IN SARDEGNA TRA STORIA E NATURA

Una settimana di primavera tra beni artistici e spiagge deserte
Scritto da: gianchi56b
in sardegna tra storia e natura
Partenza il: 11/05/2019
Ritorno il: 18/05/2019
Viaggiatori: 1
Spesa: 2000 €
Sabato 11 maggio

Dal ponte scoperto del traghetto Nuraghes della Tirrenia, partito da Genova alle 20,30 della sera precedente, assisto alle lente manovre di attracco a Porto Torres, sotto un cielo di nubi sottili che nascondono ancora il sole. Ho la percezione che si stia accumulando del ritardo rispetto all’orario previsto di sbarco, ma forse è soltanto l’effetto della mia impazienza. Finalmente alle 9,15 la mia auto tocca il suolo sardo. Percorsa la strada sul molo, mi stacco dalla teoria di veicoli scaricati dal traghetto e mi dirigo verso il centro abitato anziché proseguire verso la superstrada. Parcheggio davanti alla stazione ferroviaria e poi percorro via Fontana Vecchia e via Monte Angellu fino a raggiungere la basilica di San Gavino. Si tratta di una originale costruzione in stile romanico pisano priva di facciata e con due absidi contrapposte. Nell’austero interno a tre navate, presso l’abside orientale è ubicato un catafalco con le statue lignee dei martiri turritani, mentre da una anticripta ornata di statue si scende alla cripta dove tre sarcofagi contengono le ossa ritenute dei tre martiri. Completata la visita alla chiesa e ai suoi dintorni, riprendo il mio viaggio sulla SS131 per Sassari.

Prima di visitare la città, mi dirigo alla Basilica della Santissima Trinità di Saccargia, che sorge a margine della SS597 per Oschiri. Isolata nella campagna, la chiesa è caratterizzata dai conci alternati di pietra bianca e nera della facciata a portico e dell’alto campanile. All’interno, molto suggestivo il ciclo di affreschi presenti nell’abside, che si contrappongono al grigiore della pietra della navata. Proseguendo lungo la SS597, faccio una sosta per vedere gli esterni della chiesa di S. Michele di Salvenero, anch’essa in stile romanico pisano e con alternanza di conci bianchi e neri.

La tappa successiva è rappresentata dal Santuario di Nostra Signora del Regno, ad Ardara. E’ una costruzione romanica, edificata nell’XI secolo, in pietra scura basaltica. Nell’interno a tre navate degni di nota sono soprattutto i pilastri circolari affrescati con la rappresentazione dei dodici Apostoli e di quattro Padri della Chiesa, e il grandioso polittico (retablo maggiore) collocato nella parte absidale, che si propone di raccontare la storia della salvezza. Belli anche il cosiddetto retablo minore, con al centro la figura della Madonna che allatta il Bambino, ed un pulpito in legno poggiante su quattro colonnine. Completata la visita di questa bellissima chiesa, dedico una manciata di minuti per osservare i murales presenti su alcune case del paese, ed i cui soggetti sono tratti dal mondo rurale: aratura dei campi, raccolta del grano, danze con costumi tipici, carretti tirati da buoi.

Arrivato a Sassari, mi rendo conto che la città non è affatto pianeggiante come ritenevo che fosse. Parcheggio in prossimità del B&B presso il quale ho prenotato e poi scendo verso il centro. Sorpreso dalla presenza di alberi di arance selvatiche a bordare una via, raggiungo viale Umberto, via Roma e piazza Italia: quest’ultima caratterizzata dal Palazzo della Provincia e dal monumento a V. Emanuele II inquadrato tra quattro palme. Percorro poi corso V. Emanuele II, sostando qui e là per osservare palazzi, decorazioni, insegne, fino a raggiungere la colonna che si erge in piazza Sant’ Antonio. Una deviazione mi porta alla fontana del Rosello, che osservo dall’altro dell’omonimo ponte (l’ingresso alla fontana dovrebbe poter avvenire a partire dalle ore 15, ma alle 15,15 il cancello risulta ancora chiuso). Proseguo verso il massiccio edificio del duomo, contraddistinto da un alto campanile a sezione quadrangolare nella parte basale ed ottagonale in quella sommitale, e da una facciata con fitte decorazioni barocche ricavate nella pietra. Procedo ancora fino alla chiesa di Santa Maria di Betlem. In attesa dell’apertura mi concedo un po’ di riposo nel giardino antistante. All’interno mi attraggono un pulpito ed una statua lignea di Madonna col Bambino. Proseguendo lungo viale S. Pietro arrivo alla chiesa di S. Pietro in Silki, dove sta per iniziare una funzione e mi limito dunque a scattare una foto dell’interno, in cui spicca la statua della Madonna delle Grazie. La mia visita alla città si conclude davanti al Museo Archeologico ed Etnografico Sanna: il cancello è chiuso (come quando ero transitato alcune ore prima) e da un paio di passanti ricevo notizia che il Museo non risulterebbe essere aperto da tempo. Per cena sperimento alla trattoria Zia Forica alcuni piatti tipici sardi: culurgiones, cordula, seadas; non manca il pane carasau. Su di un tavolo accanto al mio fa bella mostra di sé un grosso frutto, in parte simile ad un cedro ma dalla buccia assai ruvida; chiedo informazioni al riguardo e vengo a sapere che si tratta di una pompia, frutto coltivato nella zona di Siniscola, e che la sua parte esterna viene utilizzata per preparare un dolce. Nel corso della cena si percepisce il rumore di un violento acquazzone; per fortuna quando esco è già tutto finito.

Domenica 12 maggio

Non sono ancora le 8 del mattino quando lascio Sassari alla volta di Fertilia. Si tratta di un piccolo centro sorto negli anni trenta del novecento, realizzato nello stile razionalista tipico di quegli anni. Percorro la centrale e porticata via Pola, ad un estremo della quale si erge la chiesa parrocchiale di S. Marco. All’altro estremo si apre la grande piazza S. Marco, con un monumento agli esuli istriani (materializzato da una colonna in pietra chiara sormontata da un leone che guarda verso il mare) e con la torre littoria (decorata da un bassorilievo con la rappresentazione di un pescatore che lancia la rete e di un contadino che lega un covone di grano).

