In mountain bike sulle Ande

Carretera 2011. Pedalando in Perù, sulla Cordillera Blanca (Ancash)
in mountain bike sulle ande
Partenza il: 31/07/2011
Ritorno il: 27/08/2011
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
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Avan Mtb, in occasione del raggiungimento dei cinque anni di iscrizione all’anagrafe delle associazioni no profit (molti più anni come gruppo di appassionati della Mtb sul Matese), voleva impegnarsi in un progetto/biketour particolare e avventuroso. Più di due anni fa si scelse il Perù (in particolare l’area in cui ricade la Cordillera Blanca) come meta, ammaliati dalle bellezze naturalistiche e spinti dalla curiosità di conoscere le sue mille sfaccettature culturali radicate in una storia millenaria. Sul sito Avan Mtb è possibile visionare e scaricare le foto e le tracce Gps. Da allora sono trascorsi anni intensi, passati a pianificare le tappe e a valutare nei minimi dettagli sia le misure necessarie per pedalare in quota (“Portachuelo di Llanganuco”, 4870 metri), sia il peso minimo dell’attrezzatura necessaria (si è raggiunto un peso di circa 35 Kg di bagaglio cadauno) per viaggiare in completa indipendenza. La pianificazione è stata attenta e scrupolosa, realizzata su carte topografiche dell’Ign (Istituto Geografico Nazionale) e Alpenvereinskarte oltre al supporto logistico “in loco” dell’Organizzazione Non Governativa, Kahuay. Tralasciando i grigi giorni a Lima, dove oltre al tempo e allo smog perenne ci si è messa di mezzo anche l’Air Europa e l’Unesco a rovinarci il morale (smarrimento Mtb, bagagli aperti e l’accesso a Machu Picchu limitato), il 1 settembre dopo 8 ore di Pullman siamo giunti a Huaraz, punto di partenza del percorso ad anello. Avevamo messo in conto di possibili problemi con i bagagli, e si sono verificati tutti, ma con le date sapientemente pianificate, abbiamo avuto il tempo per poterli aspettare, circa 5 giorni (giusto in tempo, sia maledetto il bagaglio sportivo e la…).

1-3 AGOSTO

Siamo arrivati a Huaraz alle 6:30 della mattina, accolti da una pungente arietta (5-6 C°) in uno spiazzale usato probabilmente come pollaio o come diffuso urinatoio. Primo errore, nonostante i consigli degli amici Andini, abbiamo preso la prima compagnia di Autobus che ci è capitata a tiro, e abbiamo capito sul nostro stomaco che “viaggiare” in Perù può essere molto pericoloso (vi consigliamo le comodissime e affidabili compagnie Autobus come la Movil Tours e la Cruz del Sur). Dopo un paio di minuti di caos per il ritiro/recupero bagagli ci siamo fiondati fuori per trovare un taxi per raggiungere il nostro nido andino, una grossissima struttura con chiesa, collegio e annessa struttura di clausura, “Sacrados de Corasones”. Dopo un breve tragitto con le Mtb (smontate e nelle sacche) sul tetto della macchina (poverelle) e valige infilate in ogni dove nella toyota bianco/grigia, arriviamo sull’avenida centenario e al collegio. Francesco (Lo Rè) impegnato nel rimuovere le valige incastrate nel taxi, io (Michele, Extreme Tinozza) e Luca (Ingegner Cane) indaffarati nella ricerca di Padre Arturo, il nostro contatto. Dopo le prime 2 porte chiuse (abbiamo anche intravisto con preoccupazione il cartello clausura), ci siamo diretti in chiesa e verso due tonache nere e abbiamo chiesto di Padre Arturo, che ovviamente non c’era. Abbiamo dialogato in spagnolo (come lo Rè insegna basta terminare le parole con la “s”) in inglese e a tratti in latino, per poi capire che preferivano che parlassimo in italiano. Dopo i primi secondi (sempre molto lunghi) in cui abbiamo visto nei loro volti forti titubanze, (come quando due persone si guardano in faccia pensando “ma questi chi sono e che vogliono”) ho utilizzato la parola magica, che volevamo però tenerci come ultima chance (scherzo), “David Ortega”. Padre Percy (il Rettore) ha sorriso e ha esordito con “aaaaa”, quindi nessuna parola, ma un suono/esclamazione che ci ha donato molta serenità. Abbiamo recuperato Lo Rè e tutte le valige (in totale 12) e passando attraverso un piccola porta con la scritta clausura siamo arrivati in un chiostro, dove nella parte superiore avremmo trovato i nostri alloggi. Struttura bellissima, piccole stanze accoglienti, un sole e un’aria magnifica (6 giorni che non vedevamo il sole e il cielo azzurro). Abbiamo buttato tutto nella prima stanza e siamo corsi a far colazione con tutti i pretonzoli (in senso affettivo) che ci aspettavano; siamo stati serviti e riveriti e abbiamo quasi pranzato (abbondanza). Noi eravamo curiosi di quello che stavamo mangiando (per lo più frutta di ogni colore e sapore) e loro di quello che avremmo fatto; tutti stupiti. Siamo corsi nelle stanze e nonostante fossimo preoccupati per le Mtb (come le avremmo trovate), ci siamo catapultati per strada…Huaraz è una magnifica e colorata cittadina a portata di turista (nel bene e nel male). L’intera mattinata del 2 l’abbiamo passata nel delicato montaggio (completo) delle Mtb, dove tra “ciglia alzate” per lo stupore e “bestemmie” soffuse abbiamo penato, non per il montaggio in se, ma per le profonde incisioni sul telaio e le ammaccature da passaggio di un’articolato. Avevamo messo in conto che si sarebbero rovinate, ma non pensavamo di trovarle in quello stato, io ho rischiato di scendere sui sterrati andini con il solo freno a disco anteriore e eventualmente il v-brake di scorta per la frenata posteriore, l’alloggio della vite della pinza posteriore completamente deformato (immaginate che botta deve aver preso). I 3000 metri si sentono come leggero ma fastidioso microaffanno quando facciamo le scale di corsa per raggiungere le stanze, per il resto tutto bene e ci dedichiamo a brevi uscite in Mtb girando per questa città gremita di turisti europei e americani. Obbligatorio un salto ai mercati, colori, sapori che inebriano.

Il 3 agosto è la data fatidica in cui decidiamo di testare le nostra gambe e il nostro fiato all’altura; Huaraz-Punta Callan, 34.3 Km di salita su asfalto raggiungendo i 4100 metri. Uscita stupenda, cielo sereno e il complesso dello Huascaran a portata d’occhio, emozionantissimi, ci siamo accorti che stavamo guardando il nostro sogno prendere forma. Abbiamo deciso che l’indomani saremmo partiti. Siamo ritornati nella nostra comoda clausura nel primo pomeriggio, arsi vivi dal sole (o meglio dagli Uv, siamo stato molto incoscienti), doccia fredda e ci siamo messi sotto a preparare i bagagli per la partenza (operazione lunghissima che si è protratta fino a notte). Verso le 23, le porte dell’enorme cancello del collegio di Hogwarts si aprono e due pulmini mercedes entrano carichi di gente e anche di meraviglie, scendono italiani, francesi e probabilmente anche altro. Un sagnellone (persona alta e magra, come me) si ferma vicino a noi osservandoci, vede che siamo italiani e scambiamo quattro chiacchiere. Esce ovviamente fuori il viaggio e il medico del bergamasco se ne esce con le sue sensazione e esperienze, sentendosi in dovere di avvertirci che sarebbe stata durissima e che probabilmente non ce l’avremmo fatta a pedalare, dato che il fondo spesso era sabbioso (anche 5 cm) e che lui e tutti gli altri erano stati male per l’altura. Lo rassicuriamo che siamo allenati e lo liquidiamo velocemente, a me mi stava facendo innervosire. “Orcovolante ti vengano delle bolle su tutto il corpo” con questo maleficio se la sarebbe cavata il medico se fossimo stati dei maghetti, ma gliene abbiamo dette di peggio, dato che ci ha comunque allarmati inutilmente, oltretutto la notte prima della partenza. Vorrei tanto inviargli qualche foto. Ora ci rido sopra.

