che alcuni hotel dove siamo stati fossero stati ricavati da ville e palazzi signorili e avessero quindi un loro fascino davvero particolare. Per quanto riguarda il cibo la cucina indiana è molto speziata e piccante, basata principalmente su verdure, ortaggi, riso e pollo. A me piace ma alla lunga devo dire che è un po’ troppo saporita e chi non è abituato ai sapori forti, come le nostre amiche lombarde, si trova un po’ in difficoltà. Comunque per fortuna negli hotel frequentati dagli occidentali si trovano quasi sempre le versioni senza spezie dei loro piatti tipici.
3-4-5 Ottobre 2016: Roma – Abu Dhabi – Dubai
All’aeroporto di Abu Dhabi viene a prenderci nostro nipote e visto che è sera e siamo un po’ stanchi per il viaggio, il fuso e il caldo (dai rubinetti dell’acqua fredda l’acqua esce calda !) andiamo direttamente a casa sua e rimandiamo al giorno dopo i giri programmati. La mattina seguente andiamo quindi a fare un tour di Abu Dhabi in macchina. E’ una città molto tranquilla e sembra quasi disabitata. In pratica è la trasposizione di una città americana su una striscia di deserto in riva al mare. Grattacieli occidentali, macchine occidentali, negozi occidentali, usi occidentali, gente vestita all’occidentale e ogni tanto qualche arabo con il kaftano e la kefiah per ricordarci che siamo nella penisola araba. La cosa strana è che si vedono pochissimi “workers” ossia indiani, pakistani, filippini, ecc. che fanno i lavori manuali o comunque di più basso livello. Gli occidentali fanno lavori dirigenziali e gli arabi (forse il 20% dell’intera popolazione) si godono la vita e le ricchezze accumulate.
Da Abu Dhabi ci spostiamo poi a Dubai che è a soli 40 km. e che si stende in lunghezza parallelamente al mare. E’ più abitata, più grande, più caotica e anche più piena di turisti. Entrambe le città hanno uno skyline tipico delle città americane. Ovviamente andiamo a vedere (da fuori) l’albergo a forma di vela e la Burj Khalifa ossia il grattacielo più alto del mondo (828 metri), poi il mall finto suk e infine il mall vero con tanto di acquario gigante al suo interno. Facciamo anche un giro sull’isoletta artificiale a forma di palma ma standoci sopra ovviamente non ci si rende conto di come sia fatta. La sera torniamo ad Abu Dhabi per visitare la nuova grande moschea. Devo dire che la sera fa tutto un altro effetto, l’illuminazione è molto suggestiva e mette bene in risalto l’architettura della moschea. La mattina dopo la passiamo passeggiando e mangiando in un centro commerciale in attesa di andare all’aeroporto per prendere l’aereo per Delhi.
In conclusione se volete provare l’emozione di stare su un suolo arabo ma senza staccarvi troppo dalle vostre abitudini andate tranquillamente in queste città che in fondo danno anche un brivido di esotico. Ma se volete visitare un paese arabo ed entrare in contatto con quella cultura (nel bene e nel male) cambiate decisamente zona… sempre che le varie guerre ve lo permettano!
5 Ottobre 2016: Delhi
Atterriamo a Delhi di sera e all’aeroporto troviamo la nostra guida con l’autista che ci portano all’albergo dove ci aspettano i nostri amici arrivati nel primo pomeriggio da Milano. La guida si chiama Rama e parla l’italiano abbastanza bene perchè viene spesso in Italia per vendere i gioielli di un suo amico che, come scopriremo in seguito, ha un negozio a Jaipur. E’ un tipo piccoletto, ha 33 anni ed è molto sveglio e naturalmente portato per il commercio. Sulla strada dall’aeroporto all’albergo abbiamo subito il primo impatto con l’India. Traffico caotico, ingorghi colossali e costante rumore di fondo dei clacson che lì in India sono tutti accordati su una tonalità alta e hanno un che di irriverente e quasi spernacchiante, più o meno come i nostri motorini. Immaginate di stare in mezzo ad un mare di motorini che suonano incessantemente. La nostra guida ci spiega ridendo che in India se non sai suonare il clacson in pratica non puoi neanche prendere la patente! Arriviamo in hotel (il Plaza, centrale e un po’ in stile inizio 900 nell’interno, comunque bello) dove troviamo Marina, Marilena e Claudio. Grandi abbracci, cena poi a letto.
6 Ottobre 2016: Delhi – Mandawa
Iniziamo il giro di Delhi nel pulmino con cui faremo più di 2000 km e, dopo essere passati nella parte nuova della città che è fatta di viali alberati e palazzi ovviamente in stile inglese, puntiamo alla parte vecchia e in particolare alla zona musulmana per visitare la moschea. Avendo visitato ben altre moschee (compresa quella di Abu Dhabi) questa mi sembra piuttosto piccola e dimessa. Però qui abbiamo subito un’idea di quello che ci aspetterà nel viaggio. Grande caos, gente che vive per strada, rumore assordante, commistione di persone di tutti i tipi e vestite in tutti i modi, edifici fatiscenti, fili elettrici pendenti, fogne a cielo aperto, auto e moto dappertutto e negozi improvvisati dovunque ci sia un minimo di spazio libero. Eppure sembra che nessuno dia fastidio agli altri e che ognuno si trovi perfettamente a proprio agio in mezzo agli altri. C’è insomma un grande spirito di tolleranza senza il quale sarebbe impossibile sopravvivere in quel modo. E infatti in India convivono abbastanza pacificamente ben 6 religioni diverse! La frase che mi è venuta in mente e che, secondo me, meglio di ogni altra descrive questo stato di cose è “casino organizzato”.
A Delhi per entrare nella moschea dobbiamo toglierci le scarpe e qui comincia la lunga serie di rituali che ci accompagnerà per tutto il viaggio: togli le scarpe, metti i calzini, togli i calzini, metti le buste di plastica a forma di scarpa (che Marina aveva portato in quantità industriale), togli le buste, metti le scarpe, ecc ecc.. E sempre a Delhi per la prima volta facciamo conoscenza con il “tuk tuk” che è uno dei mezzi di trasporto più usati in India e in tutto l’estremo oriente. Sono in pratica i motocarri Ape della Piaggio che qui sono dipinti di vari colori vivaci e si chiamano così in maniera onomatopeica per imitare il rumore che fa il loro motore. Sono usati come taxi ma anche per trasportare qualsiasi altra cosa.
