In un’isola che incanta e strega…

Un'avventura di quattro mila chilometri a Cuba
Scritto da: zecchi
in un'isola che incanta e strega...
Partenza il: 29/05/2010
Ritorno il: 22/06/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Appunti cubani

29 Maggio – 8 del mattino, Milano

Un amico a cui sono da anni legato da un intima amicizia, si rende disponibile a portarci con il suo supertaxi all’aeroporto di Malpensa, destinazione caimano verde – Cuba.Un viaggio in cui s’intrecciano molteplicità di cose: aspettative, curiosità e sogni… con poche cose nello zaino e allontanarsi senza un solido programma.Altro viaggio, altro diario, per non dimenticare con il tempo, luoghi, incontri e piccole storie che poi sono queste che lo caratterizzano e lo colorano Milano è faticosa e leva energie fisiche e mentali.

Il pensiero e la costruzione del viaggio, rigenera, ricarica. E’ la disposizione d’animo che appartiene a chi riesce a lasciarsi a casa e quando ritorna sente di non essere più quello di prima; è cambiato.

Prima tappa Madrid, poi l’Avana.

Atterriamo a l’Avana nel pomeriggio tardi. Si apre Il portellone dell’aereo e immediatamente veniamo avviluppati da un calore soffocante. L’impatto con il suolo cubano è subito di spaesamento: pochi aerei in pista, atmosfera cupa. Ecco il check point. Tre quattro tavoli tipo scuole elementari; a fianco siedono agenti addetti al metal detector e intorno uomini della polizia cubana.Ogni passeggero consegna il proprio passaporto ad agenti che sono collocati in vecchi gabbiotti minuscoli e angusti. Subito dopo immortalati da un potente flash. Finalmente si è dall’altra parte. Cominciamo a calpestare il suolo della mitica Avana.

Le 20.30 ora cubana, è quasi buio, buio rafforzato dalla scarsa illuminazione delle strade. L’anziano tassista è gentile ma non sembra molto loquace. Viaggiamo con il capo attaccato ai finestrini, come due bambini curiosi, gli sguardi pronti a ghermire tutto quello che passa sotto i nostri sguardi. Sulle strade gigantografie che inneggiano a Fidel Castro e Che Guevara. Queste effigi negli anni settanta fecero sognare moltissimi giovani di tutto il mondo. Il mito raccontato dalla letteratura, dalle discografie, dal celeberrimo “diari del Che ” manifesti, spillette, immagini del medico argentino in bianco e nero a colori e di ogni dimensione.Salvador Alliende, Oquendo, la via dove sta Rosa. Un quartiere fatiscente, palazzi a pezzi, condomini scrostati e desolati. Strade ampie e vie laterali dissestate: ricorda molto i vecchi quartieri spagnoli di Napoli.A pian terreno un consultorio familiare. Saliamo su per le scale fino al terzo piano, un caseggiato sporco e angusto. Sui muri grovigli enormi di fili elettrici e labirinti di tubi, tutti esposti a vista. Ecco ci siamo. Suoniamo il campanello della porta, e davanti a noi, Rosa. Una donna dalla pelle nera, luminosa, due occhi vispi, allegra. Un appartamento di 3 stanze con un piccolo bagno essenziale ma pulito. Pareti casa colorate, ognuno delle quali ha un colore diverso, un vecchio televisore e due sedie a dondolo, Rosa ne fa spesso uso, sembra che dondolando voglia coccolarsi e dondolare nei suoi pensieri. Resistiamo al fuso orario. Per i nostri corpi sono le 5 del mattino e in realtà qui sono le 22.

L’attraversamento dell’Oceano, 13 ore di volo e l’emozione, si fanno sentire.

Poi, cadiamo in un sonno calmo e profondo.

30 Maggio – Avana

Impacciata è la conversazione con Rosa, poi via via si stempera, l’Avana ovviamente è al centro della nostra attenzione: poniamo subito la cartina sul tavolo, poi gettiamo uno sguardo d’ insieme sulla toponomastica della città, giusto per renderci conto di come orientarsi. Rosa è schiva, ma sa essere curiosa, accogliente e premurosa.Nel mentre conversiamo, va avanti e indietro dalla cucina, prepara un buona colazione cubana a base di: papaia, banane e ananasso, poi porta un piatto di patate lesse, verdure grigliate e infine un caffè dal gusto strano.

Di buon mattino, a piedi e armati di cartina e macchina fotografica, saggiamo le vie dell’Avana. Quaranta minuti dopo raggiungiamo la città vecchia.L’Avana è divisa in tre zone: il Vedado, la parte nuova, il centro, con il più alto numero di abitanti, e la parte vecchia, la più famosa, la più fotografata, la più spirituale. E’ domenica. Traffico praticamente inesistente, le poche macchine che transitano sono taxi! Macchinoni con lunghi musi a “bocca” di squalo e “occhi” spalancati, usate dai ricchi americani negli anni 50 e 60 e dai clan mafiosi, prima della rivoluzione. Esemplari di notevole possenza, di molteplici colori e soprattutto simbolo di uno spaccato del tempo.Il fascino dei palazzi lungo le vie e le piazze sono straordinarie, adornati di elementi decorativi dallo stile barocco, catturano l’ attenzione del viandante. In epoca recente, l’intervento dei fabbri, forse per motivi di sicurezza, li hanno resi ancor più bizzarri aggiungendo grate e cancelli. Le facciate dei palazzi sono in rovina, le dimore fatiscenti, diroccate, sventrate, un tempo di proprietà delle ricche famiglie cubane e dei militari, oggi abitate in prevalenza da gente molto povera Le ragioni di tale degrado sono prevalentemente economiche.Dal quartiere cinese, si giunge al Campidoglio, situato di là dalla città Vieia:

Si entra alla struttura dalla parte centrale attraverso una lunga scalinata. A ovest la struttura è semi circolare in stile neoclassico, mentre la parte che segue e quella centrale, sono caratterizzate da un colonnato in stile dorico. La cupola si posa sopra un possente basamento di cemento rettangolare sopra il quale si regge un ampio colonnato con deambulatorio: all’estremità vi è un altro piccolo colonnato.Vox populi: sembra che gli americani abbiano preso spunto da questa architettura trionfale per realizzare la Casa Bianca, a Washington. A pochi passi da lì il Museo della Rivoluzione. Un palazzo a due piani ben tenuto e armonioso, stile neo classico, in alcune parti mostra evidenti segni di decadenza, un tempo tempio del regime militare di Batista.

Museo ricco e articolato dal punto di vista storiografico e documentale Di gran rilievo e meticolosità è la collezione di armi usati dai rivoluzionari per fronteggiare il dittatore; luoghi e posti da dove iniziarono i primi tentativi di assalto al potere militare, cose, oggetti e indumenti delle persone, innumerevoli foto in bianco e nero che ritraggono i leader rivoluzionari, da Castro a Guevara, a Cienfuego in campo di battaglia o semplicemente in momenti di vita comune. Il museo simboleggia la storia cruenta cubana, il nuovo corso dell’epoca e il riscatto della gente cubana da una dittatura terribile che portò alla fame, all’oppressione e a condizioni umane inenarrabili, centinaia di miglia di persone.

Quando gli uomini, ovunque, riconquistano dignità umana, giustizia sociale, uguaglianza e diritti, l’umanità intera non può che esserne felice.Con il passare delle ore, il caldo umido è sempre più fastidioso.Dalle finestre di un palazzo marcato dalla decadenza escono suoni e melodie di danze classicheggianti. E’ il palazzo dell’Accademia di danza classica per adolescenti. La frequentazione dei corsi di danza è gratuita. I piedi non seguono più i comandi della testa, abbandoniamo la cartina, e sbuchiamo nella via Bispo. Qui cambia completamente lo scenario circostante: palazzi la cui maestosità ed eleganza, nonostante i segni dell’abbandono, sorreggono la tetraggine dell’atmosfera. Le facciate sono splendide, i balconi eleganti, gli archi a tutto sesto retti da colonne che ospitano influenze doriche e corinzie. Strade pavimentate in pietra, piccoli negozi di artigiani, ristoranti con chiostri alberati e librerie., In questi luoghi l’UNESCO ha investito, con l’aiuto del governo cubano e di privati, 160 milioni di dollari per la ristrutturazione di facciate e di palazzi, nonché per progetti di salute e riabilitazione per bambini con problemi neurologici

Si apre davanti a noi la Plaza Vieia; una grande piazza rettangolare luminosa e affascinate, e poi art nouveau e vetrate policrome. Graziosi bar e ristoranti a corollario di tutto, piccole band di musica caraibica: danzon, son, salsa e merengue. Gli incontri nelle strade ci allargano il cuore per la serenità della convivenza delle diverse etnie, neri in maggioranza mulatti, bianchi nonché una piccolissima comunità di cinesi. Una convivenza che sembra non suscitare conflitti.

Stanchi e affamati andiamo all’ arrembaggio di un piatto cubano: riso e fagioli ( moros e cristianos) aragosta, verdure, gamberi, pesce, ecc. .

31 Maggio – Avana

Al mattino presto, c’incamminiamo tra le vie interne della città Vieia che da qualunque parte si attraversano, portano sul lungo mare – il Malecòn, il cui primo impatto è ragguardevole. Così come il decadimento delle viuzze e delle case, paradossalmente, rivelano stupore e fascino. Non esistono cartelloni o spot. Le strade principali del centro e quelle pedonale sono curate. Nella città Vieia saltimbanchi con tamburi e bombardino, trampolieri e ballerini, fanno un baccano del diavolo. Vaghiamo in quel labirinto, poi ecco trovarsi all’agenzia rental car. Qui noleggiamo una macchina per le nostre tasche.

La luce nella città Vieia è fioca. Strade segnate dall’incuria e palazzi in rovina destano segni di angoscia. Accanto ad un ristorante un ballerino solitario, sembra stordito, non si capisce se dal rum o da cosa. Si abbevera di ritmi musicali, ovvero di salsa che arriva dal locale di fronte, balla per se stesso e con se stesso, i suoi occhi hanno un’espressione tribolata. Più in là, seduta su una panchina, una giovane mulatta eaccattivante, lancia segni d’ammiccamenti e pare voglia di essere cercata e coccolata..

Città metamorfica, dinamica e spirituale.

1 Giugno – Avana

Al mattino, stress telefonate canoniche a Giovanni e Angela. Non è così facile mettersi in comunicazione con l’Italia. Poi, con l’aiuto di Rosa, Andrea riesce a comunicare con il fratello e la sorella.

Il coche blu elettrico è sotto casa di Rosa, tutto è pronto per lo start up. L’emozione viene fuori, bussa sempre più al passar dei minuti.

Una nuova avventura ha inizio.

Sono le 13.30. Attraversiamo L’Avana per Vignales, parte occidentale dell’isola.Lentamente percorriamo in macchina Il Malecòn affollato di catapecchie e case dai colori vivaci che vanno dal giallo intenso al celeste al verde sgargiante, abbelliscono i diversi elementi e stili architettonici: dal moresco spagnolo al neoclassico, dal francese al barocco decorativo. Nuove imponenti costruzioni adibite ad appartamenti dalle forme architettoniche strane e bizzarre, hanno l’aria di essere delle sentinelle. Oltrepassato il Malecòn il paesaggio improvvisamente si veste di un altro colore: dal grigiore dei casermoni al verde intenso e curato. Ai lati, piccole casette e villette in stile coloniale. Alberi secolari dai tronchi giganteschi adombrano le strade. Sembra essere nei quartieri bene della Greenwich Village di New York.

Ci dirigiamo verso l’autostrada, free naturalmente. Pur armati di un’ottima cartina stradale dell’isola, è comunque difficile orientarsi poiché i cartelli autostradali sono praticamente inesistenti.L’asfalto dell’autostrada è pressoché privo di linea bianca che delimita la mezz’aria del senso di marcia. Occorre guidare con gran prudenza stando il più a destra possibile del senso di marcia.Sul ciglio della strada molta gente in attesa di un passaggio. Una massa di persone d’ogni età: donne, uomini, bimbi, anziani.Per Andrea, l’autostop è un flash back, evocativo degli anni 70 in giro per l’Europa.

A Cuba, ogni mezzo mobile a partire dai camion, usati come mezzo di trasporto di persone e cose, taxi collettivi, gambe proprie, tori, mucche, carrette, carrozze, biciclette, muli e cavalli, sono da prendere in considerazione. L’autostop come mezzo per andar a lavorare, per andar a trovare un parente in ospedale, per fare una visita ad un’ amica, per andare a scuola o all’università. L’attesa è spesso lunga ed estenuante, anche di diverse ore. Il nostro coche da subito è a disposizione della gente. Proprio non ce la facciamo a far finta di niente e tirare avanti quando vediamo orde umane ad aspettare che qualcuno dia loro un passaggio. Queste scene fanno scattare in noi una sorta di “superiorità” imbarazzante, un discrimine fra chi “ha, noi” e chi non ha, loro. Non è opportunismo quello; è una necessità: I cubani sempre grati e rispettosi e perfino disposti a pagare un peso, pur di sdebitarsi. Possiamo dire senza alcuna retorica che, almeno per quello che abbiamo visto, l’animo di questo popolo è vivo e forte nonostante agognino un chimerico benessere economico.

Proseguiamo per Vignales.

