In Thailandia…passando per Singapore

L'Asia è una meta da sogno, soprattutto per chi non c'è mai stato prima in vita sua! Per la nostra “prima volta” decidiamo di buttarci sul fai-da-te e optiamo per una bella maratona di venti giorni, tra febbraio e marzo. Avente come prima tappa Singapore, quindi un tour della Thailandia che comprenda il mare di Phuket, la capitale e...
Scritto da: warren
in thailandia...passando per singapore
Partenza il: 18/02/2008
Ritorno il: 10/03/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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L’Asia è una meta da sogno, soprattutto per chi non c’è mai stato prima in vita sua! Per la nostra “prima volta” decidiamo di buttarci sul fai-da-te e optiamo per una bella maratona di venti giorni, tra febbraio e marzo. Avente come prima tappa Singapore, quindi un tour della Thailandia che comprenda il mare di Phuket, la capitale e l’estremo nord.

Per chi si reca in Asia e ha in mente uno stop-over, Singapore è una meta consigliatissima, soprattutto per vedere una metropoli asiatica assolutamente atipica. Per il volo scegliamo Singapore Airlines. Dicono che sia una delle migliori compagnie aeree e non posso che confermare: servizio impeccabile e un sacco di film/giochi per passare il tempo (con schermo personalizzato per ogni passeggero!) Il primo contatto con il suolo, soprattutto per un italiano, rischia di essere traumatizzante: l’aeroporto più ordinato, pulito e silenzioso del mondo. Modernissimo, con la moquette sul pavimento e piccole foreste di palme piantate qua e là in mezzo ai corridoi e alle sale d’attesa… Il mezzo di trasporto ottimale per Singapore è l’efficiente metropolitana. Arriva ovunque in poco tempo, è facile da usare, puntuale, comoda e linda. Parte direttamente dall’aeroporto, tra l’altro! Certo è un po’ straniante essere circondati da giovani asiatici muniti di cellulari fantascientifici e le onnipresenti mini-consolle portatili, ma ci si abitua! Abituati come siamo ad essere sempre circospetti, quando ad un certo punto abbiamo visto un anziano signore che continuava ad indicarci e parlarci con insistenza abbiamo fatto inizialmente finta di niente…Per poi capire che voleva avvisarci che era meglio se scendevamo dal treno se non volevamo fare il giro in tondo e tornare in aeroporto! Per il pernottamento si può andare all’avventura. Va detto che Singapore non ha standard asiatici per i prezzi, che anzi sono simili a quelli occidentali. Alla fine, dopo una prima notte all’addiaccio in un certo Hotel Tropical (simpatici e gentili i proprietari, camera minuscola. Non c’era materialmente spazio per aprire una valigia…Tutto sommato un’esperienza divertente!), abbiamo optato per il confortevole Perak Hotel a Little India. In ogni caso la città è ricchissima di offerta alberghiera, e chi sa adattarsi può trovare prezzi ragionevoli…Basta ricordarsi che è consuetudine lecita chiedere di vedere la camera prima di decidere di pernottare.

Le cose da fare e da vedere a Singapore sono molteplici. Ma la cosa più bella è girare e vivere la città, per ammirare tutto ciò che un crocevia di tante culture differenti può generare.

Da ammirare sono sicuramente i quartieri, Little India, Arab Street e Little China su tutti, con i negozietti, le strade fitte di bancarelle, i centri commerciali, i templi e i ristoranti. Tanti colori e sapori che si mischiano tra di loro e contribuiscono, poco a poco, a farci entrare in sintonia con un vero e proprio mondo parallelo. Poco prima del tramonto poi si può fare un giro dalle parti della zona commerciale, con il porto, gli hotel coloniali e i grattacieli. Lo spettacolo delle luci che si riflettono sulla baia è molto bello. Bella anche la zona del fiume costellata di locali e ristoranti di tutti i tipi, da non perdere! (da perdere invece la riva con i procacciatori di clienti, unico posto dove li abbia visti a Singapore) Per il lato squisitamente commerciale, ovviamente la tappa obbligatoria è Orchard Road. Anche qui il consiglio è di lasciar perdere quelli più chic ed “occidentali” per dirigersi invece in quelli più modaioli e giovani (uno dei più famosi è il mitico “Far East Plaza”), impagabili anche solo per osservare la “fauna” locale all’opera nello sport preferito in questa zona: lo shopping selvaggio. I centri commerciali qui non sono negozi, sono veri e propri ecosistemi, “città nella città” e contengono fumetterie, gadgetterie, fast food, ristoranti, parrucchieri e cinema.

