In Mountain bike attraversando villaggi in Myanmar

Ha distanza di un anno dal mio rientro dall'oriente, dopo aver percorso con la bici i seguenti paesi: Myanmar, Thailandia del nord e Laos, voglio raccontare il mio diario di viaggio. In primo luogo voglio descrivere le emozioni, le difficoltà che ho incontrato, la felicità che ho provato lungo il cammino. Il viaggio è stato affrontato nello...
Scritto da: Maurizio Venuti
in mountain bike attraversando villaggi in myanmar
Partenza il: 01/02/2005
Ritorno il: 28/02/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Ha distanza di un anno dal mio rientro dall’oriente, dopo aver percorso con la bici i seguenti paesi: Myanmar, Thailandia del nord e Laos, voglio raccontare il mio diario di viaggio. In primo luogo voglio descrivere le emozioni, le difficoltà che ho incontrato, la felicità che ho provato lungo il cammino. Il viaggio è stato affrontato nello stato del Myanmar da me (Maurizio) ed Antonio; una volta entrato in Thailandia dopo 30 giorni ci ha raggiunto Franco. Per affrontare questo viaggio ci siamo dovuti preparare non solo fisicamente ma sopratutto mentalmente, un lavoro di preparazione durato circa cinque mesi, soprattutto al fatto che nel paese del myanmar si hanno poche notizie causa del tipo di governo presente (dittatura militare). Il nostro viaggio è stato eseguito in piena autonomia, intendo dire senza sponsor, senza mezzi a seguito e soprattutto con un carico sopra la bici di circa 25 km. Abbiamo scelto la bici per fare questo viaggio perché è un mezzo che si muove lentamente, quindi si osservano cose che altrimenti non avremmo visto, non inquina e soprattutto le persone nei villaggi ti accolgono con spontaneità. La partenza era fissata per il 16/01/2005 ma a causa del terribile tsunami è stata posticipata al 01/02/2005. Arrivati via aereo nella capitale Yangon prima cosa da capire se ci fanno passare con la bici, abbiamo una gran paura ma nello stesso tempo siamo fiduciosi, dopo aver eseguito il controllo del passaporto decidiamo di sistemare la bici all’interno dell’aeroporto. Usciamo dall’aeroporto superando la dogana senza ostacoli. Primo gran problema risolto. Ci avviamo verso il centro della città a circa 15 km. Nel frattempo si fa buio e cerchiamo una sistemazione per la notte. C’è molto inquinamento di macchine e autobus. Fa molto caldo, per fortuna che è di sera e ci accomodiamo in un “Guest House”. Siamo stanchi del viaggio nonostante ciò decidiamo di uscire e mangiare qualcosa, capire la gente in che modo vive. La prima impressione che ho è quella che la gente è molto gentile sorridente salutano tutti. Iniziamo a vedere i pullman stracarichi, i rickhaw (sono delle bici taxi), i venditori ambulanti che portano sulle spalle con un’asta di bambù due ceste con dentro varia merce, sui marciapiedi ci sono dei tavolini bassi con delle sedie piccoline dove la gente locale si siede per mangiare. Così facciamo anche noi poiché vogliamo stare a contatto con loro. Stanchi del viaggio andiamo a riposare. Decidiamo prima di affrontare il viaggio con la bici di rimanere un giorno nella capitale per poterci ambientare e capire la situazione del paese, della gente. Durante questo giorno d’adattamento andiamo in giro a visitare un mercato e in seguito la pagoda “shwedagon” una dei più importati del Myanmar. Si afferma che il popolo del Myanmar almeno una volta nella vita dovrebbe visitarla. In questa pagoda si respira un’area mistica. Mi ha colpito subito il loro senso religioso (da premettere che in tutti i luoghi sacri si entra a piedi scalzi). Prendiamo contatto con un automobilista per farci avere della benzina che ci servirà per cucinare con il nostro fornello. La mattina seguente, prima di partire, cambiamo dei dollari in kiat (moneta locale) e come da accordi presi la sera prima ci portano la benzina. L’autista non vuole soldi. Vicino a noi c’è tanta persone che osserva la nostra bici carica e da questi atteggiamenti possiamo farci un’idea con che tipi di persone abbiamo a che fare, deducendo che sono molto gentili. Purtroppo il primo giorno con la bici ci dobbiamo adattare al caldo, di circa 35°. Per fortuna che lungo la strada vendono dei meloni, succo di canna da zucchero, così possiamo dissetarci. Ad un certo punto ci sembra di essere in autostrada. Ci sono dei caselli dove gli automobilisti pagano il pedaggio, mentre noi passiamo laterale. E’ tutto un mondo da scoprire. Arriviamo a Bago dove decidiamo di lasciare la bici e l’indomani farci un’escursione con i