La piccola strada s’immerge in un paesaggio verdissimo. La vegetazione è rigogliosa: palme, banani e grandi alberi con fiori incredibilmente rossi. Si scorgono casette piccole e colorate con porticato nonché sedie a dondolo di legno, molto presenti nelle case cubane, intorno buoi che arano i campi, le mucche, i maiali, i polli, i cavalli e falchi che si aggirano nel cielo. A ogni angolo di strada o piazza gigantografie e messaggi: “rivoluzione significa etica, ragione e solidarietà”– firmato Guevara, Fidel, Cienfuegos.Dopo alcune ore di macchina, sopra una piccola collina appare un cartello: Parco Nazionale di Vignales, considerato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.Vignales è dominata da alte e antiche montagne erose, sotto le quali a coltura, campi di tabacco, bananeti, palme nonché pascoli e cavalli. .Entrati in Vignales, ad un incrocio, con nostro stupore veniamo affiancati da una moto; è il figlio di Gloria, è lì per portarci a casa sua

Il paese è proprio piccolo, immerso nel verde, dalle casette basse di legno colorate e porticati, e poi montagne dalle rocce a picco e altopiani verdi in cima. Sembrano finte.L’ uomo si accosta davanti ad una casetta rosa, tutta rosa; è la nostra dimora. Accogliente e luminosa. L’impatto è rassenerante anche perché non sempre le case particluar ovunque suscitano appeal.Vignales è un paese silenzioso dove tutto scorre lento, soprattutto quando la lucentezza è al suo massimo fulgore e il caldo prosciuga ogni energia, tuttavia forte è la curiosità di andare nella valle del parco, che a prima vista richiama il Wadi Rum Giordano. Nei d’intorni la vegetazione fittissima e rigogliosissima.: palme,banani, distese di mais ibiscus e mariposa, fiore nazionale.

Mentre ammiriamo e godiamo il paesaggio su una sedia a dondolo, una zelante giovane ragazza, a sorpresa, si presenta con two very strong moijto, i cui effetti alcolici, non tardano ad arrivare. Più tardi poi un finale di serata strepitoso all’ insegna di una cena pantagruelica : patate fritte (palanche) sei grosse aragoste che dividiamo con i nostri commensali, una bella coppia di tedeschi, zuppa di fagioli deliziosa, eccezionalmente aromatica, riso giallo con verdure condito con cumino e altre spezie. E poi pomodori, cetrioli ( li chiamano pepini) sistemati ad arte, papaia, mango, ananasso e pompelmo)

2 Giugno – Vignales

Il panorama che si gode da casa di Lucy è spettacolare. L’ambiente circostante richiama la presenza di cavalli che naturalmente, non sfuggono all’olfatto di Cristina. Lucy lesta, capta qualcosa e subito si attiva e ci affida ai campesinos che organizzano un ‘escursioni intorno alle fitte terre del tabacco.A Cuba, le maglie della rete di solidarietà sono estese. Tutti si aiutano come possono perché profondo è il desiderio di avere più soldi e una vita più dignitosa. E‘ la natura dell’uomo che da sempre e ovunque sente il bisogno insopprimibile di avere, di possedere. Il lavoro dei campesinos nelle terre immense di tabacco è molto duro, non conoscono tregua, lavorano in condizioni ambientali, dove l’umidità e il sole mettono a dura prova il corpo che lo schiaccia, lo curva, lo sfiniscono.

Cristina è in sella, prende confidenza con il suo cavallo, lo fa trottare e non ha bisogno di essere guardata a vista, come Andrea, poiché Cristina quando meno te lo aspetti, da sola, galoppa a tutta birra. Senza nessun problema, e con grande maestria e cura, sprona la sua amata bestia. Due campesinos solerti sbucano all’improvviso armati di machete, sotto lo sguardo e il nostro stupore, uno di loro fa scrollare un albero da cui cade, prima un cocco, poi un altro. Li prende, li ripone su un pezzo di legno e con fendenti precisi li apre entrambi,. Bastano pochi minuti per preparare una bevanda deliziosa: acqua di cocco, rum, succo di pigna e zucchero di canna. Chi in piedi, chi, seduti sulla panca, inizia una sorte di “cerimoniale”: Mentre si consuma il rito della bevanda, un altro campesino arrotola foglie secche di tabacco naturali, prive di sostanze chimiche, fino alla sua magica realizzazione.

La produzione di tabacco è una delle attività economiche più rilevanti, dopo il turismo e le rimesse dei cubani in esilio in Florida. Essa è affidata in parte ai campesinos, i quali hanno tutto l’interesse a far si che gli standard produttivi siano più alti possibili, poiché il raccolto va al 90% nelle casse dello Stato che ridistribuisce i proventi in servizi, sanità e istruzione. Il restante 10% rimane ai contadini, percentuale ritenuta più che sufficiente per mirare ad avere condizioni di vita più adeguate. Nel pomeriggio gita a Puerto Esperanza. Verso il mare. Vignales è già alle spalle, sulla statale, orde di cubani a fare botella, nome bizzarro per indicare l’autostop. Sono tanti, non possiamo non fermarci. Per noi è anche un modo di entrare in contatto con le persone, conoscerle e farci conoscere. Ci fermiamo e sale a bordo una famiglia: marito, moglie, e figlie. La signora ringrazia tantissimo, si fa il segno della croce, alza gli occhi al cielo e affida a qualche divinità il “miracolo” avvenuto. Sono almeno quattro ore che aspettano in strada nella speranza che qualcuno dia loro un passaggio. Sono partiti al mattino presto da una città del centro dell’isola. Raggiungere una meta, spostarsi da una parte dell’isola a un’ altra, è sempre legato all’incertezza.

Le strade che portano a Puerto Esperanza sono sconnesse, buche ovunque. Ormai abbiamo capito che il livello di manutenzione del manto stradale non è una priorità degli amministratori locali e nazionali.

A un certo punto, il cielo diventa plumbeo, cala la luce e all’improvviso diventa buio. Si annuncia minaccioso, un potente temporale e di lì a poco si avverte lo scroscio della pioggia che incute paura . L’acqua si abbatte con una tale furia e potenza sembra, penetri la tettoia della macchina. I tergicristalli, anche a velocità massima, fanno fatica a spazzare via l’enorme quantità d’acqua. Il senso di minaccia della pioggia torrenziale non è la stessa per i cubani. Da lontano vediamo uscire da una stradina secondaria un folto gruppo di persone che s’immette sulla strada principale del paese. Tentano di ripararsi la in qualche modo, in pochi hanno l’ombrello. Uomini, donne e bambini sembrano non curarsi della furia dell’acqua che piomba loro addosso. Si dirigono verso il paese con un incedere lento, rassegnato. Il gruppo si stringe, diviene sempre più compatto, quasi a esorcizzare la pioggia. Una coppia si abbraccia teneramente, si scambiano effusioni, sorridono; alcuni ragazzi giocano e si rincorrono tra le pozze d’acqua. E’ davvero una scena surreale, poetica.Dopo mezz’ora, improvvisamente il cielo si dischiude e torna il sereno. E con il sereno, un grande e fluorescente arcobaleno. L’aria è fresca, limpida e trasparente. Le montagne con le rocce lisce contornate dalla fitta vegetazione, brillano.

L’indomani lasciamo Vignale

Gloria bussa alla porta della nostra stanza: buenos dias Cristina, buenos dias Andrea. Balziamo dal letto, apriamo la porta e Michelito, il bambino della giovane carina infermiera, timidamente si tuffa tra le nostre braccia. Ci guardiamo intensamente negli occhi.E’ bastato così poco tempo per creare legami così intensi!

3 Giugno – Trinidad

In direzione Pinar del Rio,

“Non c’è gusto a viaggiare senza un “sano” traffico, smog, gente che s’incazza, code ai caselli!”

Di tanto in tanto qualche vecchio camion, soliti cubani appollaiati ai margini in cerca di fortuna e passaggi, questa volta tocca a tre giovani signorine. Anche qui le regole non scritte della botella, premia i più intraprendenti, tuttavia non siamo mai testimoni di sgomitate o litigi per accaparrarsi un passaggio. Salgono delle ragazzine vivaci ma timide. Con loro non ci sarà molta conversazione, data anche la giovane età. Facciamo un lungo tratto di strada ma in silenzio. Poi, due di loro rompono gli indugi, senza eccessi naturalmente. Mostrano più intraprendenza, insistono nel dire di conoscere la direzione per Trinidad. Siamo nei pressi degli svincoli autostradali dell’Avana, Cristina accosta la macchina per una breve sosta, scende va a comprare dell’acqua. Andrea rimane in macchina con le giovani ciche; hanno diciassette anni, ma mostrano di possedere astuzia e avvedutezza. Fra loro c’ è un pigolio ambiguo, si strattonano per farsi coraggio, mormorano, lanciano messaggi verso Andrea. L’una dice all’altra, dai diglielo che vuoi… invitalo,,,.. Andrea fa fanti di non capire, è fortemente imbarazzato. Poi arriva Cristina e le ragazzine ritornano a giocare il ruolo di fanciulle innocenti…L’indicazione delle ragazzine per Trindad sono completamente sbagliate. Infatti, guardando la cartina siamo in direzione opposta alla nostra meta.Attimi di panico, poche macchine scorrono lungo lo singolo statale, indecifrabili la segnaletica, non riusciamo a capire dove siamo. Poi, a un tratto, da dietro un pilastro appostato come un’aquila, un giovane belloccio si avvicina a noi. Dimostra immediatamente di volerci aiutare. Intuisce le nostre difficoltà di orientamento e si rende disponibile ad accompagnarci all’ingresso autostradale dell’A1. Il primo pensiero è: una fortuna piovuta dal cielo. Accettiamo volentieri il suo aiuto. In cambio però chiede di essere accompagnato a scuola, che è nella stessa direzione. E’ persona piacevole, molto loquace. Si parla di molte cose, forse un po’ troppo. Buona la sua strategia d’intrattenimento. Passando da un tratto autostradale, fa cenno indicandoci la scuola dove dovrebbe scendere, poi si prosegue..

Da non molto lontano, a lato della statale, scorgiamo un taxi fermo. Il tassista non appena accostiamo, in tutta fretta si avvicina alla nostra macchina. Ma che caso! Il giovane con un fare trasecolato e con un tono di voce sostenuto dice di arrestare la macchina. Mentre sta per scendere, in maniera furbesca, a quel punto capiamo che siamo all’atto finale della trappola, chiede al tassista il costo della tariffa per riportarlo a scuola. Senza esitare un attimo il taxista va alla carica: “45 Cuc, come minimo!”. 45 Cuc ????!!!! Il giovane fa finta di non capire e subito si mette al “riparo”, ci guarda e dice: “ Io non ho soldi” dovete ricambiarmi il favore che vi ho “fatto” e tende la mano convinto che noi cediamo al ricatto. Ma non è così! Cristina si volta verso di lui, cerca di sorridere e ripete che è assurda la pretesa. I patti erano tutt’altro. Andrea carpisce che la parola patto lo inchioda e insite sul concetto. Tu, amico, stai venendo meno al tuo impegno e alla parola “data”; vuoi guadagnarti dei Cuc con l ‘inganno. Prima nega tutto, e poi li pretende perché gli “spettano” per pagarsi il taxi. Noi non allentiamo la presa. Il tassista gli dà man forte aggiungendo che la gasolina è aumentata per cui che il costo del taxi è giusto.

La situazione diventa pesante e preoccupante. Non c’è nessuno nelle vicinanze. Cristina agguerrita tira fuori gli artigli. Spara parole velenose e dopo l’ennesima insistenza dei due, gioca la carta del cellulare, minaccia di chiamare la polizia. Il ricorso alla polizia spaventa il giovane che si allontana, si scusa e scende dalla macchina. Anche il tassista si dilegua. Piede sull’acceleratore, marcia ingranata e via- Hurrà!!! Una risata li ha seppelliti, finalmente i due lestofanti li abbiamo liquidati.L’autostrada è immensamente vuota. Paesaggio piatto. Sosta a un bar per un gelato e scorta d’acqua, quella dei rubinetti è a rischio diarrea… Vicino al bancone del bar, due olandesi sono in difficoltà. Lei è stesa a terra, lui cerca di sventolarla, il caldo è opprimente. Gli proponiamo un Polase, il boy dice che non ce ne bisogno: il pallore della ragazza è dovuta a una sbronza del giorno prima.Dà lì a un istante si avvicina al nostro tavolo una famiglia d’italiani. Si siedono. Lui genovese, lei cubana, il figlio è nato a Genova. Sono a Cuba per vacanza ma anche per una visita ai genitori di lei. Al tavolo di fronte, altri italiani che però vivono in Belgio. Un signore con la moglie e le figlie, anche loro per la prima volta a Cuba. Le figlie entrambe laureate lanciano anatemi contro l’Italia. Da anni vivono all’estero, una a Madrid, l’altra a New York. Stanno entrambe costruendosi un futuro lontano dall’Italia. Purtroppo non sono le uniche che abbandonano il nostro paese. Beh, bel coraggio e determinazione.Hanno scelto di viaggiare insieme ai genitori per conoscere Cuba.Continuiamo il viaggio sotto un caldo terrificante, l’umidità è altissima.La guida è piacevole, scorre grazie anche alla musica cubana che tiene desta la nostra attenzione e vivacità. Non manca molto a Cienfuegos. E neanche a Trinidad. Solo pochi chilometri, al margine della strada un gringo e il suo figlioletto con aria rilassata, fanno cenno per un passaggio, anche lui va a Trinidad. Trinidad, cittadina che sparge charme folgorante, sembra un set di un film..

4 Giugno – Trinidad

Trinidad, città coloniale cubana, ha mantenuto interamente la sua antica magia: un museo a cielo aperto dove il tempo sembra si sia fermato

La coltivazione e la lavorazione della canna da zucchero, per un lunghissimo periodo, circa quattro secoli, richiamò dall’Africa schiavi provenienti dalla Guinea, Congo e Mozambico, costretti a lavorare in condizioni inumane. Città che conta una tradizione letteraria, testimonianze di antiche pitture e di musica contadina cubana in cui l’intreccio delle radici dei paesi africani è indissolubilmente legato.Trinidad ti “costringe” a un passo lento perché è così che vuole essere guardata ammirata. Vicoli dalla prospettiva meravigliosa, casette basse fatte di tegole e mattoni, tutte guarnite di grate e pitturate di molteplici colori: bianco, rosa, celeste, verde.La nostra posizione abitativa è nella parte alta e più povera, ma anche la più caratteristica, la più effervescente.