4 AGOSTO HUARAZ-YUNGAY, I TAPPA B.T. KM 55, DISLIVELLO 612 M (GUADAGNO)

Nonostante la sveglia fissata alle 6:30, partiamo tardissimo (09:10), ma siamo sollevati perché comunque la tappa non sarebbe stata difficile. Portiamo fuori le nostre mule da 45 kg minimo (il mio cancello in alluminio supera di gran lunga i 12 Kg), e ci avviamo costeggiando il Rio Santa, che ci terrà compagnia fin quasi a Yungay; cittadina molto sfortunata. Il percorso scende dolcemente, ma di tanto in tanto ci sono brevi ma intensi strappi (9-11%) che in pochissimi metri riescono a farti guadagnare anche 100 metri di dislivello. Sosta per pranzo a Carhuaz, troviamo poco di allettante da mangiare e ci accontentiamo (per dire) di banane e cerimoya, ma ci rifacciamo gli occhi con una mare di donne in costume che mangiano a pochi passi da dove ci siamo fermati. Ci gustiamo il mercato, aspettiamo che il sole bruci di meno e ci avviamo, gustandoci il paesaggio e il contrasto di colori che varia dall’azzurro intenso al giallo oro. Le ruote tassellate soffrono nell’aggredire l’asfalto, ma le vette del Huascaran sono effettivamente dietro l’angolo. Pochi chilometri prima del centro abitato, del nuovo centro abitato di Yungay, notiamo su una collinetta un vistoso mausoleo circolare, che commemora le 5000 vittime del terremoto del 1970. La cittadina è piccolissima, ma c’e tutto quello che serve ad eccezione di un locutorio. Ci mettiamo alla ricerca di una struttura che possa riceverci e ci consigliano un’Hostal fuori dal centro abitato e ci avviamo. Fuori dalle scale di una casetta tinta di bianco c’è una signora priva di un braccio che ci saluta. Avevamo trovato l’Hostal. Piccolissimo, confort accettabile, prezzo insignificante e servizi igienici minuscoli e bui. Doccia semi-calda grazie ad un piccolissimo aggeggio elettronico simile al braccio della doccia che scalda l’acqua e spara scosse che illuminano il vano doccia (preoccupati). Si esce immediatamente per mangiare un “pollo alla brasa” e bere una cristal. Alle 10 tutti a letto. L’indomani sapevamo che sarebbe stata veramente difficile.

5 AGOSTO YUNGAY-LLAGANUCO, II TAPPA B.T. KM 30.8, DISLIVELLO 2300 M (GUADAGNO)

Abbiamo migliorato notevolmente i tempi ai box, infatti alle 8 eravamo pronti per la partenza, qualche busta di troppo a penzoloni (panini, scatolame e frutta). Arriviamo a Plaza de Armas incontriamo un poliziotto e chiediamo informazioni, ci indica una piccola stradina che sale e la imbocchiamo. Dapprima dolcemente, poi mostruosamente su cemento iniziamo l’ascesa con pendenze che superano il 15%, speriamo che la pendenza a breve ridiventi accettabile. Dopo qualche chilometro il percorso abbandona il cemento per una bianca carrareccia e le pendenze tornano quelle che immaginavamo. Il peso si sente e per non consumare troppe energie e rischiare crampi inutili (è facilissimo in altura) non spingiamo al massimo e manteniamo una pedalata agilissima. Lo Huascaran si avvicina e con un po’ di timore pensiamo alla tappa di domani. Il fondo solo a tratti e profondo, quindi non si soffre molto. Alle 13 circa ci fermiamo in una piccola casetta lungo la strada, godiamo qui di paesaggio magnifico, i ghiacciai e il piccolo villaggio situato in una bellissima conca. La casetta sembrerebbe una piccola bottega ma bussiamo e non c’è nessuno. Abbiamo ancora acqua potabile di scorta, ma ci avrebbe fatto comodo riempire tutte le borracce; ci arrangeremo con le pastiglie o la katadyne bootle. Solo dopo aperto il tonno (che ci terrà compagnia per molti pranzi e cene) arriva la proprietaria con una dolcissima bambina, ci vede adagiati comodamente su i suoi tavoli e non dice una parola. La seguo dentro la bottega e compro acqua e salatini. Breve digestione e ripartiamo. Sulla strada di tanto in tanto passano jeep, collectivos 4×4 e macchine sgangherate, che portano i turisti a Llaganuco, proviamo a cronometrare i tempi ma sono troppo differenti. Raggiungiamo l’entrata/punto di controllo del Parco Nazionale dell’Huascaran, dove anche a noi tocca fermarci e pagare quasi 100 soles, scambiando quattro chiacchiere con i ragazzi addetti al controllo. Dopo circa 20 minuti siamo all’interno del profondo Canyon che ci porterà fino alla magnifica laguna di Llaganuco. Gli ultimi 5 Km sono stati difficili perché alle pendenze che aumentavano, anche il fondo diveniva progressivamente sabbioso. Siamo arrivati alla laguna con la penombra, perché la laguna è incassata tra le montagne come una stretta feritoia, mentre le vette riflettevano una luce intensa dall’alto dei 5000 e passa metri. Arrivati a Yurac Coral, ci riposiamo per qualche minuto godendoci il paesaggio, poi immediatamente ci cambiamo perché il freddo permea tra il sudore e gli strati di wintex. Montiamo la tenda e ci fondiamo dentro. Contenti, affamati e un po’ stanchi. Non è tardissimo ma è notte (sono le 6), ne approfittiamo per rivedere la tappa di domani sulla cartografia, Luca prepara la cena e si scherza riparati dal freddo dalla buona tenda. Finiti i panini e le chiacchiere ci fiondiamo nei sacchi a pelo che ci proteggeranno dai gradi sotto zero della notte andina.