mezzi locali alla “Golden Rock” che si trova in montagna, un luogo sacro. Per arrivarci prendiamo prima un autobus e dopo un pick-up, che essendo pieno, siamo costretti a salire sul suo tetto. E’ molto bello viaggiare in questa maniera e la cosa sorprendente di tutto ciò è che le persone, salgono e scendono mentre il pick-up cammina. Per noi occidentali può sembrare una cosa strana, ma nonostante si stia in precario equilibrio su questi mezzi bisogna pagare il biglietto. Prendiamo un altro mezzo stracolmo di fedeli. Finalmente arriviamo in questo luogo sacro; prima di entrare chiediamo se si può dormire nella piazza, poiché avevamo con noi il sacco a pelo e la stuoia, ma in un primo momento ci affermano che gli stranieri non possono rimanervi a dormire. Allora cerchiamo di convincerli assicurando che io ero un monaco ed ero in pellegrinaggio nello stato del Myanmar anche perché sono calvo e i monaci (da loro chiamati bonzi), sono tutti calvi. L’addetto si convince e ci allarga le braccia come per assicurare che non si sente di rifiutare la nostra richiesta. Entriamo nel complesso dove troviamo il pienone di fedeli. Non ci sono turisti e scopriamo a nostra insaputa che c’è una festa unica nell’anno. Il Myanmar conserva un folklore quasi intatto pur vivendo da decenni sotto la dittatura, questo grazie alla cultura religiosa che s’identifica nella fede buddhista. Sono rimasto affascinato vedere tutti questi fedeli che nonostante la confusione trovano lì il loro spazio per pregare. Ci sono tante famiglie con i loro bambini. Sono molto legati agli antichi valori tradizionali, sia donne sia uomini vestono ancora il longy (un tessuto che si annoda intorno alla vita e avvolge la parte inferiore del corpo fino alle caviglie), è molto pratico. Rimango ancora più sbalordito quando un gruppo di persone si avvicina a noi perché vuole conoscerci. Fa da interprete una ragazzina che parla un po’ d’inglese e ci presenta l’intera famiglia. Attorno a noi si raccolgono almeno una cinquantina di persone. Alla fine c’invitano a mangiare con loro, in piazza, seduti con le gambe incrociate. Davanti a noi una foglia di banana con del riso e verdure. Iniziamo a mangiare come usano nella loro tradizione: con le mani si mescola il riso con le verdure e si mangia. Un gruppo d’indiani inizia a cantare e danzare e c’invita a partecipare. Fieri di partecipare ci uniamo a loro, naturalmente con il ritmo delle mani. Dopo, un altro gruppo c’invita a giocare e noi siamo lieti di partecipare. Tutto quello che succede non mi sembra vero, ho l’impressione che stia leggendo un libro di storia, sono emozioni troppo forti quelle che provo. Non può mancare un atto di fedeltà verso buddha attaccare delle foglioline d’oro ad un masso molto grande che sta sospeso in bilico. La leggenda narra che il masso è tenuto da un capello di buddha. In occasione di questa gran festa hanno acceso 5.000 candele, inoltre hanno fatto una corona con 5.000 fiori. E’ uno spettacolo e un qualcosa di straordinario quello cui stiamo assistendo. Tutte le persone attorno a noi osservano i nostri movimenti, sono incuriositi della stuoia di colore argento attaccata fuori dello zaino, sono incuriositi dalla presenza del mio amico con i capelli lunghi mentre io sono calvo, ci sorridono. Alla fine quando andiamo a dormire con loro in piazza, l’emozione è ancora più forte. Non posso dimenticare la mattina quando una ragazza di fronte a me osserva tutti i miei movimenti, dalla chiusura del sacco a pelo alla colazione ecc.. Riprendiamo il viaggio in bici ad un certo punto giacché si stava facendo buio, decidiamo di fermarci per dormire in un Guest house, ma iniziano i primi veri problemi con la polizia. Dopo aver fatto la doccia arriva la polizia e ci afferma che non possiamo dormire poiché possono pernottare solo le persone del Myanmar. Ci affermano che c’è un Guest house a circa 25 miglia, allora cerchiamo di convincerli che con la bici non possiamo pedalare nel buio e siamo molto stanchi ci fanno aspettare un’ora. Poi arriva il capo della polizia. Per fortuna ci danno l’autorizzazione per dormire, con una premessa, la famiglia che gestiva il Guest house e nello stesso tempo la locanda non doveva accettare soldi ma dovevamo essere ospiti. La famiglia composta di numerosi figli è molto contenta che rimaniamo, ci affermano che siamo i primi stranieri ha dormire da loro. Mettono in moto il generatore di corrente per attaccare la luce. Uno dei figli è orgoglioso di mostrarmi una vecchia pianola e si mette a