Dopo la moschea non poteva mancare una visita al mausoleo di Gandhi che è sobrio e allo stesso tempo solenne. E’ in pratica un grande giardino con al centro un basso altare di pietra nera sovrastato da una fiamma perenne e adornato da piccole ghirlande di fiori bianchi e arancioni. Penso che sia stato costruito proprio come Gandhi avrebbe voluto e in fondo rispecchia un po’ il rapporto che hanno gli indiani verso la morte : sobrietà, solennità, ma non tragedia.
All’ora di pranzo partiamo per la prima tappa del nostro giro nel Rajastan, ossia la città di Mandawa. Uscendo da Delhi troviamo lungo l’autostrada (sic!) una serie di banchetti in cui si vende di tutto e per la prima volta prendiamo conoscenza del fenomeno delle mucche. Questi animali passeggiano o stanno ferme nelle strade infischiandosene del traffico che gira intorno in quanto hanno precedenza assoluta su tutto. Sono un po’ come i nostri cani randagi con la differenza che sono molto più grosse e che i cani in genere evitano di stare in mezzo alle strade. Lungo la strada per Mandawa attraversiamo una città (di cui non ricordo il nome) di circa un milione di abitanti, abbastanza moderna con palazzoni e grattacieli costruiti per ospitare i call center di tutto il mondo! E poi tanti villaggi e paesi dove si ripete la vita vista nella vecchia Delhi con in più un consistente numero di persone che sta semplicemente seduta senza fare niente. Mi è venuto da pensare che i suk arabi al confronto sembrano negozi svizzeri!
Dopo 260 km arriviamo a Mandawa che è ora di cena. Devo dire che quando ho visto nel programma trasferimenti giornalieri di svariati km sono rimasto un po’ perplesso. Ma adesso sono contento che ci siano stati perchè mi hanno dato la possibilità di conoscere più a fondo l’India e soprattutto di vedere come vivono gli indiani.
L’albergo in cui siamo alloggiati è stato ricavato da una residenza del 700 di un ricco commerciante della zona. Dire residenza è in realtà riduttivo, in quanto sembra quasi un castello con ampi spazi interni e illuminato in stile mille e una notte. Da’ subito l’dea di un’India affascinante e misteriosa. A cena, la nostra guida, ci propone di fare il giorno dopo un’escursione fuori programma per visitare il Tempio dei Topi, che ha questo nome perchè abitato da migliaia di topi che ovviamente gli indiani si guardano bene dallo sterminare. Quando la nostra guida ci comunica che, essendo un tempio, bisogna entrare scalzi senza nemmeno la possibilità di mettere le nostre buste di plastica o i calzini, non abbiamo dubbi. Rinunciamo all’escursione al tempio!
7 Ottobre 2016: Mandawa – Bikaner
Mandawa era una città edificata sulla via della seta che poi però nel corso del tempo è stata progressivamente abbandonata. Ciò si capisce subito guardando i palazzi (haveli in hindi), belli ma decadenti. Ne visitiamo un paio del 700 – appartenuti a ricche famiglie di commercianti che sono in condizioni migliori e in uno di essi troviamo un affresco rappresentante il ponte di Rialto a Venezia a conferma del fatto che i traffici da Venezia alla Cina passavano dall’India e coinvolgevano anche le popolazioni locali. Qui cominciamo ad avere un primo impatto con l’incredibile India. Strade allagate, banchetti di merce in vendita posizionati dappertutto, mucche in mezzo alla via, traffico caotico e tanta gente per strada. Alcuni di questi poi sono uomini che si sono spostati dalle loro città in cerca di lavoro e, non potendosi permettere di pagare un affitto, dormono per strada, nei casi migliori al riparo di tende improvvisate con stoffe avanzate e piazzate qua e là. Sono scene che fanno abbastanza impressione ma, se si pensa a molte città o paesi africani la situazione non è molto dissimile.
Quando c’è qualche curiosità la guida ce la segnala subito, divertito dal nostro stupore, e più trova situazioni strane più ce le segnala. Qui vediamo i primi carretti trainati da dromedari che vengono usati al posto dei cavalli. Li vedremo durante quasi tutto il viaggio. I carretti sono variopinti con colori sgargianti, così come gli autobus e i camion. Ma in realtà in India tutto è dipinto con colori vivaci, a cominciare dagli abiti. Direi che questa è una delle caratteristiche principali dell’India: colori caldi e accesi dovunque, luce che avvolge ogni cosa e trasmette un senso quasi di allegria. La natura è amica e gli Indiani la onorano dipingendo ogni cosa a tinte vivaci. Non è un caso che la religione induista è forse l’unica che prevede nel suo calendario una “Festa dei colori” da celebrare nel mese di marzo. Lungo la strada, per l’appunto, vediamo una specie di spiazzo recintato dove si sta tenendo una cerimonia religiosa e ci fermiamo incuriositi.
E’ il nostro primo impatto con la religiosità indiana e devo dire che siamo stati subito tutti coinvolti. La musica, i mantra cantati da tutti, i colori dei sari delle donne, gli incensi creano un’atmosfera particolare che è difficile da descrivere ma che immediatamente ci tocca e ci coinvolge, pur sapendo noi poco o nulla della religione induista. La nostra guida tenterà più volte di spiegarci i fondamentali della sua religione ma dopo 5 minuti di racconti ingarbugliatissimi regolarmente ci arrendiamo. Oltre tutto le sue spiegazioni cominciano sempre con una premessa scoraggiante: l’induismo ha 33000 divinità e nessuno le conosce tutte… ecco appunto!
Arriviamo finalmente a Bikaner dove andiamo a visitare la residenza del Maharaja ma dobbiamo fare tutto di corsa perchè sta per chiudere. Abbastanza stanchi andiamo infine all’hotel che devo dire non è al livello degli altri. Cena in albergo e tutti a nanna.
8 Ottobre 2016: Bikaner – Jaisalmer
Oggi è una tappa quasi tutta di trasferimento in quanto ci sono da fare 330 km che in India richiedono circa 6 ore di auto. Ma il lato positivo è che in questo modo si ha la possibilità di passare per i villaggi e quindi entrare in contatto con un’ India meno turistica e quindi più vera. Lungo il percorso facciamo una deviazione non prevista dal programma (richiesta da Marina che è preparatissima su tutto ciò che c’è da vedere) per andare a Pokhran e visitare un castello costruito con pietra arenaria tutta rossa. Il castello ha più che altro l’aspetto di una fortezza (come la maggior parte dei castelli indiani) ed è molto ben conservato. Tra l’altro il concetto indiano di fortezza è in realtà un po’ diverso dal nostro. Direi che è più abitazione e meno baluardo militare.