Quando arrivo ad Alghero, il sole ha quasi del tutto spazzato via le nuvole. Notevole il colpo d’occhio che si ha sulla città arrivando da nord: numerose barche da diporto, il Forte della Maddalena, tratti di mura e il campanile della cattedrale che domina il profilo della città. All’interno della cattedrale di S. Maria spiccano i marmi policromi del pulpito e del presbiterio. Diverse le vie del centro storico interessate dalla presenza di gabbie per uccelli appese a fili tesi tra le case, con sagome colorate di uccelli all’esterno delle gabbie; l’effetto è molto gioioso. Dal percorso sui bastioni che difendono la città dal mare si hanno begli scorci su torri, mura ed angoli caratteristici. Da piazza Solis, dominata dalla circolare Torre delle Sperone, si intravvede la variopinta cupola della chiesa di S. Michele. Percorro la stretta via Carlo Alberto, e, dopo aver sostato davanti alla vetrina di un negozio che vende coralli, raggiungo la chiesa di S. Francesco. L’interno è interessante sia dal punto di vista architettonico sia per le opere d’arte; dal chiostro si può ammirare il campanile. Riguadagno l’animata Piazza Civica e poi, costeggiando le imponenti mura del Forte della Maddalena, proseguo lungo via Sassari per vedere le torri circolari di Porta a Terra e di S. Giovanni.

Ripresa l’auto e lasciata a malincuore la bella Alghero, la strada per Bosa consente di immergersi in magnifici scenari naturalistici, tra le molte tonalità di verde della macchia mediterranea, esaltata dalla presenza di fiorellini bianchi, gialli, rosa, con l’azzurro intenso del mare a fare da sfondo a molti scorci.

Verso le 13 giungo a Bosa e lascio l’auto sulla riva sinistra del fiume Temo, non lontano dal Museo delle Conce. Dal Lungotemo Scherer si gode una bella panoramica sulle strette e colorate facciate delle case, sovrastate dal castello di Serravalle. Attraverso Ponte Vecchio e percorro un tratto di corso V. Emanuele II, poco animato a motivo dell’ora. Riattraverso il fiume e mi avventuro nel lungo percorso a piedi fino alla chiesetta romanica di S. Pietro, di cui posso ammirare l’architrave del portale in marmo bianco. Riguadagno l’auto per salire fino al castello di Serravalle. All’interno delle mura visito la trecentesca chiesa di Nostra Signora di Regnos Altos, in cui si può ammirare un interessante ciclo di affreschi. Dal camminamento sulle mura meridionali si gode di una bella prospettiva dall’alto sulla città.

Riprendo il mio itinerario in direzione di Oristano, affidandomi al navigatore che mi conduce a percorrere la SS131. Prima di entrare in città, effettuo una sosta per osservare lo stagno di S. Giulia e poi per visitare la Basilica di Santa Giusta. In stile romanico pisano, la costruzione in blocchi di arenaria sorge su un piccolo rilievo, cui si accede per il tramite di una scalinata, che dona maggiore monumentalità al complesso. All’interno notevoli la cripta e un altare.

Arrivato ad Oristano, inizio la visita dalla cattedrale di S. Maria Assunta. La costruzione è affiancata da un maestoso campanile di sezione ottagonale, sormontato da una cupola a cipolla rivestita di maiolica policroma, e che presenta nella parte sommitale un bizzarro mascherone in corrispondenza di ogni vertice dell’ottagono. La decorazione all’interno della basilica è particolarmente ricca, con profusione di marmi. Nei pressi visito il Museo Diocesano Arborense. Frutto di un recente allestimento, espone vari esemplari di arredi e paramenti sacri, molte statue di santi, bellissimi plutei marmorei. Attraversata la bella piazza Eleonora, dove è collocato il monumento ad Eleonora d’Arborea e dove prospetta il Palazzo Comunale, e percorso corso Umberto pervengo a piazza Roma, dominata dalla torre merlata di San Cristoforo, investita dalla calda luce del sole al tramonto; alla sua base si apre Porta Manna. Proseguendo per via Garibaldi arrivo fino alla torre Portixedda, costruzione in pietra di forma abbastanza inusuale, cui sono addossati edifici di abitazione. Nei pressi mi fermo per cena alla omonima trattoria, dove posso gustare pasta con la bottarga e pesce alla griglia.

Lunedì 13 maggio

Anche questa mattina partenza prima delle 8, con destinazione la penisola del Sinis. Dopo una sosta per osservare lo stagno di Cabras, arrivo a S. Giovanni di Sinis. L’antica chiesa è ancora chiusa. Cammino verso sud sulla strada sterrata. Tra cespuglietti con fiori bianchi e gialli, dedico parecchio tempo per cercare di fare una bella foto del tratto di costa che guarda ad ovest, ostacolato dal continuo passaggio di nuvole che intercettano la luce del sole. Poi proseguo ancora verso sud, fino a raggiungere l’area archeologica di Tarros. Sparse ai piedi del colle S. Giovanni, dominato dalla Torre Spagnola, le rovine della città, fondata dai Fenici probabilmente alla fine dell’VIII sec. a.c., sono rese suggestive dall’ambientazione. Quando ritorno a S. Giovanni di Sinis, la chiesa è aperta. Si tratta di una costruzione paleocristiana, originaria del VI sec. d.c. e modificata tra il IX e il X sec. d.c., realizzata in blocchi di arenaria. L’interno presenta tre navate separate da tre archi impostati su pilastri rettangolari e coperte da volte a botte, mentre il corpo centrale è coperto da una cupola.