suonarla. Purtroppo ci rendiamo conto che nel Myanmar ci sono degli Hotel per turisti e in genere si trovano negli itinerari turistici, mentre noi per il tipo di viaggio che abbiamo scelto siamo costretti a cercare alloggi di fortuna, poiché con la bici le distanze sono troppo lunghe per recarci negli Hotel autorizzati. Inoltre la polizia non ci consente di campeggiare con la nostra tenda un vero problema da affrontare. Vi lascio immaginare che tipo di Hotel hanno i locali. Non parliamo della doccia: non è altro che una cisterna dove con un secchio ti butti l’acqua addosso. La cosa bella è la mattina quando facciamo colazione (naturalmente a base di riso con uova): tutta la famiglia che ci osserva come mangiamo. La figlia più piccola di nome Fufù, vestita da scolaresca con un contenitore di bambù con dentro del riso, non vuole andare a scuola perché ci siamo noi. Proseguiamo il nostro viaggio con la bici faccio presente che essendo in pianura fa molto caldo sui 30°. Una coppia si affianca a noi con la bici e ci accompagna per 10 Km, ma la cosa interessante è quando la ragazza seduta dietro la bici vuole toccare le nostre mani. E’ un continuo scambio. Ha un’espressione sul viso di dolcezza e di felicità, d’affetto e d’eleganza. Vogliono scambiare qualcosa con noi. C’invitano a casa loro, ma la cosa ancora più bella è quando in una leggera discesa lui e lei allargano le braccia e sembrano due uccelli che vogliono volare, l’amore non ha confini, anche attraverso una bici si può esprimere amore. Nel momento che ci lasciano sono talmente emozionato che mi scappano le lacrime. Non posso dimenticare queste scene. Si presenta il solito problema dove andare a dormire e per fortuna prima di fare buio incontriamo una chiesa cattolica. Quale posto migliore per chiedere se possiamo dormire? Il nostro desiderio si avvera. Inizialmente non c’era il prete ma nel giro di pochi minuti arriva la polizia per registrare i nostri passaporti. In seguito andiamo nel paese per mangiarci qualcosa, torniamo alla chiesa e troviamo il prete con altri poliziotti e una ventina di persone che ci attendono. La polizia inizia a fare una serie di domande del tipo dove abbiamo dormito in precedenza, dove andiamo, a che ora partiamo, a che ora arriviamo. Non possiamo sapere a che ora arriviamo, quando come mezzo di trasporto utilizziamo la nostra bici? Purtroppo bisogna avere pazienza con la polizia, non dobbiamo farci prendere dal panico, dobbiamo accettare le loro abitudini ed usanze. La mattina seguente ci offrono la colazione e il prete e i suoi stretti collaboratori non potendo parlare di politica, ci dice di scrivere raccontare i fatti negativi che incontreremo lungo il nostro viaggio, di portare a conoscenza al mondo occidentale le cose che succedono in Myanmar. Purtroppo bisogna ricordare che nel paese non sono rispettati i diritti umani e il governo cerca di tenere lontano gli intrusi su questi argomenti. Per questo motivo è stato dato il premio nobel per la pace all’Aug San Suu Kyi nel 1991 nonostante ciò è stata in prigione o agli arresti domiciliari, dieci degli ultimi sedici anni. Ad un certo punto viene nuovamente la polizia per controllare se siamo partiti. Ci dicono anche che durante la notte sono venuti diverse volte a controllare se era tutto a posto. Decidiamo di prendere il treno da Tangoo a Tazi. Alla stazione ferroviaria un monaco ci offre del melone e quando arriva il treno carichiamo i nostri bagagli, mentre le bici le abbiamo lasciate in un deposito dove saranno caricate da loro (perlomeno così riusciamo a capire). Copriamo una distanza di circa 180 km, il treno impiega circa 11 ore. Sul treno assistiamo a delle belle scene: tipo passano in continuazione persone che vendono soprattutto qualcosa da mangiare, ricordo che vendevano zampe di galline. Inoltre quando il treno si ferma nelle stazioni la luce, si stacca. Poi una scena che ricordo di una famiglia: presumo che fosse la prima volta che viaggiava con il treno, che per ben tre volte tenta di scendere dal treno, ma ogni qualvolta tornano indietro poiché non è la stazione dove sarebbero dovuti scendere. Prima di arrivare a destinazione mi viene un dubbio se la bici è stata caricata sul treno. Tramite un militare che si rende disponibile, Antonio controlla nell’ultimo vagone se c’è la bici, purtroppo non c’è nel vagone bagagli. Arrivati a destinazione ci rechiamo insieme con un americano e un inglese, che viaggiavano sullo stesso treno, e con un bigliettino scritto dal militare, alla