In Giappone vale sempre la pena andarci – parte II

Tre settimane in questo Paese cosi unico, cosi speciale... Nagasaki, Osaka, Takayama
Scritto da: MrAnkov
in giappone vale sempre la pena andarci - parte ii
Partenza il: 07/10/2010
Ritorno il: 11/10/2010
Viaggiatori: 1
Spesa: 4000 €
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Day 3 – Nagasaki, nel profondo sud ovest

Giovedì 7 ottobre

Giovedì di buon ora (ma mai quanto vorrei) mi alzo, faccio un salto a provare la colazione giapponese dell’hotel (onigiri, zuppa di miso e tsukemono, i loro sottaceti) e poi via in stazione, destinazione Nagasaki. Nagasaki si trova nel Kyushu, la più meridionale delle 4 grandi isole che compongono il Giappone, come dicevo non solo è più vicina a Seul che a Tokyo ma è a soli 60 km dalla costa Coreana. Lo Shinkansen non arriva fino a Nagasaki: termina ad Hakata (un paio d’ore da Hiroshima) e da li si prende un treno più lento per arrivare a destinazione (un altro paio d’ore). Scrivo questi racconti durante i miei spostamenti in treno anche perché il paesaggio che si vede dai finestrini è quello che è: cioè non un gran ché, sopratutto tra Tokyo e Osaka, ma devo dire che le cose migliorano dopo Hiroshima e nel Kyushu capita veramente di vedere spesso dei bellissimi scorci di paesaggio naturale ed urbano. All’improvviso vi appare la visione di un mini cimitero abbarbicato sulle pendici di un altura con accanto un tempietto immerso nel verde. Risaie e campi di tè disseminati um’pò da per tutto, appena l’asprezza del terreno lo permette. Sopratutto nei paesini che la ferrovia attraversa capita di vedere molte di quelle belle case tradizionali con i loro tetti scuri ed i loro piccoli giardini dagli alberi ben potati. Allora non sono scomparsi ti dici. Perché è questa l’impressione che uno si fa nelle grandi metropoli affascinanti per noi appassionati di questo paese ma oggettivamente brutte per un occhio meno parziale del nostro. Il problema è che la maggior parte delle grandi città giapponesi son state bombardate durante la guerra e gli effetti di bombe incendiarie su case di legno e carta ve li immaginate da soli. I paesini invece ne sono rimasti indenni come indenni sono rimasti al boom edilizio del dopo guerra e al fenomeno delle enormi masse migratorie da campagna a città. E così sono sopravvissute queste vestigia del Giappone che fu, ormai scomparse nei grandi centri. Arrivato a Nagasaki visto che per una volta non ho scelto un albergo accanto alla stazione vado a prendere uno dei temutissimi taxi giapponesi visto che non so dove è il posto e sbattermi in tram con un valigione di più di 20 kg. non mi va. Con 1000 yen esatti arrivo a destinazione: le guide, tutte scritte da americani, raccontano tutte di quanto siano cari i taxi in Giappone e di non avvicinarsi loro mai a più di tre metri di distanza. Grazie all’euro possiamo quasi equiparare i costi dei tassisti ladri nostrani a quelli locali; e perché allora i giapponesi delle grandi metropoli preferiscono un hotel al costo del taxi quando perdono gli ultimi treni, mi direte voi. Semplice: a parte il traffico terrificante anche a tarda notte i pendolari giapponesi spesso abitano a distanze considerevoli dal posto di lavoro, ergo i taxi sono comunque meno convenienti di un alberghetto in centro. Insomma, cari sono cari ma qualche volta si possono prendere e fanno risparmiare parecchia fatica. Lascio la valigia in hotel e vado a mangiare qualcosa nella vicina China Town che non mi sembra un granché. Poi vado al Nagasaki Dejima: l’isola artificiale in cui erano stati confinati i commercianti autorizzati ad operare in Giappone e che per più di due secoli è stata l’unica porta di comunicazione con il resto