Orchard Road è impagabile anche durante la sera, quando la varia umanità esce per la vita mondana. Qui vale la pena anche solo sedersi su una panchina ed osservare, sorseggiando una bibita, la variopinta moltitudine di gente.

Per quel che riguarda il cibo non ha quasi senso consigliare qualcosa. Ovunque si trovano ristoranti e bancarelle per tutti i gusti e le tasche. In Orchard Road, almeno una volta, è d’obbligo recarsi a Food Republic, dove si possono assaggiare praticamente tutte le cucine asiatiche! Certo, il motto in questo caso è “provare, provare, provare”. Scoprire gusti nuovi vale il rischio di vedersi serviti pietanze dal dubbio aspetto e dalla dubbia provenienza (ed in effetti un brodino vagamente inquietante l’ho lasciato quasi intatto…Soprattutto dopo che m’ha guardato male…) In Little India troviamo qualcosa di curioso: un locale dove servono esclusivamente piatti “fast-food” di cucina indiana. Un vero e proprio “Mc Donald’s” indiano, con tanto di tovagliette, bicchieri e camerieri griffati…

Una metropoli strana, piena di gente ma tranquilla, finta e vera allo stesso tempo (con tutte le connotazioni che i due termini possono avere…) una città atipica, governata da un coacervo di regole che più che imposte paiono a tratti auto-imposte, un insieme di culture affascinante…Tutte queste caratteristiche fanno capire la straordinaria unicità di Singapore e come si debba una volta nella vita vivere l’esperienza della metropoli asiatica.

Dopo tre giorni a Singapore, voliamo finalmente verso l’agognato mare di Phuket con una compagnia low-cost locale, Tiger Airways, affidabile, spartana e puntuale.

Phuket è sicuramente un posto da saper prendere. Accetando la presenza di alcune brutture, si potrà andare in cerca a cuor più leggero delle cose belle! Il primo dubbio sicuramente è su dove alloggiare e su cosa cercare.

Se non si è proprio amanti del turismo becero, ovviamente bisogna evitare l’insulsa Patong, ormai purtroppo schiava e preda del turismo di massa, in tutte le sue accezioni più negative.

Per le prime notti scegliamo il Bang Tao Lagoon Bungalow sulla spiaggia di Bang Tao, uno dei luoghi meno battuti e più tranquilli dell’isola, nonostante l’estrema vicinanza con l’aeroporto. I prezzi erano abbastanza bassi dato che purtroppo doveva ancora riprendersi dagli effetti dello tsunami. Il posto è magnifico, soprattutto per la tranquillità e la riservatezza. La sera basta fare pochi passi in spiaggia e si arriva a vari locali che cucinano delizioso pesce appena pescato a prezzi veramente irrisori! Nel dopocena, è irrinunciabile una sosta al baretto dei rastamanni thailandesi (non per moda ma per filosofia): una casetta/capanna di legno e qualche panchina in riva al mare circondati dal buio e dal suono delle onde…Uno di quei piccoli momenti in cui ci chiediamo: chi ci obbliga al ritmo frenetico della nostra vita occidentale? La sera anche presso i bungalow l’atmosfera era impagabile, con l’unica illuminazione di grandi lanterne appese alle palme sulla spiaggia e per accompagnamento il gracidio di numerose ranocchie.

Dopo i primi giorni di relax, decidiamo di scoprire le spiagge del nostro versante, sicuramente meritano una capatina Karon e Kata Beach. A Karon abbiamo soggiorniamo in un altro hotel, il “Whale Hotel” (il nome deriva dal curioso arredamento a tema “baleniero”), sicuramente l’atmosfera non era all’altezza del Bang Tao, ma la gentilezza dello staff non si discute.