Il guardiano che sta alla porta ci prende le fotocamere e ci scatta diverse foto posizionandoci in punti a lui ben noti in modo tale che risultiamo poi affacciarci in mezzo a feritoie o finestre dei muri. Direi che in questo caso si guadagna ampiamente la mancia (che in India è quasi obbligatoria). Affidategli le vostre fotocamere e non sarete delusi.
Mentre camminiamo dentro la fortezza si avvicina un gruppo di donne con dei bellissimi e coloratissimi sari e noi pensiamo subito che come al solito vogliano dei soldi magari per farsi fotografare. Ma con nostra grande sorpresa si mettono in mezzo a noi e si fanno fotografare da una di loro con le loro macchine fotografiche! Per una volta i ruoli sono ribaltati. Noi siamo gli esotici con cui fotografarsi! Un’esperienza utilissima che consiglio vivamente per capire il punto di vista del cosiddetto “altro”.
Arriviamo a Jaisalmer prima del tramonto e quindi facciamo in tempo ad andare a vedere il cenotafio fuori della città che al tramonto si colora tutto di rosso-arancio. Fa un po’ impressione vedere le cataste di legno ancora fumanti su cui si sono celebrati i riti funebri il giorno prima ma anche questo fa parte dell’India. In alcuni casi c’è ancora la cenere da portare via. Tra l’altro da lì si gode una magnifica vista della città arroccata su una collina e anche essa interamente dipinta di rosso-arancio dalla luce del tramonto.
Arriviamo in albergo che come al solito è molto bello ed è anche esso a forma di fortezza. Per la prima volta assaggio il tè indiano mescolato a latte, cardamomo, cannella e zenzero (Masala Chai). Io non sono un amante del tè ma devo dire che questo è davvero buono e d’ora in poi cercherò sempre di prendere questo tè invece del caffè che di norma è un orrido bibitone.
9 Ottobre 2016: Jaisalmer (la città d’oro)
Jaisalmer è arroccata su una collina in mezzo al deserto del Thar ed essendo costruita in pietra arenaria locale ha una colorazione giallo-arancio. Per questo motivo viene detta la “città d’oro”.
La mattina passiamo prima per un laghetto artificiale costruito nel ‘400 per una regina del luogo che ha la curiosa caratteristica di essere popolato da giganteschi pesci gatto. Basta gettare un pezzo di pane e nel giro di qualche secondo la superficie dell’acqua viene totalmente ricoperta da questi pesci che, addossati gli uni agli altri e con la bocca aperta come uccellini nel nido, attendono il prossimo boccone di pane. Direi quasi uno spettacolo da film horror!
Ci inerpichiamo quindi a piedi nei vicoletti della città vecchia dove c’è un’aria stranamente familiare. Sembra di stare, con le dovute differenze, in qualche paesino marino o montano dell’Italia centro-meridionale. Anche la (solita) vivacità della gente e delle situazioni contribuisce a sottolineare questa somiglianza. Non mi stupisco quindi di trovare diversi cartelli che fanno pubblicità a ristoranti italiani dai nomi improbabili (Pace, Vesuvio, ecc). Pranziamo in uno dei tanti ristoranti con vista sulla pianura circostante e alla fine la nostra guida ci chiede se vogliamo fare un massaggio ayurvedico. C’è un po’ di titubanza (soprattutto da parte di Marina) visto che nessuno di noi lo h mai fatto prima ma, invogliati dalla descrizione della guida, alla fine decidiamo per il sì.
Arriviamo in un sobborgo alla periferia della città che non esiterei a definire pasoliniano. Da una casetta si affaccia una donna che a prima vista sembra una maitresse e se non ci fossero state delle donne nel nostro gruppo avrei certamente sospettato ben altro che un massaggio ayurvedico. Comunque entriamo, paghiamo in anticipo (altro elemento sospetto!) e ci dirigiamo nelle due stanze, una per gli uomini e una per le donne, dove ci spogliamo e aspettiamo. Gli uomini sono massaggiati da uomini (purtroppo) e le donne da donne. Forse sono stato particolarmente sfortunato ma a me capita una specie di energumeno che affonda le mani sul mio corpo in modo talmente forte da farmi stare in continua tensione muscolare per compensare il dolore che sento. A un certo punto mi è venuto quasi il sospetto che lo facesse apposta per vendicare il popolo indiano sottomesso dai conquistatori europei! Ma la cosa peggiore è stata l’abbondanza di olio usato che ci ha “aromatizzato” per giorni e, quel che è peggio, ha aromatizzato anche i vestiti che avevamo e per la proprietà transitiva anche la valigia!
Non me ne vogliano gli appassionati di scienza ayurvedica ma quella è stata un’esperienza che non ripeterei. Mi consola il fatto che anche la nostra guida sia rimasta deluso. I massaggi ayurvedici se li ricordava molto diversi e più rilassanti, segno che forse siamo capitati male.
Giusto il tempo per rivestirci e ci dirigiamo verso il deserto di sabbia dove ci attende la passeggiata a dorso di dromedario. Vi lascio immaginare il mix micidiale del nostro “aroma” mescolato all’aroma del dromedario! Il giro si fa poco prima del tramonto e alla fine il deserto ha comunque sempre un suo fascino anche se non è certo il deserto magrebino e non si può proprio dire che sia deserto vista la quantità di turisti che ci sono. Aspettiamo di vedere il tramonto che viene fotografato da tutte le posizioni e inquadrature e finalmente ci dirigiamo verso l’albergo dove non vediamo l’ora di fare una doccia con relativo shampoo, dato che la nostra situazione è ulteriormente aggravata dalla sabbia che abbiamo addosso.
10 Ottobre 2016: Jaisalmer – Jodhpur (la città blu)
Altra giornata di trasferimento lungo e come al solito molto interessante. Per strada incontriamo un gruppo di pellegrini che sta pranzando. Ci fermiamo e ci facciamo con loro le foto di rito anche perchè sono vestiti in modo molto colorato. In India ci sono continuamente pellegrini che vanno in giro a piedi o su animali vari, dato che ci sono ben sei religioni ufficiali e feste religiose in continuazione. Per l’appunto oggi è l’ultimo giorno delle festa dei 9 giorni (onorata anche dalla nostra guida che fino ad oggi è stata quasi a dieta) e quindi incrociamo un carro con sopra dei pupazzi giganti di cartapesta raffiguranti varie divinità induiste che sono serviti per le feste e che oggi vengono portati via per essere distrutti. Il tutto accompagnato come al solito da musica e canti. Anche in questo caso c’è una rappresentazione della creazione e della distruzione, della vita e della morte come di eventi naturali e ineluttabili. Nessun dramma, nessuna tristezza, ma solo occasione per stare insieme e celebrare insieme le divinità in modo gioioso. Quanto sono distanti da noi!