6 AGOSTO LLAGANUCO-YANAMA, III TAPPA B.T. KM 46.2, DISLIVELLO 1853 M (GUADAGNO) Il tappone

Per l’ansia, almeno io ho dormito molto poco, il timore di raggiungere e superare Porta Chuelo e i suoi 4870 metri mi tiene sveglio, sono quasi più stanco di quando ho preso sonno. Ci alziamo molto presto ed è ancora notte, finalmente comprendiamo cos’erano quei tanti occhietti che ci osservavano nella notte, ciuchini simpaticissimi. Ci prepariamo per lavare i panni nell’acqua gelida con sapone bio e recuperare l’acqua da trattare con il prodotto a base cloro (chlorine tablet) e per riempire le borracce filtranti. Dobbiamo girare un poco per trovare una vena d’acqua che non sia eccessivamente torbida. Riusciamo nel frattempo a gustarci il sole che permea la laguna, ma si sono fatte le 8 e dobbiamo partire. Primi dieci minuti adagio adagio, quasi non pedalavamo, l’aria è molto fresca nonostante il sole. Vediamo il percorso dalla Laguna che sale a zig zag quasi a toccare il cielo, ci arriveremo? Per fortuna i primi chilometri ci danno il tempo di scaldarci (tutto relativo), quando pensavamo di aver preso un buon passo veniamo quasi investiti da un camion allestito stile Overland, un 6×6 che occupava l’intera carrareccia. Il quasi è riferito alla fortuna di non trovarci in quel momento su uno strapiombo e siamo riusciti a spingerci verso l’esterno della pista. Momento pericolosissimo e ripetibile. Dopo circa due orette, raggiunti i 4100 circa, l’aria è decisamente fredda e abbiamo fresco nonostante non ci siamo mai fermati. Decidiamo di fare una brevissima sosta per metterci un’altro strato. Fortuna vuole che fino al raggiungimento della sella non abbiamo incontrato nessun altro veicolo e ci siamo gustati la fine del 32° tornate e l’ultimo strappo finale per raggiungere i 4870 metri. Fatta, occhi lucidi e contentezza viscerale, facciamo finalmente una ripresa dell’ultimo strappo con la videocamera montata sul forcella (purtroppo non abbiamo avuto molto tempo per le riprese) e poi ci gustiamo il paesaggio a 360°, ghiacciai, cascate, profonde valli e il Chopicalaqui (6354 m) a pochi chilometri da noi. Dopo pochi minuti dal nostro arrivo si fermano un paio di jeep, escono fuori degli anemici tedeschi, uno di loro ci guarda e con una bellissima Eos (mai come la mia Nikon) ci scatta foto a raffica e poi esordisce con un’italiano alla Benedetto XVI, “eroi italliani” (esagerazioni colossale) ma ci ha fatto piacere riceverla. Sorridevamo guardandoci a vista, probabilmente perché volevamo monitoraci a vicenda sullo stato di “salute”, avevamo paura (tutti) che uno di noi sarebbe sbattuto a terra per ipossia. Continuiamo a rilassarci, ingurgitiamo dei dolci, stringiamo le molle e sistemiamo le maledette borse di Pinelli, che nonostante fossero identiche alle mie non c’era verso di mantenerle sul portapacchi nel modo corretto. Il grosso era fatto, come sbagliavamo. Sapevamo che in discesa non avremmo corso, ma nemmeno che saremmo scesi con una media vicina ai 12 Km/h. Fondo pessimo, con sassi smussati ma sporgenti, per quanto provavamo a destreggiarci in ripetute chicane, dopo 3-4 Km di discesa era obbligatorio fermarsi per sistemare le borse e controllare i portapacchi. Infatti dopo una decina di chilometri il portapacchi anteriore in alluminio dell’Ingegner Cane non ha retto. Nonostante fosse di qualità e rinforzato, sono saltati i chiodi (fermi) a pressione che reggevano il supporto per l’attacco alla forcella. Il povero portapacchi posteriore dell’Ingegner Cane ha dovuto subire una tortura mostruosa fino a Yanama, senza nessun tipo di cedimento con tutti i 35 Kg. Situazione poco piacevole, dato che anche il mio posteriore dava segni di cedimento su uno stelo, siano lodate le fascette (P.S. siamo partiti con materiali di ottima qualità e rinforzati, il cedimento è dovuto alle estreme sollecitazioni a cui sono stati sottoposti, percorso molto sconnesso, un po’ di velocità, 30 kg dietro e 5 avanti all’incirca). Alle 5 circa siamo raggiunti a Vaqueria (sei case, sei), abbiamo chiesto di un fabbro, ovviamente nulla da fare. Il sole stava sparendo dietro lo Huascaran e ci mancavano ancora diversi Km per raggiungere il piccolo abitato di Yanama, fortunatamente la carrareccia bianca aveva lasciato il posto ad una polverosa pista su sabbia, dove con piacere potevamo mollare i freni. Dopo aver superato un classico ponte in legno, ci ritroviamo della gente in mezzo alla strada, un camion si era ribaltato ed era finito in una scarpata. Per fortuna nessun morto. La penombra andina ci ha avvolti, ma ben presto le luci di Yanama ci hanno confortato. Chiediamo se ci fosse qualche struttura ricettiva e ci indicono una casona bianca, ci avviciniamo ma vediamo che è una sorta di guardia medica, ci avranno visti in condizioni pessime, pensiamo. Guardando meglio vediamo anche la scritta Hostal… Bussiamo. Struttura modernissima ed europea… anche nel prezzo (paragonato a quanto costano solitamente gli hostal o stall). Per cena, pollo, patate, insalata (che non mangio) e cusquena, con la compagnia di un piccolo maiale che scorrazza in un garage allestito da polleria. Che sonno e che facce cotte (manco la crema ci può). Ci abbronziamo e la sera ci spelliamo.

7 AGOSTO YANAMA-LLUMPA, IV TAPPA B.T. KM 31.8, DISLIVELLO 1688 M (GUADAGNO)

Sveglia anche oggi di buon’ora, prendiamo la bici di Luca (o deciso che la mia può aspettare) e cerchiamo il fabbro del paese. Vediamo a pochi passi del nostro alloggio un buchetto incastonato in una casa di paglia e fango con tetto in eternit. Ci accorgiamo che il posto è giusto perché davanti all’entrata, una maestosa incudine usurata dal tempo richiama la nostra attenzione. Pochissime parole e il fabbro comprende il problema. Pochi minuti, un chiodo, un martello e una sega e il gioco è fatto. Levati i chiodi (fermi) completamente lesionati, c’è giusto lo spazio per inserire due belle viti nuove nuove. Alle 9 siamo in partenza, scendiamo velocemente sulla sabbia senza che il porta pacchi di Pinelli si faccia sentire, rimango dietro per qualche motivo, forse qualche foto di troppo. Per recuperare taglio tutte le curve in cui sono sicuro di non ritrovarmi nessuno davanti, la strada scende a mezza costa e si riescono a vedere le curve successive e se sopraggiunge qualche veicolo. Durante un cambio di direzione, dove necessariamente oltrepassi il centro della carreggiata, spesso sporco, mi ritrovo all’improvviso a cercare di mantenere la mia muletta che scalpita. Questa volta vince lei e mi ritrovo a terra facendo un bel ruzzolone, ma mantenendomi per mia fortuna a monte. Mi rialzo, qualche escoriazione, ma la gamba duole, un bello strappo al quadricipite. Cosa fosse successo è subito lampante, pizzicatura e copertone tagliato della ruota anteriore. Mi riposo un pochino (bello spavento), controllo quello che avevo perso durante la caduta e nel frattempo arrivano Lo Rè e Maresca. 10 minuti e ripartiamo pian pianino, nemmeno 15 minuti e pizzico di nuovo. Giornata no, questa volta colpa della rigidità nella guida, scaturita dallo spavento che mi accompagnerà fino a Pomabamba. Poco prima di raggiungere il ponte sul Rio Yurma, intercettiamo un grosso camion, che riusciremo con estremo sforzo a superare solo dopo buoni 15 minuti, non ci è venuto in mente in quel momento che potevamo tranquillamente fermarci. Arrivati al bivio, sul Rio Yurma, intercettiamo la carrareccia che porta a Pomabamba, ci riposiamo un’attimo e ci accorgiamo che avevamo la stessa colorazione degli indios. Riprendiamo l’ascesa fino a Llumpa, con tratti a pendenze considerevoli, e continuiamo ad osservare la Cordillera Blanca che sembra pian piano allontanarsi. Arriviamo a Llumpa di buon ora, facciamo il giretto della minuscola piazza e cerchiamo un Hostal, ci indicano la direzione da seguire e dopo poco riconosciamo la porta segnalataci. Bussiamo, ci accoglie un ragazzo, il prezzo che è accettabile e accettiamo, ci fa accomodare le bici in una stanza vuota ma ben sistemata. Percorriamo delle piccole scalette di argilla che attraversano i piani dell’abitazione e ci mostra le nostre stanze. Hostal o stall (stalla), le bici sono messe molto meglio di noi, è una cameretta senza luci con soffitto ricoperto da sacchi di plastica e un letto molto sporco. Sarebbe stato più salutare dormire in tenda. Sistemiamo i bagagli e decidiamo che io sarei stato il primo a fare la doccia, ci avviciniamo al bagno occupato e ci accorgiamo che i realtà è un bagno pubblico con doccia, in stato pietoso, probabilmente più sporco di quanto lo eravamo noi tre messi insieme. Nel giardino sotto caso c’è un bell’orto e una storta (tubo di gomma) allacciata ad una fontana. Non ci penso due volte e mi lavo a pezzi fuori con un’acqua a dir poco fresca. Terminata anche da Luca l’azione tonificante, ci vestiamo per recuperare il cibo e l’acqua per domani e trovare qualche buco dove mangiare. Siamo riusciti a recuperare i viveri ma il buco che troviamo (l’unico) è veramente un buco. Ci rifondiamo nella prima bottega che troviamo e decidiamo di comprare dello scatolame, per cambiare ci accontentiamo delle sardine al sugo e una bevanda obbrobriosa chiamata Inca Cola. Purtroppo niente pane e la situazione non ci soddisfa, ma ci indicano un forno, quindi scendiamo di corsa per comprare del pane, 1 sol per sei pagnottine. Ritorniamo alla bottega dove mangiamo in compagnia di una simpatica ragazza che parla il Castigliano e il Quecha (la loro lingua e ci insegna qualche parola) e una volontaria americana grossa quanto un’anta del mio Pax Malm. Voracemente ci accontentiamo della cena, assaggiamo dei biscotti e nel frattempo la bottega si riempie di ragazzi, qualcuno brillo, qualcuno che ci osserva, e qualcuno brillo che ci osserva insistentemente e poi inizia a parlarci addosso, ovviamente in Quecha. Dato che non riusciamo a capirlo si degna di parlare in spagnolo, quello che ci dice non è nullo di simpatico e penso che sia il tono giusto per concludere una pessima giornata. Mantengo Lo Rè che è sanguigno e grosso, paghiamo e ci alziamo, scortati fino alla Stall dalla carinissima ragazza inca e dall’anta americana. Solo il tramonto in lontananza attenua un minimo gli animi. Dormiamo vestiti e pronti per pedalare…