Il mio itinerario prosegue alla volta della miniera di Montevecchio, ad ovest di Gùspini. Gli impianti di estrazione, abbandonati da tempo, si estendono su una vasta superficie; si riconoscono capannoni, vasche, una torre metallica in corrispondenza del pozzo di estrazione, impianti di trattamento, strutture di trasporto. Proseguo lungo una strada che serpeggia tra i boschi e scende poi in direzione della costa. A Ingurtosu sono presenti altre strutture minerarie in rovina, questa volta di una laveria del minerale dello zinco, nella zona in cui imbocco la strada sterrata per Piscinas, località dove sono diretto per vedere le dune di sabbia. Quando arrivo, nuvoloni neri si stanno addensando nel cielo. Pochissime le persone in vista: una passeggia lungo la spiaggia, un’altra sta verniciando una passerellina di legno, in previsione del prossimo arrivo di turisti. Vagoncini minerari arrugginiti sostano su una rotaia semisommersa dalla sabbia. Cespugli di macchia mediterranea hanno avviato la colonizzazione di alcune dune. E’ un ambiente davvero particolare.

Torno a Ingurtosu e mi dirigo verso Iglesias. Quando, dopo innumerevoli curve, vedo lungo la strada l’indicazione per il Tempio di Antas, decido che è meglio prendere la deviazione, anche se il tempo non promette granchè. Non appena scendo dall’auto per avviarmi verso la biglietteria, devo aprire l’ombrello per ripararmi dalla fastidiosa pioggerellina che inizia a scendere. Si tratta di un tempio punico romano, edificato in origine dai Cartaginesi nel VI sec. a.c., ristrutturato poi dai Romani. Le rovine paiono interessanti, ma visitarle sotto l’ombrello non è molto entusiasmante.

Ripresa la strada, verso le 17 arrivo a Iglesias, dove, se pur con qualche difficoltà, riesco a trovare un parcheggio non lontano dal centro storico. Raggiungo piazza del Municipio, dove prospettano il Palazzo vescovile e la cattedrale di Santa Chiara, di forme romaniche. All’interno, in forme gotico aragonesi, per la loro valenza artistica mi attraggono il sostegno del leggio, l’altare del transetto nord, alcune statue, due capitelli. Visito anche la vicina chiesa di S. Francesco, dalla facciata a capanna e interno su arcate ogivali.

Mentre percorro la SS130 per Cagliari si abbatte un temporale così violento da rendermi difficile la guida. Quando raggiungo Cagliari sono quasi le 19 e fortunatamente non piove più. Lascio l’auto nel parcheggio del B&B, contento che fino a mercoledì mattina non ne avrò bisogno. Percorse poche decine di metri lungo via Santa Margherita in direzione del centro, un rumore inatteso mi fa trasalire: si è trattato della partenza precipitosa di un paio di gabbiani, che stavano evidentemente cercando cibo intorno ai cassonetti strapieni collocati a bordo marciapiede, sul quale erano ospitati altri sacchi di immondizia e scatoloni vari. Superata piazza Yenne e percorsi largo Carlo Felice ed un tratto dei portici lungo via Roma, cerco di attraversare la strada per raggiungere la calata. A dispetto delle strisce pedonali esistenti, le auto sfrecciano senza alcuna apparente intenzione di fermarsi; dopo alcuni tentativi, mi rendo conto che l’unico modo non autolesionista di attraversare è quello di farlo aggregandomi ad un altro gruppetto di persone. Dopo aver fatto una passeggiata in via Sardegna e dato un’occhiata ai vari ristoranti presenti, ceno alla trattoria Lillicu: pasta allo scoglio e fritto misto.

Martedì 14 maggio

Già dalla prima mattina la giornata si preannuncia soleggiata. Decido di iniziare la mia visita dalla Chiesa di S. Michele (o dei Gesuiti), la cui facciata prospetta alla sommità di via Azuni. Non si tratta in realtà del frontale della chiesa: i grandi archi della facciata immettono in un porticato dal quale si accede alla chiesa, il cui corpo si sviluppa ortogonalmente alla via. Nel porticato c’è il pulpito (già appartenuto alla chiesa di S. Francesco, crollata nell’ottocento) dal quale, secondo la tradizione, avrebbe ascoltato la messa l’imperatore Carlo V di passaggio in città. L’interno della chiesa è ad aula unica, con cappelle intercomunicanti e sovrastata da cupola affrescata. Gli altari sono un autentico trionfo di marmi policromi. La sacrestia lascia senza parole: pavimento in marmi policromi, pannelli in legno intarsiato, quadri alle pareti, stucchi in stile rococò.

Una lunga camminata mi permette di raggiungere Santuario e Basilica di Bonaria; quest’ultima è una bianca costruzione sormontata da cupola, ubicata sulla sommità di un colle ad est del centro, a contatto diretto con l’edificio trecentesco del santuario. All’interno del santuario il polo di attrazione è costituito dalla statua della Madonna di Bonaria, protettrice dei marinai. Su suggerimento di un passante che mi vede armeggiare con la macchina fotografica, visito il vicino cimitero monumentale. Ad attrarre l’attenzione non sono soltanto belle cappelle e statue e lapidi, ma soprattutto la vista panoramica che si gode sull’intera città, ed in particolare sul quartiere del Castello, la città alta fortificata nel medioevo.

Una volta sceso – sempre nell’ambito del vasto cimitero – dalla collina, raggiungo la basilica paleocristiana di S. Saturno, di cui posso osservare solo gli esterni essendo oggi chiusa. Consta di un corpo centrale cubico su 4 arcate, sormontato da una cupola e originario del VI sec. d.c., e da un braccio realizzato nel medioevo in forme romanico provenzali. Le moderne vetrate che chiudono le arcate riflettono la vegetazione circostante. Nel mio avvicinamento al centro storico faccio una sosta davanti al complesso di S. Domenico, ammirando l’alta torre in pietra che funge da campanile. Proseguo poi la salita fino a viale Regina Elena e, trovando chiuso per manutenzione l’ascensore che mi allieverebbe l’ascesa sul colle, continuo a piedi sotto un caldo sole fino a via Regina Elena e alla torre di S. Pancrazio. Via Martiri mi guida ad una piazza allungata in leggero declivio (per la precisione si tratta di due piazze contigue, piazza Palazzo e piazza C. Alberto), in gran parte adibita a parcheggio, e ad una estremità della quale si affaccia la Cattedrale di S. Maria. Eretta nel XIII sec. in forme romanico pisane e molto rimaneggiata nel corso dei secoli, la cattedrale custodisce al suo interno, tra un profluvio di marmi, alcune notevoli opere d’arte, tra le quali primeggiano i due pulpiti ubicati in controfacciata.