A Cuba c’è sempre qualcuno che sgomita per custodire la macchina, fonte di qualche Cuc. Naturalmente non sfuggiamo a questa tenaglia per le notti che stiamo a Trinidad, la famiglia dirimpettaia della casa particular si presta a curare il nostro coche.Le 9 del mattino, ci abbandoniamo tra le bancarelle di un mercatino in via di allestimento. Lì vicino c’è una scuola elementare. Molti sono i bambini tra i banchi. Appaiono distratti, annoiati, l’aula che dà sulla strada è protetta da una grata bianca. L’estetica non è una priorità. Abitudine? Rassegnazione? Però, la qualità della scuola, secondo quanto si dice, sembra ripagare ampiamente carenze strutturali. Chiediamo al bidello se è possibile parlare con la maestra. Va a chiedere. Noi attendiamo nell’atrio della scuola. L’attenzione nostra cade sulle pareti della scuola, dove capeggiano grandi effigi dei maestri della rivoluzione. Appaiono come “Angeli” messi lì a protezione dei bambini e del loro percorso formativo/scolastico. Beh, l’effetto è folgorante!!. Il bidello intanto, sentite le maestre ci accompagna in una delle aule. Stupore e l’incredulità sono in noi. I bambini, circa venti, sono in una stanza angusta, scrostata. I banchi di scuola vecchi e malandati. Dalla borsa Cristina tira fuori una busta chiusa che contiene penne, matite e gomme. La consegna alla maestra, mentre i bambini seduti ai loro posti, aspettano curiosi. Per niente bramosi, quasi in punta di piedi, uno per volta imbarazzati, ritirano l’oggetto desiderato.Boca, località marina non molto distante da Trinidad. Un simpatico posteggiatore ci accoglie calorosamente, però pretende 2 Cuc: uno per il coche e l’altro per stare all’ombra sotto un tetto di paglia. Curiosa e grottesca richiesta!! Boca chilometri di spiaggia bianca e completamente deserta, mare cristallino.

Ci rimettiamo in macchina dopo un pomeriggio mirabile di mare e di perfetto silenzio. All’ angolo di una strada scorgiamo una ragazza, è del tutto evidente che cerca un passaggio, però non lo chiede, tuttavia siamo noi stavolta che invitiamo la ragazza a salire in macchina, va in città. E’ una giovane educatrice impegnata a promuovere consapevolezza e solidarietà di genere. Tiene abitualmente conferenze che riguardano la condizione femminile, aspetti educativi e sessuali, rapporti con i partner e la famiglia.Nella piazza più nota e più bella di Trinidad, si esibiscono gruppi di musicisti cubani che suonano danze tradizionali.Ballerini mulatti e neri si alternano sul palco al suono di tamburi a pochi metri dalla piazza, altre inebrianti melodie di son, danzon e salsa arrivano alle nostre orecchie dalla Casa della Musica. Cristina, eccitata, subito è accalappiata da un bel giovane e ottimo ballerino! Nei locali i camerieri molto solerti, invitano le persone sedute a bere mojito. Serata notturna nelle belle stradine ancora vive, porte aperte e un via vai gente. Improvvisamente il diluvio. Saltiamo da un portico all’altro per ripararci dalla pioggia torrenziale, tuttavia è una piacevole sensazione, la pioggia sulla pelle.

5 Giugno – Trinidad

Camminata mattutina verso il centro. Su una panchina siedono quattro vecchietti intenti a fumare, trasandati nell’ aspetto, un po’ puzzoni, ma simpatici. Alcuni di loro non hanno i denti. Altri invece “esibiscono” grosse capsule d’orate, problema comune a molte persone.

Poi salto in posta ad acquistare la targhetta telefonica, giusto per non staccare la spina con l’altro capo del mondo: Mario, Angela, Giovanni, Marisa, Pino, Richy e altri.. Ecc.

In piazza tanta gente serafica che se la racconta, ragazze che leggono, studiano. Donne ma soprattutto uomini che hanno sul capo ampi cappelli per ripararsi dal sole e, come consueto, fumano lunghi e grossi sigari.

Il sigaro per gli anziani, specialmente, rappresenta qualcosa d’intimo, qualcosa che fa scorrere pensieri, un mix di beatitudine e di mestizia.

Un’immagine filosofica..

Il ritorno a casa è lento, la lentezza dà la possibilità di poter vedere bene la gente da vicino, starle a fianco. E’ così che a volte “capitano” incontri intensi.

Incrociamo di nuovo il custode della scuola elementare, dall’aspetto nobile e fiero, mostra ancora riconoscenza per le penne date ai bambini; si sofferma per qualche minuto spinto dalla nostra curiosità, poiché chiediamo di sapere al riguardo di scuola e sanità cubana. E’ consapevole che ci sono problemi legati ai salari, alla scarsità di cibo, alle abitazioni, tuttavia dinanzi, all’istruzione e alla formazione dei bambini e alla salute, il resto passa in secondo piano, almeno secondo la sua opinione. Poi rimarca il concetto secondo cui l’investimento economico e formativo dei bambini, rappresenta il futuro della società cubana. Quanti e quanto investono altri paesi al mondo per i bambini? Il tasso di mortalità infantile è del 5%, dati ufficiali, un indicatore che dà la misura di attenzione e di progresso civile che ha un paese verso i piccoli.

Cos’ come il trend di vita degli anziani è molto elevato.

I cubani, in generale, sottovalutavano questi dati anteponendoli alle miserrime condizioni di vita materiali.

Intanto Miguel, seduto sui gradini di casa sua, chissà da quanto tempo, qualcosa ci dice che aspetta noi. Un uomo di circa 40 anni, disoccupato; vive con moglie figlio e la mamma. Ha un fare dimesso, rassegnato alla sua condizione di povertà, ma non lo fa pesare, e la maniera di essere gentile, è davvero disarmante. A tutti i costi vuole regalarci tre sigari. Prima rifiutiamo, poi accettiamo con piacere, dandogli però due Cuc, non li vuole, il gesto lo sente come un affronto. Alla fine cede, poi gliene aggiungiamo altri tre per l’acquisto di un pollo e una maglietta per il figlio. La gratitudine del nostro gesto lo mette di buon umore, poi accenna a un timido sorriso.

E’ la condizione umana dei poveri del mondo, il che non vuol dire assenza di dignità. E’ un tratto diffuso, comune, quello di chiedere ai turisti pesos o qualsiasi altra cosa da cui trarre beneficio.

Miguel di mestiere fa il carpentiere, ma in questo periodo l’azienda per la quale lavorava ha sospeso l’attività per mancanza di materiali. L’embargo si abbatte come una furia non solo per i generi alimentari, ma anche per tutto quello concerne i processi di lavorazione di beni e servizi. Miguel percepisce per il periodo di disoccupazione il 60% del salario, circa quindici Cuc al mese. Il suo amico Lazzaro, l’intraprendente, lavora otto ore al giorno. Spesso li vediamo seduti sui gradini davanti alla porta di casa, e sotto le gambe nascondono rum e moijto dai quali si astengono nei giorni infrasettimanali per poi sbracarsi sabato e domenica.

L’ alcol compagno di viaggi e di sventura.. E’ anche così che si combatte la disperazione, la frustrazione e le difficoltà della vita quotidiana.

E non solo a Cuba.

A Trinidad, sbuchiamo in una piazzetta ciottolata al centro della quale vi è Santa Ana, chiesa di stile romanico in gran parte decadente; a testimonianza della suo incanto restano i muri e la facciata che inducono alla contemplazione.

Non appena sostiamo, un addetto al parcheggio non si lascia sfuggire l’ unica macchina presente. Si avvicina in modo discreto, è gentile e parla un buon italiano: buon giorno signori, da che parte venite dell’’Italia? Estraendo il suo tesserino dice prontamente di essere un parcheggiatore autorizzato. Scattano subito consonanze di vedute, le sue argomentazioni sono di un uomo che pensa, riflette, attento a quel che accade sul piano politico ed economico in Europa; attribuisce la scarsa presenza di turismo europeo a Cuba, oltre al fatto di essere in bassa stagione, alla crisi economica europea, alla marea del Golfo del Messico e al Vulcano Islandese.

Questi avvenimenti, conclude, sono frutto del sistema capitalistico.

Un sistema onnivoro che a passo di bradipo mangia anche sé stesso.

6 Giugno – Trinidad

E’ mattino presto. Siamo in partenza verso una nuova meta. Lasciamo Trinidad con il cuore in gola; per il fascino, la bellezza, la gente, la musica e per il calore che emana. E’ il momento dell’addio. Miguel e Lazzaro sono già appostati vicino alla machina. Poi, dalle porte di casa si affacciano i figli e le mamme. Miguel è quello più in tensione per la nostra partenza. Stenta a trattenere la sua emozione, non parla ma getta sguardi profondi, poi una lunga stretta di mano e un abbraccio. E’ un abbraccio intenso.

Di nuovo in viaggio. Si ripete il rituale dell’accoglimento delle persone per un passaggio. Sono davvero in molti. Il posto strategico d’attesa, è stare sotto i ponti: I ponti uniscono e al contempo proteggono. Anzitutto dal caldo micidiale. Dopo quattro ore arriviamo a Moron. In piena calura, s’ignora la temperatura, ma sentiamo che il caldo e l’umidità sfiancano.

Moron, cittadina che non sembra avere particolare appeal, tuttavia fa leva su una caratteristica propria che è la varietà di porticati, colonnati e terrazze. Di ogni colore, vivaci. I proprietari della casa particular in cui siamo ospiti sono medici, subito si svelano gentili e premurosi. Tutta la famiglia è intorno a noi. Accoglienza chimerica. Sì, è il proprio il sapore dell’incontro con l’altro che rende ancor più il viaggio, esercizio di libertà, di stimoli e di motivazioni.

La stanza al piano di sopra è confortevole e pulita.

Il richiamo del mare si fa sentire, e non lontano da Moron sono segnalate spiagge incantevoli. La famiglia dottorata suggerisce di andare a Cayo Coco, isola che è da poco collegata con una strada artificiale. Estendiamo l’invito alla giovane figlia. Entusiasta e sorpresa non se lo lascia dire due volte. Va in camera sua a prendere il costume e riscende fulminea. Da Moron ci vuole un’ora e mezzo circa di macchina. In lontananza, con stupore avvistiamo una barriera di controllo: è zona protetta e sorvegliata da poliziotti. Per passare si paga. Per i cubani 3 pesos, compresa la consumazione. Di corsa in acqua. E’ un bel pomeriggio rilassante, distensivo; ne sentivamo proprio bisogno.

In serata i due medici si prodigano ai fornelli, imbastendo una cena ricca e accurata: pescado delizioso, verdure fresche varie in piattini ben adornati, dimostrano essere abili nella forma ma anche nella sostanza. Poi, portano un piatto con 3 parghi – pesce- puliti , banane fritte, antipasto di gamberetti, zuppa di verdure e….flan dal gusto inebriante. Il tutto accompagnato da tre bucanero freschissime. Letteralmente stroncati dal cibo, dalle bracciate al mare, dalla stanchezza e dalle cerveza, crolliamo.

7 giugno, lasciamo Moron

Otto del mattino, l’entusiasmo rafforza l’ emozioni, favorisce gli incontri che talvolta lambiscono sensazioni d felicità, quasi da temerla.

Pieno di gasolina e via. Subito alla prima rotonda, appena fuori città, intravediamo orde umane in strada a caccia di passaggi. Stavolta è il turno di un giovane di ventisei anni. Studia turismo all’università, ad un’ora di macchina da Moron. Con lui è molto facile conversare: la lingua usata per comunicare è a metà tra l’italiano e lo spagnolo. Ci si capisce bene reciprocamente. E’ un giovane, sveglio e lucido nelle sue convinzioni e anche per la scelta dei suoi studi, disponibile al confronto e al dialogo anche su temi e cose che riguardano il suo paese: ad esempio, critica la forte mancanza di trasporti, salari bassi e corruzione amministrativa. Molte delle persone che abbiamo incontrato e con le quali abbiamo avuto uno scambio, hanno mosso critiche nei confronti del governo.

Lunghe le strade del paese, quasi ovunque, ci sono cartelli che richiamano ai valori della patria: sostegno alla rivoluzione, solidarietà senso etico e culturale.

Dopo un viaggio massacrante, sono le diciassette, ecco la mitica Santiago de Cuba. Dal finestrino della macchina quello che si riesce a vedere intorno lascia un po’ frastornati; sembra un flash di un film o di una piazza di Mosca. Invece siamo nella Piazza della Rivoluzione.

Un enorme complesso in ferro, a fianco un generale a cavallo e con la spada sguainata in alto indica la via, il futuro.. Il simbolo della rivoluzione. La statua, ironia della sorte, è situata in Avenida America. Piazza di grandi dimensioni.

Finalmente riusciamo a trovare la casa particular, quella di Angel e Maris. Sì, sono proprio molto simpatici. La cosa non può che renderci felici. Subito assaporiamo la loro brillantezza e il loro essere gioiosi. Angel è un chiacchierone, lei sempre sorridente alle nostre battute. Ad un certo punto a tavola, Angel preso dallo spirito goliardico dice ad Andrea: tu tieni una faccia da picador – ossia hai l’aria di chi becca le muher . Battuta che scatena ironia e risate.