8 AGOSTO LLUMPA-POMABAMBA, V TAPPA B.T. KM 45.4, DISLIVELLO 2450 M (GUADAGNO)

Llumpa, giornata pessima lasciata alle spalle, ore 5:30 sveglia, è notte pesta. Alle 6 siamo fuori dalle camere e probabilmente i vecchietti che vivono sopra le nostre teste sono allarmati per paura che non li paghiamo, escono fuori e ci osservano. Alle 6:20 vengono a recuperare i 10 soles e vogliono anche altri 5 per le bici; ovviamente i 5 non glieli diamo. Questo piccolo villaggio sperduto nella Cordillera Blanca lascerà il segno. Alle 7 già stavamo pedalando, dalla cartina la tappa non sarebbe dovuta essere molto difficile, ma la scala e relativo dettaglio ci hanno tratto in inganno. Il paesaggio pian piano ha cambiato aspetto, le vette innevate sono sempre visibili, ma sembrano lontanissime, ora prevale il verde intenso dei cactus e delle piante, una vegetazione bassa adattata a crescere in terreni sabbiosi e aridi e la terra nuda. A circa 10 km circa da Llumpa, scorgiamo in lontananza delle ragazze stese per terra, ci avviciniamo e sono vive, aspettano il Pullman che le avrebbe portate verso San Luis, siamo al bivio dove intercettiamo la strada secondaria che porta a Pomabamba. La stradina diviene decisamente piccola, a stento ci passa una macchina, e subito siamo impegnati a superare un notevole dislivello con pendenze dove lo sforzo difficilmente verrà smaltito. Fa molto caldo e sudiamo moltissimo, centelliniamo l’acqua delle borracce, perché bere quella trattata al cloro è un pugno allo stomaco (solo per necessità), utilizziamo le fantastiche katadyne bootle. Sali e scendi intensi si ripetono fino ad arrivare a Masqui, dove ci fermiamo nella piazza graziosa e pulita in compagnia di 5 lattonzoli che scorrazzano liberi e felici. Divoriamo il miele e i mars pezzotti (imitazioni peruviani) e ci avviamo per raggiungere Lucma, città nascosta in una piccola incisione, osserviamo per qualche secondo la piazza e una lunga discesa ci accompagnerà fino al Rio Lucma, dove inizieranno gli stenti. Il fondo è decisamente sabbioso, le pendenze sono mostruose e bisogna pedalare energicamente per andare avanti, altrimenti ti areni. I primi crampi si fanno vivi (purtroppo stiamo bevendo poco e stiamo assumendo quindi pochi sali minerali), ma continuiamo a pedalare, nella speranza che gli 8 km di salita terminino subito. Poco prima di arrivare nel piccolo villaggio di Huaychao un gruppo di bambini ci vede ci saluta e decide di seguirci, tagliando i tornanti e corredo. Arrivati al villaggio ci fermiamo e mangiamo il tonno e il pane che ci portavamo dietro, decidiamo di offrire quello che avevamo ai piccoli ragazzi. Riposiamo e aspettiamo che il pollice di Pinelli riprenda una forma umana e ci avviamo. Scendiamo velocemente raggiungendo in poco meno di 30 minuti le sponde del freddo e veloce Rio Pomabamba e lo costeggiamo fino ad arrivare alle prime case del centro andino. Salita finale su sabbia e cemento e ci ritroviamo in una fitta rete di vicoli e incroci, continuiamo a salire arrivando nella magnifica piazza di Pomabamba, accolti dai puma d’orati e da una magnifica quercia (non ne siamo sicuri) centenaria. Proviamo inutilmente a contattare Miguel (Kahuay), nel frattempo ci mangiamo un’arancia e ci gustiamo il tepore del sole del tardo pomeriggio. Il suo cellulare non da segni di vita, incominciamo a chiedere in giro, ma le prime persone che fermiamo non lo conoscono. Proviamo a cambiare angolo della piazza e un signore paffutello di corsa ci insegue… “Miguel Flores, Miguel Flores”, ci fermiamo e ci indica la direzione da seguire per raggiungere la casa di Miguel, dovrebbe essere gialla e con una porta vede in ferro. Percorriamo la via principale e usciamo dal centro, individuiamo la casa e bussiamo, ma nulla. Apriamo una piccola feritoia sulla seconda porta, sempre verde, che affaccia su un cortile e gridiamo Miguel, questa volta sentiamo dei rumori, una porta che sbatte e Miguel che arriva (lo avevamo conosciuto lo scorso anno a Dragoni). Ci abbraccia forte, sorride e ci guarda, è incredulo, non pensava che ce l’avremmo fatta. Ci fa entrare nella casa, sempre di paglia e fango, ma curata, ci fa posare le Mtb nel giardino e poi di corsa in cucina per un mate de coca e pane e miele. Siamo felici e ci accorgiamo che l’incredulità di Miguel è dettata anche dalla mancata comunicazione avvenuta tra noi che mandavamo sms quando possibile e lui che purtroppo non ha ricevuto nessuno; una settimana che la rete Gsm non funzionava a Pomabamba. Prendiamo i bagagli e Miguel ci porta in uno stupendo Hostal dove alloggeremo gratuitamente, amici di Miguel. Doccia fredda, almeno io (non funzionava lo scaldino), ci riposiamo e poi verso ora di cena ci avviamo per raggiungere casa di Miguel. C’è tutta la famiglia al completo che ci saluta calorosamente, un’abbraccio comunitario che sembra non terminare mai… Miguel, Gisela, Fatima, Elena, Nathalie e Nacho (Kahuay). Ci sentiamo subito a nostro agio, a tavola il classico riso adornato da tantissimi contorni colorati. A fine cena Miguel ci mostra il calendario degli spostamenti che gli avevamo mandato via mail, però sul lato, scritto a penna, era riportato il fitto programma che aveva pianificato per la nostra permanenza a Pomabamba.

