In viaggio con i grecisti: 1a parte la costa turca
In viaggio prima nota positiva: la compagnia aerea ci fornisce un discreto pranzo, e al ritorno una discreta colazione, al contrario di quanto accade nella tratta Cagliari-Milano-Cagliari, che noi due siamo costretti a fare (anche l’acqua è a pagamento…Tristezza…).
All’arrivo ad Atene ci accoglie un cielo scuro di incendi e un gran fuoco sulle montagne circostanti: è l’estate degli incendi, con circa 63 morti…Per tutto il viaggio i TG non parlavano d’altro. Fortunatamente noi siamo stati ben lontano da quelle zone, ma, insomma..
All’aeroporto piacevole sorpresa: troviamo Penelope (e come poteva chiamarsi, se no?), la guida greca dell’anno precedente che in teoria avrebbe dovuto tenerci compagnia solo nella seconda parte, quella sull’isola di Lesbo, ma che non avendo mai visto la Turchia decide di fare qualche giorno con noi come semplice compagna di viaggio (fortunatamente ci dà una grossa mano per tutto il viaggio, facendoci in alcuni casi un po’ da “mamma”).
Il viaggio in nave dal Pireo a Mitilene, la capitale dell’Isola, si svolge piacevolmente di notte, cabine confortevoli e mazzi di carte gratis (che immediatamente fanno la gioia di parecchi partecipanti, che si lanciano in tornei di Macchiavelli e Burraco), nonchè cappellini blu sponsorizzati, che nella loro semplicità ci salveranno da probabili insolazioni durante le visite ai siti.
Arriviamo a Mitilene la mattina molto presto, e qui cominciano i ritardi: l’ufficio della dogana apre verso le 8.30 (dogana? ah si, è vero, non siamo più abituati…La Turchia è ancora ben lontana dalla comunità europea, anche se non vede l’ora di entrarci). Dopo una lunga fila ci imbarchiamo su un piccolo traghetto turco, che in realtà forse è un peschereccio, dato che la poppa è completamente ricoperta di casse di pesce, lasciate clamorosamente al sole per tutta l’ora e mezza di traversata. L’acquetta che perdono ha un olezzo che cerchiamo di evitare salendo sul ponte, più in alto.
Già, i tempi: impareremo ben presto che tempi e distanze, soprattutto in Turchia, sono soltanto indicativi…E tutti moolto allungabili…
Da segnalare le tendine di pizzo plastificato alle finestre, dei vecchi poltrone e divani, e il capitano, un omaccione in canottiera che guida su uno strano trabiccolo.
Arrivo ad Ayvalyk e altra dogana: incontriamo la guida turca (Mete, ribattezzato subito Matteo) che da buon trafficone, come scopriremo ben presto essere, ci invita a consegnare tutti i documenti a lui, in modo da farceli trovare comodamente in hotel la sera, per evitare una lunga coda…Noi rifiutiamo in coro (non si sa mai), e capeggiati dalla mitica Penny attendiamo come gli altri, e alla fine riusciamo a salire sul pullman con carte di identità e passaporti, accompagnati da una sorta di permesso di soggiorno preziosissimo, da esibire in ogni caso di necessità: senza quello non si torna…
L’autobus ha al massimo 30 posti, e con 27 persone si sta un po’ strettini, soprattutto se i partecipanti devono farsi 3 ore (dalle 11 alle 14) per arrivare a vistare le rovine di Troia. Mete ci terrorizza dicendoci che non ci fermeremo per mangiare, anche se poi, quando ormai temiamo il peggio, il bus si ferma in una curva dove troviamo da bere (rigorosamente in bottiglia), frutta e anche i bagni…I bagni più kitch e multicolori che abbiamo mai visto: oltre la turca i muri sono tappezzati di adesivi, bamboline danzanti e sonore, fiori, disegni etc…Discretamente, vengono assaliti e fotografati. Arriviamo a Troia un po’ provati, e visitiamo le rovine con il sole ben a picco sulle nostre teste: scattano i cappellini della nave! Purtroppo c’è ben poco da vedere, e la nostra guida fuma e si riposa all’ombra molto spesso, non sembra particolarmente propenso ad approfondire. Il problema (per lui e per noi) è che il nostro gruppo è fin troppo competente, e si aspetta qualcosa di più di 4 frasi ripetute. Tiriamo fuori le guide e di nascosto chiediamo a Penny, che ci dice di straforo alcune cose in aggiunta. L’atmosfera è bella, malgrado tutto, i ricordi del liceo ci fanno compagnia e Claudia ci allieta con la prima lezione, davanti ad un Mete tra il perplesso e il seccato. Foto di rito alla ricostruzione del cavallo di Troia (credo utilizzato per non so più quale film).
Per tornare ad Ayvalik occorrono altre tre ore, siamo stanchi morti e saltiamo la prevista visita di Assos. Arriviamo comunque a destinazione all’ora di cena, e scopriamo che l’albergo non era quello previsto, ma un’altro. Troppo stanchi per discutere, accettiamo sperando non accada più (ma anche nel secondo sarà lo stesso, purtroppo).