Sotto un sole splendente scendo fino al bastione di Saint Remy, belvedere dal quale si gode del panorama sul un tratto delle mura, sulla parte orientale della città, sul porto. Percorsa via dell’Università, mi trovo di fronte alla trecentesca Torre dell’Elefante, con tanto di simulacro in pietra di un elenfantino poggiato su di una mensola aggettante dalle mura. Come la gemella torre di S. Pancrazio, si tratta di una torre “scudata”, vale a dire aperta verso l’interno, così da non poter essere utilizzata contro i difensori della città nel caso fosse stata conquistata dagli assalitori.

Risalito fino a piazza dell’Arsenale e a Porta Cristina, torno in piazza Palazzo per visitare il Palazzo Regio, dimora dei vicerè spagnoli prima e di quelli sabaudi poi. All’interno è un susseguirsi di lampadari, specchi, ritratti di personaggi illustri (in particolare di casa Savoia), busti, affreschi; molto bella la sala di rappresentanza.

Mi indirizzo poi verso nord, verso quella che è chiamata la “cittadella dei Musei”. Inizio con la visita del Museo Archeologico Nazionale, dove sono custoditi reperti che datano dal neolitico alla fine dell’impero romano. In particolare, sono esibiti bronzetti nuragici, vasellame, gioielli, oggetti votivi, sculture, sarcofagi; ascrivibili al tardo periodo nuragico, le enigmatiche statue (giganti ? eroi ? guerrieri ? ) rinvenute nel sito di Mont’e Prama vicino a Cabras restano indelebili nella memoria; tra i reperti fenici spicca la “stele di Nora” (la più antica iscrizione conosciuta in cui si fa riferimento alla Sardegna). Visito poi la Pinacoteca Nazionale, dove sono in esposte opere di pittori sardi e catalani dal XIV al XVII sec.

Le ore più calde della giornata sono ormai alle spalle. Adesso sono comparse anche un po’ di nuvolette. Dopo aver percorso viale del Buon Cammino per vedere qualche scorcio dei resti dell’anfiteatro romano, scendo per la strada che affianca il settore occidentale delle mura cittadine verso il quartiere di Stampace. La chiesa di S. Anna, riconoscibile a distanza per la sua cupola, si erge scenografica sopra una scalinata; curiosa la presenza di due campanili inseriti armoniosamente nella facciata. Non lontano raggiungo la chiesa di Sant’Efisio, con una semplice facciata di colore rosato. All’interno domina il bianco di pareti e pilastri, esaltato dal colore rosso degli addobbi in segno di festa. Al centro della navata è posizionato il grande carro processionale, con il simulacro del santo in una edicola di cristallo. In zona visito anche la cripta della chiesa di Santa Restituta, non indimenticabile ma comunque non priva di interesse.

Arrivato in via Roma, trovo un po’ di tempo per osservare il Palazzo comunale, davanti al quale ero già transitato più volte: realizzato all’inizio del novecento, è una grande costruzione in pietra calcarea chiara, caratterizzata da due torrette ottagonali alte sulla facciata principale e da varie decorazioni bronzee in stile liberty, alcune su mosaico d’oro. Raggiungo piazza del Carmine, delimitata da un contorno di alberi; al centro, su di un alto basamento, è collocata la statua dell’Immacolata Concezione. Nelle vicinanze sorge la chiesa di Nostra Signore del Carmine, ricostruita negli anni 50 del novecento, dopo che il precedente edificio era andato distrutto sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale. L’interno della chiesa mi sorprende con i suoi mosaici, in particolare con quelli molto estesi dell’abside.

Mi sposto nel quartiere Marina per proseguire con la visita delle chiese indicate nella mia guida. Inizio dalla chiesa di Sant’Antonio Abate: ottagonale, custodisce una bella statua lignea del santo. E’ poi la volta della chiesa di Sant’Agostino, caratterizzata da un notevole altare maggiore in legno dorato. Dopo una rapida visita delle chiese S. Francesco di Paola e di S. Rosalia, mi dirigo verso il convento di S. Domenico, che era chiuso in occasione del mio precedente transito in zona. Posso visitare il grande chiostro e l’interno della chiesa, molto semplice ma con elementi architettonici tardogotici.

Anche questa sera una passeggiata in via Sardegna è il preludio per la scelta del locale dove cenare; scelgo la Trattoria da Serafino: pasta alla bottarga e branzino alla vernaccia, preceduti da un delizioso carpione di pesce come antipasto.

Mercoledì 15 maggio

Alla periferia di Cagliari, in procinto di imboccare la SS131, vedo le insegne di un centro commerciale e di un grande supermercato. Decido di fermarmi e sfruttare l’occasione per iniziare a fare rifornimento di prodotti tipici (vino, pane carasau, gnocchetti, liquore di mirto) da portare a casa.

Quando arrivo a Sanluri sono appena passate le 10. Raggiungo il castello di Eleonora d’Arborea, di forma quadrata e con quattro torri merlate agli angoli, e faccio un giro nel giardino che lo circonda. Noto che su alcune case della cittadina sono fissate stampe di vecchie fotografie. Ripreso il mio viaggio, questa volta sulla SS197, è d’obbligo una sosta quando arrivo nelle vicinanze del castello di Las Plassas che, appollaiato su di una collina di forma perfettamente conica, domina la pianura circostante. Peccato per il cielo quasi completamente nuvoloso.