9-13 POMABAMBA

Proviamo a dormire ma non c’è verso, alle 8:30 siamo da Miguel e alle 9:30 siamo alle terme. Ci voleva un po’ di relax, 30 minuti di pace, dopodiché visitiamo Pomabamba e la bellissima struttura di Kahuay. Seguiranno giorni intensi tra uscite e visita dei progetti di Kahuay. Giorni carichi di sensazioni positive e profondi vuoti interiori, dettati da ciò che vediamo e ciò che invano tentiamo di non vedere, una povertà profonda che può uccidere e che Kahuay con estrema caparbietà tenta di combattere. Il cuore e le mie ossa (un piccolo ossicino anche scheggiato) sono tornati in Italia, sto ancora aspettando che l’anima arrivi. Il pomeriggio tardo dell’undici agosto, in una piccola bottega, bevendo un’improponibile bevanda a gusto di big bable (Inka Cola), chiacchierando con Antonio (l’amico di Miguel che viaggia molto), salta fuori fuori che la strada per Porta Olimpica è bloccata. All’inizio il termine bloccato non ci allarma, perché viaggiando in Mtb non ci fa paura qualche smottamento, poi capiamo “fortunatamente” che il termine bloccato aveva tutt’altro significato; anche perché Miguel ci faceva domande su dove saremmo andati. La strada per Porta Olimpica, il passo più alto che avremmo dovuto attraversare (4890 m), è bloccata per lavori di ampliamento con l’ausilio di esplosivo e la polizia impediva il passaggio. La notizia mi ghiaccia e mi demoralizza, anche perché significava mettersi sulla cartine e vedere cosa fare. Non avevamo tantissimi giorni e dovevamo stare a Lima entro il 22 per partire per Cuzco. L’unico alternativa è circumnavigare la Cordillera Blanca, anima e pace. Decidiamo di non rinunciare a Pomabamba e alle esperienze con Kahuay per una partenza anticipata, rimanendo sempre in movimento (escursione a Yaino 4100 m) e con la consapevolezza che i limiti esistono… se fossimo stati stanchi avremmo chiesto insistentemente lungo le tappe successive un passaggio (strade decisamente più trafficate). Portapacchi risistemati e risaldati.

14 AGOSTO POMABAMBA-PISCOBAMBA, VI TAPPA B.T. KM 22.6, DISLIVELLO 1353 M (GUADAGNO)

Tappa corta. Purtroppo raggiungere San Luis in un’unica soluzione sarebbe poco fattibile (83 Km di sali e scendi), decidiamo di partire con tutta calma e gustarci il paesaggio, l’indomani la tappa sarebbe stata difficile anche per il dislivello (superiore ai 3000 m in guadagno). Il paesaggio è più lussureggiante, gli alberi non sono più striscianti al suolo anche se l’eucalipto ben poco centra con questa terra. La strada rispetto a quello che abbiamo vissuto nelle tappe precedenti è decisamente trafficata, e questo ci fa molto timore; siamo sempre attenti e pronti a sganciarci i pedali e scendere. Il fondo è decisamente buono, scorrevole, saliamo pian pian e solo in brevi tratti siamo costretti a pedale agili. La strada si mantiene a mezzacosta e permette di osservare dall’alto la valle del Rio Pomabamba. Passano anche dei pullman gremiti di gente e di pacchi, eventualmente domani o per le prossime tappe ci buttiamo sopra anche noi… Il morale non è al massimo. Poco prima di arrivare a Piscobamba, cittadina con una graziosa e spaziosa piazza, un grossa arena ti dà il benvenuto, l’influenza spagnola è sempre viva. Siamo freschi, non ci mettiamo subito a cercare una struttura per la notte e ci concediamo un break alcolico nella plaza, il sole non picchia, sono sopraggiunte delle nuvolette, che al momento ci danno molto sollievo. Il sedere duole nonostante a Pomabamba non abbiamo oziato.

15 AGOSTO PISCOBAMBA-SAN LUIS, VII TAPPA B.T. KM 59.7, DISLIVELLO 3100 M (GUADAGNO)

Sveglia, anzi levataccia… ci eravamo abituati a ritmi vacanzieri, i primo 10 km non quasi pedaliamo ad eccezione di brevissimi strappi. Il paesaggio chilometro dopo chilometro assume nuovamente un aspetto brullo. Le borse di Pinelli hanno nuovamente ripreso vita, e spesso ci si ferma per sistemarle meglio; e pur vero che Lo Rè non si mantiene e che non fa nulla per evitare che si sgancino. Siamo più pesanti delle tappe precedenti non conoscendo il percorso siamo stati costretti a portarci dell’acqua e dei viveri in più. Raggiunto il fondo valle dove scorre il Rio Yanamayo inizia la salita che ci porterà ad intercettare al chilometro 22 il bivio e un segmento di tappa percorsa l’8 agosto. Scendiamo velocemente e oltrepassiamo velocemente Llumpa dove in più da fermo ero caduto l’8 agosto, che botta. Raggiungiamo il ponte sul Rio Yurma e prendiamo la strada sulla sinistra che scende e che ci porterà fino a San Luis. Da ora in avanti solo salita, circa 24 Km su un fondo misto a sabbia e brecciolino. Saliamo agili e le nuvole compatte ci proteggono, il paesaggio si mantiene brullo e sembra molto triste (penso sia il mio animo). Le pendenze non sono eccessive, il rampichino e relativa pedalata agile salvano le nostre gambe da sforzi inutili. Al Km 58 inizia però il muro che terminerà solo alla piazza di San Luis, su un fondo poco scorrevole che oltre impegnare le gambe tiene occupata anche la mente. Arriviamo al centro stanchi, ci fermiamo su un muro, ci cambiamo velocemente tra un continuo via vai di gente e notiamo facce bianche che ci osservano. Sappiamo che San Luis ci sono strutture ricettive, quindi non ci attiviamo subito per trovare qualche buco. Ci puliamo la faccia e le braccia con le fondamentali salviettine umide, quando una ragazza ci saluta con un piacevole ciao e ricambiamo, dopo poco un’altra ragazza esce fuori dalla porta alle nostre spalle e ci chiama invitandoci ad entrare. Sistemiamo le bici nella speranza che non ce le rubino (Gps e borsa le porto con me) ed entriamo in una struttura bellissima e funzionale (almeno la cucina), e ci offrono un caffè, vero caffè. Qualche chiacchiera, su dove venivamo e cosa stavamo facendo, in un’atmosfera cordiale e romagnola, non c’è stato bisogna di chiedere chi fossero, o meglio di che organizzazione facevano parte (Matogrosso). Ci sentiamo un po’ a disagio per il nostro stato di pulizia e ben presto salutiamo e ci avviamo alla ricerca di un Hostal. A pochi passi dalla chiesa troviamo chi ci ospita. Doccia, riposo e usciamo per mandare giù del buon riso e un paio di papa rellena, ovviamente accompagnati da birra. La pancia, o meglio l’intestino e ciò che ne scaturisce, nonostante le tante accortezze, come l’enterogermina che prendiamo tutti i giorni, dà fastidio, nulla di grave ma fastidioso.