polizia. Entrando all’interno siamo sconvolti. Nessuno parla inglese, c’è un militare all’ingresso, all’interno quattro brande a castello dove altri militari stanno riposando; un altro che batte a macchina e fin qua sembra tutto normale. Ad un certo punto dietro le nostre spalle abbiamo contato 15 detenuti rinchiusi. Ci fanno accomodare e dopo circa un’ora arriva un funzionario che parla inglese. Vuole sapere cosa è successo dopo avergli raccontato il problema. Ci dice che per il momento non può fare nulla e ci accompagna ad un vicino Guest house. Facciamo una dichiarazione in inglese e la proprietaria la traduce in lingua locale e la consegna alla polizia. Siamo andati a letto tardi. La mattina ci svegliano presto e ci dicono che le nostre bici stanno alla stazione della polizia, siamo molto contenti anche perché non sapevamo come procedere il viaggio. Devo dire che la polizia ci tiene molto al turista e che non gli accada nulla. Forse per questo vorrebbero tenere i turisti sotto controllo ma il nostro viaggio con la bici ha bisogno di libertà. Voglio ricordare che nel Myanmar ci sono diverse limitazioni per i turisti mi riferisco: al telefonino, alle carte di credito, al bancomat, alla guida di una macchina, ad accesso ad internet, agli hotel ecc. Il proprietario del Guest House, dietro la nostra richiesta, ci indica un amico dove possiamo dormire la prossima tappa. Arrivati nel villaggio “Pioinang” ci accoglie la famiglia con ospitalità. Subito arriva la polizia: per fortuna che il poliziotto è amico del proprietario e quindi evitiamo la solita burocrazia con la polizia. Il proprietario del Guest House c’invita ad andare al fiume e qui assistiamo alla vita quotidiana del popolo del Myanmar. Indossiamo anche noi l’abito tradizionale, il longy e quando arriviamo al fiume vediamo come le donne lavano i panni, come loro stessi si curano del proprio corpo. Dopo aver fatto il bagno rientriamo nel villaggio e la famiglia ci prepara da mangiare. Dopo aver cenato c’invitano a fare un giro nel paese dove ci portano in un locale unico nel villaggio dove solo donne e bambini seduti sull’intreccio del bambù per terra, assistono ad uno spettacolo. Poi ci portano ad un preparativo di un matrimonio al quale i genitori c’invitano a partecipare. La mattina andiamo al matrimonio: gli sposi erano molto giovani vestiti con abiti tradizionali decorati, il tutto si svolge sotto un gazebo fatto rigorosamente di bambù. Ci chiedono, visto che abbiamo la macchina fotografica e la telecamera, se gli potevamo fare delle foto, con la promessa di mandargliele. Inoltre i genitori c’invitano nella nuova casa degli sposi a partecipare al banchetto, noi siamo molto contenti, assistere ad un evento unico nel suo genere. Il villaggio è molto bello, decidiamo di rimanere un altro giorno. Ci fa da guida un ragazzino sordomuto (il figlio della famiglia che ci ha ospitato), facciamo un giro per il villaggio per assistere alla vita quotidiana che le persone svolgono. E’ bello vedere le donne che con il bambino attaccato dietro le spalle con una semplice stoffa, riescono a lavorare. Le persone sono orgogliose di mostrarci il lavoro che svolgono. Il ragazzino sordomuto è orgoglioso di mostrarci com’è che si ottiene la polvere gialla, estratta dalla corteccia dell’albero Thanaka, che serve a proteggere la pelle dal sole. Questa polvere è soprattutto utilizzata come cosmetico ed è spalmata sul viso: dà un aspetto quasi surreale. Tutte le donne e i bambini in Myanmar la utilizzano. Quasi tutti masticano il betel, non è altro una mistura avvolta in una foglia con della calce, un po’ di tabacco e radice di betel, lascia loro una bocca rossa, sembra che gli dia la forza per risolvere i problemi quotidiani. Ci dicono che in questi villaggi non si ferma nessun turista, poiché non essendoci siti archeologici ci sono pochi interessi. Per noi è molto importante costatare la vita quotidiana. Solo in questo modo ti rendi conto, come le persone vivono realmente la spiritualità, il rapporto con la natura e con gli animali. E’ molto bello dormire con loro nella stessa stanza, semplicemente con una coperta messa a terra sul bambù, e prima di addormentarci la moglie osserva i nostri movimenti. Il bambino sordomuto nonostante il suo handicap capisce tutto; quando gli spieghiamo che l’indomani andiamo via e non torneremo. Così prende la mia mano e scoppia a piangere è molto emozionato e non mi vuole lasciare andare; anch’io mi emoziono dinanzi a queste scene ma purtroppo il viaggio per noi deve