Per spostarsi, se non si ha un mezzo proprio, a Phuket potete optare per il taxi o per una specie di furgoncini rossi, che non sono propriamente tuk-tuk e vi portano ovunque guidando come pazzi. Sono ovunque e sempre prontissimi ad offrire i propri servigi e da quel che abbiamo capito controllano una specie di “racket” dei trasporti, tanto che sull’isola non esiste alcun tipo di trasporto pubblico funzionante! Ovviamente contrattare è d’obbligo…

Per lo shopping Phuket è il regno del “tarocco”, trovate ovunque negozietti e bancarelle con qualsiasi cosa più o meno falsa, c’è anche un grande mercato coperto tra Kata e Karon dove regnavano incontrastate le “casuali imitazioni” di qualsiasi marca esistente sui mercati occidentali (ma un po’ fa sorridere parlare di “falsi”, quando la maggior parte delle stesse marche produce tutto proprio in Asia…) Oltre al mare, merita sicuramente una capatina il Gibbon Rehabilitation Centre, situato all’inizio di una foresta situata al centro dell’isola. Non è una meta particolarmente battuta, ma se date le indicazioni giuste al tassista non avrete problemi a raggiungerlo. Il centro, gestito esclusivamente da volontari e non finanziato dal governo, si occupa del recupero dei gibboni strappati alla loro vita selvaggia per essere usati come attrazione turistica e del tentativo di reinserimento nella giungla. Questi poveri animali spesso hanno subito maltrattamenti di ogni genere per poi finire abbandonati. Vedere come lavorano queste persone e avere ulteriore conferma della crudeltà degli uomini è un qualcosa che può servire: ricordatevi di non accettare mai di posare per una “simpatica foto” con la scimmietta e, anzi, di denunciare se possibile ogni possibile maltrattamento di cui sarete testimoni. Per l’occasione si può fare un po’ di semplice trekking nella giungla, sperando di scorgere qualche animale. Noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare mamma gibbone con il cucciolo in braccio, è stata una delle esperienze più emozionanti dell’intero viaggio. E’ d’obbligo comprare un bel po’ di souvenir al centro, sono carini, costano poco e sono uno dei pochi sostegni finanziari. Tirando le somme: Phuket è un bel posto, che va vissuto nel modo giusto e va capito inserendolo nel suo giusto contesto, senza aspettarsi il “paradiso in terra” e senza indignarsi troppo per le sue contraddizioni! Meta successiva è la mitica Phi Phi Island, isola resa celebre dal film “The Beach”, interpretato dal bel Leonardo Di Caprio che, reduce dai ghiacci che affondarono il Titanic, probabilmente aveva voglia di un po’ di sole.

In realtà “Phi Phi Island” non esiste, dato che con questo nome si identificano due isole distinte: Phi Phi Don e Phi Phi Leh. La prima è quella abitata, la seconda è la location del famoso film. Per chi -come noi- non ama imprigionarsi negli alberghi alla “occidentale” (ma sarebbe meglio dire all’americana), ma allo stesso tempo non punta a dormire sulla spiaggia col sacco a pelo, esiste il connubio perfetto che si chiama Tropical Garden Hotel: una serie di bellissimi bungalow immersi nel verde alle pendici di una collina centrale dell’isola. Di notte è un posto fenomenale, buio e silenzio interrotti solamente dai rumori del bosco e dal gracidio incessante delle ranocchie. Non dimenticate la zanzariera, ovviamente! Per girare le spiagge di Phi Phi Don è obbligatorio il noleggio di una cosiddetta Long Tail, barchetta a motore guidata da abitanti del posto. L’abbiamo capito quando, il primo giorno, cercando di fare un giro a piedi, abbiamo rischiato di perderci in mezzo agli scogli e ai flutti… Una spiaggia memorabile è stata la cosiddetta Monkey Beach. Come si potrà intuire dal nome, è caratterizzata dal fatto che durante il pomeriggio scende in spiaggia un gruppo di scimmiette scatenate pronte a farsi offrire banane e pannocchie e -all’occorrenza- a sottrarre senza scrupoli cibo e lattine ai turisti imbambolati.