16 AGOSTO SAN LUIS-HUARI, VIII TAPPA B.T. KM 59.9, DISLIVELLO 2604 M (GUADAGNO)

Partiamo tardi, e questo non ci voleva proprio oggi, dato che dovevamo superare la sella di Huatsucocha (4350 m). Iniziamo pian piano, perché subito fin dall’inizio si sale velocemente, le nuvolette sono sempre presenti sulla nostra testa, ma sembrano addentrarsi proprio in direzione del passo. Nonostante la carrareccia sia la strada principale per raggiungere Huaraz è tenuta molto male, in alcuni tratti il fondo è decisamente grossolano. Diciannove chilometri di salita e fa molto fresco, le nuvole hanno coperto il cielo. Vediamo che siamo quasi arrivati al passo, mancano 3 tornanti morbidi e questo ci incoraggia, l’intera mattinata è andata. Ventidue chilometri intensi e continui in ascesa, arrivati sulla sella mangiamo velocemente e ci gustiamo per poco il paesaggio che offre la piccola Laguna Huachococha. Purtroppo la macchina fotografica mi fa penare, è dall’arrivo a Pomabamba che l’autofocus del 18-200 mm sembra essere partito, saranno tutte le botte/sollecitazioni che ha preso attaccata sopra le borse. Comunque vada il tempo è diventato orrendo e le foto non sono il massimo. Sarà la volta che prendiamo l’acqua. Imbacuccati per bene ci avviamo, la discesa è piacevole, non tecnica, ma dobbiamo pedalare perché le temperature si sono abbassate e il vento fa del suo per raffreddarci. E’ diventata decisamente una giornata da abbigliamento invernale completo, ma il pantalone in wintex è nelle sacche di compressione in fondo alla borsa. La discesa termina al chilometro trenta e lascia il posto prima a un sali e scendi, poi a una salita che termina a un chilometro da Huari. Tempo pessimo… e fa freddo. Nessun problema per trovare un’alloggio e per mettere qualcosa sotto i denti. Prima di andare a nanna decidiamo che visto che ci trovavamo di strada non potevamo non fermarci a Chavin per un giorno, dedicandolo alla visita delle rovine. I giorni dovrebbero bastare, anche se la salita al tunnel Kawish ci preoccupa, ci hanno inoltre raccontato che di tanto in tanto qualche bandito fa qualche scherzetto.

17 AGOSTO HUARI-CHAVIN, IX TAPPA B.T. KM 38.1, DISLIVELLO 1820 M (GUADAGNO)

Purtroppo siamo usciti fuori dall’area che ricoprono le cartine dell’Ign che abbiamo a disposizione e anche quelle delle Alpenvereinskarte. Per fortuna ci siamo portati dietro la Felipe Diaz, carta turistica su cui possiamo almeno vedere il chilometraggio. Siamo sulla strada principale, strada che da Huari fino a Huarzaz è riportata come “carretera asfaltada”, questo gioca a nostra favore per la tappa da 69 km. Percorriamo quasi 11 Km in discesa su un fondo stradale costituito prevalentemente da asfalto, strada che purtroppo si sviluppa su argille e gli smottamenti sono all’ordine del chilometro. Quasi al culmine della discesa si sviluppa l’abitato di Pomachaca, ancora pochi chilometri e poi la strada incomincia a salire. Ascesa non impegnativa, anche se si è invertita la situazione; ora solo a tratti l’asfalto spunta sulla strada bianca. Purtroppo l’impeto del Rio Mosna e l’abbondanza delle componenti argillose fa sì che la strada non esista più, si passa attraverso colline di argilla, su ponti provvisori, abbandonando molto spesso la strada asfaltata che culmina nel vuoto. In molti tratti i veicoli procedono a senso alternato su esili piste appoggiate alla montagna, non veniamo minimamente considerati e spesso qualche gesto popolare da entrambe le parti si fa vivo, dobbiamo però tener conto che anche da queste parti la precedenza va a chilo. Solo arrivando a San Marcos, dopo uno strappo su pietre e asfalto la strada asfaltata prenderà il sopravvento fino a Chavin. Poco prima dell’abitato di Chavin una bella pianura coltivata ci dà il benvenuto e scorgiamo un museo avveniristico, il museo dove sono raccolte parte degli oggetti rinvenuti nelle rovine. Ci addentriamo verso il centro e ci accorgiamo che Chavin, nonostante l’importanza delle rovine è un buchetto. Anche quì non abbiamo problemi per dormire e ci gustiamo un decente pollo e patate. Parliamo con il gestore dell’Hostal delle Rovine, e ci informa che con poco più di tre ore le avremmo visitate, e ci consiglia di andare anche al museo.

18 AGOSTO CHAVIN

Alle 6 sono sveglio, ma aspetto le 7:30 per mettere piedi fuori dalla stanza. Pinelli è sulle scalette che scrive, Luca lo sento rovistare nelle borse, è sveglio. Alle 8 siamo davanti ad una simpatica colazione europeo-peruviana, 20 minuti e ci avviamo a piedi verso gli scavi. Attesa per l’apertura dei cancelli, iniziamo con un sole irruento come le prime tappe che ci tiene compagnia fin il primo pomeriggio. Rimaniamo incantati dalle rovine, dagli scavi in atto, e cerco di placare l’amarezza che mi porto dietro da Pomabamba, stato che influisce anche sulla voglia di scrivere e di scattare foto. Anche l’animo del gruppetto oggi è migliore, nei giorni passati ci sono state scaramucce per diversi motivi, la stanchezza incattivisce tutti e fa uscire fuori i difetti. Rischio di mandare a terra le Rovine con una testata mentre usciamo da una delle tante gallerie e scale sotterranee e graffio gli occhiali che fino ad oggi erano intatti (il secondo paio di occhiali). Alle 12 usciamo, facciamo giusto 2 passi e ci fondiamo in un ristorante con il nome italiano, Buongiorno. Solitamente è un grosso errore andare in ristoranti vicino a punti di interesse e che pubblicizzano cucine non tradizionali, non fa nulla. Ci accoglie una signora simpatica che ci riconosce come italiani come varchiamo l’ingresso. Parla uno squisito italiano e ci fa accomodare. Ci porta un menu bello pieno e dopo riso, pollo e tonno non sappiamo cosa scegliere (imbarazzo); dopo lunghe titubanze entrambi scegliamo una bistecca e verdure lessate. Dire che i piatti erano a dir poco squisiti, giudizio influenzato sicuramente anche da papille gustative dormienti da molti giorni. Inoltre i piatti era decorati come vere opere d’arte. Ce ne andiamo via soddisfatti avvertendo la signora che avremmo mangiato da lei anche a cena. Prendiamo le bici e ci avviamo per raggiungere il museo, moderno ma che riprende lo stile delle costruzioni Inca. Passiamo anche qui un paio di ore piacevoli tra vasi, steli e raffigurazioni falliche. Torniamo nelle nostre stanze e ci vestiamo per bene per un’escursione in Mtb, non c’è la volontà da parte di nessuno di noi, ma il sole ci avrebbe permesso di fare belle foto per gli sponsor. Ci divertiamo molto, il percorso che abbiamo scelto è tecnico, inoltre Pinelli prende un liscio di quelli incredibile e fa un ruzzolone da Nobel. Alle 6 ci avviamo per ritornare verso Chavin, è scuro forte e Pinelli pizzica, non ci voleva. Alle 7 siamo alle stanze e arriviamo al ristorante alle 19:40, l’appuntamento era per le 7, perché verso le 8 il ristorante chiude. La signora nonostante il ritardo è contenta di vederci, chiediamo scusa, ma ci assicura che non ci sono problemi. Rimangiamo magnificamente, annaffiando le pietanze con ottimo vino cileno, forse troppo. Alle 10 siamo a nanna.

