In Umbria
Vediamola in positivo, chissà come sarà spettacolare il paesaggio umbro coi colori dell’autunno.
La prima tappa è Terni, che, nonostante non rappresenti certo lo scrigno dell’Umbria,è la nostra meta.
Cerchiamo infatti la scultura di Arnaldo Pomodoro, la “Lancia di luce”,che Mario ha contribuito a fondere, e di ciò va fiero. Infatti, man mano che ci avviciniamo a Terni, cambia umore, è tutto ringalluzzito e magnifica ad un’attonita e distratta compagna di viaggio le meraviglie dell’acciaio “cortèn”. Io mi fingo interessata e mal me ne incoglie, perché lui si lancia in un’appassionata interpretazione di questa piramide affusolata, simbolo della lotta dell’uomo contro la materia informe che viene piegata fino a raggiungere la levigatezza della cuspide, sintesi suprema della titanica lotta. Mi aspetto un mirabile compendio fra la piramide di Cheope e l’obelisco di Luxor, invece, vicino a piazza del Popolo,scorgo, in una piazzetta semisoffocata dai caseggiati, una scultura che rassomiglia alla meraviglia descrittami solo nella struttura, ma è opaca, spenta, non mi trasmette alcuna emozione.
Taccio per prudenza mentre Mario saltella qua e là accarezzando voluttuosamente l’ammasso metallico; poi,accortosi del mio silenzio eloquente,mi lancia un’occhiata obliqua e mi sibila che la giornata è uggiosa, chissà invece col sole. E poi, è alta trenta metri! E quei segni sulla base, li ho fatti io! Nessuno sa fondere pannelli così grandi! Sarà, ma a me pare tutta lamiera.
Scattiamo le foto che testimonieranno ai posteri il memorabile evento, poi, visto che il centro storico è un’isola pedonale ed è già tardi, ci dirigiamo a Todi.
Qui ci aspetta una sorpresa:Todi, che sorge su un’altura a 400 metri sul livello del mare, si raggiunge con l’ascensore! Lasciata la macchina al parcheggio, saliamo, non senza qualche preoccupazione da parte mia, su una specie di funivia. Il viaggio dura pochi minuti :arriviamo al Belvedere e restiamo stupefatti ad ammirare le morbide colline della valle del Tevere, suggestive nella luce autunnale.Subito dopo,ci incamminiamo su per la stretta strada che conduce alla basilica di San Fortunato. Tutto qui è in salita, anche la basilica si trova alla sommità di una scalinata interrotta da una specie di giardino pensile.
All’interno, visitiamo velocemente la tomba di fra Jacopone, ma abbiamo fretta di arrivare alla famosa piazza del Popolo,anche perché,inutile negarlo,la stanchezza comincia a farsi sentire. Ammiriamo così la prima delle tante piazze che vedremo, tipicamente comunale, con tutti i principali edifici pubblici : il Duomo , il Palazzo dei Priori e quello del Capitano del Popolo.E’ quasi buio, perciò camminiamo lungo le stradine medioevali del quartiere di Santa Prassede,poi raggiungiamo Perugia, dove abbiamo prenotato la stanza.
Lungo il tragitto è doveroso fermarsi a Deruta ed acquistare un piatto di ceramica.
Perugia di notte mi sembra la montagna del Purgatorio, avvitata su se stessa con le strade che salgono a spirale:non oso pensare a quello che succederebbe se imboccassimo un senso unico, ma per fortuna Mario è un autista di prim’ordine e quindi arriviamo indenni all’albergo dove depositiamo i bagagli per poi uscire, finalmente, a cena.
Con il solito ascensore arriviamo in centro ed entriamo trionfanti nel ristorante “Il Sole” dove perdiamo ogni freno inibitore ed assaporiamo la zuppa di fave e i fagioli con le cotiche,innaffiati da un vino “ecologico” di 13 gradi. Io assaggio anche un dolce caratteristico delle festività di Ognissanti: si tratta di semplice pasta fredda condita con cioccolato .