Dopo qualche chilometro, alla periferia di Barumini parcheggio in prossimità del complesso nuragico Su Nuraxi, censito nel patrimonio Unesco. Giusto il tempo di acquistare il biglietto di ingresso e alle 11.30 posso unirmi al gruppo che sta per iniziare la visita. Accompagnati dalla guida che ci illustra puntualmente il sito, attraversiamo i resti del villaggio nuragico, saliamo la scala esterna che porta all’ingresso principale e, per un angusto passaggio, scendiamo fino alla base della torre centrale. Pur non essendoci altro che pietre, è davvero particolare la sensazione che si prova per il fatto di trovarsi all’interno di una costruzione tanto antica ed ancora misteriosa circa le funzioni che assolveva. Mentre il grosso del gruppo indugia nella visita e nelle richieste di informazioni alla guida, seguo alcuni visitatori verso l’uscita, salendo con molta attenzione gli altissimi gradini della stretta e ripida scala; ne mancano pochi (ed ormai sono molto più bassi) per completare la salita quando mi fermo per scattare l’ennesima foto. Quando cerco di riavviarmi, senza sapere bene come mi ritrovo lungo disteso sulle millenarie pietre: riesco ad evitare che la macchina fotografica urti a terra, ma non posso sottrarmi ad alcune lievi abrasioni ad un braccio e, nonostante i jeans, alle gambe.

Il biglietto di ingresso al complesso nuragico include anche la visita ad altre due attrazioni. La prima è rappresentata dal Centro Giovanni Lilliu; all’interno vengo accompagnato da una guida (tutta per me, questa volta) a visitare l’esposizione, che comprende un modellino di Su Nuraxi, foto scattate durante la campagna di scavi, foto di attività agricole di un lontano passato. Prima di uscire approfitto dei bagni per ripulire le mie abrasioni dalla polvere, in modo da poterle dopo poco trattare con una specifica pomata inclusa tra i miei medicinali da viaggio. La seconda attrazione, un poco più distante, è il Polo Museale Casa Zapata. All’interno dell’abitazione è stato riportato alla luce un nuraghe trilobato (Su Nuraxi’e Cresia), visitabile dall’alto per il tramite di passerelle sopraelevate e un pavimento in materiale trasparente. Altre sezioni del Museo espongono oggetto di antico uso e diverse launeddas, antico strumento musicale realizzato con canne palustri. Anche in questa visita sono accompagnato da una guida, tutta per me; sembra che la gran parte dei turisti si limiti alla visita del solo Su Nuraxi.

Nelle immediate vicinanze di Casa Zapata sorgono due chiese: la Chiesa dell’Immacolata Concezione, al cui interno sono degni di nota pulpito ed altare maggiore in marmi policromi, e la minuscola e spoglia chiesa di S. Giovanni Battista, risalente al XIII sec. e la cui caratteristica architettonica saliente è quella di avere due navate, separate da archi su pilastri, e due absidi in stile provenzale.

Ripreso il viaggio e rinunciato alla pur attraente possibilità di una deviazione verso la Giara di Gesturi, verso le 15 arrivo a Laconi. Dalle pozzanghere presenti nell’area dove parcheggio deduco che ha smesso di piovere da non molto tempo. Salgo fino a raggiungere il grande Palazzo Aymerich, diventato sede del Museo della Statuaria Preistorica in Sardegna, e poi la chiesa parrocchiale SS. Ambrogio e Ignazio, con un portale di ingresso molto bello. Un sentiero nel parco mi conduce ai resti del Castello Aymerich, di cui sopravvivono una torre e strutture gotiche.

Durante la mia sosta ad Atzara mi limito a visitare la chiesa di S. Giorgio, che si presenta con le forme di un palazzetto medievale con torre, e ad individuare le chiesette di Sant’Antioco e S. Maria ‘e Suru, entrambe chiuse.

Quando arrivo a Tonara, la nebbia sta scendendo sulla cittadina e già ne nasconde una parte. Acquisto un sacchetto di torroncini presso la rivendita di un produttore e riparto (sono ormai le 18) verso la mia ultima destinazione della giornata. Lungo la strada mi capita di sbirciare le indicazioni del termometro dell’auto: le temperature risultano comprese tra 2 e 4 °C.

Quando arrivo a Orgosolo l’ultimo sole della giornata sta lottando contro nuvoloni neri e riesce ad illuminare porzioni di montagna e di città. Il navigatore mi indirizza a scendere per una via così stretta che temo l’auto possa rimanervi incastrata. Fortunatamente non è così, e posso raggiungere il B&B presso cui ho prenotato. I proprietari mi accolgono nel soggiorno di casa e mi invitano a scaldarmi davanti al camino acceso. Portati i bagagli in camera, non mi resta che trovare un ristorante per la cena. Dopo essermi praticamente perso almeno un paio di volte, ed essere stato cortesemente reindirizzato dai rari passanti incontrati, alla fine riesco ad individuare l’insegna del ristorante Il Portico. Questa sera sarà un menù di terra: maharrones lados all’orgosolese e agnellone alla moda del pastore. Ritornando al B&B non posso fare a meno di notare un po’ di murales, ma rimando alla mattina dopo per una esplorazione completa.

Giovedì 16 maggio

La mattina percorro il centrale corso Repubblica e alcune sue traverse per osservare e fotografare i murales per i quali la città è nota. I temi trattati sono in gran parte sociali e politici: emigrazione, lotta contro la povertà e l’ingiustizia, emancipazione, antimilitarismo. Non mancano bellissimi ritratti di persone. In via Garibaldi è d’obbligo il ritratto dell’eroe nazionale. In via Cadorna è riportato il conteggio delle vittime causate dalla I^ guerra mondiale. Dopo un’ora e mezza mi sento soddisfatto e decido che posso rimettermi in viaggio.

Dopo una breve sosta imprevista per lasciare passare un gregge di pecore, arrivo ad Oliena, in bella posizione sul versante del Sopramonte. Parcheggio vicino alla chiesa di S. Maria Assunta, cui la posizione isolata dà un maggiore rilievo. Riparto dopo una breve passeggiata nel centro storico.

La strada in direzione di Dorgali attraversa un ambiente paesaggistico incantevole, con bellissimi scorci sul lago del Cedrino. Nella cittadina faccio una passeggiata, osservando le vetrine di alcuni negozi; noto alcune ceramiche di fattura particolare.