La casa è pulita, la stanza che c’è assegnata è vicino alla cucina, con i soliti pizzi e fiori di plastica sul water. Dopo una doccia rinfrescante, ci preparano una ricca e gustosa cena. Per la prima volta mangiamo con i proprietari di casa. Si parla molto, è un bel conversare, fluido scorrevole, piacevole. Tra tutti vi è proprio una bell’affinità. Anche a casa di Angel ovviamente si apre un confronto sugli aspetti socio politici dell’Isola. Ma non solo. Ci chiedono come si vive in Italia e in Europa. Angel apprezza molto che noi esprimiamo un giudizio positivo sull’esperienza cubana, pur con le sue molteplici contraddizioni. E’ davvero una serata speciale, di quelle che lasciano il segno. Poi, trafitti dalla stanchezza, lentamente guadagniamo la stanza da letto.

8 giugno – Santiago de Cuba

La casa di Angel è a poche centinaia di metri dalla Caserma

Moncada, costruita dagli spagnoli nel 1859. Fidel Castro e un centinaio di rivoluzionari, una mattina del 1956, tenta un assalto alla caserma considerata una degli avamposti più importanti del regime di Batista. Tentativo poi fallito.

C’infiliamo con il nostro coche in direzione del centro città. In strada una fiumara di persone, caldo opprimente. Pochissime macchine, salvo le multicolori car degli anni 60, palazzi dalle forme architettoniche strane, e colori sgargianti ma belli. Subito si capisce che è una città viva, fervida, Santiago crocevia di cultura cosmopolita che mette insieme tratti africani e caraibici. E’ considerata la città più calda di tutta l’Isola. Ci orientiamo facilmente nella toponomastica della città. Parcheggiamo a fianco di una casa privata. Il signore della casa c’invita a lasciarla lì. Sarà lui a prendersene cura. Addentrandoci nelle stradine del centro, notiamo un complesso di elementi di legno: All’inizio delle scale una piccola targa, museo del carnevale. La scalinata porta su un lungo porticato al primo piano. A Santiago la giornata della festa del carnevale è molto famosa e altrettanto sentita e festeggiata dai cubani. Le stanze sono molto carine, all’interno una mostra fotografica dai colori e dalle immagini straordinarie nonché eventi del carnevale di alcuni anni fa. Non molto distante da lì, un cartello giallo con una scritta nera indica il penitenziario dove è stato imprigionato Fidel Castro negli anni della dittatura militare di Batista. Complesso d’elementi ora in via di restauro.

A Santiago come nel resto dell’isola, la musica è di casa, nel senso della Casa della Trova, considerata il Partenone della musica cubana diffusa in ogni angolo di strada. Si esulta a sentire i raffinati musicisti, le cui note musicali sono gioia per le nostre orecchie. Ammirare gruppi vocali di sole donne che si esibiscono in canti tradizionali e melodie dal pathos struggente. Da qui sono passati alcuni personaggi famosi tra i quali il mitico gruppo cubano, Buena Vista Social Club. I loro pezzi più famosi sono nelle corde, nei violini, nei contrabbassi e nelle chitarre di moltissimi cubani; appesa su una parete della Casa della Trova, una piccola foto in bianco e nero dei quattro giovani di Liverpool rigorosamente tutti con la barba: i Beatles.

Un signore molto eccentrico si aggira tra il locale vestito con un costume antico e sfavillante. Si avvicina a Cristina con la quale s’intrattiene a parlare, lo scopo è vendere la sua musica. Che esalta. Sul palco della Trova sta per iniziare un concerto; un anziano chitarrista e due donne dalle voci calde e suadenti. Il locale è molto particolare, pieno di scritte sui muri, numerose foto di personaggi, fra i quali campeggia una recente gigantografia di Compagno Segundo. Leader dei Buena Vista .

Sono almeno tre ore che camminiamo. Il caldo torrido ci costringe alla resa.

Santiago è propria carina, dinamica , gente allegra, sorridente, bambini che giocano e ballano durante una festa di piazza, musici che suonano diversi generi di canzoni In un angolo di strada del centro della città un band di quattro persone, allieta i passanti con pezzi musicali caraibici. Poi improvvisamente cambiano genere musicale e intonano una celeberrima canzone di Luigi Tengo: Vedrai vedrai. Senza nessuna esitazione e sollecitati dalle note dalla celeberrima canzone, cantiamo con loro. Melodia che fa scorrere sangue nelle vene, attizza l’orgoglio della canzone italiana, quella bella, struggente.

Segue una breve visita alla casa del rum in ristrutturazione e poi alla taverna del rum. La temperatura è di trentotto gradi con tasso di umidità elevatissimo. Impossibile stare ancora all’aperto. Break in casa e riposino pomeridiano.

Nel pomeriggio tardi si combina una gita con Angel e Maris al castello del Moro, a circa un‘ora di macchina da Santiago, situato in una posizione strategica Un avamposto inattaccabile da parte degli invasori, oggi perfettamente curato. Angel durante la visita incontra una giovane creola molto carina, sua amica nonché operatrice turistica, è per l’ occasione la nostra tutor; mette in risalto capacità, competenza e preparazione impeccabile. Fa un‘ampia panoramica sulla storia e le funzioni del castello e soprattutto ripercorre il tempo e il ruolo dei pirati e dei corsari. Di fronte al castello c’è la mitica Sierra Maestra, da qui Fidel Castro tenta con pochi uomini di invadere la caserma Moncada Tentativo che costò l’uccisione di tutti gli uomini del commando. Fidel fatto prigioniero, riuscì a fuggire dalla prigione, grazie ad uno stratagemma messo in atto con il suo carceriere a quale disse: tu puoi uccidere me, ma non le mie idee, il carceriere fulminato da quella frase, gli aprì la strada per la fuga.

Dopo la visita al castello, passiamo dalla fabbrica del rum a ridosso di una linea ferroviaria.

Il movimento dei treni, a quanto pare, sembra essere elemento determinate per l’invecchiamento e la qualità del rum cubano, considerato tra i migliori al mondo. Cosa curiosa e bizzarra.

Un altro luogo ritenuto dai cubani importante e significativo , è la statua del fondatore dell’ Isola; Josè Martì.

Dalla rivoluzione in poi, ogni sera il cambio della guardia gli rende onore e omaggio.

9 Giugno – Santiago de Cuba

Alla sette e mezza del mattino, tutto è pronto. Stiamo per lasciarci alle spalle Santiago. Angel conosce bene il tratto di strada che porta a Baracoa, antica capitale e prossima tappa.

Occorrono almeno 5 ore di macchina, considerando le condizioni viarie, molto sconnesse, nonché le difficoltà nel raggiungere il passo della giungla. Commiato molto toccante con i nostri amici. Se ritorniamo da queste parti, è un onore rivedere queste due belle persone. Quasi si mettessero di traverso, vorrebbero che non andassimo via. Angel è premuroso prepara due bottiglie di succo di tamarindo, due banane, noi, diamo 250g. Di caffè portato dall’Italia. Saliamo in macchina e le nostre mani, le mani di tutti come da riflesso condizionato, continuano a fare cenni di saluto.. Di nuovo ci infiliamo sulla Avenida America. Poi all’incrocio della piazza della rivoluzione; un cartello stradale indica in modo molto approssimativo, la direzione per Baracoa e Guantanamo. Abbiamo qualche problema per uscire dalla città. La segnaletica è confusa, è poco leggibile, le strade sembrano groviere. Prendiamo una strada in direzione El Cristo, beh, forse foriero di buona sorte. El Cristo ” protettore di Guantanamo. Attraversiamo dei paesini, grigi, poveri, sperduti nel nulla, ma immersi nel verde. Dietro una curva improvvisamente una scuola primaria. Nel cortile recintato tanti bambini che si divertono . Ci fermiamo. Appoggiati alla rete guardiamo con stupore e immensa gioia bambini e bambine alcune divisa scolastica: camicette bianche e gonnelline gialle per le bimbe, camice bianco e pantaloni rossi per i bimbi che giocano appassionatamente. Giocano a ruba fazzoletto.

Sotto l’occhio attento e vigile del maestro si sfidano, si rincorrono.

Quello che riesce a rubare il fazzoletto nella contesa con l’altro, è incitato dai compagni a scappare e a non farsi prendere. In ogni dove, l’innocenza, la fantasia, la forza dei bambini ridesta gli adulti al senso del vivere. I bambini “sorreggono” il peso del mondo. In un mondo spesso ostile al loro mondo. Ah, se qualche volta gli adulti ricordassero il bambino che è in loro.

Si tira qualche click, e poi inviamo baci ai bambini attraverso la rete e, on the road again.

In strada traffico di trattori e muli, contadini che si recano nei campi a lavorare.

Guantanamo dista una ventina di chilometri. I brividi si fanno sentire. In sostanza una baia isolata dal resto dell’isola. Ai militari americani non è consentito di uscire fuori della baia. Nella zona ci sono molti check point. Indubbiamente è il tratto di strada a più intensa presenza di militari con la casacca verde.

Guantanamo è piena di gente che gira per le strade, a piedi. Non è isola pedonale o chiusura al centro delle macchina. Qui la presenza delle macchine è quasi un miraggio, traffico si, però di carrozze, muli, camion zeppi di persone a bordo che buttano fuori schifezze intossicanti. Carichiamo tre simpatiche signore anzianotte tutte eleganti. Ad un tratto notiamo un posto di controllo di polizia. Uno di loro getta una vaga occhiata verso la nostra direzione, poi d‘improvviso fa un vago cenno e si gira dall’altra parte. Lentamente proseguiamo per la nostra strada, poi dopo qualche minuto ci acciuffano, si accostano alla nostra macchina, scende e intima di fermarci e insistentemente ripete perché abbiamo ignorato l‘alt. Il tono è supponente e arrogante. Poi controlla tutti i documenti. Cristina a quel punto cerca di fargli capire che in Italia i poliziotti sono più chiari nelle intenzioni verso gli automobilisti. Sembra irremovibile. Le anziane signore cubane a bordo borbottano. Andrea scende dalla macchina e rivolgendosi al poliziotto dice: perdone, espero que no sea nada grave. Hubo un equivoco, la parola equivoco e il tono fermo di Andrea, forse, ha convinto il poliziotto a farci prosegue per la nostra rotta. Sarebbe stato paradossale che quei due zelantoni con la divisa ci avessero portato in caserma, per una stupidaggine. Le signore intanto sono arrivate a destinazione e ringraziano del passaggio. Proseguiamo il nostro cammino, e voilà il mare. Grandi cactus, vegetazione differente, strade isolate, luce abbagliante. Il marea ha dei colori incredibili, di diverse tonalità; dall’azzurro chiaro al blu. Andrea è alla guida. La suggestione del paesaggio è di una potenza formidabile. D’improvvisa brusca frenata, accosta la macchina sotto un albero vicino un vialetto che porta ad una piccola baia. Letteralmente balziamo dalla machina e a piedi raggiungiamo la caletta. Il posto è isolato, salvo una persona che sta facendo snorkeling lungo la costa. Ci si spoglia in fretta e furia. Completamente. Perché è così che quel mare seducente, in quel momento, vuole che gli andiamo incontro. Un senso di libertà e di gioia si sprigiona dentro di noi.

Una sosta inaspettata, emotivamente profonda e sensuale. Dopo la piacevole nuotata lentamente si risale verso la macchina per riprendere la costa in direzione del faro. La strada sale e la macchina arranca. La vegetazione si fa sempre più intensa. Eccoci nella giungla. Dall’altra parte della strada pochissime macchine. Ci fermiamo in un piccolo belvedere sulla Sierra dl Purial. E’ una macchia verde fittissima a 360°. Silenzio. E’ tutto silenzioso intorno a noi. Noi stessi né siamo parte; un silenzio tutt’ altro che minaccioso

Mentre ascoltiamo quella atmosfera, dal fondo della strada sbuca un uomo piccolo di statura, carnagione scura, ci raggiunge e immediatamente tira del suo sacco di juta quattro confezioni di caffè macinato e in grani. Non esistiamo un attimo a comprarne 4 confezioni, e lui quasi inaspettatamente esprime contentezza e sorpresa. L’ uomo esprime in sé qualcosa, non captiamo cosa, la sostanza è che viaggia tra le montagne e le strade per guadagnarsi da vivere, poi Andrea gli dà in dono una maglietta delle barrette energizzanti e della frutta secca. Il gesto coglie di sorpresa l’uomo che ringrazia e poi si dilegua nella Sierra presso la famiglia.

Di nuovo in macchina e via verso Baracoa, mezz’ ora dopo raggiungiamo il punto più alto della Sierra, non dovrebbe mancare molto a Baracoa. Eccola. Siamo arrivati all’estremità dell’Isola, a oriente di Havana. Abbiamo percorso fin’ora più di mille e cento chilometri. Non si può andare più in là.Il paese, nel caos ordinato fa subito sfoggio di una bellezza e di un fascino che incanta. Il centro cittadino, piccolo e raccolto; il traffico è caratterizzato soprattutto da bici taxi, qualche coco taxi, poche macchine, camion adibiti a trasporto di persone e, una fiumara di persone che si spostano a piedi. Cerchiamo la casa particular di un medico indicataci da Luis di Moron: ormai siamo topi di case particular.

Davanti alla porta di casa, ad attenderci troviamo Lucy, una signora gorda simpatica e premurosa.

Casa sua è disposta su due piani, ogni piano ha un terrazzo dal quale si ha come sfondo il mare, tetti e altre terrazze colorate. Ovviamente preferiamo per la camera più luminosa che dà sul terrazzo superiore con colonne e pareti tinte di giallo e di rosso mattone, mentre il pavimento è azzurro. Sembra una piscina. La Lonely Planet consiglia di fermarsi da lei, per il panorama che si gode dal terrazzo, per l’ accoglienza che riserva ai clienti e, soprattutto, per l’ottima cucina.