Arriviamo a Jodhpur a andiamo subito a visitare il castello che stavolta somiglia un po’ di più ai nostri in quanto costruito su una rocca. Dall’alto si capisce perchè viene chiamata la città azzurra. Diverse case sono dipinte di azzurro e la guida ci spiega che sono le case dei bramini (la casta più alta) che qui sembrano essere in grande quantità. Scendiamo verso il centro della città che è quasi buio e andiamo a visitare il mercato che sta intorno alla Torre dell’orologio, una torre costruita nel ‘700 su modelli europei con un grande orologio sulla sommità e illuminata in modo molto suggestivo. Il mercato mette allegria con i suoi colori, profumi e rumori e mi ricorda molto i suk dei paesi arabi. Giriamo per un po’ a piedi cercando di non perderci e assistiamo ad una spericolata manovra di un “tuk tuk” che imbocca contromano un viale strapieno di auto. Incredibilmente nessuno protesta e anzi tutti cercano di facilitare la manovra. Mi viene da pensare subito a cosa sarebbe successo in Italia per una manovra del genere !! Andiamo finalmente in hotel a cenare e a dormire.
11 Ottobre 2016: Jodhpur – Ranakpur – Udaipur
Anche oggi spostamento lungo, quasi 300 km. Ma il tragitto si rivelerà molto interessante. Passiamo quasi subito per Ranakpur dove visitiamo un bellissimo tempio giainista tutto bianco e molto ben decorato. I jainisti sono un po’ gli estremisti dell’induismo e della non violenza. Per dire… spazzano il terreno davanti a dove camminano per non uccidere le formiche o altri insetti e per lo stesso motivo portano una garza davanti alla bocca ! Quindi nel tempio possiamo entrare solo scalzi e con i pantaloni lunghi. Il tempio è imponente e ben tenuto. Sul pavimento ci sono delle guide su cui camminare che però sono più sporche del pavimento circostante. Il luogo è circondato da una vegetazione molto rigogliosa che è il segnale che il paesaggio sta iniziando a cambiare. Riprendiamo il viaggio e lungo la strada incontriamo numerosi gruppi di persone che cantano e danzano per celebrare la fine della festa dei 9 giorni. Sono tutti allegri e sorridenti abbigliati con vestiti come al solito coloratissimi. Vediamo anche in un piccolo villaggio alcune donne intente a restaurare le mura della loro casetta coprendole di… cacca di mucca ! Rama ci spiega che è un ottimo isolante… sarà!
La strada comincia a salire e il paesaggio assume contorni da media montagna. A un certo punto l’autista si ferma e ci indica accanto a noi un gruppo di scimmie grigie con la faccia nera che a guardarle bene sembrano quelle di un vecchio. Non so di che specie siano ma sono davvero molto buffe. La guida getta dal finestrino qualche banana e ovviamente tutte si accalcano per prenderle. Molte di loro sono femmine che sotto la pancia portano il loro piccolo aggrappato a schiena in giù. Lasciamo le scimmie e arriviamo sul valico a circa 1000 metri dove mangiamo all’unico ristorante del luogo. Finalmente non più c’è il solito caldo afoso che ci sta accompagnando dall’inizio del viaggio e si respira un’aria se non proprio di montagna per lo meno di alta collina. Ci rimettiamo subito in viaggio scendendo sull’altro versante in direzione di Udaipur. Lungo il percorso ci fermiamo a guardare in una fattoria un ingegnoso sistema di sollevamento d’acqua dal pozzo e successiva irrigazione dei campi. E’ un sistema immutato da secoli ma che ancora fa il suo dovere. Arriviamo finalmente a Udaipur che è chiamata la Venezia dell’India in quanto edificata su 7 laghi artificiali costruiti a partire dal XV secolo. La definizione mi sembra decisamente eccessiva però, come vedremo il giorno successivo, ci sono alcuni punti che alla lontana somigliano davvero a Venezia. Alcuni giovani stanno gettando una statua di cartapesta in un laghetto e la guida ci spiega che alla fine della festa tutte le statue devono essere gettate via. Ancora una volta mi viene in mente il ciclo delle nascite e delle morti tipico della filosofia indiana. Penso che l’induismo sia l’unica religione al mondo che venera un divinità della distruzione (Shiva) alla pari della divinità della creazione (Brahma).
Arriviamo finalmente all’albergo che è immerso nel verde e ha anche lui un laghetto-piscina al suo interno. Tutto intorno le collinette verdi danno un’intonazione molto diversa dai paesaggi visti sino a quel momento. E’ un luogo molto riposante e per fortuna ci dovremo fermare due notti.
12 Ottobre 2016: Udaipur
Passiamo la mattinata a visitare il City Palace, residenza del locale Maharaja. E’ molto grande e, a differenza dei palazzi visti sinora al suo interno ha stanze e ambienti di vario stile a seconda dell’epoca storica in cui sono stati costruiti o restaurati. Anche in questo palazzo, come in tutti gli altri, mi colpisce la totale mancanza di statue , affreschi o quadri che invece siamo abituati a vedere nelle regge o nei palazzi europei. Dopo pranzo facciamo una gita su uno dei laghi su un battello pieno di Coreani la cui fotocamera più piccola aveva un obiettivo da 300 mm! E dire che la Canon con zoom di mio figlio che lui mi ha obbligato a portare mi sembrava un fardello ingombrante e pesantissimo! Dal lago si vedono palazzi di pregevole architettura e molto ben decorati che sembrano uscire direttamente dall’acqua proprio come a Venezia. C’è perfino un ponte la cui forma ricorda il ponte Rialto. Il verde e l’acqua rendono questa città un posto dove potersi riposare rilassare, quasi una specie di località termale. La guida continua nel suo sforzo di raccontarci la teologia e la mitologia indiana ma dopo pochi minuti affoghiamo nel mare di nomi, di storie e di significati che meriterebbero ben altra attenzione e impegno. Mi sembra un po’ frustrato.