del mondo. L’ex isola (ormai è inglobata alla terraferma) è una ricostruzione recente ed è una meta molto popolare per le scolaresche elementari che la invadono a frotte. Intanto la mia macchina fotografica decide di piantarmi in asso definitivamente (già da um’pò faceva le bizze) dopo 4 anni di glorioso servizio (a casa ne ho una nuova ma non trovavo il carica batteria e per far prima invece di cercarlo ho preso la vecchia, managgia a me!). Che fare ora? Fossi agli sgoccioli della vacanza…ma sono appena al terzo giorno quindi non c’è tanto da pensarci: ne compro un altra. Decido che la prendo compatta e che non voglio spendere più di 200 euro. Mi dirigo verso il porto sicuro che prima o poi un centro commerciale che vende apparecchi fotografici lo trovo. Mi imbatto così nella zona delle bancarelle del Kunchi Festival che si tiene proprio in questi 3 giorni. Le bancarelle sono tantissime; cibi di tutti i tipi: dolciumi locali, mele caramellate, crepes, spiedini di pollo, calamari, seppie, cibi mai visti; inoltre bancarelle di giocatoli, maschere, tiri a segno, lotterie che promettono video giochi che non vince mai nessuno, vasche di pesci rossi da acchiappare e perfino uno stand che vendeva enormi scarafoni veri e finti e per i quali i bambini andavano in visibilio, bleah! C’era anche un tempio shinto provvisorio montato appositamente per la festa dove la gente pregava lanciando monetine per poi comprare un biglietto della fortuna e quelli che ricevevano un responso infausto lo legavano ad un muro messo lì apposta in modo che il vento se lo portasse via. Con l’approssimarsi della sera la folla aumenta progressivamente fino a diventare un autentica bolgia. Trovo un centro commerciale e mi ci infilo: c’è anche il reparto che vende macchine fotografiche. Dopo una mezz’ora passata a confrontare caratteristiche e prezzi opto per una Nikon S6000 al prezzo di 18.800 yen (scontata da 29.500 prezzo di listino). Mi sembra un affare eccellente per 180 euro: è compatta ma ha un zoom ottico di ben 7x, 14mpixel e l’apertura obbiettivo è più ampia delle altre compatte della stessa grandezza; inoltre la mia prima digitale era una Nikon 2mpixel che faceva delle foto bellissime e aveva una funzione riduzione occhi rossi che funzionava veramente, la Canon e la Panasonic prese dopo di lei non mi hanno mai del tutto soddisfatto quanto la vecchia Nikon. Speriamo questa (bellissima nel suo rosso cromato) ne sia un degno successore. Scopro anche una volta arrivato in hotel che per caricare la batteria questa non va estratta e messa nel caricabatterie: semplicemente si collega un cavo USB alla presa mini USB dell’apparecchio; ottimo! Della mia vecchia Canon avevo fatto fuori ben 2 caricabatteria, senza contare che sono sempre un ingombro cosi invece mi basta portare il caricabatteria dell’iPhone che ha 2 prese USB e può caricare 2 apparecchi contemporaneamente. Passo nel seminterrato del centro commerciale dove come sempre in Giappone è collocato il reparto alimentare e mi prendo um’pò di cose per la cena tra cui anche la famosa “castella” un buonissimo pan di Spagna la cui ricetta fu importata dai portoghesi nel ’500 e che ha qui le sue origini giapponesi. Tornato in hotel ceno e poi verso mezzanotte vado nel bagno pubblico dell’hotel per provare um’pò com’è. Ci son tre vasche: due grandi (una con acque bianche ed una con acque trasparenti) ed una piccola dall’acqua freddissima. Mi immergo nella vasca dall’acqua bianca che mi sembra um’pò meno calda dell’altra e devo dire ci si sta benissimo, ma resisto a malapena 10 minuti e devo uscire in sovra ebollizione. Immergo un minuto i piedi nell’acqua ghiacciata che dicono ne fa diminuire il gonfiore e via a dormire.