Il secondo giorno di permanenza, di primo mattino, partiamo per Don con il nostro barcaiolo di fiducia. La traversata è decisamente “avventurosa” (impossibile non infradiciarsi tra onde e flutti) ma pure decisamente divertente. Quest’isola disabitata ci ha -per un momento- portato faccia a faccia con il disastro del 26 dicembre 2004. Infatti il barcaiolo ci ha lasciati un po’ distanti da riva, per permetterci di fare snorkeling tra i banchi (splendidi) di pesci. Vedere rocce gigantesche divelte dalla forza del mare e rigettate sul fondo come fossero sassolini è stato il modo più diretto di comprendere la devastazione, che anche a Phi Phi ha preteso una cifra molto alta di vittime. Vedere dei piccoli anemoni colorati ricresciuti sulle rocce martoriate ha invece dato un po’ di speranza per il futuro.

[piccola postilla: uno dei ristoranti più rinomati di Phi Phi Don è italianissimo e si chiama “Ciao Bella”. E’ stato completamente distrutto dallo Tsunami e quindi ricostruito dai proprietari, che hanno pure scritto un libro sull’evento. Di ritorno a Don, in attesa del traghetto che ci avrebbe riportati a Phuket, abbiamo vissuto una delle esperienze più intense dei venti giorni di viaggio: nel giro di dieci minuti è iniziata una violenta tempesta tropicale. Le stradine sono diventate fiumi e l’acqua arrivava alle caviglie… Tutto questo un’ora prima del traghetto, con il particolare di dover trasportare chili di valigie dal bungalow (in collina) al porto. In un isola senza strade e automobili…

Fortuna che ci ha aiutato un solerte ragazzo armato di carrello da battaglia, premiato infine con una mancia casuale (sotto la pioggia ho allungato la prima banconota che ho trovato. Potevano essere pure soldi del monopoli…) Insomma, non abbiamo visto né piantagioni di droga nascoste, né mercenari assassini, né squali sanguinari, quindi Danny Boyle probabilmente ha esagerato. Ma abbiamo vissuto un’esperienza con una bella dose di fai da te, per godersi al meglio tutte le possibili sfumature del viaggio, uragani, scimmie e dialoghi paradossali con conduttori di Long Tail compresi! Dopo la scorpacciata di mare, è il momento di scoprire il nord del paese, quello che spesso viene definito come la “vera Thailandia”. E devo ammettere che, mentre il mare è capace di divertire e rilassare, il nord può rubarti il cuore.

Il volo ci porta a Chiang Mai, la cui zona è considerata il cuore spirituale del paese. Pensate che solo questa cittadina conta, dentro e fuori le mura, più di trecento templi! Anche qui trovare una sistemazione è relativamente semplice. La zona è il regno delle guest-house, capaci di offrire un tetto adeguato a tutti i tipi di tasche! Le attività più gettonate sono: il pellegrinaggio tra i templi, l’esplorazione di negozi, botteghe e ristorantini e il classico massaggio thailandese.

La scoperta dei templi, e quindi della spiritualità e dello straordinario rapporto che essa ha con la vita delle persone, occupa gran parte dei nostri primi giorni. In ogni tempio è facilissimo trovare monaci buddisti i quali, spesso molto giovani, provano grande piacere nel soffermarsi a spiegare ai turisti i principi della loro religione e il significato di statue e simboli altrimenti incomprensibili. Parlare con questi ragazzi è un’imperdibile esperienza di arricchimento personale, sia per noi che per loro.

Una cernita è obbligatoria (come detto, parliamo di centinaia di luoghi di culto), ma imprescindibile è la visita, appena fuori città, al Wat Pra That, magnifico tempio situato sul monte Doi Suthep. Al termine di una lunga scalinata, vi troverete al cospetto di uno dei luoghi più sacri di tutta l’Asia, impreziosito da un panorama mozzafiato.