Mentre Lucy si intrattiene con noi, vediamo salire dalle scale un uomo che pensiamo essere il suo contabile. Aspetto arcigno ma gentile. Fa una certa fatica a guardarci negli occhi. Viso bucherellato, dall’aspetto decisamente bizzarro e con evidenti tratti gay. Spesso è appiccicato a quel che appare essere il suo compagno, gentile e garbato.

La nostra stanza, ampia e luminosa è molto carina. Letto matrimoniale comodo, un tavolino, bagno e doccia, tre ventilatori posti in più parti, due grandi finestre vista mare, con finestre in legno tipiche cubane, stile veneziane a grate e orientabili da far passare l’aria fresca e proteggersi dal caldo e dalla luce accecante.

Depositati i bagagli in terra, i nostri corpi si adagiano sul letto.

Nel pomeriggio tardi gironzoliamo per la cittadina. La prima sosta è alla casa della Trova, non passa qualche minuto che, un intraprendente mulatto invita Cristina a ballare. Il tempo di una danza e poi di nuovo a vagare per la cittadina, all’incrocio di una strada, un signore, disinvolto nell’ apparenza, si avvicina a noi dicendo di esser il miglior musicista del posto. Molti musici che incontriamo suonano lo stesso leit motiv: io sono il più bravo. Il solerte e buon signore non si limita solo a vendersi bene, ma accorcia sempre più la distanza fisica tra lui e Cristina fino a tentare di toccarle il seno. Kri capisce l’antifona e garbatamente prende le distanze.

E’ l’ora del tramonto. Il terrazzo è un meraviglioso punto d’ osservazione; seduti sulla sedia a dondolo, seguiamo il sole sparire all’orizzonte .

10 Giugno – Baracoa

Al mattino Baracoa si presenta particolarmente con aria assai mistica. Il tempo è immobile; una sorta di incantesimo che avviluppa.

Angoli di città rimangono ancora da scoprire. Nelle strade spadroneggia quiete e silenzio. L’unico rumore che si percepisce è il vociare della gente. Passa di tanto in tanto qualche bici taxi e qualche carrozza in cerca di clienti. Negozi aperti ma vuoti di prodotti e merci. L’atmosfera e la lentezza del tempo suona strano per noi. Ci si sente in libertà. Nella piazza centrale di Baracoa è giorno di mercato. Si vende d’ogni cosa: bastoncini di liquirizia, noccioline infilate in un foglio bianco, oggettistica da bancarelle sfigate, abbigliamento per donna, uomo e bambini dai gusti improbabili e mercanzia varia; un anziano signore invita i passanti a comprare le sue avellanas – nocciole – sono molto nutritive, sotto i portici lucidatori di scarpe, un piccolo furgoncino vende pizzette, dolcetti ecc.

Tutto è relativo in questo luogo. Non è il consumo per il mero consumo, ma anche forse qualcos’ altro che va al di là. Si, forte è la propensione verso il desiderio di possedere dei cubani, ma essi non sono ancora sufficientemente consapevoli che, un giorno possano essere preda del possesso e del consumo, come avviene in diversi parti del mondo. Sarà così anche per loro quando il MERCATO, si imporrà anche su questo lembo di terra??

Fuori Baracoa la guida segnala spiagge dalla sabbia bianca e un mare rilucente: Questa meraviglia della natura si chiama Maguana.

Lasciamo Baracoa per il mare. Man mano che ci addentra nella jungla il percorso stradale, è sempre più dissestato, voragini, nuvole di polvere e asfalto divelto. La macchina non può che andare a rilento. Le condizioni pessime viarie mettono a dura prova schiena, palle e pazienza. Il tempo per raggiungere l’agognata spiaggia è di 1h e mezza. Quello che dà forza è la natura circostante, Alberi da cocco giganti, palme reali, paesaggio indescrivibile caratterizzato da un unico colore: Il verde. Approdiamo al mare, e dinanzi ai nostri occhi appaiono estesi lingue di sabbia, mare cristallino e sole abbacinante. Scendiamo dalla macchina, immediatamente si avvicinano tre ombre che vendono prodotti artigianali. Buenos dìa, de donde vienes? E noi, dall‘ Italia..

La spiaggia è incantevole, pochissime le persone; finalmente un capanno all’ombra dove trovare riparo dal sole che brucia. Il caldo intima al corpo frequenti tuffi in acqua, il ritmo e il suono dello sciabordio delle onde, dona sensi insaziabili Sembra di scivolare nell’immagine fantastica dell’isola del tesoro di Robinson Cruso.

Maguana, poca conosciuta, è una delle spiagge più belle di tutta l’isola.

Il sole è alto. Bussa qualche tocco di fame. Andrea va a recuperare la papaia rimasta in macchina dal giorno prima. Però, poi ha sentore che sia acerba, chiede agli amici artigiani ancora sulla spiaggia, se la papaia è matura da mangiare. Con un coltello incidono la papaia e constano che occorrono alcuni giorni, prima che sia matura. Come se non bastasse, ha anche il parere di un panzone, in compagnia d’altri italiani, che osservando la papaia sostiene che si può mangiare, la sua affermazione/convinzione accende dispute con gli artigiani di parer opposto.

Il suo nome è Giovanni Gatto, padovano. Un po’ burlone ma simpatico. Focosamente si svela con una classica locuzione tutta italiana: non rompete i coglioni. Poi prima di lasciare la spiaggia con gli altri amici, invitano Andrea ad andare nella jungla a mangiar il porco cucinato allo spiedo. Ah però. Niente male.

Sua moglie, fascinosa nerissima cubana, molto più giovane di lui, fa parte dell’associazione Italia/Cuba. Giovanni è spesso a Cuba perché lei si rifiuta di venire in Italia e non mira a lasciare l’isola per il nostro paese. La ragione sta, lei dice, nella forza dell’ amore e dell’ attaccamento che noi donne cubane abbiamo per l‘isola.

Giovanni ascolta la muher, poi rivolgendosi ad Andrea sottolinea che le donne cubane che lasciano l’isola per andare a vivere in Italia, non passa molto tempo che diventano preda di “aggressioni” consumistiche, di facili costruzioni di sogni e ricchezze, e gli effetti ben presto si rilevano disastrosi: si guastano, perdono la testa, si immiseriscono, si spengono dentro per mancanza di “aria” e “di sole”. Altre, ritornano a Cuba, perché hanno spellato uomini creduloni o finti mariti gabbati e defraudati del denaro.

Ancora un aneddoto di Giovanni. Anni fa, con contributi privati, di Giovanni e d’altri amici e con il supporto dell’associazione Italia/Cuba, è stata ricostruita in piena giungla la scuola primaria per bambini poiché quella precedente è stata distrutta da un uragano. Accanto a quella nuova ormai funzionate stanno allestendo ed estendendo la luce nel villaggio e la rete internet. Un gesto etico d’enorme valore sociale. Questa loro operosità non può che suscitare in noi ammirazione e compiacimento.

Uno del gruppo è un pediatra la cui attenzione verso i bambini è straordinaria. Ne Hanno visto molti crescere e studiare. Vengono da queste parti non per cancellare una colpa, ma per scelta. Il mondo è ancora abitato da gente che ha ancora ideali e passioni civili. Che crede, condivide e si spende nel dono e nella gratuità, perché la gratuità, come ha scritto un scrittore italiano, richiede grandezza ciò che il generoso non ha. Gli amici dell’associazione, alcuni di loro non più giovanissimi, con i bambini, con le donne e gli uomini del villaggio fanno comunità. Si sentono comunità. Esprimono saper fare, saper stare e saper ascoltare, ciò ovviamente ha determinato e accresciuto negli anni rapporti affettivi profondi e sentiti. E, la cosa, è reciproca. E i bambini lo sentono, lo avvertono e li “ripagano” con sorrisi e vicinanza.

La spinta di questa esperienza non lascia dubbi alcuno. La curiosità di vedere e di sapere di più ci affascina e dunque proseguiamo verso un altro villaggio. La strada è sempre più mala, ci preoccup il ritorno. Speriamo che il coche non ci lasci in mezzo alla giungla al calar del sole. L’andatura è lenta, permette di osservare e godere del paesaggio: piante fittissime che si intrecciano e si abbracciano e palme dai ciuffi altissimi che svettano. La solidarietà umana tra la gente è manifesta, viva; ciò riscatta l’isola e attrae persone.

Una riflessione a proposito: in un mondo dove il senso e il significato dell’esistenza è sempre più cosa rara, quale delle due società è più a rischio? La loro o la nostra? In nome della modernità e presunta superiorità, l’ Occidentale tende ad asservire culture, popoli e tradizioni.

Intanto, il porco gira su uno spiedo gigante. In attesa di un boccone, brindiamo a un mondo migliore; papaia, rum e limone. Poi, incontriamo alcuni abitanti del villaggio, persone scure di pelle, uomini dai muscoli potenti, di muscoli che faticano. Sono gli unici mezzi di cui dispongono.

Due ragazzine, dagli occhi grandi e luminosi, osservano con candore e calore gli uomini che attizzano il fuoco per fa cuocere il maiale, poi Andrea chiede loro per uno scatto e a male appena si concedono. Poi inizia la festa: si staccano i pezzi di carne della brace, si addentano con bramosia, il sapore è profumato, la carne ben cotta e gustosa. A certo punto i nostri amici vestono abiti lunghi, mentre noi siamo a gambe e braccia scoperte. La cosa ci incuriosisce: perché vi coprite? Uno di loro risponde che l’imbrunire è l’ora delle pericolose ghene, insetti minuscoli, invisibili e insidiosi che pungono in maniera allucinante. Il fastidio della puntura degli insetti è davvero insopportabile. Scorticano la pelle dal fastidio e dal prurito. Per il dolore intenso e incessante si deve ricorrere alle cure mediche in ospedale. Questo dettaglio, a malincuore, ci spinge a scappare letteralmente dalla paura e riprendere la strada per Baracoa.

La giungla pone domande e induce a profonde riflessioni, fa pensare. Quello stile di vita stordisce e scava dentro. Lascia segni. Sulla strada, ad un certo punto avvistiamo un cartello che invita a rallentare, è quasi un paradosso, si va già lenti causa disastro delle strade.Un blocco di polizia ai lati della strada. Andrea alla vista del poliziotto coglie fra sé e sé una strana sensazione, ma anche di non avere allacciato le cinture di sicurezza. La polizia impone l’alt, non può essere altrimenti, poiché un fossato orizzontale inevitabilmente costringe le macchine ad andare a zero all’ora. Ci accostiamo. La lungimiranza di Andrea è perfetta. Il poliziotto si avvicina e fa cenno ad Andrea che è senza cintura : Oh caspita. Vuoi vedere che ci becchiamo una multa perché si guida senza cintura? Sarebbe paradossale e inusuale, dopo avere percorso ventimila chilometri, essere multati nella giungla. La clemenza e la sensibilità del poliziotto fa sì che, non solo non ci multa, ma ci ricorda che l’uso delle cinture è una precauzione utile per la nostra incolumità , viste anche le condizioni dissestate delle strade. E i mastodontici camion cubani stracolmi di gente che si appigliano a qualsiasi cosa che possa sembrare un sostegno? Dov’ è la sicurezza in quei casi?? Ringraziamo e basiti, ci ridiamo sopra.

Un ritorno a casa stancante. E’ ora di cena. Tavola al centro del terrazzo addobbata con tovaglia bianca e fiori. E’ ormai pleonastico esaltare la buona cucina delle case particular. Arriva Lucy, sorridente come al solito, sorregge con grazia due piatti dai quali esce una scia di sapori inebrianti: zuppa di ceci, aragosta, verdure varie e gelato finale. Poi serata alla casa della Trova a gustare musica tradizionale: son danzon, bolero e bachada. La gorda ( grassa) cica del locale, sicura di sé, spigliata, fatta la passerella tra i tavoli per la consumazione, il moijto va alla grande, con saper fare anticipa agli astanti i contenuti delle canzoni che i musicisti si apprestano suonare.

11 Giugno – Baracoa

Prima di ripartire si consulta la Lonely Planet e in capo a qualche minuto, via ad est di Baracoa. Carrettera percorribile senza particolari problemi. La zona da raggiungere è situata all’interno della giungla. La silenziosità della giungla chiama lentezza. Il pensiero si fa breve.

Andrea, stacca il piede dell’acceleratore della macchina e ammutoliti e straniti scrutiamo l’ambiente circostante poi, tutto un tratto un uomo di traverso si mette sulla strada con le mani fa dei cenni, a quel punto accostiamo, parla un linguaggio incomprensibile, vuole che acquistiamo il cocco e la papaia che tiene nelle mani, nel contempo con la mano indica di infilarci in una piccola stradina: ripete più e più volte Playa di Barigua Ha un aspetto strano, fattezze aborigene, viso marcato e pelle di un nero intenso Goffo nell’ andatura e verbalizzazione assai poco comprensivo. Sistemiamo la macchina sotto le palme vicino alla spiaggia, passano pochi minuti e la nostra presenza attira altre persone, tra cui Eduard. Un giovane lentigginoso dai capelli rossi e dall’aspetto irlandese, parla anche un discreto italiano. Curioso di sapere e di conoscere gli altri, tra noi scatta subito un’empatia e una fiducia, questo fuga qualsiasi dubbio sul clima e le persone del villaggio. A conferma della nostra percezione e per toglierci dall‘imbarazzo, Eduard con uno scatto felino affronta un albero di cocco molto alto, quattro o forse cinque metri, per la verità, vista la prodezza pare non sia la prima volta.. Si arrampica come una scimmia, sempre più in alto. Arriva in cima scuote l’albero e poi tira fendenti precisi con un machete tanto da far piovere cocco a grappoli, noi a terra stupefatti, con la testa in su, a osserviamo la prodezza del l’ uomo ragno. Tempo qualche minuto, Eduard scende dall’ albero e con il machete ne apre prima uno, poi un altro. Con delicatezza si avvicina a noi e dice: prendete è un ottimo succo di cocco, l’invito è tale che non possiamo che accettarlo come un gesto simbolico di benvenuto. Roy l’aborigeno abita in una baracca indescrivibile l ‘impatto circostante è notevolmente ributtante, tanto che fissare lo sguardo in faccia la realtà è faticoso, pesante quello che colpisce non è tanto quello che vediamo, quanto ciò che percepiamo; un vuoto profondo di senso, un sentimento di sbalordimento per come e dove vivono. Una realtà così getta nello scompiglio perché pone domande angoscianti sul significato di quella gente. Sono situazioni che si proiettano e investono la coscienza e la morale, che spingono a rimorsi, a fare qualcosa, a porsi domande e interrogativi sulle ingiustizie sociali nel mondo, un mondo che non funziona, che gira sempre più dalla parte sbagliata.