Day 4 – Nagasaki, nei luoghi del dolore

Venerdì 8 ottobre

Mi sveglio con la gola secca e dolorante. L’aria nella stanza è secchissima eppure avevo spento il condizionatore appena arrivato. Inoltre fuori il cielo è veramente scuro: non è che minaccia pioggia, la promette! Esco sperando per il meglio e mi accorgo che china town è molto più estesa di quello che non pensassi, tiro fuori la Nikon per scattare una foto e sorpresa! Mi appare il messaggio: batteria scarica! I casi sono due: o è rotta o il trasformatore dell’iPhone non è adatto a caricarla. Comunque son fregato perché proprio oggi che devo visitare il parco della pace non posso far foto. Decido di proseguire per non perder tempo e di pensarci dopo, farò foto col telefono e quel che viene, viene. Intanto inizia a piovere. Vedo una di quelle grosse vie commerciali coperte e ci entro. La visito e mi compro un ombrello da un euro in un negozio “tutto a 100 yen” anche se con l’IVA in realtà sono dei negozi tutto a 105 yen. Decido di provare la specialità di Nagasaki: gli spaghetti Champon (piatto di origine cinese con cappuccio, germogli di bambù e frutti di mare in um’pò di brodo). Nel ristorante servono anche un altra specialità: gli spaghetti fritti croccanti e visto che hanno anche le porzioni piccole da assaggio decido di assaggiare entrambe. Giudizio? Che vi devo dire: molto meglio gli spaghetti fritti di quelli Champoo che se fossero cosi buoni sarebbero ampiamente diffusi anche a Tokyo ed Osaka che di solito non si fanno mai mancare il meglio.

Prendo il tram che mi deve portare al parco della pace. I tram di Nagasaki sono simpatici, come a Milano hanno conservato anche i mezzi più vecchi degli anni ’50 e c’è anche l’insolito fatto per il Giappone che sono a prezzo fisso: 120 yen indipendentemente dalla distanza che si percorre, cosa che facilità assai i turisti; si paga il conducente all’uscita.

Scendo sotto una pioggerellina scrosciante e seguendo i numerosi cartelli segnaletici (in inglese) in 6-7 minuti arrivo al Parco della Pace. Non c’è molta gente visto il tempo ma anche sotto la pioggia conserva la sua severa bellezza, anzi forse ci guadagna in fascino; diciamocelo:un luogo come questo deve ispirare profonde riflessioni ed una serena giornata di solleone mal s’adirebbe alla giusta malinconia che deve cogliere il visitatore. Lì accanto, circondati da monumenti e statue varie, si trova anche il museo della bomba e la Memorial Hall delle vittime: visitatele!

Stanco di questo giro fisicamente ma sopratutto emozionalmente, torno in hotel per riposare anche perché la pioggia aumenta di intensità.

Comunque la gente di Nagasaki non si fa scoraggiare neanche da Giove Pluvio, incontro infatti un gruppetto di locali che indossato un impermeabile di plastica e ricoperto con un impermeabile anche il loro tempio, se lo caricano in spalla e continuano imperterriti il loro festival. Resto il pomeriggio in hotel, fuori scravazza e non si può girare. La festa è rovinata: penso sopratutto a tutti i venditori delle bancarelle lungo il porto che questa sera avranno zero clienti, poveracci.

Buone notizie almeno riguardo alla macchina fotografica che col suo caricabatteria funziona, almeno non mi tocca andare a cambiarla al centro commerciale. Esco e vado a cenare in un ristorante che avevo adocchiato il giorno prima. Ottimo!

Poi torno in hotel che domani devo fare la tratta Nagasaki-Osaka: la più lunga del mio viaggio. In conclusione: valeva la pena di arrivare fino a Nagasaki? La risposta è: non ne sono sicuro. Forse non me la sono goduto come potevo a causa della pioggia, forse è una meta troppo lontana, forse…chissà? E’ un viaggio lungo e credo che se uno decide di farlo è meglio includa qualche altra meta del Kyushu come le terme di Beppu e la futura Pompei giapponese Kagoshima. Penso di poter affermare comunque che se siete al primo viaggio in Giappone ed avete 2 settimane o meno di tempo Nagasaki è una meta che potete escludere tranquillamente.