Ceniamo come al solito in albergo e dopo una settimana di cibi piccanti e speziati cominciamo a sentire il bisogno di qualcosa di semplice e genuino. Io e Luciana reggiamo meglio in quanto più abituati ad una cucina saporita ma le nostre amiche padane cominciano decisamente ad accusare una certa “fatica digestiva”!
13 Ottobre 2016: Udaipur – Pushkar – Jaipur
La mattina presto partiamo alla volta di Jaipur e lungo il percorso visitiamo tre templi induisti di caratteristiche abbastanza diverse tra loro. Il primo è un tempio non più in uso ma ancora ben conservato con alcuni notevoli bassorilievi, immerso in un’atmosfera serena e tranquilla. Il secondo (Eklingji) è in realtà un gruppo di 108 piccolissimi templi di pietra bianca circondati da mura di protezione e con al centro un tempio più grande dedicato a Shiva. Dentro il tempio per terra c’è la statua di un toro che è il mezzo di locomozione di quella divinità. C’è un sacco di gente che sta in fila per avvicinarsi al toro e sussurrargli nell’orecchio i propri desideri o le proprie suppliche. Devo dire che c’è un’atmosfera molto coinvolgente. Il terzo tempio lo troviamo a Pushkar, cittadina nota per l’annuale fiera dei cammelli che si svolge in novembre e sede dell’unico tempio dedicato a Brahma in tutta l’India. Il tempio non è un granchè ed è circondato da negozi di tutti i tipi. Ma mentre stiamo per andare via veniamo arpionati da una guida locale e condotti presso un laghetto lì vicino dove ci sono alcuni brahmini “acchiappaturisti”. Ossia prendono gruppi di 5-6 turisti a cui mettono collane di fiori al collo e cominciano a recitare litanie incomprensibili che invitano poi a ripetere. Compiono quindi alcuni brevi riti con fiori e acqua e alla fine ripetono il mantra “soldi donare, bramino mangiare” (in italiano!). Immagino che quella piccola frase la sappiano in tutte le lingue del mondo. Come se non bastasse impongono anche una tariffa! Io gli volevo dare 10 euro ma come risposta me ne hanno chiesti 20. Per chi non lo sapesse 20 euro in India è il guadagno giornaliero di un professore universitario. Seccato gli dico che ho solo quello e me ne vado. Quando torniamo al nostro pulmino protestiamo con Rama anche perchè quello mi sembra un modo quasi blasfemo di trattare la religione in un paese come l’India in cui la religione svolge un ruolo molto importante. Insomma cercate di evitare il laghetto perchè tanto non c’è niente da vedere. Ripartiamo e arriviamo a Jaipur che sono le 9 di sera. Al buio il nostro autista dà il meglio di sè con sorpassi in diagonale e schivate delle macchine che arrivano di fronte e che miracolosamente riescono a non schiantarsi su di noi.
14 Ottobre 2016: Jaipur (la città rosa)
Il centro storico di Jaipur è tutto dipinto di rosa. Il colore lo impose il maharaja Sawai Ram Singh a metà dell’800 in onore della visita del principe consorte della regina Vittoria e questa tradizione è rimasta fino ai giorni nostri. Il monumento più noto, che è quasi il simbolo della città, è il cosiddetto “palazzo dei venti”. Si chiama così perché ha solo la facciata, peraltro molto bella, e quindi nelle innumerevoli finestre che vi si trovano il vento può passare da una parte all’altra senza problemi. Sul marciapiede c’è un incantatore di serpenti (in tutto il viaggio ne abbiamo visti solo un altro paio) e Luciana è l’unica che ha il coraggio e lo stomaco di toccare la testa del cobra. Da lì proseguiamo verso il Forte che domina la città. Lasciamo il pulmino e saliamo sul cesto che sta sul dorso di un elefante per provare il brivido di entrare nel forte nello stesso modo in cui entravano i maharaja. E’ molto più semplice che andare su un cammello in quanto la sistemazione è molto più comoda e stabile. Arriviamo in cima e appena scendiamo siamo circondati da venditori di tutti i tipi, proprio come se stessimo al Colosseo. Luciana viene perseguitata da uno che vuole mollarle un libro di foto che inizialmente sembrava costare 20 rupie ma che invece costava 20 euro. Molto faticosamente viene seminato. Dal forte si gode una bella veduta sulla città e sul lunghissimo muro che la circonda (una piccola muraglia cinese). Facciamo conoscenza con un amico della nostra guida che parla benissimo l’italiano in quanto è stato a Rieti (!) per 14 anni. Scopriremo poi che è un commerciante di gioielli e che fornisce a lui i gioielli che poi lui rivende in Italia (così abbiamo capito come mai la nostra guida parla bene l’italiano).
Scendiamo giù in città, stavolta in jeep, e dopo pranzo andiamo a visitare il City Palace, molto bello e anche esso rosa e bianco. Ci fermiamo quindi per un’inevitabile sosta in una grande gioielleria per gli acquisti di rito. Se Anversa è il centro mondiale dei diamanti, Jaipur è il centro mondiale delle pietre preziose. Qui vicino ci sono molte miniere e da qui passa più della metà del commercio mondiale di pietre preziose. Qui vengono prima lavorate e poi smerciate in ogni angolo del mondo. Di conseguenza i prezzi sono molto buoni ma non saprei proprio dire che differenza c’è con l’Italia in quanto di questi articoli non me ne intendo affatto.
Continuiamo la visita della città andando a vedere la piazza dell’Osservatorio (Jantar Mantar). In questo grande spiazzo ci sono costruzioni dal posizionamento e dalla dimensione tali che è possibile sapere, tramite l’ombra proiettata per terra, la data e l’ora del momento. Come è noto gli indiani erano abilissimi matematici e astronomi e, attraverso i contatti con gli arabi, hanno esportato fino a noi i concetti basilari della matematica. Direi che qui si tocca con mano questa loro peculiarità.
Ultima tappa della nostra giornata è il centro della città con un lungo porticato sotto il quale si aprono centinaia di botteghe di tutti i tipi, in mezzo alla solita confusione, al solito chiasso e ai soliti colori vivacissimi. Un vero spettacolo! Persino superiore a quello offerto dalla famosa piazza Djemaa El Fna di Marrakesh che per me sembrava insuperabile. A Marrakesh ci sono banchetti che espongono in vendita dentiere usate, qui oltre questo c’è anche un dentista in carne e ossa che armeggia a mani nude dentro la bocca di un paziente (molto paziente…)! Arriviamo così al negozio dell’amico della nostra guida che sta al primo piano di un palazzo e dal cui balcone si gode una vista mozzafiato sul Palazzo del Vento al tramonto e sulla sottostante strada affollata di venditori e acquirenti. Marina ingaggia una lotta all’ultimo sangue con il nostro amico che tenta di venderle qualche gioiello ma alla fine la sua contro-offerta è talmente vergognosamente bassa che lui si arrende e rinuncia alla vendita! Italia batte India 1-0.