proseguire. Abbandoniamo la pianura e ci dirigiamo con le nostre mountainbike verso le montagne, lungo la strada sotto il sole ci sono tanti operai/e che sistemano la strada. Si dice che gli operai/e per non pagare le tasse sono impiegati nella costruzione delle opere pubbliche. Ci vogliono offrire da mangiare e da bere. La salita si fa sentire ma pian piano arriviamo a Kalo a 1.150 s.M.. Voglio ricordare che dopo aver attraversato le regioni dello Yangon, Pegu e Karen ci troviamo nella regione dello Shan. Decidiamo di fare assieme ad una guida un’escursione a piedi nei dintorni di Kalo. Durante l’escursione iniziamo a vedere alcune case costruite con impasto di paglia e fango, la guida ci spiega che in questa zona vive una comunità Nepalese, mentre tutte le altre case in Myanmar sono costruite con bambù e foglie di palma. Andiamo in un villaggio dove possiamo vedere come vive il popolo dello Shan. Questa comunità si differenzia dagli altri per il tipo di turbante che portano, sia uomini sia donne e dai vestiti colorati. Shan significa “popolo libero”. Per finire una gran sorpresa: mentre stavamo mangiando nello stesso tavolo con loro ad una stazione ferroviaria, arriva un treno stracolmo di persone locali e si avvicinano al treno tantissimi contadini con degli enormi cesti sulla testa pieni di fiori per venderli ai passeggeri. Una scena d’altri tempi. La sorpresa arriva quando incontriamo sullo stesso treno, affacciato, il bonzo che ci ha offerto il melone. Gli incontri non mancano. Tornati a Kalo incontriamo la persona che ci regala la benzina quando siamo partiti. La fortuna vuole che questa persona ci dia dei consigli poiché abbiamo avuto qualche problema con la polizia per quanto riguarda gli alloggi. Ci scrive in un pezzo di carta in lingua locale, da consegnare ai bonzi in caso non avremmo trovato alloggio e quindi fossimo costretti a dormire nei monasteri. Il nostro viaggio in bici procede, ci dirigiamo verso il lago Inle, ma durante il nostro cammino a circa una trentina di metri dai nostri occhi all’improvviso si abbatte una tromba d’aria che tronca in due un albero e ferisce una ragazza. Per fortuna non sembra nulla di grave. Vedendo questa scena mi rendo conto come un evento può cambiare il corso della nostra vita. E’ meglio non pensarci e vivere questa nostra vita terrena nei migliori dei modi. Decidiamo di fare un’escursione con la barca nel lago per vedere come i pescatori remano in canoa, usano un solo remo e si aiutano con una gamba. Questo serve per avere le mani libere. Tipici di questa zona sono gli orti galleggianti dove gli abitanti (intha), coltivano una gran varietà d’ortaggi e frutta stando in barca. Di solito sono le donne a farlo. Che dire delle case che sono vere e proprie palafitte. Visitato il lago in seguito andiamo a Pinday e per spostarci questa volta utilizziamo inizialmente il pick-up per una cinquantina di km. Carichiamo le nostre bici sul tetto e saliamo anche noi. Ancora una volta la sensazione di viaggiare sul tetto è spettacolare. Proseguiamo con la bici, lungo la strada. Un gruppo di contadini attira la nostra attenzione. Ci avviciniamo a loro, stanno raccogliendo il frumento. Da queste parti si produce tanto riso ma poco grano. Decidiamo di fermarci. Visitiamo le grotte di Pynday dove ci sono 8.000 buddha. Dopo ci dirigiamo alla volta di Mandalay passando da una strada interna tra le montagne, dove impiegheremo tre giorni per arrivare. Durante il nostro cammino succedono diversi eventi, una famiglia c’invita a prendere il te e dopo ci offre da mangiare. Sono orgogliosi di mostrarci il loro campo, la loro semplice casa, i raccolti che hanno fatto durante l’inverno. Le due figlie sono nel campo che lavorano. Appena ci vedono parlare con i genitori, si avvicinano anche loro, sono di una semplicità estrema. Durante il nostro cammino purtroppo non mancano i guai con la bici. Si rompono tre raggi della ruota anteriore della bici. Menomale che a pochi km dall’evento c’è un paese dove c’è un meccanico. Nonostante ciò non ha i raggi per sostituirli, per fortuna c’è l’abbiamo di scorta noi. Si presenta il solito problema dove andare a dormire. In mezzo a queste montagne lungo la strada incontriamo due ragazze che parlano un po’ d’inglese e ci dicono che a poche miglia c’è il paese dove loro insegnano in una scuola e dove ci sono dei monasteri che ci possono ospitare per dormire. Finalmente arriviamo al monastero, nessuno parla inglese ci presentiamo con il bigliettino, che ci aveva dato l’autista, al