Accaldati ed allegri, ritorniamo in albergo:fortunatamente nessun vigile in appostamento col temuto esame del palloncino: sarebbe esploso! sabato 2 novembre Il programma di oggi è decisamente impegnativo: andremo a visitare la magica Assisi.
Ormai abbiamo capito l’antifona, perciò parcheggiamo e saliamo a piedi per raggiungere la Basilica:vogliamo proprio vedere i restauri della cupola crollata durante il terremoto.
Non sono ancora le nove : la cittadina appare sonnolenta e silenziosa,e la luce del mattino ammorbidisce il bianco e il rosa del calcare impiegato per le costruzioni:osserviamo che nella facciata della basilica di Santa Chiara, in cui sono conservate le sue spoglie, è accentuata questa bicromia.Scattiamo qualche foto, ammiriamo il panorama ma siamo freddi, nessuno di noi avverte un fremito di emozione, un palpito di spiritualità : siamo davvero così sordi al richiamo mistico della “città della pace” ? Chissà, forse nella Basilica di San Francesco.
La sorpresa arriva quando invece di una basilica ne vediamo due,una sopra l’altra! Si materializza dal nulla una folla oceanica ma riusciamo ad entrare nella basilica inferiore,la cui scarsa illuminazione fa paradossalmente risplendere gli affreschi delle volte a crociera: il tempo di un’occhiata poi,disciplinati e in fila per due, scendiamo nella cripta dove ,in un’urna di pietra, sono conservate le spoglie del Santo. L’afa è soffocante; la processione ininterrotta non consente un attimo di raccoglimento; l’odore dei ceri si amalgama a quello dei mille respiri, l’invito al silenzio diffuso dall’altoparlante mi inquieta: altro che pace, non vedo l’ora di uscire all’aria aperta. Saliamo speranzosi verso la Basilica superiore, ma ci attende una brutta sorpresa: la folla oceanica, che ora si rivela frantumata in migliaia di persone con un cartellino appuntato sul petto, è qui per un convegno quindi possiamo solo dare una sbirciata agli affreschi di Giotto e Cimabue e alla ferita degli spicchi intonacati di bianco della volta offesa dal crollo.
Non si può entrare, ma nemmeno uscire! Fendendo la folla scendiamo per i vicoli dove nel frattempo sono state aperte decine e decine di negozi e botteghe, in una delle quali ci fermiamo a comprare una terracotta : ecco, siamo diventati turisti, i conti tornano! Il silenzio di stamattina era fasullo, era la bonaccia che precede l’uragano: non è qui che dobbiamo cercare la spiritualità di San Francesco. Ci avviamo un po’ delusi verso Spello, un antico borgo collinare che raggiungiamo, come al solito, dopo una ripida salita. C’è poca gente, i nostri passi risuonano sul selciato, non abbiamo nessuna voglia di rompere questo silenzio così denso e fortemente voluto, dopo il chiasso di Assisi.Entriamo nella chiesa di Santa Maria Maggiore, buia e fredda, ci avviciniamo alla cappella Baglioni, sulla sinistra, inseriamo un euro in una fessura predisposta e…Si accende la stupefacente bellezza degli affreschi del Pinturicchio Io mi incanto davanti all’Annunciazione: i particolari sono così minuziosi che posso distinguere i fili d’erba nell’orto di Maria e gli stami del giglio che tiene in mano mentre il volto assorto del pittore autoritratto mi scruta ironico dall’abisso dei secoli. La scena è mossa e i colori brillanti dopo il restauro:non sappiamo staccarci dal dipinto, ha una forza inimmaginabile,forse perché inaspettato, o perché inserito in un contesto dimesso…Mario si fionda in sacrestia a comperare un libro ed io non oso fermarlo, nonostante il prezzo. L’esteta che c’è in lui ha preso il sopravvento:l’emozione è tale che non riesce a parlare, sfoglia le pagine patinate e mormora, quasi a giustificarsi, che proverà a riprodurre qualche elemento dell’affresco: io so che non oserebbe mai, vuole il libro perché osservare quelle figure è un piacere in sé, fonte non dell’ispirazione di un pittore dilettante ma di consolazione in qualche momento difficile. La prossima meta è Spoleto, ma sulla strada,che si snoda fra colline ammantate di ulivi,i nostri occhi ,che a quest‘ora vedono solo ciò che lo stomaco impone, indugiano sull’invito a partecipare alla “festa dell’olio” , di cui, a quanto pare, Trevi è capitale.