La mia tappa successiva è Cala Gonone. Bellissimi i panorami che si godono dalla tortuosa strada che scende verso il mare, e bellissima la spiaggia, quasi deserta, sotto un cielo completamente sgombro di nubi. Verso le 15 riparto, anche se lasciare tanta bellezza è difficile. Per fortuna la strada verso Nuoro mi offre prospettive paesaggistiche sempre diverse e sempre molto gradevoli. Poco prima di raggiungere la città, intravvedo purtroppo scorci di palazzine ben poco attraenti.

Arrivato a Nuoro, parcheggio nelle vicinanze del B&B presso cui avevo prenotato e vado subito a visitare il centro storico. Curiosa piazza Sebastiano Natta, dove diverse grandi pietre, alte almeno un metro e sagomate in modo bizzarro con fori circolari ed intagli, sembrano emergere dalla pavimentazione; nei loro incavi sono alloggiate piccole statuette. La cattedrale di S. Maria della Neve, dalla facciata rosata scandita da semicolonne ioniche, presenta all’ingresso principale una bella porta bronzea e custodisce alcune statue interessanti nel suo interno relativamente spoglio caratterizzato dal colore bianco. Percorrendo viale Sant’Onofrio e via Mereu raggiungo un belvedere dal quale si può godere di una bellissima panoramica di Oliena e del Sopramonte. Non lontano è ubicato il Museo del Costume, che espone ricostruzioni di ambienti ed attività appartenenti al passato, con foto e tanti oggetti (gioielli, rosari, tessuti, telai, ecc…). Imperdibile la sala che esibisce numerosi manichini vestiti con i costumi tradizionali della gente dei luoghi. Ritornato nel centro storico, la mia visita della città si completa davanti alla casa natale di Grazia Deledda.

Verso le 19 cerco di entrare nel B&B dove ho prenotato, ma, trovandolo chiuso, telefono al gestore e scopro che la mia prenotazione è stata cancellata e che non c’è nessuna camera disponibile. Dopo un iniziale senso di smarrimento ed incredulità, cerco di risolvere il problema contattando la gestrice del B&B di Orgosolo, dove avrei piacere di ritornare: purtroppo è al completo. Allora richiamo il gestore del B&B di Nuoro e gli chiedo se può fornirmi l’indicazione di un B&B od hotel nelle vicinanze, la qual cosa egli cortesemente fa, fornendomi anche il numero di telefono per contattare booking.com per chiarimenti sull’accaduto. Mi dirigo a piedi al primo degli indirizzi fornitimi, e per fortuna c’è una camera disponibile e anche il parcheggio per l’auto. La giovane donna alla reception mi informa – con una gentilezza davvero disarmante – che, ove non trovassi subito un posto libero nel parcheggio, lei è disponibile a spostare la sua auto per fare posto alla mia. Per la cena torno nel centro storico, per un’altra cena con menù di terra alla Trattoria S’Hostera Nugaresa.

Venerdì 17 maggio

La prima tappa della giornata è a Galtellì. Percorro alcune delle vie acciottolate del nucleo antico, strette tra case basse. Visito la chiesa del Santissimo Crocifisso, al cui interno è custodita, oltre a diverse altre statue, una pregevole statua lignea del Cristo, alla quale fu attribuito nel seicento un evento miracoloso.

Ad Orosei trovo interessante il centro storico, dove visito le chiese di S. Giacomo e della Pietà. Dopo aver chiesto indicazioni su come raggiungerlo, arrivo al santuario di Sant’Antonio Abate, in origine un santuario campestre. Sul fianco sinistro della chiesa, costruita intorno al 1200, c’è un portico a pilastri. L’unica navata presenta un interessante ciclo di affreschi del XIV sec., oltre ad una statua lignea del Santo. Nel cortile della chiesa si eleva la torre di Sant’Antonio. Ritornato nella centrale via Nazionale, la persona che mi aveva fornito le indicazioni per il santuario si accerta che sia riuscito a raggiungerlo e poi mi suggerisce di andare anche alla chiesa di S. Gavino, nella parte alta della cittadina. Salendo per vie acciottolate, arrivo alla sommità del colle, dal quale di gode di una bella prospettiva sul centro abitato e, a nord, sul fiume Cedrino, scavalcato da un vecchio ponte ad archi in pietra. La piccola chiesa di S. Gavino, che risale al XIII sec., è chiusa. Ritorno all’ingresso della cittadina per vedere il santuario di Nostra Signora del Rimedio. Dalla guida leggo che la chiesa è circondata da un ampio recinto di cumbessias, antichi luoghi di accoglienza. Dalle grate chiuse del cancello osservo il cortile alberato del complesso.

Appena superato il ponte sul fiume Cedrino in direzione nord, decido di dare un’occhiata anche alla chiesa di S. Maria ‘e Mare. Seguo a distanza una vettura che sta lentamente percorrendo la stretta strada arginale, sterrata e con molte pozzanghere. La bianca chiesetta, affiancata da una palma, è chiusa. Nei pressi, sopra un basamento a forma di barca, si erge una bianca statua della Madonna col Bambino. Faccio ritorno alla SS125 utilizzando la strada arginale, incurante degli schizzi sollevati nell’attraversamento delle pozzanghere. Raggiunta la SS125 e percorse poche decine di metri, alla mia destra si materializza una deviazione asfaltata, con il cartello segnaletico che indica proprio la chiesa di S. Maria ‘e Mare.

Verso mezzogiorno raggiungo Cala Liberotto, con una spiaggia spettacolare e pressochè deserta. Ritornato alla SS125, mi fermo a Capo Comino. Parcheggio accanto ad alcune auto con targa tedesca, e percorro un tratto di litorale: molti massi, posidonia secca, alcune dune di sabbia bianchissima. Sole e vento non mancano.

Ripresa la SS125, trovo le indicazioni per la spiaggia di S. Lucia. Non le seguo, ma da una specie di belvedere lungo la strada osservo la costa, caratterizzata dalla presenta di pini ed eucalipti. Nelle vicinanze alcuni asinelli brucano in un recinto.