19 AGOSTO CHAVIN-CATAC, X TAPPA B.T. KM 67.4, DISLIVELLO 2393 M (GUADAGNO)

Il vino mi fa dormire alla grande, è stato un bene bere. Alle 7 siamo fuori la piazza con le bici pronte, dopo una veloce colazione partiamo. Il tempo è strano, nuvole basse e un po’ di vento. Superiamo il ponte sul Rio Mosna, da dove inizia la lunga ascesa per il Tunnel Kawish; abbiamo il tempo per riscaldarci, i primi 2 chilometri. La strada non è male, asfalto e tratti su brecciolino, ma superato le quattro case di Machac le pendenze aumentano e a ogni tornante l’asfalto scompare per svariate centinaia di metri. Si sale veloci, troppo, non conosciamo bene la tappa e rischiamo di buttare via energie fondamentali. Arriviamo tutti pimpanti ai piedi dell’altura (dove dovrebbe esserci il tunnel), una piccola pianura da cui è visibile un grosso cristo con le mani aperte. Ci hanno informato che il cristo è a qualche tornate prima del tunnel. Da qui però l’asfalto lascia il posto alla breccia che ci accompagnerà fino a poche centinaia di metri dal tunnel. Quelle energie utilizzate male nei primi dieci chilometri ci avrebbero fatto molto comodo, arriviamo su a 4516 metri cotti, quasi più cotti di Porta Chuelo, abbiamo portato un ritmo troppo veloce, inoltre fa molto fresco. Mezzi felici perché arrivati alla sella, rimaniamo di stucco davanti al tunnel. Ci aspettavamo qualche chilometro di tunnel da come i locali raccontavano, invece sono 150 metri inutili perché quasi alla cima. Osserviamo per qualche minuto la mastodontica opera ridendo e ci riposiamo, sembra che la maggior parte delle nuvole siano riamaste nella parte orientale del tunnel; fa fresco ma almeno c’è il sole. Dall’alto sembra che l’asfalto, ad eccezione di qualche bucone che si vede in lontananza, sia il fondo prevalente e questo ci solleva. La strada scende per poi adagiarsi su un una pianura, ma non riusciamo a vedere molto perché una montagna ci taglia la visuale. Ci avviamo per la lunga discesa quasi senza pedalare per tutto il primo tratto, solo poco prima di arrivare alla Laguna di Querococha c’è un piccolo altipiano, 16 chilometri all’incirca dal tunnel. Non è prestissimo, facciamo una foto al volo alla laguna e ne approfitto per un lungo bisogno, non è semplice con i pantaloncini e relative bretelle… bisogna spogliarsi completamente. La strada continua a scendere, ma dolcemente, non sappiamo se esistono degli altri strappi perché dalla cartina che abbiamo a disposizione è impossibile capirlo, quindi quando possiamo non assistiamo la pedalata con l’energia che abbiamo, ci lasciamo trasportare. Poco più di 14 Km dalla Laguna si apre davanti ad i nostri occhi una pianura sconfinata, a tratti desertica, osserviamo la strada che scende dolcemente e piccolissime strutture in pietra, fango e plastica, piccole masserie. Proseguiamo abbastanza spediti, quasi consapevoli che il difficile è ormai tutto dietro le spalle ma a breve avremmo vissuto un’esperienza che ci avrebbe fatto rabbrividire il sangue. Dopo una curva non molto stretta ci ritroviamo in mezzo alla strada dei massi, e sul lato della scarpata un uomo che come ci vede si avvicina alla strada. I racconti dei banditi si rifanno vivi, blocchiamo i dischi, ci guardiamo rimanendo increduli, che fare… Probabilmente l’uomo vede la nostra paura scende dalla scarpata e porta su una cariola e ci fa cenno di venire avanti. Vediamo il suo volto che di certo non è da bandito e ci avviciniamo. Era un povero cristo che con questo stratagemma si faceva dare qualche soles dai turisti. Ha rischiato sicuramente di prendere qualche calcio in culo. La discesa ci trascina fino a raggiungere l’abitato di Catac, qualche chilometro prima osserviamo dei acquitrini e a ridosso di questi delle distese bianche, non siamo riusciti a toglierci il dubbio, se fosse sale o qualcos’altro. Catac è un paesetto non vivacissimo e poco sorridente, troviamo alloggio, ci laviamo e poi a cercare un pollo. Domani ultima tappa, nonostante tutto ce l’abbiamo fatta, ora aspettiamo che il sonno ci colga nella speranza di smaltire almeno l’adrenalina in eccesso.

20 AGOSTO – CATAC-HUARAZ, XI TAPPA B.T. KM 39.5, DISLIVELLO 539 M (GUADAGNO)

Ci siamo svegliati con tutta calma, l’ultima tappa per concludere l’anello è tutta in discesa. Ci avviamo verso Huaraz costeggiando il Rio Santa e con un sole che picchia alla grande. Da Catac ci immettiamo sulla strada per Huaraz, arteria principale e trafficata, infatti dai pochi autoveicoli che vedevamo al giorno ora dobbiamo stare attenti a non farci mettere sotto dagli spericolati autisti peruviani. Il percorso è semplice… pochissimi strappi e il sole rende piacevole il paesaggio pre-andino. Decidiamo, dato che abbiamo tempo di fermarci a Recuy, visitiamo la piazza gremita di ragazzi e ragazze in divisa, compriamo un casco di banane e ci riavviamo. L’andatura è molto veloce e spingiamo sui pedali, infatti alle 13 avevamo raggiunto Huaraz. Vogliamo chiudere l’anello in piazza, che non troviamo facilmente, stavamo percorrendo strade nuove da quelle che usualmente percorrevamo durante l’acclimatazione. Ci facciamo un giro e ritorniamo alla clausura. Bussiamo, suoniamo il campanello senza risposta alcuna, facciamo il giro del perimetro del collegio cercando qualche altra porta dove cercare vita, ma nulla. Chiediamo alle signore che vendono dolciumi di dove fossero finiti tutti e ci dicono che non cera nessuno e che il collegio era chiuso. Ottimo, dentro abbiamo tutte le valige e tutto il materiale che non ci siamo portati dietro. Entra una catechista e apre il cancello della chiesa, ma non ha ovviamente le chiavi del collegio. Chiediamo se ha il numero di Padre Percy e per fortuna riusciamo a contattarlo. Nulla da fare solo l’indomani sarebbe venuto un confratello per aprirci il collegio e recuperare il materiale, speriamo sia vero, altrimenti rischiamo di non partire. Nel frattempo Luca trova un’Hostal a pochi passi e decidiamo di andare lì. Siamo così stanchi mentalmente che nonostante il viaggio sia finito non riusciamo a comprendere di cosa siamo riusciti a fare e sopratutto se riusciamo ancora a sopportarci. Comunque ci laviamo e ci mettiamo sul letto aspettando che si faccia ora per cenare. La giornata però non è finita semplicemente pensando all’avventura vissuta, agli errori commessi e alle parole di troppo detteci in momenti in cui la stanchezza prevaleva. Tutto questo non bastava, ci siamo dovuti addormentare con un’ansia profonda, il governo Peruviano ha chiuso per motivi di sicurezza la compagnia aerea (Air Peruvian) che avevamo scelto per volare a Cuzco.

21 AGOSTO – HUARAZ

Pochissime ore di sonno… facciamo colazione dietro l’angolo in una simpatica pasticceria, che è attaccata al collegio e per fortuna un seminarista ci apre; recuperiamo tutto e ci avviamo verso l’Hostal a posare l’attrezzatura. Ci dividiamo: Luca, l’inglesologo del gruppo va a chiedere informazioni certe sul problema con la Air Peruvian, noi incominciamo a smontare e impacchettare tutto, bici, ricordi, panni attrezzatura ecc ecc. Chiudo quasi tutto alle 18, ho dovuto smontare per bene e impacchettare la Mtb meglio dell’andata, dato che non avrò tempo quando torneremo (se mai partiamo) per Cuzco. Scappo fuori e vado a comprare qualche altro ricordo, torno verso le 20. Abbiamo molta fame dato che il pranzo è saltato, diamo una mano a Luca e nel frattempo mi aggiorna sulla Air Peruvian. Notizie buone nemmeno a pagarle, 20000 turisti a piedi e tra questi anche noi. Non abbiamo soldi per poterci permettere un’altro biglietto da 300$ solo andata; hanno riferito a Luca che fanno salire su altri voli 10-15 passeggeri al giorno della Air Peruvian, vedremo di essere tra questi. Non possiamo nemmeno spostare le date, il tour a Machu Picchu è prenotato per il 24 con molto anticipo, dato che rischiavamo di rimanere a Cuzco visto che l’Unesco ha limitato l’accesso alle rovine. Giornata troppo caotica e piena, mi ritrovo con la stessa ansia dei primi giorni a Lima, quando le Mtb non era o arrivate. Bello scherzo, se arrivati in Perù ed essere riusciti ad attraversare le Ande in Mtb, non riuscissimo a visitare Machu Picchu.