Day 5 – Tappa ad Osaka

Sabato 09 ottobre

Di buonora sotto una pioggia battente prendo un taxi per la stazione (700 yen). Treno per Hakata e da li lo Shinkansen per Osaka dove mi fermerò per la notte per poi proseguire per Takayama. Ad Hakata mi prendo un bento pieno di cosine varie dall’aspetto delizioso che mi fa capire che a volte sarebbe più saggio comprare cose che si riconoscono chiaramente: diciamo che metà delle pietanze proposte erano per palati forti. Nonostante la distanza notevole verso le 14.00 sono già ad Osaka. Anche qui piove, e non poco. L’unica consolazione è che questo maltempo perdura su tutto il Giappone compreso il circuito di Suzuka dove questo week end ci sarà il Gran Premio di formula1: le RedBull sono favorite e la Ferrari di Alonso ha solo da guadagnare dal maltempo. Ovviamente le cose non vanno mai come uno spera: la pioggia sarà cosi forte che rimanderanno le qualifiche al giorno dopo (non accadeva da 8 anni una cosa simile in F1). Sotto una pioggia così, l’unico posto dove andare è la Shinsaibashi Shopping Arcade, l’enorme strada commerciale coperta in centro città e cosi lascio il bagaglio in hotel e prendo il metro. La Shinsaibashi è veramente enorme, per di più in un piovoso sabato pomeriggio di ottobre, sembra che metà Osaka abbia avuto la mia stessa idea. E’ un autentica bolgia: sembra di essere l’ultimo week end di carnevale a Venezia e solo chi c’è stato può capire cosa intendo. In realtà io avrei anche uno scopo: comprarmi un paio di pantaloni. Sono partito con sole due paia e ne ho rotto uno quindi spero di trovarne uno della mia taglia missione abbastanza difficile:qui per dire già trovare un t shirt XL (che di solito qui è scritta Ll) è difficile, la Xxl è sconosciuta. Quasi subito trovo un enorme Uniqlo. Uniqlo è una specie di Ovs o H&M giapponese con la differenza che mi sembra avere una qualità maggiore rispetto a questi due marchi occidentali, pur conservando prezzi davvero economici. Da quel che sapevo in Giappone Uniqlo non è marchio molto amato perché considerato poco fine vestire da loro (come l’OVS in Italia) eppure devo dire che personalmente mi piace. Ad aprile lo avevo provato per la prima volta a Londra dove c’è ne sono diversi negozi e ci avevo comprato 5 t-shirt con personaggi di anime. Avevano anche un sacco di pantaloni colorati di cui però avevano solo taglie piccole. Comunque mi ritrovo davanti ad un loro enorme negozio letteralmente preso d’assalto dalla folla con dei commessi fuori a regolare il traffico della folla: scoprirò poi che questo è il loro flagship store. I primi due piani sono reparto donna, il 3° e il 4° uomo e questi due sono um’pò meno affollati. I jeans si fermano alle tipiche taglie piccole giapponesi ma per fortuna c’erano dei classici pantaloni Chino anche in taglie più umane e me ne prendo un paio per 1990 yen (meno di 20 euro) a cui aggiungo un lupetto di cotone a 990 yen. Vista la folla per pagare c’erano le file transennate tipo aeroporto ma c’erano parecchie casse aperte il che è un bene visto che i giapponesi sono piuttosto lenti dovendo adempiere a tutte le moine tipiche cliente-venditore. Sono lenti ma non trascurati; visto che pioveva hanno messo una sovra copertura di cellophane alla mia borsa in modo che non si bagnasse (vedere foto sotto): veramente un tocco di classe che ho apprezzato. Unico inconveniente nel negozio ho appoggiato da qualche parte il mio ombrello da un euro e non son più stato capace di trovarlo. Comunque ho visto la pubblicità di un negozio da 100 yen nel grande store di Big Camera (un Mediaworld locale) e sono entrato a compramene uno nuovo. Ovviamente al primo piano c’era il reparto macchine fotografiche e decido di dare un occhiata ai prezzi per confrontarli con quelli di Nagasaki: vedo una Canon che avevo pensato di comprare e che qui costa 10 euro in più e mi congratulo con me stesso per il buon affare fatto e poi vedo la mia Nikon. Qui costa 15.500 yen mentre io l’ho pagata 18.800 e per di più vedo che hanno il dutyfree e che rimborsano anche l’IVA che sono un altro 5%. Ho speso quasi il 20% di più, con i 4,000 yen che risparmiavo mi ci potevo comperare 2 paia di pantaloni da Uniqlo. Percorrendo tutta la Shinsaibashi street si finisce a Namba considerato um’pò il centro di Osaka, di sicuro uno dei punti d’incontro più rinomati della città. Il neon qui sopra, quello dell’atleta della Glico (marca di dolciumi) è il simbolo della città essendo qui dagli anni 50-60 ed infatti ci sono un sacco di turisti giapponesi che si fanno foto ricordo con questo sullo sfondo. Poi finisco anche davanti ad un Apple store e non posso fare a meno di visitarlo ma dentro non è più speciale di altri già visti. Però è il primo luogo dove riesco a trovare un wi-fi non protetto dove collegarmi ad internet da quando sono in Giappone. In tutti gli hotel dove son stato fin’ora c’era collegamento internet gratuito in camera via cavo lan e non ho mai trovato un wi-fi libero da nessuna parte. Mi domando se quella di non dare il collegamento internet via etere non sia una precisa scelta (governativa?) per limitare l’inquinamento elettromagnetico.