capo spirituale. Ci fa accomodare nella sua stanza, ci offre subito del tè e ci fa attendere. Dopo un’ora circa arriva una ragazza che parla inglese ed iniziamo a dialogare. La prima cosa che ci dice è che da queste parti non si vedono mai turisti ed è orgogliosa a far da interprete tra noi e il capo spirituale. Ci mettono a disposizione l’acqua per lavarci e dopo lei stessa ci prepara la cena. La cosa bella è quando ceniamo, mentre mangiamo attorno a noi c’è tanti bonzi che osservano i nostri movimenti. La mattina seguente la ragazza ci prepara la colazione, ma c’è talmente tanto cibo che non riusciamo a mangiare. Ad un certo punto sentiamo dei canti e le chiediamo se possiamo visitare il monastero. Sono orgogliosi di portarci in giro, all’interno di questo monastero. In una grande stanza ci sono circa una trentina di monaci d’età più o meno di 12 anni che tutti ordinati pregano. Un bonzi più anziano fa da insegnante. Com’è bello respirare in questi luoghi l’aria mistica. Tutti questi bonzi con la loro ciotola vanno in giro nel paese in cerca dell’offerta che permette loro l’unico pasto quotidiano a base di riso e curry. Le famiglie sono orgogliose di inviare i propri figli, all’età di nove anni, a celebrare il termine dell’infanzia, partecipando ad una cerimonia religiosa molto importante nella vita d’ogni buddista, e l’inizio di un periodo di novizio in un monastero. Questo fa in modo che, il monastero spesso sopperisce a questa mancanza d’istruzione che purtroppo le strutture statali non sono in grado di offrire, specialmente in questi luoghi interni del Myanmar. Il buddhismo per il popolo del Myanmar rappresenta uno stile di vita, e non solo un fatto religioso. Attraverso il buddhismo, le persone hanno assunto un carattere mite e gli atteggiamenti sono sempre cordiali. Pervade un gran senso di calma e tranquillità, tolleranza e comprensione, tutto questo naturalmente è molto accentuato nelle zone interne che grazie alla nostre bici siamo riusciti a visitare. La mattina seguente con gran rammarico lasciamo il monastero, ma prima di andare via, il capo spirituale ci regala una busta di tè verde, un atto di generosità nei nostri confronti. Il nostro viaggio con la mountainbike prosegue attraverso l’altopiano. In mezzo ai campi di riso gli incontri non mancano. Durante la strada incontriamo tanta gente con i vestiti tradizionali, che tornano da un mercato carichi della mercanzia. Anche noi visitiamo il mercato, Tanta gente viene dai paesi vicini per scambiare i loro prodotti soprattutto quelli agricoli. Prima di fare buio incontriamo una persona che ci dice che a poche miglia c’è un monastero dove possiamo chiedere ospitalità. Arriviamo nel villaggio che è molto piccolo. Ci dicono che ci sono 80 anime. Nel monastero c’è un solo monaco che ci ospita per dormire direttamente dove c’è la statua di buddha. Una famiglia del paese c’invita a cenare a casa loro. Una cena a lume di candela poiché in queste zone non esiste la corrente elettrica. Durante la nostra cena vengono tante persone del villaggio curiose di vederci come mangiamo, come ci moviamo, come siamo vestiti. La nostra osservazione su di loro diventa ancora più forte, il senso dell’ospitalità di questa gente e indescrivibile. Alla fine della cena, molto buona, ci si mette a cantare insieme a loro ognuno nella propria lingua. Com’è bello vivere questi momenti. In questo momento sto pensando alle cose che mi sono capitate e mi viene una gran voglia di tornare in quel paese. La mattina seguente con la nostra bici raggiungiamo quota 1400 metri s.M.. Quando arriviamo al passo, incontriamo delle contadine con un carico di legna sulle spalle che ci offrono degli agrumi. Purtroppo abbandoniamo le montagne per dirigerci verso la pianura nella città di Mandalay, durante la discesa non mancano i guai con la bici: rompo il portapacchi. Riusciamo in qualche modo a sistemarlo. Man mano che ci avviciniamo verso la pianura il caldo si fa sentire. Dopo aver attraversato l’altopiano arriviamo in città. Qui sembra tutto moderno, la gente è quasi indifferente, la vita di montagna è tutta un’altra cosa senza nulla togliere alla città di Mandalay. Decidiamo di fermarci due giorni per visitare i dintorni di Mandalay e nello stesso tempo per recuperare fisicamente. Assieme ad un bonzo e un amico conosciuto sul posto di nome Lorenzo, per la terza volta in Myanmar, visitiamo il ponte U Bein costruito tutto in teak, (un legno pregiato di cui il Myanmar è il principale produttore mondiale). Successivamente