22-23 AGOSTO

Colazione in pasticceria, richiamiamo l’attenzione di un taxi bello grosso e Luca monta sù. Arriviamo all’Hostal dopo qualche minuto, Luca è riuscito a caricare quasi tutto, gli diamo mano per le ultime cose e lo facciamo avviare da solo verso la rimessa della Movil Tours, una signora compagnia, ci manca solo che ci prendono le impronte digitali. Otto ore osservando il paesaggio che avremmo potuto percorrere in Mtb se Porta Olimpica fosse stata raggiunta continuando il viaggio verso Conococha; beh, l’imprevisto ha giovato l’avventura, permettendoci di osservare paesaggi decisamente più impervi e spettacolari, ma mettendo a dura prova il nostro fisico e mettendo in discussione il nostro rapporto di amici (sapevamo che sarebbe accaduto, tanto tempo insieme vivendo giorni carichi fa questo e altro). Arriviamo a Lima nel tardo pomeriggio, pioviggina, contrattiamo con due taxi per portarci da Carlos a Los Olivos. Ci riposiamo, mangiamo e ci avviamo per andare in aeroporto. S^, 8 ore prima della partenza del volo, vogliamo essere i primi. Arriviamo intorno alle 23, non c’è nessuno per nostra fortuna, ma ci mettiamo in fila, dormendo attaccati al check-in. Alle 7 l’Air Peruvian (hostess e stuart non centrano ma dobbiamo prendercela con qualcuno) aprono la bottega, dietro noi almeno 30 passeggeri. Con molta calma un’hostess avverte che i 25 poveri cristi dietro di noi non partiranno per Cuzco in giornata. Siamo molto contenti, la nottata è servita. Ci rendiamo anche conto che possiamo ritenerci fortunati dato che se anche con tempi risicati siamo riusciti a concludere al momento tutto. Sonnecchio sul breve volo, ma sono svegliato da un mal di pancia fortissimo, come atterriamo corro al bagno. Uscito dal bagno corriamo al check-in e la situazione è tragica, ci saranno almeno 40 persone in fila che aspettano di partire, chiacchieriamo con loro e ci raccontano che erano ore che erano i fila e che dalle 8 non era partito nessuno e che probabilmente non sarebbe partito nessuno in giornata (anche il giorno precedente non è partito nessuno, così dicono). Sbianco, il 27 devo assolutamente essere a Lima per prendere il volo per Roma (solo io). Che fare? Il volo su un’altra compagnia non è alla nostra portata sia per i prezzi che per i posti che vanno a ruba, l’unica alternativa è il rimborso di metà biglietto e correre in agenzia autobus. A Huaraz ci siamo informati se ci fosse qualche compagnia che collegava Lima a Cuzco e per fortuna ce ne sono diverse. Prendiamo il taxi e andiamo alla Cruz del Sur e ci aggiudichiamo per 110 soles a testa i posti (ne erano riamasti 5), l’inconveniente sono i 1000 km che ci separano da Lima e 22 ore no stop in autobus. Siamo stanchissimi e sono solo le 9 di mattina. Prendiamo un altro taxi e ci spostiamo verso il centro di Cuzco. L’incantevole architettura e i colori vivi attenua la stanchezza. Chiediamo informazioni per raggiungere il nostro Hostal e con un po’ di acrobazie lo raggiungiamo. Posto magnifico, ottimo per ritrovare la pace interiore, ne abbiamo bisogno. Riposo, doccia e dormita. Mettiamo realmente piede a Cusco come turisti alle 18, non possiamo nemmeno fare tardi perché domani alle 6:30 partiamo per Machu Picchu. Per cena anticucho, cuore di bue e patate.

24 AGOSTO FINALMENTE MACHU PICCHU

Levataccia, alle 6:30 siamo nella piazza, dopo circa 20 minuti al gelo arriva il pulmino. Siamo in 5, due bisbetiche che non salutano e noi, insieme all’autista e il responsabile. Dieci minuti e raggiungiamo la stazione ferroviaria di Poroy, dove il responsabile ci lascia e ci consegna i biglietti, entriamo in una piccola ma moderna stazione, sorveglianza serrata. Puntualissime si aprono le porte per l’accesso ai binari, dove vediamo i trenini blu, i treni sicuramente più famosi al mondo dopo l’Oriente Express. Siamo emozionati, stiamo partendo per il tratto ferroviario più suggestivo al mondo. Il trenino diesel a 5 carrozze va pianino e sballottola qua e là, l’Alifana è molto più stabile anche se più scomoda. Passiamo più di 3 ore con la faccia premuta sul finestrino, di tanto in tanto siamo costretti a passare la maglia sul vetro per disappannarlo. Il trenino si sposta seguendo il fiume e con timore i macchinisti scrutano il percorso con molta attenzione, continui lavori, continue frane. Non è certo il tratto ferroviario più sicuro al mondo, ci aspettavamo oltre al suggestivo spettacolo naturalistico anche una certa sicurezza, ma in Perù tutto è relativo, non ci sono passaggi a livello, il treno passa nelle piazze a affianco alle abitazioni. Arriviamo ad Aguas Calientes stupiti, boschi su ripide montagne tagliate da alvei fluviali, una vegetazione fitta e lussureggiante e le rovine arroccate da qualche parte. Usciamo a stento da un labirinto di negozi e ci fondiamo fuori a prendere il primo piccolo autobus per Machu Picchu, dei nuovi mercedes sovralimentati che schizzano. Arriviamo sopra all’ingresso verso le 11, un fiume di gente fa la fila per l’ingresso. Aspettiamo la guida che arriva dopo 20 minuti e ci apre un varco tra i turisti ed entriamo. Mi vengono a mente i tanti documentari sulle rovine che ho visto da quando il progetto “Carretera 2011” ha preso vita, ora siamo qui. Quando la TV passava i documentari sulle Rovine di Giacobbo ovviamente cambiavo canale. La guida parla, ma mi estraneo subito concentrandomi sul panorama e sulle rovine, posso sempre leggermi qualcosa. Seguo il gruppo da lontano e scatto foto. Mi sono perso, anche se so esattamente dove sono. Machu Picchu, incanto e storia. Mi vengono in mente le parole del caro “amico” Phlipe D’Averie, che conduce un programma colto ma alla portata di gente ignorante della cultura con la C maiuscola come me, che per quanto si possa investire nel mantenimento dei beni storici e architettonici, alcuni di questi verranno “persi” in maniera inevitabile. Probabilmente Machu Picchu farà parte di questi, anche se non nell’immediato. Ci gustiamo ore spensierate, ma il treno per il ritorno non aspetta.

Carretera 2011, viaggio difficile, al limite delle nostre possibilità, ma che ci ha permesso di entrare a contatto con il vero Perù e con noi stessi, riscoprendoci molto più cattivi e determinati di quanto pensassimo. Trenta e passa giorni in cui abbiamo vissuto come turisti per sole 100 ore; tutto questo però rappresenta la mia idea di viaggio, dove la stanchezza può accompagnarmi durante esperienze indimenticabili.

E.T.



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