Visto il tempo rientro in Hotel dove consumo due cose comprate in un combini guardando in TV un intervista in italiano con sottotitoli in giapponese al neo allenatore della nazionale nipponica: Alberto Zaccheroni. L’intervistatore è nientemeno che Nakata, probabilmente il più grande talento finora espresso dal calcio giapponese che vista la lunga permanenza nel nostro campionato parla un italiano più che decente. Poi, dopo la mezzanotte fanno i cartoni animati. Si avete capito bene. Per motivi a me poco noti se di giorno provi a guardare la TV fanno solo programmi di cucina e talk show demenziali. Gli anime invece gli fanno la notte e non parliamo di roba sconcia da adulti ma dei normali cartoni animati giapponesi. Misteri del Sol Levante.

Day 6 – Takayama

Domenica 10 0ttobre

Sveglia presto, di corsa in stazione dove prendo lo Shinkansen per Nagoya, li cambio per un treno meno rapido che in un paio d’ore dovrebbe portarmi a Takayama.

Qui mi crolla il mito delle ferrovie Giapponesi. Il treno è bello, con finestre super panoramiche e ottimi sedili reclinabili dove c’è un ottimo spazio per le gambe ma a bordo del treno c’è un inconfondibile tanfo di latrina rotta che c’accompagnerà per tutto il viaggio. Per sovrappiù il treno parte in senso di marcia inverso ai sedili cosa che mi indispone ancora di più ma quello sembra una necessità visto che dopo la prima fermata il treno riparte nel giusto senso cambiando binario.

Anche il paesaggio che si vede dai finestrini quando si viaggia nella regione Hida offre degli scorci a volte davvero splendidi, un pò come nel Kyushu con i bei paesaggi montani del Giappone che è davvero bello dove l’uomo ha limitato il suo intervento.

Appena arriviamo a Takayama capisco che il posto è speciale: alla stazione, invece dei soliti cancelli elettronici ci sono tre controllori umani che ne espletano le funzioni.

Di fronte la stazione c’é un chiosco dell’ufficio informazioni della città che ha perfino mappa e dépliant della città in Italiano: questa si è organizzazione. Per qualche informazione più approfondita visitate il sito turistico in italiano approntato dall’ufficio del turismo locale (www.hida.jp/italiano).

Lascio in hotel la valigia e parto subito alla scoperta della città. Mi incammino per “Hirokoji street”, la strada che si trova proprio di fronte la stazione

Quasi subito si comincia a respirare una bella atmosfera, ci sono molte case di legno in quel tipico stile Giapponese ormai perso nelle grandi città che si ritrova in certi quartieri di Kyoto.