con un escursione in barca sul fiume Ayeyarwaddy visitiamo Mingun. In questa zona ci sono bonzi ed è pieno di monache. Si distinguono poiché una parte del vestito è di colore rosa. Il giorno successivo visitiamo la pagoda Sagaing posta su di una collina. Ma la cosa più bella che ci capita è che un gruppo di turisti del Myanmar in pellegrinaggio vuole a tutti i costi parlare con noi. Alla fine, dopo aver fatto anche delle foto con loro, come ringraziamento ci regalano della frutta. Un gesto fatto con il cuore, solo perché hanno fatto delle foto: è un gesto molto bello. Affermo sempre la generosità di questo popolo, sempre sorridente, un popolo che è stato definito il più sorridente al mondo (in una trasmissione di Licia Colò). In questa zona ci sono molti bonzi, ci spiegano loro stessi che esiste l’università dei bonzi in questa località dove ci troviamo. Le sorprese non mancano mai. Mentre stavamo rientrando con le nostre bici, in città, sentiamo della musica: c’è una festa in una Pagoda. Decidiamo di fermarci ed entriamo all’interno. Siamo gli unici turisti che partecipiamo a quest’evento, che a quanto pare è festeggiato il giorno prima della luna piena di ogni mese. Ci sediamo per terra in mezzo ai fedeli e tutti ci osservano. Quando una persona si siede, secondo la loro tradizione, non bisogna mai rivolgere i piedi verso buddha quindi vanno messi sempre all’indietro una posizione un po’ scomoda per noi. In più bisogna stare sempre un gradino sotto buddha. Siamo rimasti in mezzo a loro circa un’ora, per aspettare un personaggio, “bonzi”, ritenuto importante per poi fare una specie di predica nella loro lingua. E’ stata un’esperienza molto bella quella di vedere i fedeli sempre attenti alla discussione: mai che si distraevano. E alla fine hanno festeggiato con gli strumenti tradizionali. Dimenticavo di dire che tutti i fedeli portavano con loro qualche dono. L’indomani mattina ci svegliamo molto presto, poiché dobbiamo prendere il traghetto che da Mandaly ci porterà a Bagan. Per un malinteso, il giorno prima, siamo arrivati al porto con le nostre bici con dieci minuti di ritardo, alle 05,40, e il battello aveva già mollato gli ormeggi e si trovava ad una cinquantina di metri dalla banchina. Ci siamo messi a gridare e, da non crederci, il battello è tornato indietro per noi due. C’è anche da dire che la partenza del battello era solamente due volte a settimana. Sembra che finora la sorte nei momenti di difficoltà ci ha dato una mano. Una volta caricate le bici, il battello molla di nuovo. Era carico di persone locali, sdraiate con le loro coperte a terra. Un gruppo di ragazze ci mette a disposizione parte del loro spazio giacché non ne avevamo. Un gesto bellissimo che vorrei sempre nel mondo in cui viviamo. Purtroppo la civilizzazione fa sì che questi piccoli eventi siano diventati rari. Il viaggio è molto lungo: circa 12 ore. Durante la navigazione assistiamo al sorgere del sole. Il battello fa varie fermate e la cosa che mi colpisce è con quale facilità le persone salgono e scendono dal battello attraversando una passerella molto stretta, nonostante il peso che portano sulla testa che rende precario l’equilibrio. Sul battello è molto bello vedere come le persone si organizzano per mangiare, per allattare i bambini per farli dormire per fare mercanzia tra di loro ecc. Durante la traversata sulle sponde del fiume Irrawaddy ci sono vari villaggi un vero spettacolo: e che dire del tramonto! Mentre lo osservo, per la mente mi attraversano vari pensieri: ho l’impressione che è da parecchio tempo che sto viaggiando nonostante siano passati solamente 23 giorni. Ma ogni giorno che passa è vissuto da noi molto intensamente anche perché con la nostra bici le difficoltà non mancano mai. Vorrei ricordare a chi volesse effettuare la traversata da Bagan a Mandaly, che ci sono battelli per turisti e battelli per gente locale. Naturalmente il consiglio che posso dare è prendere quest’ultimo. Arrivati a Bagan visitiamo il complesso. E’ molto grande ed è un luogo abbastanza turistico. Personalmente mi sono piaciute molto le pagode e i templi che pur ristrutturate, negli anni hanno mantenuto quel fascino d’antico. Gli incontri non mancano mai con le persone locali. Durante la nostra visita ad una delle tante pagode, degli operai che stanno lavorando ci chiamano e vogliono parlare con noi. Con dei gesti riusciamo in qualche modo a farci capire. Sono felicissimi nonostante abbiamo solamente cercato di dialogare, sempre sorridenti. Come gesto