L’atmosfera è da festa paesana: piccoli tavoli, gazebo ,bruschette e carpaccio di chianina per esaltare il sapore dell’olio che puoi acquistare nel frantoio attiguo.Non ci facciamo pregare e facciamo onore alla tavola, per poi osservare da dietro una vetrata (è permesso durante la raccolta delle olive, da ottobre a dicembre) la lavorazione di questo frutto che, senza sofisticate manipolazioni, diventa profumatissimo olio verde e denso che acquistiamo senza indugio.
Io penso alle ricette mentre Mario si affanna vanamente a spiegarmi il funzionamento delle macchine.
Poco più avanti un discreto cartello giallo ci informa che siamo nei pressi delle fonti del Clitumno che io, spinta da carducciane memorie, voglio visitare: mi aspetta poco più di un modesto parco cittadino, ampliamente manipolato dall’uomo che ha costruito un ponticello” giapponese” in mezzo al laghetto. Chissà, nei secoli passati doveva rappresentare un’oasi di frescura e di pace, ma adesso dà la sensazione di artefatto e quindi non trasmette niente.
Arriviamo finalmente a Spoleto,ma ormai siamo abituati alla fisionomia delle città umbre perciò saliamo un po’ rassegnati nel centro storico, che visitiamo coscienziosamente ma senza particolari emozioni. Raggiunta la macchina, ci interroghiamo su questo momento di stanca :dopo qualche incertezza,Mario si illumina e, con l’aria giubilante che doveva aver avuto Archimede al momento del famoso “Eureka”, esclama che bisogna dare una brusca sterzata al nostro viaggio e infatti inchioda la macchina, cambia direzione e va a Norcia, paradiso dei ghiottoni e dannazione dei maiali e dei vegetariani.
Bisogna pur darsi una parvenza cultural-naturalistica quindi ci addentriamo nell’aspra val Nerina ammirando le pareti scoscese e i colori del bosco autunnale.
Norcia ci accoglie in fondo alla vallata ,e non dobbiamo arrampicarci per approdare nella piazza principale dedicata,ovviamente, a San Benedetto. Chissà perché questa è terra di Santi: forse la natura impervia e selvaggia di un tempo, e il conseguente isolamento, rendeva più inclini alla meditazione e all’ascetismo, ragioniamo noi, comodamente seduti ai tavolini all’aperto del bar in piazza, sorseggiando l’aperitivo.
Il corso principale, che inizia dalla piazza, ci attrae come una calamita perché sembra condurre al paese del Bengodi: file di salamini appesi, teste di cinghiale imbalsamate e un po’ macabre, vetrine rutilanti di pecorini e caciotte, prosciutti e salami, barattoli di vetro con i preziosi tartufi, montagne di funghi porcini essiccati, amorevolmente accarezzati da commessi in camice bianco che ne declamano le meraviglie in quel loro dialetto gutturale, splendido per le nostre orecchie padane.
La nostra resistenza dura un amen : marciamo all’interno del “Moscatelli tartufi s.R.L.” e ci abbandoniamo ad una spesa allucinante. Compriamo anche due “Cojoni di mulo” dopo essere stati rassicurati che il nome è dovuto alla forma dei salami, non al contenuto, che è puro suino con un cuore di lardo, declama con una sonora risata il norcino a me, sbigottita ma testarda acquirente che vuol sapere quello che mangia. Ci piacerebbe fermarci a cena qui, ma è presto e non oso pensare a quello che compreremmo ancora, se andassimo in giro a zonzo.