Sui mass media, un conto è mostrare immagini di povertà e di disperazione anche estrema, altra cosa è sbatterci la faccia. E’ solo stando nei diversi slum del mondo e a fianco della miseria, che ci si esercita a prendere consapevolezza che occorre ri-costruire un nuovo assetto della specie umana, ovunque, nel rispetto delle culture, dei popoli, dei costumi e delle tradizioni.

La realtà cubana, quella che noi abbiamo visto, assaporato, quella autentica, è si, in una condizione di forti privazioni e disperazione, tuttavia ha ancora in se anticorpi di resistenza. Ma fino a quando e quanto la popolazione sarà in grado di resistere?

Rientro a Baracoa. Lì attende la ragazza che lavora in casa di Lucy, alla quale abbiamo promesso di portarla a Playa Barigua. Non vede l’ora di ritornare a casa sua. C’è nel suo viso mestizia accompagnata a tracce di gioia perché rivedrà suo figlio. Sono quindici giorni che non lo vede. Durante il tragitto è piuttosto silente, ha un viso corrucciato, triste, poi lentamente, stimolata da noi si apre. Ha ventinove anni e un figlio di nove, separata da due mesi. Il figlio, a causa della separazione coniugale, visse un grosso trauma psicologico e un conflitto profondo. Una mamma umile, timida e responsabile. Nei suoi occhi si legge patimento, sofferenza e difficoltà tipiche dell’esistenza umana. Suo ex marito, avvocato, un ginetero che se la spassava a L’ Avana… Un tipo inaffidabile, e lo dice con rabbia e amarezza.

Arrivati a casa, la ragazza prima di lasciarci, insiste che conosciamo il figlio e i genitori. Sulla strada di casa incontriamo suo figlio con dei coetanei. Giocano e quando ci vedono insieme alla mamma, è festa. Andrea scatta alcune foto e i ragazzi lesti si mettono in posa, sono allegri e festosi. Sulla soglia di casa c’è il padre che da anni versa in condizioni di salute molto critiche. E’ caduto mentre si arrampicava su un albero di cocco. Cadendo si è spezzato la colonna vertebrale. Da anni ormai è su una sedia a rotelle e privo di qualsiasi autonomia. E’ rabbioso quando parla della sua storia. Ce l’ha con il sistema sanitario locale. Critica furiosamente la rivoluzione. Poi si lascia scappare una frase: se fossi in buone condizioni di salute glielo farei vedere io, a quelli… Altro che rivoluzione.

Ha un bisogno irrefrenabile di parlare. Agli inizi, i medici vennero di frequente a casa per le cure e i controlli, poi quando la situazione è peggiorata le visite mediche si sono diradate, così da anni mi ritrovo a essere completamente dipendente sotto ogni aspetto dalla mia famiglia. Dopo la furia rabbiosa muta espressione. E’ meravigliato nel vederci, chissà da quanto tempo non vede qualcuno che non sia la sua famiglia e a cui aggrapparsi per un po’. Dall’ interno della baracca vediamo arrivare la mamma della ragazza e poi un fratello. La sensazione d’accoglienza è forte e calorosa, tuttavia il grigiore che domina lì intorno, non impedisce e non appassisce l’ animo delle persone sfidate a vivere in case di legno, tetto in lamiera, a rischio amianto, umidità micidiale e caldo soffocante.

In tutto questo dramma però si annida una speranza; la sua famiglia è in lista per ottenere un alloggio in cemento, poiché le autorità locali stanno predisponendo un piano di costruzione di diciotto nuovi alloggi nell‘area circostante.

Gli uomini nel bene o nel male, sì “abituano” a tutto.

Roy e Eduard hanno reso il nostro viaggio ancora più profondo, più interessante, hanno dato sostanza all‘incognito e, in un certo senso, all’ indeterminatezza.

Lì ritroviamo nel pomeriggio sotto l’albero di noci di cocco per andare a vedere le piante di cacao e di caffè. Lungo la strada, accanto ad una staccionata, vi è una baracca nella quale vive un’anziana donna. In quell’ambiente si muovono con grande disinvoltura, del resto è casa loro; la donna è molto contenta che di tanto in tanto qualcuno passi da lì.

Vuole che entriamo da lei. L’interno è folgorante: “pavimenti” in terra battuta, tetto fatto di canne di bambù incrociato in rete fittissima in modo da impedire la penetrazione della pioggia, al centro il letto e accanto alla porta, un frigo gigante completamente arrugginito, vuole a tutti i costi offrirci del caffè. Da un ripiano afferra un pentolino nerissimo e ammaccato per scaldare il caffè. Poi, prende due bicchieri e comincia a versarlo; un gesto di compagnia e di gentilezza. Esitanti e allibiti mandiamo giù il caffè…

E’ una donna dagli occhi teneri che vive in un lembo di terra estrema come estrema è la su dignità. Aspetto che il governo mi dia una casa nuova, sono le ultime parole prima del commiato. Poi, chiede del denaro.

E’ un dejà vu, nel Wadi Nutlin a Petra – Giordania, all’interno di una tomba Nabatea con una famiglia beduina, Cristina, passeggia in riva al mare, dietro di lei c’è Roy, Andrea è dietro a Eduard, che indossa pantaloncini color giallo ocra, sbrindellati e un rimasuglio di ciabatte. In quell natura non curata, selvaggia e armoniosa, molto probabilmente Eduard è a suo agio. Non ne soffre. Si sente in sintonia. Andrea invece, dalla trasandatezza di Eduard ne viene colpito. Tuttavia percepisce in quel suo modo un senso di libertà, fuori di condizionamenti estetici. La spigliatezza, la curiosità e la scaltrezza di Eduard, sono offuscate dal modo in cui egli è vestito. E’ visione stereotipata di vedere le cose e le persone, tipica di pregiudizi verso altre abitudini. Lasciarsi a casa è la condizione per conoscere l’altro, e un simile atteggiamento sprona a nuovi orizzonti, solo così si è spuri e liberi di far posto all’ alterità.

Eduard insiste per andare al Rio Yamuri, dice che ne vale la pena. Il fiume prende il nome del leggendario Indios rivoluzionario che combatté durante gli spagnoli, non lontano dal villaggio. Per risalire il fiume, Eduard propone di noleggiare una piccola barca. Eduard spesso chiama Fidel Castro, papà. Non si capisce se in senso ironico o cosa.

Si ritorna al villaggio. Noi dobbiamo tornare a Baracoa. I visi di tutti si rattristano, c’è aria mesta nell’aria, si percepisce un silenzio che nessuno ha il coraggio di spezzare.

E’ il momento dell’addio

L’espressione facciale di Roy è veramente conturbante, è bastato poco tempo a creare un legame così intenso per Roy che, il solo pensiero interromperlo, lo lacera. Dinanzi all’evidenza non si esprime, non dice parola. Cade nel mutismo.La testa reclinata, sguardo perso nel vuoto; Eduard, si prende cura del pacco degli indumenti che lasciamo per la piccola comunità del villaggio.

Per noi, il fagotto riveste un sapore di salvifica spoliazione francescana…

Il pacco contiene delle magliette, delle canottiere, una coperta sottratta in aereo, due pantaloncini corti, delle saponette, un pantalone da ginnastica, un accappatoio, delle lamette per la barba e qualche Cuc, “ è naturale visto il tesorino” che Eduard sia sorvegliato a vista,

A sorpresa, da una strada laterale sbuca Roy, si mette letteralmente di traverso sulla strada. Dietro Eduard che lo implora a fermarsi, lui riesce ad avvicinarsi alla macchina e allunga la mano: pretende 5 Cuc. Impietriti, non sappiamo cosa fare. Intanto Eduard continua a ripetere andate, andate, però Roy è irremovibile e a quel punto gli porgiamo ancora un Cuc. E’ affranto, deluso.Ci inquadra con uno sguardo carico di rabbia e sconforto Eduard insiste, dai Roy lasciali partire. Conosce molto bene quel suo lato debole, quella sua fragilità emotiva; lo trattiene e lo invita a tornare al villaggio.

Di questa gente la semplicità, la dignità si veste di un tempo sognato e di un tempo segnato. E di gesti di affetto, di presenza e di parole; quale forza e quale spirito alberga in loro? Quale velata incoscienza li spinge e li “spegne” a quella vita….

12 Giugno – Baracoa

Sveglia alle 6.30 fuori, colori splendidi. Luogo fatato che, quando te n’allontani, un groppone ti si attacca alla gola.

Baracoa, Guantamano, Santiago de Cuba, Bayamo, Las Tunas Camaguey, Ciego de Villa, Cienfuegos, S.Clara passando per Cardenas, a nove chilometri da Varadeo. E poi di nuovo L’Avana, l’ itinerario di ritorno.

Tappa a Holguin, poi decidiamo di virare per Las Tunas.

La Lonley Planet descrive di un posto dove non c’è un granché. Si chiama playa di Herradura., caletta riparata, dalla sabbia candida e mare azzurro cristallino!! Silenzio pervade il luogo, meta che desta curiosità; è Papachengo, nome per noi al quanto musicale. Ha l’aria di un vecchio saggio e di anni ne ha 87 anni. Ironia tagliente e fedele alla causa rivoluzionaria. Uno dei pochi sottolinea , e aggiunge: troppi ormai a Cuba pensano al benessere, soprattutto i giovani che ignorano il passato..

Uomo fiero e generoso, si compiace quando qualcuno lo cerca. Accogliente e festoso nei modi, con tutti. Se poi è una femmina, il genere lo ringalluzzisce. Premuroso e fisico verso Cristina; è con lei che attacca e conversa.

Il terrazzino di casa dista appena 20 metri dal mare, adombrato di palme e circondato da un colonnato e una vista splendida, insomma un bijuoux. L’ interno di casa è ributtante, non c’ è neppure l’acqua per farsi la doccia, lui comprende che la cosa non è di nostro gradimento, tuttavia non si scompone e con fair play, indica un’altra sistemazione: Villa Rocio, distante qualche metro.

E’ una casa in parte ristrutturata a causa di un violento ciclone che si scatenò nel 2008 a Cuba, con venti che soffiavano a 320 chilometri all’ ora.

La furia del ciclone distrusse molti paesi e, in particolare, Herradura, che si affaccia direttamente sul mare; il numero dei morti fu soltanto di cinque persone. Grazie all’ ottima organizzazione della protezione civile, gli abitanti furono subito allertati ed evacuati, impedendo così una catastrofe umana.

Quel dramma lasciò segni indelebili nelle vite delle persone ancor più perché fu di notte che accadde, e per lunghissime sette ore, vissero l‘ inferno. Al rientro degli abitanti in paese, lo scenario fu altrettanto apocalittico; il mare ritiratosi lasciò nelle voragini i pochi resti dei pavimenti divelti, le case completamente rase al suolo e quelle pochissime che resistettero, furono letteralmente coperte di fango. Sulla spiaggia e per il paese, il furore delle acque disseminò enormi spugne di mare a forme di clava, coralli piatti reticolati, stelle marine giganti e alghe dalle diverse forme.

La donna di Villa Rocio, quando racconta quella spaventosa notte, le tremano le labbra, la paura si ri materializza, il ricordo si fa vivo.

Nel tardo pomeriggio drink da Papachengo. L’ attenzione è tutta per lui. Io sono un autentico rivoluzionario, ama ripetere e vi spigo perché! Se da me si presenta qualcuno che non ha pesos sufficienti per pagarmi la camera, lo ospito ugualmente. Per me il denaro non è tutto. Se poi riesco a guadagnare più soldi….A me interessano la vita delle persone, stare con loro, mangiare con loro, fare nuovi incontri. Insomma un bel vecchietto che sa di sapere e di aver visto nell’ arco della sua vita molte cose e accadimenti dell’ isola.

Ha conosciuto Che Guevara e con orgoglio racconta di avere servito a tavola in un ristorante Fidel Castro. E’ così preso dall’entusiasmo che aggiunge un aneddoto che nel corso degli anni ebbe poca eco. Fidel Castro cacciato il dittatore Battista, uno dei suoi primi atti fu la confisca di beni di proprietà di suo padre; un vero impero: una fazenda enorme, ben attrezzata con personale a suo cospetto, servizi interni ecc. Un eclatante gesto di principio di uguaglianza.

Tutti gli anni, continua, il giorno dell’anniversario della rivoluzione cubana, riunisco amici e vicini in riva al mare per festeggiare e ricordare quell’ evento che ha cambiato radicalmente la vita quotidiana dei cubani che, sotto il regime militare, vissero un’ oppressione terrificante.