A Siniscola faccio una breve passeggiata nel centro storico, dove le facciate di diverse case sono supporto di murales che ritraggono scene di vita quotidiana.

Sono circa le 15 quando arrivo a Posada, paesino aggrappato alle ripide pendici di un colle roccioso, sul quale sorge il castello della Fava, del XII sec. Dalla sommità della torre, raggiungibile tramite una ripida scaletta, si gode una bella panoramica sulla verde pianura circostante e sulla costa; peccato per le nuvole che adesso ingombrano il cielo.

La tappa successiva è rappresentata dalla spiaggia di Budoni, dove mi attende un vento fortissimo. La sabbia risulta finissima. Diverse aree del litorale sono tappezzate di cespuglietti bassi con fiori bianchi; catenelle metalliche fissate a paletti di legno le difendono dai piedi dei gitanti.

Mi concedo una perlustrazione anche a San Teodoro, alla spiaggia L’Isoledda. Trovo dapprima una spiaggia con sabbia fine e successivamente, dopo aver percorso un sentiero nella vegetazione, un tratto di litorale sassoso. In lontananza in direzione nord appare alla vista l’inconfondibile sagoma dell’isola di Tavolara.

Verso le 18 arrivo ad Olbia e trovo parcheggio, non senza qualche difficoltà, in una strada che costeggia il canale Zozò. Raggiungo il solo monumento che ho programmato di visitare: la chiesa romanica di S. Simplicio. Le tre navate sono separate da archi poggianti su colonne alternate a pilastri. Alcuni gonfaloni danno un tocco di colore al grigio uniforme della pietra.

Utilizzando una informazione desunta dal diario di un TPC, sfrutto il navigatore per raggiungere la pasticceria Loi, specializzata nella produzione di dolci tipici sardi, dove mi faccio preparare un vassoietto con un esemplare per quasi ogni tipo di pasticcino in vendita. Mi dirigo poi poco fuori città per raggiungere l’agriturismo presso il quale ho prenotato. Sceso dall’auto, mi viene incontro un grosso cane rossiccio, e per un istante mi paralizzo. Arrivano anche i gestori, che mi tranquillizzano circa il comportamento del cane e mi mostrano la camera dove dormirò: fa parte di una piccola costruzione immersa tra giovani piante di ulivo, con una piazzola per l’auto nelle immediate vicinanze. Apprendo anche si tratta di un vero agriturismo, con allevamento di pecore e coltivazione di ulivi.

A questo punto, verificato dove posso dormire, ritorno ad Olbia per la cena. Prima, sfruttando la presenza di un supermercato ancora aperto, acquisto un po’ di prodotti tipici (pecorino, salsicce stagionate, culurgiones) da portare a casa. Poi, sfruttando la presenza nelle vicinanze di una pizzeria, per la mia ultima cena in terra sarda opto per una pizza anziché andare alla ricerca di un ristorante. Tornato all’agriturismo, non mi dimentico di procedere al meticoloso assaggio di ognuna delle paste acquistate. Avendo casualmente scoperto che nella camera è presente anche un piccolo frigorifero, mi sembra molto opportuno utilizzarlo per tenere al fresco gli ultimi acquisti. Quando raggiungo la piazzola per prelevarli dal bagagliaio dell’auto, a pochissima distanza da questa trovo disteso il cane che mi aveva dato il suo benvenuto: considerata la grande estensione del terreno che aveva a disposizione nonchè la possibilità di restare accanto alla casa padronale, il fatto che sia venuto proprio vicino all’auto dell’unico ospite presente ha un qualcosa di toccante.

Sabato 18 maggio

Quando esco per fare colazione, il cane non è più nella piazzola accanto alla mia auto. Lo ritrovo disteso sotto il portico davanti alla casa padronale. Nel pagare il pernottamento, ne approfitto per acquistare una bottiglia dell’olio prodotto con le olive dell’agriturismo. Sfrutto l’occasione anche per chiedere dove sia possibile trovare del porceddu arrostito, considerato che non l’ho visto su nessun menù al ristorante, né al supermercato; vengo a sapere che probabilmente non lo troverò da nessuna parte, dal momento che richiede una lunga preparazione e che la richiesta è bassa dal momento che la stagione turistica non si è ancora avviata.

Per non incorrere in possibili contrattempi che possano verificarsi nel pomeriggio prima dell’imbarco, decido di andare subito alla pasticceria Loi per i miei acquisti. Ne esco con cinque vassoi grandi di paste (amaretti, formaggelle, bananette, papassini con glassa, tilicas, pasticcini con mandorle, ecc…), che sistemo accuratamente nel bagagliaio dell’auto in modo che non si schiaccino e non si rovescino. A questo punto sono pronto per visitare, senza vincoli particolari di itinerario, la Costa Smeralda.

La mia prima tappa è Porto Rotondo, dove parcheggio sulle strisce blu in un parcheggio semideserto, non dopo aver accuratamente accertato che il parcometro sarà attivo solo a partire dal mese successivo. Tra alti muri in pietra che nascondono alla vista giardini e ville, scendo fino alla spiaggia di Rudargia. C’è solo una signora a passeggio con un bambino piccolo. Risalgo e ridiscendo fino al porto, effettivamente di forma circolare come il nome della località suggerisce. Non trascuro di percorrere via del Molo, con la sua bellissima pavimentazione artistica che rappresenta la catena alimentare dei mari: mediante l’utilizzo di materiali di differente colorazione (un cartello precisa che si tratta di granito greggio e arenaria gialla, porfido rosso, basalto grigio, marmo di Orosei, vetro di Murano per gli occhi) sono raffigurati pesci e simulate le onde del mare. Non lontano da piazza Cascella e piazza S. Marco, la chiesa di S. Lorenzo è riconoscibile a distanza per il tramite dell’adiacente torre campanaria, vero e proprio traliccio in calcestruzzo armato. Superata la bianca facciata squadrata, alleggerita da un rosone centrale, l’interno sorprende con il soffitto in archi di legno e la forma di una carena di nave rovesciata, con centinaia di figure umane sagomate nel legno, braccia e mani protese. Sarebbe bellissimo poterle fotografare, ma è vietato.