15 Ottobre 2016: Jaipur – Fatehpur – Agra
Lasciamo Jaipur per spostarci ad Agra, città sede del più famoso monumento dell’India, ossia il Taj Mahal, mausoleo funebre costruito nel 1652 dall’imperatore Moghul Shah Jahan in memoria dell’adorata moglie morta prematuramente. Lungo la strada visitiamo la cosiddetta città fantasma di Fatehpur Sikri. Fantasma perchè fu costruita nel XVI secolo da un imperatore islamico, fu abitata solo per 5 anni e poi abbandonata. Tutto ciò mi suona molto familiare! E’ come al solito costruita con arenaria rossa ed è più simile ad una reggia con case annesse e mura di cinta che non ad una vera e propria città. E’ conservata molto bene ed ha una linea architettonica molto elegante. Riprendiamo quindi la strada per Agra città in cui, a detta della nostra guida, gli abitanti guidano come pazzi… non oso nemmeno immaginare! A proposito di guida, lungo la strada vediamo i postumi di un incidente stradale con un pulmino messo di traverso e molto ammaccato. E’ l’unico incidente che ci è capitato di vedere ma conferma che anche là non sempre i miracoli funzionano! Sulla strada per Agra attraversiamo un piccolo villaggio dove la nostra guida ci fa notare un paio di ragazze sedute su una pietra e vestite, invece che con il sari, in jeans e maglietta. Il motivo è presto spiegato: sono prostitute in attesa dei clienti, che poi sono principalmente gli autisti dei camion che vanno e vengono da Agra. In questo tutto il mondo è uguale!
Arriviamo ad Agra in tarda mattinata e andiamo subito a visitare il Forte Rosso (costruito anche esso in pietra rossa) da cui si gode una bella vista sulla città e in lontananza sul Taj Mahal. Il Forte è in realtà una reggia ed ha la singolare caratteristica di essere diviso in tre sezioni di stile induista, cristiano e musulmano, in onore delle tre mogli del Maharaja che erano appunto di tre religioni diverse. Un esempio di tolleranza difficile da ritrovare nel mondo. Ci rimettiamo in marcia e finalmente arriviamo al Taj Mahal. Come per tutti i monumenti di fama mondiale fuori è tutto un brulicare di bancarelle, venditori, turisti e gente che chiede l’elemosina. Ma una volta superata la porta che immette nel parco che circonda il monumento la veduta è davvero spettacolare. Una lunga vasca rettangolare piena di acqua guida l’occhio fino al mausoleo che è un mirabile esempio di simmetria di forme e di perfetto equilibrio tra pieni e vuoti. La luce del tramonto (va assolutamente visto a quest’ora) dà calore e colore al bianco della pietra. Peccato che ci sia un mare di gente ma questo è ovviamente inevitabile. Ci facciamo le solite foto di rito con il monumento sullo sfondo a diverse distanze ed essendo noi un gruppo, saltiamo la fila per entrare dentro il mausoleo. Direi che non vale proprio la pena di fare la fila visto che dentro c’è solo il sarcofago della principessa che per altro si vede a malapena dato che è quasi totalmente buio. E’ curioso però pensare che il più famoso monumento indiano non sia un tempio e per di più sia anche un monumento islamico, visto che è stato costruito da un imperatore musulmano come atto d’amore per la sua donna.
16 Ottobre 2016: Agra – Jhansi – Orchha – Khajuraho
Oggi proveremo l’emozione di prendere un treno indiano che in un paio di ore ci porterà da Agra a Jhansi. Da lì proseguiremo in pulmino per Orchha e infine per Khajuraho, città natale della nostra guida. Appena arrivati alla stazione i nostri bagagli vengono presi in consegna da alcuni facchini che se ne mettono sulla testa due o tre e portano gli altri con le mani senza sfruttare le rotelle dei trolley che tutti abbiamo. Il motivo si capisce lungo la strada e nella stazione. Sono molto pochi i tratti lisci e pianeggianti e quindi si farebbe più fatica a trascinarli, sollevarli, portarli e rimetterli di nuovo giù. Alla stazione c’è un sacco di gente che attraversa i binari per spostarsi, in alcuni casi perfino passando sotto i vagoni fermi sui binari. Ma la cosa più incredibile è che il treno arriva e poi riparte con circa 15 minuti di anticipo sull’orario! Rama ci dice che lì è normale. L’orario è indicativo e quindi è sempre meglio andare alla stazione con largo anticipo. Ce lo dice sempre con la sua solita risata che significa: Non è incredibile l’India? Il treno è più o meno come un nostro Intercity ma con la differenza che in due ore sono passati diverse volte gli inservienti a pulire per terra. Peccato che avessero dimenticato di pulire i bagni…
Sul nostro vagone sale uno che la nostra guida ci dice essere un politico locale, circondato dai suoi sostenitori. Poi ad ogni stazione in cui si ferma il treno sale qualche suo fan che gli mette al collo ghirlande di fiori. Mi viene da pensare che da noi la stima dei politici è talmente bassa che preferirebbero viaggiare mascherati per non farsi riconoscere. Altro che ghirlande di fiori!
Accanto a me e Marilena è seduto un giovanotto che passa tutto il tempo a togliersi la forfora dai capelli e ad ascoltare la musica (indiana) del suo telefonino a volume altissimo. Tutto il mondo è paese.
Arriviamo quindi a Jahnsi dove ci attende il nostro autista con il pulmino per portarci ad Orchha dove visitiamo un castello costruito nel XVII secolo con un mirabile equilibrio tra stile induista e stile islamico. E’ sicuramente da non perdere. E anche da non perdere è il ristorante dell’Orchha Resort, soprattutto se ne avete abbastanza di cibi piccanti e speziati. Qui abbiamo mangiato una pasta al forno e una parmigiana di melanzane che non avevano niente da invidiare a quelle dei ristoranti italiani. Quando sono all’estero evito per principio i ristoranti italiani ma in questo caso mi sento di consigliare questo posto che, pur essendo pienamente indiano, ha degli ottimi piatti italiani. Tra l’altro il resort è molto bello e quindi ci si può tranquillamente fermare anche a dormire.