13 Giugno – Herradura

E’ domenica. La giornata è bella, il sole già alto, l’ideale per andare in spiaggia e godersela, nel pomeriggio poi raggiungiamo Puerto Padre a venti chilometri da Herradura. All’ uscita di casa però, una sorpresa, il nostro coche ha una gomma buca.. Andrea smonta la ruota e si avvia alla caccia del gommista. Scopre che è lì a due passi da Villa Rocio. Eccolo. Un uomo piccolo, smilzo e occhialuto; osserva la gomma, comincia a parlare in spagnolo tra sé e sé, sembra scettico però, dopo averla vista ben bene nonostante i rudimentali arnesi, riesce ad individuare il forellino e ripararla.

Puerto Padre, sembra terra di nessuno, nonostante la festa per il carnevale. Nel paese si respira un’aria di decadenza, di abbandono, un paese di in un tempo immobile. Tuttavia, il clima restituisce vivacità, dinamismo, odori, colori, profumi e scie… di moijto.

Sulle bancarelle sono riposte merci e oggettistica anacronistica, macchinine e camioncini di plasticaccia per bambini, ciupa ciupa a montagne, mollette per appendere i panni, in piazza l’angolo della cerveza e rum a barili, carne arrostita di maiale esposta al sole, bambini che mangiano filo da zucchero, una vecchia auto spara musica cubana a tutta birra, i cui decibel, elevatissimi, si perdono nella calura e nella folla. Nella ramblas, spadroneggia una statua di Don Chischotte e appena in là, un mulino a vento. E’ festa, almeno oggi, la gente pare gioiosa.On the road again, obiettivo: Dall’Avana ci separano seicento chilometri, le strade sono quelle che sono, cioè terribili, quindi…vedremo.Le tappe: Las Tunas, Camarguey, Ciego de la Villa, Santa Clara. A Jaguej, siamo incerti se andare alla famosa Baia dei porci……Desistiamo. La guida fa rilevare che in Playa Largo vi è scarsità d’alloggi, allora spostiamo la barra di marcia verso Varadero, passando per Cardenas, che dista dieci chilometri da l’Avana.

Un viaggio massacrante!

Tuttavia la strada per Cardenas riserva cose deliziose, inaspettate sorprese: paesaggio stupendo, campi di banano, canna da zucchero e un cielo turchino spalmato di nuvole basse bianche, perfette, dalle forme geometriche indistinte e variegate. Nuvole plasmate, sembrano di panna. Sulla strada isolata un autostoppista, anche lui va a Cardenas. Fa da co-guidatore perché le indicazioni su quelle stradine, sono molto spannometriche. E’ cubano, i genitori vivono in Florida. Lui, dopo una breve esperienza americana, ha deciso di ritornare a vivere a Cuba.

Dopo un‘oretta circa, giungiamo nella cittadina di Cardenas. Seguendo la cartina della Lonely Planet, appaiono evidenti le difficoltà di muoversi e di individuare una casa particular.Vaghiamo in alto mare, sulla strada donne sedute sui gradini di casa, uomini che giocano a domino, ragazzi che si rincorrono in bicicletta. Intanto come segugi continuiamo a cercare un posto dove alloggiare. Poi, d’improvviso si affianca un uomo trasandato e con la barba incolta, strano ma lungimirante,; suggerisce di andare da Angel.Cardenas non è né spettacolare né attraente, anzi. Il caldo prosciuga le energie, proseguiamo fra vie fatiscenti e case malandate poi, Andrea intravede al di là di un incrocio, una colorata facciata di una casa.Parcheggiamo la macchina. Scendiamo, suoniamo il campanello e poco dopo appare un uomo, gaissimo. Accogliente, premuroso e affettuoso. Ma per niente invadente, è Angel. Che fortuna!!Angel, d’ acchito capisce quali sono le nostre esigenze e subito mette a disposizione una camera bellissima del suo hotel. Entriamo dal cortile per entrare alla stanza, che appare nel suo aspetto meraviglioso e mirabile affollato di piante tropicali e alberi magnifici, una piccola area tropicale…

Di fronte c’ è una ripida scaletta porta a un terrazzo molto carino immerso nelle chiome delle piante. Angel ci accompagna in camera, curata e adornata con cuoricini appesi dappertutto: sul letto, sulle lampade e in bagno. E, dulcis in fundo, intermittenze di luci colorate nella doccia. Uno angolo con finezze squisitamente frutto della galoppante creatività di Angel, il quale nel frattempo da eccellente maitre, prepara un moijto da sorseggiare, quell’autentico: rum cubano, erbabona e zucchero di canna. Nel cortile l’ atmosfera è splendida, soffia una piacevole brezza, luci soft si annidano negli alberi, e cenetta a lume di candela, solo per noi.

Che meraviglia!

Bagagli e zaino pronti per l’Avana, il breakfast al mattino è servito dalla mamma di Angel e dal suo AMICO, un fustacchione, ma per la gioia di Angel, che afferma di conoscere ben cinque lingue. Niente male!!! L’ ultimo saluto è per Angel, al quale regaliamo dei funghi porcini italiani e la “levatura” il lievito per il pane. Incontenibilmente sorpreso, manifesta giubilo, alla sua maniera, naturalmente..

14 Giugno – Cardenas

Varadero dista nove chilometri, e in capo a mezz’ ora d’auto siamo immersi nella mitica spiaggia cubana, meta di milioni di persone da tutto il mondo. Eh no, non possiamo snobbarla : E’ proprio VARADERO, quella delle cartoline, la spiaggia è lunga 20 km, lungo la quale si affastellano lussuosi alberghi.Varadero è deserta, c’infiliamo in una strada laterale, ecco il mare, superbo, la frenesia e l’ eccitamento ci pervadono. Spiaggia dalla sabbia bianca, luce accecante, mare cristallino: è una bellezza abbagliante. Cuba, l’isola della luce.Il tempo incalza perché entro le tredici la macchina va riportata al rental car dell’Avana. Sulla strada costiera, grappoli d’autostoppisti, soprattutto donne, aspettano un lift per la capitale.

Non ce la facciamo a far finta di niente. Andrea si ferma davanti ad una donna con un enorme borsone e la invita a salire. E’ riservata, smarrita, timorosa. Per un lungo tratto di strada non c’è posto per le parole. Poi, lentamente accorcia le distanze, comincia a dire qualcosa, si apre. Si chiama Ivana e ha due bambini, in passato ha sofferto di epilessia e di una forma di artrosi molto dolorosa, ora dopo un’attenta cura sta meglio. Anche i suoi due bambini hanno avuto stessa sorte. Quando parla di sé, si svela come una donna tutt’ altro che rassegnata per le condizioni di vita in cui si trova, soprattutto economiche, è decisamene pessimista per le sorti del sistema politico cubano, che critica aspramente. Si affida prevalentemente alla sua capacità e determinazione. Va spesso a l’Avana a vendere, abusivamente oggetti fatti da lei, maracas e bamboline di pezza; è una disperata ricerca per portare a casa qualche Cuc.

15 Giugno – Avana ore 12.30

It’ s a perfect time!! Abbiamo ancora un’ora a disposizione prima della consegna della macchina. Con l’aiuto di Ivana, dall’ autostrada sbuchiamo in centro città, a pochi passi dal museo della rivoluzione, poi si va verso casa di Tony, la casa particolar che ha prenotato Angel da Cardenas. Egli vive nella sgangherata Consolado, in questa via che ha il sapore e l‘effervescenza di un Suq di Damasco o di Marrackech, trascorriamo gli ultimi giorni a Cuba.E’ nella caffetteria all’angolo della via Consolado che, come abitudine ormai si trascorre le serate. Lì si esibiscono sotto il porticato attrezzato di comode sedie a dondolo, una band di tre persone, con chitarra a doppie corde, violino e maracas, (strumento di orine sudamericana a percussione fatto di zucca cava e riempiti di sassolini) che sfodera splendida musica cubana. Prendiamo posto su delle sedie a dondolo, accanto a noi un terzetto giovane, tutti spigliati: lei, cubana molto carina, di una bellezza che intrappola. Carnagione scura, fascino grondante, indossa un lungo vestito bianco. E’ contesa da due uomini: uno dalla pelle nera che sembra abbia la meglio, l’ altro invece dalla carnagione chiara. La distanza dal loro tavolo e il volume della musica, impedisce una comunicazione fluida.L’impressione è che la musica abbia un doppio binario: da una parte creare atmosfera rilassante, dolce, romantica dall’ altra si sovrappone, quasi appositamente, per impedire lo scandire della comunicazione tra loro. E noi. Lei ha seguito la carriera militare per desiderio dei suoi genitori; oggi fa la scrittrice e si definisce una poetessa. Con i suoi uomini, alterna momenti di intensa allegria e a tratti tristezza.Qualche volta, piange. Ha anche una voce disincantata, calda e rotonda. Dà prova della sua bravura cantando una dolce melodia di fado. Quello dalla pelle chiara è un giovane cubano che vive in Florida da rifugiato politico con la sua famiglia, ma viene in vacanza a L’ Avana; l’amico nero, invece, con i suoi occhialini rotondi appare bello e affascinante. E’ medico, ma non ha mai esercitato la professione E pure lui, adesso, è uno scrittore e un poeta. Tra un moijto e l’altro c’è qualche aggancio comunicativo con il terzetto, poi desistiamo perché abbiamo sentore che il terzetto voglia rimanere nella loro piccola “torre d’avorio”.

I musici intanto aprono le danze. Non c’è molto spazio intorno a noi per ballare. Tuttavia Andrea non resiste al ritmo della musica, è invita Cristina a ballare una sorta di scottish (danza tradizionale di coppia chiusa e figurativa anglofoba, in due quarti – polka coreografica con figure diverse) Il nostro slancio ballerino fa si che l’uomo dalla pelle nera inviti la giovane ragazza a danzare.Subito i loro corpi sprigionano seduzione, sensualità e eleganza. Giochi di sguardi, sorrisi e complicità, si fondono con la danza. L’atmosfera della serata è fantastica; ancora del moijto e bucanero (birra cubana) E’ giunta mezzanotte intanto, il locale sta per chiudere. La band si esibisce solo per noi, poi tutti a casa.

16 Giugno – L’Avana

Piazza del Campidoglio, alla fermata del bus, alcune persone sono in attesa di salire sul VA VA per il classico giro di Avana: dal Malecon- lungo mare- a piazza della rivoluzione, poi il Vedado e la zona universitaria.

Piazza della rivoluzione è tappa obbligatoria. Scendiamo dal bus per raggiungere l’immensa e storica piazza, al centro della quale campeggia una gigantesca statua del fondatore della patria: Josè Martì e due effigi enormi in acciaio di Cientfuego e Che Guevara, a lato.

C’è tempo ancora e per un altro giro sul il Va Va ( autobus turistico cubano) Cristina esce sull’uscio di casa e trova dinanzi a sé, Tonito, un giovane che frequenta la famiglia di Enrico. (famiglia che è punto nevralgico d’incontro per i testimoni di Geova sempre più numerosi sia nel quartiere sia in tutta l’isola). Tonito, rivolgendosi timidamente a Cristina chiede com’ è andato il nostro tour con il VA VA .Bene, molto interessante, risponde Cristina. Tornate stasera? domanda Tonito. Poi, imbarazzato, si fa coraggio e chiede se gli regaliamo il biglietto. Cristina, non se lo fa ripetere due volte. Non crede alle sue orecchie! Esultanza e giubilo si scatenano in Tonito. Come un razzo corre per strada con le mani alzate sbandierando i biglietti. Intanto si affaccia fuori Enrico, probabilmente attirato dall’entusiasmo di Tonito il quale gli dice di andare con lui sul VA VA.

Enrico, stranito dalla notizia, si libera del cuba libre, e insieme scattano come gazzelle senza salutarci alla fermata del bus.

Ritornano dopo due ore, gongolanti e orgogliosi. E’ la prima volta che salgono su un autobus turistico.Sono le 21,00 passeggiamo in direzione della città Vieia. Nelle strade non c’è moltissima gente, qualche ristorante aperto, negozi chiusi. A passo lento, approdiamo alla cattedrale, un’autentica meraviglia del barocco, un fascino incantevole. Di notte nella piazza si respira aria mistica, qui si avverte la sospensione del tempo, un luogo fusionale. Musicisti che accordano i loro strumenti in religioso silenzio, attenti a non stare sopra le righe musicali. Prendiamo posto a sedere nel centro della piazza; forte è in noi il piacere di scrutare ogni particolare della cattedrale, da poco ristrutturata. Sguardo che si alterna tra la facciata e il cielo la cui luce illumina e rende ancor più maestoso questo luogo. Arriva il cameriere e, quasi contemporaneamente, da una stradina laterale della piazza, Andrea scorge visi già incontrati. Sono sempre più vicini e quando sono a tiro, un moto di sussulto e di incredulità ci assale. Sono loro: la giovane venere incontrata la sera prima nella caffetteria e l’amico dalla carnagione chiara.

Svelato l’arcano: E’ lui che ha avuto la meglio! Si legge nei loro occhi, nelle mani avvolte l’una nell’altra, la perdizione di due innamorati in espansione e pieni di gioia.