Meglio tornare a Perugia ; ceniamo al ristorante “La Rosetta” che è in centro e quindi, dopo cena, una passeggiata lungo lo splendido corso Vannucci ,vivace ed animato. Ormai la giornata è all’insegna della gola, quindi non mettiamo freno alle inibizioni e ci concediamo una tavoletta di cioccolato al latte: siamo o no nella città dei baci Perugina? La città merita una visita più seria ,pungola la voce della nostra assopita coscienza ,ed è quello che ci ripromettiamo di fare domattina, borbottiamo, sfiniti ma appagati, ritornando in albergo.
domenica 3 novembre Eh sì, domani si lavora! Dedicheremo quest’ultima mezza giornata a visitare, finalmente, Perugia di giorno perciò,di buon mattino, ci congediamo dal portiere dell’albergo. Visto che l’oroscopo è favorevole, e il traffico mattutino scarso, decidiamo di commettere un’infrazione e saliamo con la macchina fino alla piazza IV novembre: i cartelli sono minacciosi, possono salire solo i clienti degli alberghi, ma per l’appunto noi ieri sera abbiamo cenato al ristorante Rosetta dove possiamo aver dimenticato… il cellulare che adesso andiamo a riprendere.
Prepariamo la scusa con scarsissima convinzione, osservando mestamente il ristorante chiuso, tanto sappiamo benissimo che nessuno di noi sarebbe capace di mentire ad un vigile che potremmo, tutt’al più, cercare di impietosire fingendoci distratti turisti.
Invece non c’è nessuno in giro.
La piazza è bellissima,con il Palazzo dei Priori e la Fontana Maggiore, ornata dalle sculture di Nicola Pisano . Abbiamo poco tempo: una capatina alla cioccolateria del corso per i regalini, poi alla macchina. Iniziamo la discesa e paghiamo il fio del nostro azzardo, perché Mario sbaglia ad imboccare la strada e finisce in un parcheggio sotterraneo, da cui sbuchiamo solo dopo aver pagato una cifra folle per una “sosta “ di tre minuti Quando arriviamo a Gubbio incomincia a piovigginare. La città ci sembra più ripida e severa delle altre, ma, in realtà, sono le nostre gambe di gente di pianura a rifiutare un altro passo in salita e seguono il suggerimento degli occhi distratti che leggono il cartello “funivia”.Così veniamo puniti, perché la cabinovia, cui arriviamo dopo un lungo giro, sale al monte Ingino e in città si va a piedi , calpestando un tappeto rosso steso non per deferenza ma per non far scivolare i passanti sul selciato viscido ( ce ne renderemo conto scendendo).
L’imprevisto percorso ci fa apprezzare l’intatto aspetto medioevale della città; osserviamo , accanto alla porta principale di alcune antiche case, una porticina murata, la cosiddetta “porta del morto”, dalla quale gli Etruschi facevano uscire le salme dei defunti, che veniva subito murata affinchè la morte non potesse rientrare da dove era uscita. Il Duomo e il Palazzo Ducale si fronteggiano in una piazzetta che sarà larga dieci metri:va bene che qui più che altrove lo spazio è tiranno, ma chi soffre di claustrofobia o ha l’affanno come fa? -C’è sempre l’equivalente della rupe Tarpea, da cui avranno scaraventato quelli come noi,-commenta cupo il mio accompagnatore sporgendosi perplesso dalla balaustra , ma più probabilmente dev’essere questione di abitudine, concludiamo mentre ci viene incontro una vecchietta che affronta con passo elastico la salita.
Lungo la viuzza che conduce in piazza della Signoria ci fermiamo ad ammirare una minacciosa balestra che, con altre diavolerie guerrafondaie dei secoli bui, fa bella mostra di sé nella sede dell’associazione eugubina dei balestrieri.
La piazza è stranamente ampia: vi si affacciano il Palazzo Pretorio e il Palazzo dei Consoli, in cui però non entriamo perché siamo in ritardo sulla tabella di marcia , e poi ha ripreso a piovere più forte: meglio tornare al parcheggio.
Prima di ripartire ci fermiamo un attimo a fare il punto: dovremmo visitare Arezzo, ma ci sembra una città degna di un’attenzione meno superficiale e distratta di quella che potremmo offrirle adesso e, poi, temiamo il traffico:insomma imbocchiamo la superstrada per Cesena e, da lì, facciamo ritorno a casa.