Siamo in una sorta di Rimini anni ’50, probabilmente: solo alberghetti, pensioni, ristoranti, passeggiate sul lungomare e migliaia di persone che cercando un po’ di divertimento e di frescura. Ci stupiscono: ragazze completamente coperte dal velo abbracciate ad altre molto occidentali, in canottierina e shorts, baracchini di lucenti cozze crude (quanti di noi sopravviverebbero ad una mangiata? Non ci sentiamo di sperimentarlo), una banca mobile su un van, protetta da militari, un gelato gommoso che va per la maggiore ma che secondo noi sa di poco. Stremati dagli ultimi passi notturni andiamo a nanna, in attesa della sveglia delle 7 (ah…La bellezza dei viaggio di gruppo…Ufff!).
Il secondo giorno in Turchia lo facciamo su un bus grande il doppio: finalmente si sta comodi! Visitiamo le rovine dell’antica Pergamo, poi quelle del tempio di Asclepio: entrambi bellissimi, meritano senz’altro una visita. Mete e è sempre più svogliato: lo molliamo e andiamo in giro da soli, tanto è uguale. Seconda lezione, questa volta di Vittorio (75 anni, ex docente universitario), all’ombra di un pino clamoroso, davanti agli occhi una mezza colonna con il simbolo della medicina, per la gioia di molti partecipanti (chi non è “grecista”, nella maggior parte è medico: sarà un caso?). Appendo un piccolo fazzoletto bianco ad un albero, formulando un silenzioso desiderio, come da tradizione del luogo: speriamo bene! Il piccolo paesino della moderna Pergamo ci accoglie come uno spaccato della Turchia del passato: molti uomini nei caffè, tante donne coperte e velate, strade dissestate, ma anche gentilezza dei venditori di tè e banche moderne, ottimi involtini salati e mosche…Troppo tardi scopriamo che ci sarebbe piaciuto alloggiare lì, soprattutto dopo aver dovuto, invece, farlo a Smirne.
Sulla via per Izmir Mete ci porta in un luogo dove vendono tappeti: è chiaro che avrà una percentuale sugli acquisti, ma i tappeti sono belli, più d’una signora cede al fascino e, dopo lunghe contrattazioni (qui è la regola, un po’ per tutto) risale sul bus con il suo acquisto.
La modernissima Izmir, terza città turca dopo Istanbul e Ankara, la capitale, è uno schiaffo che ci arriva da lontano: tutte le colline intorno sono ricoperte di palazzi e grattacieli, attaccati gli uni agli altri e colorati, ma ad ogni modo orrendi. Pare che fino a 10 anni fa lì fosse tutta campagna (come si sul dire…). Stentiamo a credere cosa siano riusciti a combinare per rendere questa città così invivibile. Molto ricca e moderna: così ci racconta e mostra Mete: a noi pare solo soffocante, sporca e affollata, e in straordinaria espansione. Chissà cosa diventerà fra altri 10 anni. Nota positiva, comune anche alla Grecia: quasi ogni casa ha i pannelli solari; non sono belli da vedersi, ma almeno in parte si limitano gli sprechi.
Arriviamo in albergo a tarda serata: è un business hotel (diverso da quello del programma) con ristorante su terrazza panoramica dietro la fiera. Dato che partiamo l’indomani mattina sul presto (ancora!) un piccolo gruppo di noi decide di fare almeno una passeggiata notturna verso la piazza centrale, dove, durante il giro panoramico in bus, abbiamo visto la famosa torre dell’orologio. Camminiamo su arterie trafficate, molto calde e sporche, fino a che non arriviamo sul lungomare e ci godiamo, almeno per un po’, la torre e la moschea prospiciente. Un parte di noi torna a piedi, in 5 ci fermiamo a prendere birre e tè e torniamo in taxi (8 lire turche, che diventano magicamente 10 a fine corsa, che corrispondono a circa 5 euro in 4).
La mattina dopo siamo ben lieti di lasciare Smirne e partiamo alla volta di Efeso. Efeso è bellissima, il sito è molto ricco e, purtroppo, uno dei luoghi più visitati della Turchia, soprattutto dai gruppi portati dalle navi da crociera: tra caldo e migliaia di persone non riusciamo a goderne come vorremmo. Ci riproponiamo di tornarci che so, magari a gennaio…Nota di colore: un cartello davanti ai bagni, che illustra, con un bimbo sul vasino e la seguente scritta, il luogo: “only 50 cent in enough to feel the magic atmosphere”. La fisiologia assume contorni mitici…
Tra i turisti italiani delle crociere fotografiamo di nascosto una signora che è riuscita ad abbinare perfettamente costume, copricostume, cappellino e zatteroni. Con i suoi gioielli e il suo trucco, attira inesorabilmente alcuni sorrisi.
Facciamo un po’ di competere nei mille piccoli bazar subito fuori dal sito, senza sapere, se non troppo tardi, che c’era la possibilità di visitare il museo del luogo. Mete e la sua poca voglia di lavorare hanno colpito ancora! Pranziamo velocemente in un self service e poi arriviamo di nuovo ad Ayvalyk. Mete non vede l’ora di lasciarci, e il sentimento è reciproco. Ignoriamo i suoi inviti a lasciare davanti ad una agenzia di viaggi (chiusa) i bagagli per andare a fare le ultime compere e, passata stavolta velocemente la dogana, ci ri-imbarchiamo sul solito peschereccio (niente cassette di pesce, stavolta!) per tornare in Grecia, a Mitilene, dove inizierà la seconda parte del nostro viaggio.