17 Giungo – Avana

Prima di rientrare in Italia, contiamo di visitare Playa dell’Est, a circa 50 km da l’Avana: spiagge e mare bellissimo. La cosa ci attizza, ma le energie fisiche e mentali sono ormai al lumicino, per cui l’effervescenza dell’ idea cede alla stanchezza, ma anche perché non abbiamo più in dotazione l’ uso della macchina. Usciamo da casa, prendiamo la direzione del Paseo e alla prima panchina all’ombra ci accasciamo. Non si regge più il caldo umido e le gambe si rifiutano di camminare. Dopo un breve sosta, riproviamo a riprenderci. Strascicando le gambe puntiamo ad arrivare nelle viuzze della città Vieia. Rasentando un marciapiede, gli occhi di Andrea si adagiano sul viso di un vecchietto tenero e dalle rughe scolpite dagli anni, ai suoi piedi ha una vecchia Lonely Planet. Sì, non vi è dubbio alcuno; è proprio lui, l’uomo della foto della Lonely Planet con il basco in testa, con al centro una stella, la folta barba bianca e un sigaro fra le labbra. Gli chiediamo un autografo sulla nostra LP e lui senza batter ciglio, appone la sua firma. Non senza però averci chiesto pegno. E’ anche così che ci si guadagna la vita a Cuba. Sfruttando la propria immagine. E’ così tanto diverso in tutto il resto del mondo?Davvero un’icona che ha fatto il giro del mondo. Senza viaggiare. Così la pensa anche un grande scrittore egiziano, Mafuz.E’ l’ultima serata. Strambe curiosità. Cuba, gente che attizza la fantasia, regala scene strane.

In strada un giovane molto alto, guida con le redini una piccola carrozza trainata da una capra dalle grandi corna. Sulla carrozza e in strada ci sono moltissimi bambini, allegri e spensierati, urlano, si spingono, esaltati dalla gioia tentano di salire sulla carrozza. Ma non c’è posto per tutti. In tutto quel trambusto, a fatica, la povera capra tira dritto.Di notte il Malecon, scarsamente illuminato, sparge gaia tristezza, contemporaneamente e, noi, seduti su un parapetto, contempliamo la luna e osserviamo le stelle. E con i corpi celesti risalgono anche i pensieri. Dove vanno e fin dove si spingono? E’ l’ultimo sguardo.

Il Malecon, emblema della perdizione e dell’ eros, del sesso a portato di mano e del portafoglio, dove l’ avvenenza si materializza, si presta e si dona. Gineteras, giovanissime, vogliose, sfacciate e provocanti, sguardi seducenti, dalle gambe lunghe e tornite, passeggiano su e giù per il lungo mare, in cerca di chi se le piglia, mescolanza di fantasia e realtà, a tratti cruda e pura, di sogno agognato e sognato di bavosi europei in cerca di fottersi qualcuna. A noi non è capitato mai di essere testimoni di ostentate passerelle di gineteras che si gettano tra le gambe degli uomini. E’ indubbio tuttavia che la vendita del corpo delle donne e, anche degli uomini, sia cosa praticata e diffusa, tanto quanto in altre parti del mondo.

18 Giugno – Avana

Notte turbata e insonne. Il tempo che ci resta è agli sgoccioli.

Alle 21.05 si vola per Madrid.

Paseo e Malecon, luoghi di un filo già intessuto. Al Paseo, si gode un piacevole refrigerio, ai lati del percorso pedonale alberi secolari dalle ampie cime, si adagiano fino a sfiorare terra, le panchine lungo il viale del Paseo sono punto attrattivo d’incontri, anche di gineteras, talvolta, che scrutano bene e con appassionata sensualità le loro prede.

E’ luogo ispiratore, tanto che Andrea fa scivolare appunti sul diario; è un momento di silenzio, un silenzio rispettoso che richiede di non essere interrotto. Flemmaticamente la gente cammina per il Paseo, Andrea scatta qualche clic a vispi bimbetti che hanno voglia di correre, di sfuggire alle tenaglie dei genitori e di sperimentare piccoli angoli di mondo, poi dal nulla si affaccia un giovane con un cartoncino in mano. E’ un disegno in lapis molto carino; ritrae noi abbandonati sulla panchina, una caricatura, lui si avvicina con candida maniera e dice: è vostro, non voglio niente, e se ne va. Sorpresi dal gesto, rifiutiamo in malo modo, lo rincorriamo per ridargli il disegno, ma riesce a seminarci. Il disegno rimane nelle nostre mani, lo riguardiamo con più attenzione: è davvero un ottimo lavoro!

Tra i tanti volti che si mescolano, uno in particolare, cattura la nostra attenzione: è un anziano signore dall’ aria serafica, è lì ad arrotondare la pensione smerciando noccioline avvolte in pagine bianche di quaderno a quadretti. Il suo nome è Marcellino, ha settent’otto anni, aspetto alquanto sereno, con calma serafica svela di essere in pensione da dieci anni. L‘ammontare della pensione è 249 pesos cubani, l’ equivalente di 10/12 Euro al mese.

E’ lì tutte le mattine.

Il tempo a l’ Avana, bussa alla porta. Restano poche ore prima del rientro in Italia.

Il taxi arriverà per le 18,00, in Oquendo.Gli ultimi minuti sono spesi sul parapetto del Malecon. Andrea “cade” su punti fissi; scruta tutto quello che gli è a tiro: Da nord del Malecon vede scorrere macchine, poche in verità; che si arrestano al semaforo rosso, (occasione ghiotta per la rotella – autostop) autostoppisti locali che scendono e immediatamente altri, avvicinarsi e salire contemporaneamente. Cosa che non suscita né stupore né gesti d’insofferenza in chi accoglie nella propria macchina qualcuno.

Talvolta, capita anche che siano gli stessi autisti che, si fermano e aprono le portiere per far salire gente a bordo. E’ un’isola così. La solidarietà è un tratto distintivo.Poi lo sguardo va al dì là dell’orizzonte e i pensieri vanno, vanno.Nello scorrere delle macchine, al semaforo, si ferma un autobus dal colore giallo intensissimo, sulla parte laterale porta un manifesto a carattere cubitale la cui una frase è:

UNO SPIRITO, UN POPOLO, UNA TERRA.

E’ propaganda, sono ideali e valori sentiti e condivisi?? Basta tutto ciò a tenere “buoni” il popolo cubano?

It’s time to go, unfortunately.

Il taxi è già in Oquendo. E’ il nostro. Tutto è pronto per andare all’ aeroporto. In strada ci sono Enrico e sua moglie, i parenti, i vicini e perfino una coppia di australiani conosciuti qualche giorno prima. E’ un momento vibrante.Il taxi è notevolmente malmesso: sedili che sprofondano, tappezzeria a pezzi, ruggine sparsa sulla carrozzeria. Però, pare essere perfettamente funzionate. L’estetica passa in secondo piano.Egli è un gentleman, an opening mind man. Si snoda fra noi immediatamente una piacevole empatia. Fa domande, ascolta, desidera sapere e sapere cosa pensiamo noi di Cuba, della gente di Cuba. I temi che prendiamo in mano riguardano la vita nell’ isola, crisi economica, lavoro povertà. Non conosce l’Italia, però gli piacerebbe visitarla. Quando gli chiediamo se un giorno andrà, lui risponde che con quella che guadagna, quindici Cuc al mese, da lunedì a sabato, occorrerebbero trent’ anni per realizzare un sogno simile.

E’ felicemente sposato, ha figli e nipotini. La famiglia e in particolare i nipotini costituiscono per lui un legame profondo. Diventa molto tenero quando parla di loro e lo esprime con gioia e belle maniere. Persona che vive del suo lavoro, onestamente.Consapevole delle scarse condizioni economiche, tuttavia non sembra ossessionato dal denaro.

La domenica è interamente dedicata alla moglie, ai figli e ai nipotini; un giorno trionfale per lui, glielo si legge negli occhi. Un bell’anziano. Sereno. Di sicuro umile e amato.Dopo trenta cinque minuti di percorso siamo all’aeroporto. Attesa di alcune ore. Pochissimi turisti, controllo passaporti. Paghiamo la tassa d’imbarco, 25 Cuc, a testa. Circa 50 Euro.

Sono le 21.95 si decolla per Madrid. Il 767 della compagna cubana si alza in volo.

Alle 10.50 del giorno 19 Giugno si atterra a Malpensa.

RILESSIONI DEL VIAGGIO

Cuba sta nel cassetto e nei pensieri di molti. Dei vacanzieri e dei viaggiatori. Andare lì è solo questione di tempo, del tempo che bussa e segna l’ ora. E’ così forse per i grandi viaggi, o per quelli che si ritengono tali. E’ un’isola che si dà, che ti viene incontro. Un’isola da canto delle sirene. Che fa sognare ancora chi è incline a qualche sogno.

Di essa, ci s’innamora facilmente. Chi ci mette piedi per la prima volta, ritorna. Non può farne a meno. E’ tale la potenza magnetica che “liberarsene” non è così scontato.Un viaggio che ci ha regalato emozioni e stupori, in ogni dove, da occidente a oriente, percorrendo circa 4000 chilometri, Dall’Avana a Santiago passando per Guantanamo e dalla mistica Baracoa , fino esplorare angoli di giungla. In ventidue giorni. Tra maggio e giugno.L’idea della paura, della minaccia, non abita qui. La gente per strada, nei locali, in ogni dove, getta lo sguardo negli occhi dell’altro, lo raccoglie come se fosse un filo da tessere. Pupille nere e sguardi profondi che accolgono, che ti fanno sentire della medesima specie umana. Non è forse una forma di profonda comunicazione e d‘ incontro? Questa costumanza da noi è da tempo sbrindellata. Le timide forme di vicinanza degli sguardi in occidente, sono ormai inquinati e divenuti segnali di inquietudine, di minaccia e di turbamento psicologico. Le relazioni, i rapporti, del resto anche da noi si pagano. E le paghiamo eccome, talvolta profumatamente e a qualcuno che ci ascolti, due mondi, due sistemi, ciascuno con le proprie antinomie.La natura, i ritmi, la musica, la luce fulgente fa di questa isola un paese “re sole” Un luogo in cui sperimentare passioni ed emozioni, è cosa naturale.Vivere quotidianamente accanto alla gente, nelle loro case, seppur disadorne, antiquate, che a prima vista scuotono, fa respirare un’effervescenza di relazioni e rapporti che fanno bene all’anima.E’ difficile darsi una risposta alla domanda, cosa renda intatta l’anima dei cubani, o cosa fa sì che non venga intaccata. Forse è l’ambiente il clima, la solarità, il carattere, l’entusiasmo o la tenacia innata. Tutte ipotesi, di sicuro, l’anima dei cubani è viva, non è ostaggio del “regime” Invece sì che i regimi, dell’ex area sovietica, latinoamericani e dei paesi a democrazia consolidata, in Vietnam, hanno turlupinato il tempo, la dignità delle persone rendendole anime morte, le cui conseguenze sono ancora tutt’ ora evidenti.Cuba è a seconda di come la si pensa, o una dittatura o un’esperienza sociale e di solidarietà “accettabile”, pur tra mille contraddizioni. Tuttavia è plausibile attribuire errori, forse molti, sia economici sia di strategia politica a chi ha gestito il potere in più di cinquant’anni, ma non si può tuttavia prescindere da un embargo economico e commerciale che ha avuto e ha un peso non indifferente nella morente economia cubana.

Forse un’altra domanda è lecito chiedersi: quale altro paese sarebbe resistito alla morsa e alle vessazioni di ogni genere che ha subito e subisce Cuba? Il grigiore ambientale di molte zone di Cuba , non appanna, né impedisce l’entusiasmo né frena la fantasia dei bambini che giocano a baseball in strada o in un cortile anonimo di una vecchia una scuola. Un misto di presente e passato in cui l’essenza del divertirsi e del stare bene ha come variabile indipendente l’oggetto, il mezzo con cui si creano situazioni piacevoli e di socialità.Il rapporto con le cose, con gli oggetti qui, non è ancora alterato, mantiene una sua spontaneità e naturalezza; ha ancora una funzione creativa e non di dipendenza. Le cose di cui dispongono i bambini cubani, fanno sì che il poco che hanno, acquisti senso valoriale e significato. Niente a che vedere con il materialismo bulimico e compulsivo dei bambini che vivono dall’altra parte dell’Oceano che tracimano di cose. M l’abbondanza di oggetti non rende loro certo felici e sani. Anzi. Fa crescere sì, ma l’insoddisfazione e la frustrazione, in genere, sostitutiva di relazionali affettive.

Le abitazioni di legno e lamiera, un po’ dappertutto, nelle città o nei pressi di Baracoa, non guasta o per lo meno non cancella “l’eleganza” e l’ umore delle persone, non scalfiscono il loro senso dell’ospitalità. Ospitalità che talvolta si mischia a opportunismo di qualche Cuc in più, ma non è un atteggiamento preminente. E’ antropologica disposizione la loro a essere così come sono.

Un popolo che sa ancora ridere, che esiste e resiste.

Cosa ci ha spinto a andare a Cuba? Il mito della rivoluzione?

Cosa c’è o cosa è rimasto di quell’ ’esperienza sociale e politica?

Cosa attrae, cosa richiama in quest’isola, pur tra mille contraddizioni, una moltitudine di occidentali? Una risposta possibile: è andare lì liberi e aperti ciascuno con le proprie convinzioni e idee. Solo così si conosce Cuba.

Cos’ è il viaggio…

Il viaggio è un dischiudersi alle esperienze, alle culture, alle visioni di altri mondi, il viaggio per alcuni in particolare, rende più percorribili le ambagi della vita. Restituisce senso, dilatamento e allontanamento dal “viaggio” per eccellenza. E’ ricerca di sé, bisogno di conoscenza e di comunicazione. Di trasmettere esperienze, emozioni da condividere.

E’ una sfida. E’ l’agone per rispondere alla solitudine degli uomini. Esso alimenta una stretta relazione fra il viaggiatore e lo spazio/tempo. Tutto si dispiega all’incognito. L’incognito che incanala energia, ci fa sentire pieni e vitali, tende alla sincronia tra sé e il mondo.Cuba “esige” per lo spirito che aleggia che vi si lasci un pezzo di cuore. Noi glielo abbiamo lasciato.



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