Se avete voglia di un massaggio, il problema potrebbe essere la scelta ampissima. Qui il consiglio è di fare prima un bel giro per rendersi conto della differenza di qualità e prezzi e poi…Buttatevi! In ogni caso sarà un’esperienza impagabile.

Per quel che riguarda lo shopping, è d’obbligo fermarsi una domenica per assistere alla Sunday Walking Street. Dal tardo pomeriggio fino a notte, le strade del centro sono invase da artisti, saltimbanchi, bancarelle piene di oggetti, vestiti, spezie e cibo d’ogni tipo. I prezzi sono talmente allettanti che rischierete seriamente di dover comprare un’altra valigia per il viaggio di ritorno! Chiang Mai è il nostro punto di partenza per scoprire il cosiddetto “triangolo d’oro”, la fertilissima zona compresa tra Thailandia, Laos e Myanmar. Per affrontare l’avventura, ci affidiamo ad un tassista, guida e factotum locale, il quale inizia a scarrozzarci per la zona, un po’ su nostra indicazione, un po’ a sua discrezione.

Quale modo migliore per visitare luoghi quali le maestose grotte di Chiang Dao, al seguito di una signora munita di antidiluviana lampada ad olio, capace di illuminare qualche porzione di caverna, mentre il resto è coperto dal buio totale? In zona facciamo un incontro ravvicinato con gli elefanti, animali meravigliosi che da tempo stanno perdendo la loro storica funzione sociale, sostituiti spesso da macchine più economiche. Se volete fare un giro su questi delicati pachidermi, accertatevi -nel limite del possibile- che nel centro da voi scelto non subiscano maltrattamenti.

La nostra esplorazione del nord continua, e mentre la nostra guida-tassista (che, nella foga da gita, s’è portato dietro anche la figlioletta) ci racconta i più disparati aneddoti, intorno a noi ammiriamo interminabili paesaggi bucolici, alternati da vegetazione rigogliosa.

Nel nord, la venerazione e il rispetto per la figura del re e della sua famiglia sono palpabili. E’ infatti con somma gioia che la nostra guida ci porta fino al monte Doi Tung, dove si trova la residenza estiva dell’amatissima Regina Madre Srinagarinda. Abbiamo così l’opportunità di conoscere una figura storia straordinaria, che per tutta la vita si batté per i diritti delle fasce più deboli e per la salvaguardia delle tradizioni e della natura. La stessa residenza, che assomiglia incredibilmente ad un cottage svizzero, fu costruita con lungimiranza, per promuovere la pace in una zona all’epoca turbolenta e per incentivare colture differenti da quella dell’oppio. Addirittura si usarono quasi esclusivamente materiali di recupero, per non abbattere gli alberi indigeni.

Il viaggio continua e tocchiamo ormai l’estremo nord del paese, il cui confine è segnato dall’unico passaggio su strada tra Thailandia e Myanmar: la cittadina di Mae Sai.

Il paese è la classica “terra di confine”, dove si ha l’impressione di poter comprare qualsiasi cosa al suo giusto prezzo. Il settore più fruttifero pare essere il commercio di pietre preziose, soprattutto rubini, provenienti grezzi da oltre confine e lavorati e venduti in Thailandia. Insomma, se avete intenzione di comprare gioielli di qualsiasi tipo (e avete occhio per i veri affari…), Mae Sai è il posto che fa per voi.

Ormai giunti al nord estremo, manca solo l’irrinunciabile giro in barca sul Mekong che, ammettiamolo pure, è la classica tappa da usare per dire “ci sono stato”! Il giro è caratterizzato anche da una particolarità: dato che il Mekong è confine naturale tra i tre stati del triangolo d’oro, basta passare alla riva opposta per trovarsi fisicamente nel Laos, cosa che puntualmente facciamo per poter aggiungere una tacca virtuale ai paesi visitati! Il bel giro si conclude presso un gigantesco Buddha dorato, moderna attrazione per i tanti fedeli della zona, dove rincontriamo la nostra guida con figlia a seguito e ci concediamo un gelato corroborante prima di ripartire per Chiang Mai.