Riprendo il mio itinerario, prima sulla SP99 e poi sulla SP73 verso nord. E’ circa mezzogiorno quando mi concedo una sosta in una piazzola lungo la strada per fare qualche foto al golfo di Cugnana. C’è anche un bar-ristorante, ed un cartello riporta la denominazione “La Petra de li Tulchi”. Proseguo verso nord, fino a prendere la deviazione che conduce alla spiaggia di Capriccioli est. Contrariamente alle mie aspettative non è deserta, ospitando non meno di una trentina di persone che prendono il sole o passeggiano. Sabbia bianca, presenza di massi di colore rosato ed acque cristalline ne fanno un posticino davvero grazioso.

Giunto a Porto Cervo e lasciata l’auto in via Porto Vecchio, scendo al molo e lo percorro lentamente, per godermi le varie prospettive che l’insenatura e le costruzioni offrono, fino a superare un ponticello pedonale e a raggiungere la famosa “piazzetta”. Come già sperimentato a Porto Rotondo, anche qui i numerosi negozi di lusso sono per la maggioranza ancora chiusi. Salgo per via Sa Conca fino alla chiesa parrocchiale Stella Maris. E’ una costruzione bianca in cui dominano le linee curve, la facciata preceduta da un porticato, il campanile che rimanda a un grosso camino dalla sezione rastremata. Anche all’interno dominano il colore bianco e le linee curve. Notevoli alcune statue ed alcuni arredi sacri. Molto bello l’ambone raffigurante Cristo risorto che si eleva trionfante. Ritorno all’auto seguendo a ritroso lo stesso percorso dell’andata, avendo modo di apprezzare altri gradevoli scorci del luogo.

Lasciata Porto Cervo, percorro il tratto di SP59 che segue, anche se un po’ a distanza, la costa orientale del golfo di Arzachena, e poi la SP13 in direzione nord. Faccio una sosta a Cannigione, nel cui porto sono ancorate molte barche da diporto. Visito la chiesa di S. Giovanni Battista, ricostruita negli anni 70 del novecento. La facciata, preceduta da un porticato, è rivestita di blocchi di granito, al pari del massiccio campanile. Negli interni spogli risalta sulla parete di fondo del presbiterio il trittico ligneo con la scena della crocifissione; molto graziosa anche una statua della Madonna col Bambino. Procedendo ancora verso nord sulla SP13, faccio un’altra breve sosta per osservare più da vicino una spiaggia (molto probabilmente si tratta di quella denominata Li Capanni) che è proprio sfiorata dalla strada.

A Capo d’Orso, scendo dapprima a Cala Capra e poi risalgo per vedere le formazioni granitiche cui i fenomeni di erosione hanno dato forme bizzarre, tra cui quella particolare di un orso. Alle 16,30 decido che è opportuno fare ritorno verso Olbia, così da non correre il rischio che un imprevisto possa farmi ritardare all’imbarco.

Non avendo incontrato alcun problema, quando arrivo in vista del porto di Olbia ho ancora il tempo per qualche eventuale acquisto nel grande supermercato affacciato su piazza Crispi; ne esco con un ulteriore vassoio di pardulas, che appoggio nel bagagliaio accanto agli altri vassoi già sistemati la mattina. Scorto un pescatore sul molo del porto, per scrupolo decido di andare a chiedergli ragguagli su come arrivare alla banchina dei traghetti. Scopro che si tratta di un turista toscano, habituè della zona, che molto cordialmente mi fornisce le conferme che cercavo.

In prossimità della banchina di imbarco, due poliziotti mi fermano per un controllo. Mentre uno di loro gira piano intorno alla mia vettura (dalle fiancate color fango) imbracciando il manico di uno strumento particolare, presumo per indagarne la parte inferiore, l’altro mi chiede di aprire il bagagliaio e non può trattenere un sorriso quando il suo sguardo incontra i vassoi di dolci che sto esportando dall’isola.

Nessun ulteriore ostacolo per imbarcarmi sul traghetto Bithia della Tirrenia. Raggiunto il ponte scoperto, avrò ancora un bel po’ di tempo da attendere prima che, alle 20,30 puntuali, la nave si stacchi dalla banchina. L’ultima immagine che conserverò del viaggio è quella della sagoma dell’isola di Tavolara sovrastata dal piccolo luminoso disco della luna piena.

Informazioni pratiche

Per organizzare il viaggio sono stati utili riferimenti:

“Le Guide di Bell’Italia – Sardegna “ Istituto Geografico De Agostini/Editoriale G. Mondadori

“Guida Rapida d’Italia – Vol. 4” del Touring Club Italiano

Diari di altri TPC

I pernottamenti (tranne che a Nuoro) sono stati prenotati tramite Booking.com.

Gli hotel/B&B dove ho soggiornato sono: B&B La Porta Accanto a Sassari, Hotel Mistral a Oristano, Casa dei Talenti a Cagliari, B&B Sa è Zia Mele a Orgosolo, Eurohotel a Nuoro, Agriturismo Nacchinono a Olbia.

Di seguito le tariffe di ingresso al tempo della mia visita.

Cattedrale di San Gavino a Porto Torres: 3 €

Basilica della Santissima Trinità di Saccargia: 3 €

Chiesa nel Castello Malaspina a Bosa: 4 €

Museo Diocesano Arborense a Oristano: 4 €

Area archeologica di Tharros: 5 €

Tempio di Antas: 4 €

Palazzo Regio a Cagliari: 2,5 €

Museo Archeologico + Pinacoteca Nazionale a Cagliari: 9 € (cum.)

Cripta della chiesa di Santa Restituta a Cagliari: 2 €

Nuraghe Su Nuraxi + Centro Giovanni Lilliu + Polo Museale Casa Zapata a Barumini: 12 € (cum.)

Museo del Costume a Nuoro: 5€

Castello della Fava a Posada: 3 €

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