Ad Orchha visitiamo il forte che contiene tre palazzi (Raj Mahal, Rai Parveen Mahal, Jahangir Mahal) dedicati alle tre mogli del Maharaja che erano di religione diversa (induista, cristiana e musulmana) e che quindi sono costruiti nei tre stili tipici delle tre religioni.
Abbiamo inoltre visitato il tempio Ram Raja e un cenotafio un po’ lugubre con avvoltoi appollaiati su cornicioni e pinnacoli.
Arriviamo finalmente a Khajuraho, paese natale della nostra guida, che prima di cenare ci porta in tuk tuk al suo negozio di stoffe dove ci fa una bellissima sorpresa. Nelle varie conversazioni lungo il viaggio era uscito fuori, non so come, che il 16 ottobre era l’anniversario di nozze mio e di Luciana. La nostra guida ci fa quindi trovare nel suo negozio una torta con le candeline e dopo averci vestito da indiani (io col turbante e vestito bianco e Luciana con il sari) improvvisa una brevissima cerimonia di nozze indiana. Davvero originale festeggiare l’anniversario di nozze in quel modo ! E un grazie speciale alla nostra guida che ha avuto questa idea così gentile. Poi ovviamente, insieme ai suoi parenti, tira fuori tutto il campionario del negozio per venderci stoffe, pashmine, cuscini, copertei, ecc. ecc.
17 Ottobre 2016: Khajuraho – Varanasi
La mattina è dedicata alla visita dei famosi templi di Khajurhao. Famosi perchè nelle migliaia di bassorilievi e altorilievi con cui sono adornati sono riportate quasi tutte le posizioni del Kamasutra. In realtà sui templi sono scolpite scene di vita quotidiana e le scene di sesso costituiscono solo il 20% di tutte le sculture, ma tanto basta per farli diventare meta di visitatori di tutto il mondo e suscitare ovviamente la curiosità dei turisti che si chiedono: ma questa l’ho fatta? E questa riesco a farla ? Sì, perchè la caratteristica comune di queste figure è l’estrema difficoltà delle posizioni che spesso richiedono abilità contorsionistiche non indifferenti. La guida ci porta poi a vederne una che viene chiamata Mission impossible! E in effetti già solo capire a chi appartengono braccia corpi e gambe è un’impresa non da poco… Comunque, forse perchè così massicciamente visitati, i templi sono molto ben conservati e anche tutto il parco intorno ha uno standard di cura e di pulizia superiore a tutti gli altri visti finora.
Dato che stiamo quasi alla fine del viaggio e la cucina indiana comincia a diventare pesante, la guida a pranzo ci porta a mangiare una pizza in un ristorante italiano di Khajurhao, dopo aver vinto le nostre motivate ritrosie. E anche in questo caso devo dire che la pizza era di ottimo livello.
Nel pomeriggio andiamo all’aeroporto per prendere il volo che in un paio di ore ci porta a Varanasi, dove un altro pulmino ci conduce in albergo attraversando il solito caos tipico delle città indiane.
Cena in hotel e a letto presto. Domattina sveglia alle 4,30 per vedere l’alba sul Gange.
18 Ottobre 2016: Varanasi
Varanasi non è un località. E’ un’esperienza, è un’insieme di emozioni e sensazioni fortissime. Non potete dire di essere stati in India se non siete stati a Varanasi (la vecchia Benares), città sacra per tutti gli induisti. Analogamente ai musulmani, ogni induista deve andare a bagnarsi nel Gange di Varanasi almeno una volta nella vita. Qui si intrecciano religione, credenze popolari, turismo, commercio, spiritualismo e materialismo della peggior specie. il tutto condito da profumi, colori, rumori e sapori che lasciano senza fiato.
Arriviamo alla strada che scende verso il fiume che è ancora buio ma la via pullula già di migliaia di persone e di venditori che per terra espongono la loro merce, molta per i pellegrini induisti (tipo ghirlande di fiori e taniche per riportarsi a casa l’acqua del Gange) e molta altra per i turisti, oltre ovviamente ai soliti banchetti di cibo di tutti i tipi e ai barbieri di strada che qui sono molto diffusi. Per terra c’è gente che dorme ancora, forse stanca per il viaggio o forse perchè semplicemente quello è il proprio “letto”. Ormai non ci facciamo più caso, ci sembra quasi normale che si possa vivere e dormire per strada.
Scendiamo sulla riva del fiume attraverso una lunga e larga scalinata (Ghat) e aspettiamo la nostra barca in quanto l’alba la vedremo dal fiume. Ma soprattutto vedremo dal fiume i caratteristici palazzi della città e tutta la vita che si svolge sulla sua riva, comprese le cataste di legno su cui si bruciano ininterrottamente le salme che vengono portate là per la cremazione. Arriva finalmente la barca con un ragazzo che sta ai remi e fa una fatica bestiale perchè le barche sono pesantissime, di legno, lunghe 6-7 metri e dotate solo di lunghissimi remi anche essi di legno. Se poi si considera che deve anche risalire la corrente (anche se lì il fiume è molto largo e lento) mi meraviglio di come faccia a spostarla anche solo di pochi centimetri. Il ragazzo non sembra neanche molto muscoloso eppure con la pazienza e l’insistenza riesce alla fine a manovrare in mezzo ad altre decine di barche piene di turisti e a portarci qualche metro al largo, apparentemente senza alcuno sforzo. L’aria è calma e tiepida e dall’altra sponda del fiume sta cominciando a sorgere il sole. Sulla riva ci sono migliaia di persone che fanno il bagno, che pregano, che meditano, che vendono, che comprano o che semplicemente stanno lì seduti a guardare l’alba. Dietro ci sono i palazzi di colore rosato che cominciano a illuminarsi col sole. Finora la luce era quella dei lampioni che illuminavano quasi a giorno tutta la zona. Qua e là sulla sponda ci sono cataste già usate, spente e fumanti o avvolte dalle fiamme in piena attività. Accanto a loro per terra ci sono le salme avvolte da teli bianchi e pronte per essere bruciate. Questo è l’unico posto dell’India in cui si cremano le salme a ciclo continuo, notte e giorno. A pochi metri di distanza la gente fa il bagno, lancia fiori nell’acqua, lava i vestiti, mangia, chiacchiera. La vita e la morte si intrecciano senza alcun problema. Se si vuole avere un’idea del rapporto degli indiani con la morte quello è il posto più adatto. E poi su tutto canti, vociare della gente, musica e suoni di tutti i tipi. Su una banchina c’è un ragazzo vestito bianco con barba nera e turbante che, seduto nella posizione del loto, sta meditando ormai da molti minuti. La nostra guida ci dice che lo conosce e che è un italiano proveniente da Milano che da anni si è stabilito lì. Accanto a lui santoni veri e santoni finti acchiappaturisti, questuanti , venditori di souvenir, gruppi di pellegrini e poi dovunque turisti occidentali che si aggirano storditi. Uno spettacolo grandioso che ti afferra e non ti lascia più.