Dopo l’overdose di natura e tradizioni, la meta successiva non potrebbe essere più differente: da Chiang Mai infatti partiamo per la capitale Bangkok.

Voliamo, come in precedenza, con l’efficientissima Air Asia, compagnia low cost che unisce la praticità e la convenienza ad un numero incredibile di voli e coincidenze.

Il primo contatto con Bangkok è quasi traumatico. Dalla tranquillità del turismo zaino-in-spalla, fatto di guest house e bancarelle, veniamo catapultati in una vera, frenetica, puzzolente, affascinante metropoli asiatica: una moltitudine di persone che vivono circondate da immensi palazzi, un tripudio di traffico tra automobili, taxi, biciclette, tuk-tuk ed elefanti! Più che una città, sembra un formicaio ed assomiglia alle metropoli immaginate da film come Blade Runner.

Va detto che il trasporto pubblico non è nemmeno paragonabile alla semi-perfezione riscontrata a Singapore. Non tanto per la qualità, quanto perchè la maggior parte dell’agglomerato urbano è tagliato fuori dalla metropolitana e dall’avveniristico Sky-Train. Il mezzo migliore per visitare le meraviglie della città vecchia è sicuramente il battello, che funziona come un vero e proprio autobus.

Fermata obbligatoria sono ovviamente il palazzo reale e il maestoso tempio Wat Phra Kaew, in una zona che da sola riesce a fondere le due principali peculiarità del popolo thailandese: la venerazione per la famiglia reale e il forte legame con la religione e la spiritualità.

Data la sacralità del luogo, è importante attenersi alle severe regole sul vestiario: niente ciabatte o infradito, gonne o pantaloncini corti, canottiere e simili. Non preoccupatevi però, nel caso non superaste il controllo, ci sono abiti adatti da prendere in prestito presso l’ingresso principale.

Il tempio è probabilmente una delle maggiori mete di pellegrinaggio di tutta l’Asia, anche grazie alla presenza del sacro Buddha di smeraldo: il re in persona, durante una cerimonia sacra, cambia il vestito della piccola statua a seconda della stagione.

Per quel che riguarda lo shopping, Bangkok offre l’imbarazzo della scelta. La zona degli affari che gravita attorno a Siam Square è il regno dei centri commerciali nei quali cercare vestiti, elettronica, gioielli e oggetti di tutti i tipi. Attenzione, perchè nonostante ci si trovi in una metropoli, i centri chiudono relativamente presto nel tardo pomeriggio.

Altra possibilità per fare acquisti convenienti è la visita ad uno dei numerosissimi mercati cittadini, come ad esempio il mercato degli amuleti di Wat Ratchanadta, il mercato di Sukhumvit (regno del falso di ogni tipo!) e il mercato notturno di Patpong. Dopo un giro simile, la vostra abilità nel contrattare sarà messa a dura prova! Esplorando la città, è opportuno osservare alcune semplici regole dettate dal buon senso: vestirsi a strati in modo da evitare gli effetti indesiderati dell’aria condizionata, usata in modo eccessivo negli alberghi, sui taxi e sulla metropolitana; fare attenzione a borse, documenti e oggetti preziosi. Bangkok non è una città pericolosa, ma nei luoghi più affollati è bene osservare la normale prudenza; dimostrare il giusto rispetto per le istituzioni governative, per il re e per i luoghi sacri, nei quali occorre entrare sempre senza scarpe e vestiti in modo dignitoso.

Dopo qualche giorno trascorso nella caotica Bangkok, è tempo di ripartire per Singapore, dove ci aspetta il volo di ritorno per casa. Abbandonare l’Asia ci lascia lievemente frastornati, come capita solo quando in un tempo relativamente breve si conoscono per la prima volta tanti volti, tanti odori, gusti, colori e usanze differenti.

Tante cose abbiamo visto, ma altrettante cose avremmo voluto vedere, il che può voler dire una sola cosa: prima o poi ritorneremo!



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