di generosità Antonio gli regala una cartolina del nostro paese dove c’è raffigurato il mare. Ci trovavamo in cima ad una pagoda, stavamo osservando il tramonto quando ad un tratto un bonzo si avvicina a noi. Rimango sorpreso quando ci dice che non dorme in un monastero, bensì in un cimitero: così facendo non pensa alla morte. Il nostro viaggio prosegue con la bici, in direzione Yangon quando ad un certo punto in un incrocio ci fermiamo per prendere dell’acqua (dimenticavo di dire che negli incroci soprattutto in zone di montagna gli abitanti stessi mettono a disposizione dei passanti dei recipienti pieni di acqua dove potersi dissetarsi). Una ragazza si avvicina molto timidamente e capisco che vuole fare una foto assieme a me. Essendo un po’ imbarazzata non sa come chiedermelo. Sempre tramite gesti prende due bambini molto piccoli e mi fa capire di voler fare la foto. Devo dire che i Birmani sono molto timidi e quando ti devono chiedere una cosa non insistono più di tanto. Si presenta il solito problema dove andare a dormire poiché siamo fuori dal centro abitato. Ai margini della strada vediamo che c’è una capanna e decidiamo di fermarci giacché già è buio. Dopo aver cucinato con il nostro fornello e mentre stavamo per andare a dormire arrivano da noi un signore anziano e due giovani. Un po’ arrabbiati ci fanno capire sempre a gesti che quella era casa loro e volevano sapere con quale diritto eravamo entrati. Si era creata un po’ di tensione. Capisce infine la nostra situazione e ci lascia passare la notte lì. Ancora una volta la sorte ci accompagna. Arriva un’altra giornata e il viaggio prosegue. Attraversiamo una zona dove ci sono giacimenti petroliferi. Purtroppo abbandoniamo le strade secondarie per immetterci sulla strada n° 2, molto trafficata direzione Yangon. Le sorprese non mancano mai: il Myanmar ci regala ancora una volta una festa locale tradizionale, durante la quale, essendo gli unici stranieri, l’attenzione si rivolge verso di noi. Purtroppo in questa giornata Antonio ha un guaio alla bici: la seria sterzo si è allentata e non riusciamo a risolvere il problema. Decidiamo di prendere un Autobus, anche perché il visto di un mese sta per scadere. Viaggiamo tutta la notte per tornare al punto di partenza Yangon. Ritorniamo nello stesso Guest house del giorno di arrivo. Tutte le persone fanno festa per il nostro ritorno. In questi due giorni risolviamo gli inconvenienti della bici, ci riforniamo di rullini, cassette per la telecamera, otteniamo il visto per il Laos tramite consolato ecc. Qui capita anche di sentirsi chiamare, alzare lo sguardo e vedere chi? La ragazza indiana che aveva partecipato con canti e balli alla festa che si è tenuta alla “Golden Rock”. Un’altra persona che abbiamo incontrato di nuovo è stato colui che ci ha fornito sia la benzina alla partenza sia il bigliettino scritto in lingua locale per l’accesso nei monasteri. Ci ha chiesto se il biglietto ha funzionato e ha detto di essere stato molto contento per averci dato il suo contributo. Prima di andarmene da questo paese ho voluto lasciare un ultimo ricordo ad una ragazzina indiana: il mio amatissimo zainetto che mi ha accompagnato per tanti viaggi in giro per il mondo. Durante la nostra permanenza abbiamo evitato di regalare soldi soprattutto ai bambini, ma abbiamo cercato di renderli felici attraverso piccoli oggetti come ad esempio penne, matite, cartoline bracciali e poi un oggetto chiamato “Mandala” che Antonio costruisce artigianalmente, e soprattutto giocando con loro, solo cosi avranno un ricordo di noi. Secondo me chi effettivamente vuole vivere e rispettare le tradizioni di un popolo deve assolutamente accettare le abitudini e le usanze come spero siamo riusciti a fare noi durante questo mese di permanenza e non andare alla ricerca delle cose e delle abitudini del nostro paese, solo così ci si può integrare nella loro mentalità, questo aspetto si può trovare soprattutto nelle zone interne del Myanmar. Dopo aver trascorso un mese ed aver pedalato per 1100 km attraverso il Myanmar utilizzando anche mezzi locali, treno, battello, Autobus e pick-up, lascio una parte di me stesso nel Myanmar. Il nostro viaggio prosegue verso la Thailandia del nord ed il Laos. Viva il Myanmar. Per chi volesse informazioni più dettagliate si rivolga al mio indirizzo e-mail mauriziovenuti@virgilio.It Se non vi rispondo e perché sto in giro per questi affascinanti paesi. Prossimamente “Febbraio/marzo” India


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