Il sole sta salendo ma c’è ancora la bruma mattutina che dà a tutta la scena un’atmosfera quasi di sospensione del tempo. E non sono ancora le 7! La barca ci riporta quindi a terra e, per tornare al pulmino, passiamo lungo le stradine interne della città vecchia, una vera corte dei miracoli. Lì c’è anche il Golden Temple, una piccola moschea musulmana proprio nel cuore della città sacra induista. Anche questo serve a capire la mentalità indiana. A causa dei recenti attentati il tempio è controllato da guardie armate e c’è una lunga fila per entrare. Decidiamo che è sufficiente guardarlo da fuori e torniamo al nostro pulmino per andare in albergo a fare colazione.
Usciamo di nuovo che è ancora mattina per andare a visitare un tempio Buddista del 1931 che sorge a Sarnath nel luogo dove Buddha tenne il suo primo sermone. Di fuori c’è un albero della stessa specie dell’albero che stava lì 2500 anni fa. Anche questo posto è meta di pellegrini, stavolta buddisti, provenienti da tutto il mondo. E infatti mentre stiamo lì arriva una frotta di monaci dello Sri Lanka vestiti con il tipico saio buddista. Colpisce subito, diversamente dai coinvolgenti riti induisti, la semplicità dei gesti e la sobrietà dei comportamenti che non fanno altro che rispecchiare la differenza del Buddismo rispetto all’Induismo. Abbastanza vicino ci sono i resti di un grande tempio buddista di cui però rimangono solo le basi della costruzione che doveva essere molto grandiosa. I templi sono stati distrutti anche perchè erano ricoperti di lamine d’oro e si può quindi immaginare che attrazione dovevano essere per predoni di ogni tipo e di ogni epoca. Visitiamo poi un museo che sorge lì vicino, dove per fortuna hanno trovato rifugio molte delle statue che erano originariamente nei vari templi induisti e buddisti della zona.
Andiamo quindi a mangiare ed essendo esausti anche a causa del caldo e della levataccia decidiamo di tornare in albergo per riposarci un paio di ore in quanto la giornata che ci attende è ancora lunga. Ritornando in hotel mi accorgo che stanno ristrutturando una parete laterale e che le impalcature sono fatte da canne di bambù intrecciate e fissate con corde di canapa… alla faccia della sicurezza sul lavoro!
Per il pomeriggio la guida ci ha organizzato una gita in risciò con meta (di nuovo) la riva del Gange. Ma stavolta andremo a vedere una cerimonia induista che si svolge tutti i giorni dopo il tramonto e che viene officiata da ben 7 sacerdoti bramini. Il percorso in risciò in mezzo al traffico, alla gente, al chiasso assordante è un’avventura che mette i brividi. Tra l’altro il nostro guidatore è talmente basso che pedala in piedi lasciando il pedale ogni volta che arriva al punto più basso e riprendendolo poi al volo nella sua risalita. Una fatica bestiale!
Arrivati sulla sponda riprendiamo un barca per vedere la cerimonia dal Gange. Ormai è buio e nella zona illuminata della banchina ci sono i 7 bramini che eseguono i loro riti con candele, incensi, musiche e canti. C’è una calca enorme e molte altre barche piene di turisti. Diciamo che in queste condizioni non ci può essere nessuna partecipazione spirituale ma solo curiosità culturale per una cerimonia religiosa che ha, nonostante tutto, una sua forte attrattiva. Accendiamo, come tutti, i nostri lumini galleggianti e li affidiamo alla corrente del fiume sacro. Chissà adesso dove stanno…
Il ritorno in risciò è, se possibile, ancora più avventuroso dell’andata in quanto il traffico e la gente nel frattempo sono molto aumentati. Però, anche grazie all’abilità del conducente, riusciamo a tornare in albergo sani e salvi e, dopo aver cenato, ci buttiamo a letto stremati.
19 Ottobre 2016: Varanasi – Delhi
Il programma di oggi prevede ancora mezza giornata a Varanasi e poi nel pomeriggio l’aereo per Delhi da dove nella notte partiremo di nuovo per Abu Dhabi e da lì, dopo un breve scalo, finalmente per Roma.
Lasciato l’hotel facciamo un giro in pulmino nell’università di Varanasi che, con 20000 studenti pare che sia la più grande dell’Asia. E’ ovviamente organizzata come un campus di stile anglosassone, con molto verde ed edifici in stile moderno. Sembra un altro mondo rispetto a quanto abbiamo visto ieri, però nel suo interno c’è un tempio induista meta di molti visitatori che vanno a venerare una scultura raffigurante il linga di Shiva. Ritorniamo quindi in città per visitare il tempio delle scimmie, detto così perchè pieno di scimmie che vi girano indisturbate. Marina, che decisamente non ama gli animali, decide di rimanere in macchina per paura che qualche scimmia gli salti addosso. In realtà appena arrivati lì vediamo che le scimmie si mantengono a debita distanza e più che frequentare il tempio frequentano le piante e le mura vicine in attesa che qualcuno getti un po’ di cibo. Mi ha fatto un certo effetto vedere su un muro la pubblicità di corsi sui linguaggi informatici di ultima generazione coperto da cavi elettrici penzolanti e scimmie che li usano come liane !
Siamo ormai arrivati alla fine del nostro viaggio. Dopo pranzo prendiamo l’aereo che ci riporta a Delhi e quindi all’albergo che ci ha ospitati all’inizio nel nostro tour. La guida si congeda e c’è il solito scambio di numeri di cellulari, email, ecc. L’India però ci riserva la sua ultima sorpresa. Nel roof garden dell’hotel c’è un ristorante e una discoteca e con nostra grande sorpresa vediamo entrare donne elegantissime, truccatissime ma soprattutto vestite completamente all’occidentale, come non ne avevamo mai viste finora. Se si pensa che uscendo dall’hotel e allontanandosi di pochi metri si ritrovano il caos, le bancarelle e la gente che dorme per strada viene proprio spontaneo dire: Incredibile India!