Vedo un tradizionale negozio di soba il Sumikyu e anche se sono le 11.45 non avendo fatto colazione decido di pranzarvi subito: scelta azzeccata perché il posto è delizioso, è già pieno (prendo l’ultimo tavolo libero) ed avrò il piacere di vedere una grande moltitudine di clienti venir rimbalzata mentre aspetto di essere servito. L’attesa è um’pò lunga, 35 min. circa visto che qui la soba non è precotta e ci sono un paio di grossi gruppi arrivati prima di me da servire ma direi ne vale la pena. La soba è veramente squisita: si sente che è artigianale e che viene preparata senza compromessi. In una normale giornata non festiva immagino l’attesa sia assai più corta.

Icino alla cassa vendono la loro soba anche da fare in casa e ne prendo tre pacchi per fare dei regali, sicuro che saranno dei doni graditi.

Proseguo verso la città vecchia e vedo la folla aumentare progressivamente: non per nulla è il secondo giorno di uno dei due più importanti festival della città: la Festa d’Autunno di Takayama che si svolge il 9 e 10 ottobre di ogni anno. A sentire il sito ufficiale di Takayama il loro festival d’Autunno é una delle più belle e più eleganti feste del Giappone. L’attrazione principale sono gli splendidi carri descritti come “Youmeimon in movimento” (Youmeimon è il famoso portale decorato magnificamente che si trova al Santuario Toshogu di Nikko). Sui carri si trovano marionette fatte muovere con grande abilità.

Fatto sta che quest’anno la festa capita proprio di sabato e domenica e la cosa rende la città particolarmente affollata. La parte vecchia della città con molti edifici in legno risalenti al XIX˚ secolo è piuttosto affascinante e oltre ai soliti negozi che vendono souvenir o specialità gastronomiche locali per turisti ci sono quelli del artigianato locale specializzato nell’intagliare oggetti di legno e mobili (sempre in legno) tradizionali e moderni.

Per chi ama il saké c’è una via di edifici tradizionali dove ci sono solo produttori di distillati: entrando dentro si sentiva il forte odore del liquore qui prodotto e stoccato e c’erano parecchi avventori che assaggiavano le varie qualità proposte prima di decidere quali bottiglie acquistare.

Passeggiando incontro un paio dei carri “Youmon in movimento” che al momento riposano in attesa di essere sollevati dai volenterosi portatori. Effettivamente sono decorati molto riccamente con uno sfarzo eccessivo, più cinese che giapponese: i particolari da cogliere sono troppi come gli ornamenti di una chiesa gotica.

Ad un certo punto vedo arrivare una lunga sfilata di persone in costumi tradizionali. Mi piazzo in un posticino accanto ad un palo della luce e me la godo mentre sfila. E’ piuttosto lunga e ci mette un buon quarto d’ora a passare tutta. E’ composta da quel che capisco da un grande numero di persone che indossano vesti di pellegrini shinto che raccolgono offerte in favore di qualche tempio (visto la loro moltitudine non credo siano tutti sacerdoti) con assieme a loro dei sacerdoti che ogni tanto si fermano e su richiesta di un qualche abitante/commerciante locale entrano e benedicono una casa/negozio mentre 2/3 persone eseguono davanti all’edificio una danza rituale indossando una maschera di drago che ricorda quello delle festività cinesi. La sfilata é composta sopratutto di locali (non religiosi) che vestono antichi costumi, suonano strumenti musicali tradizionali e tirano dei carretti che presumo raffigurino offerte che vengono portate in dono ai templi locali.

Poco prima delle 15.00 rientro in hotel per riposare un pó e sopratutto per guardarmi in Tv il Gran Premio di F1 che si tiene proprio in Giappone. Accendo la tele e cosa fanno? Torneo di golf, partita di baseball e corse di cavalli?! Ma come? Neanche il gran premio di casa lo fai vedere in diretta? Il Gp inizierà con un ora e mezza di differita alla fine delle corse di cavalli, ma io sapevo già il risultato visto che seguivo la cronaca on-line su internet.

Esco di nuovo e faccio un altro giro esplorativo in città. Verso le 17.30 quando il buio si approssima buona parte dei negozi comincia a chiudere, qualcuno chiude anche prima; sembra che anche qui come a Miyajima la gente se la prende comoda e non fa a gara con i stacanovisti di Tokyo, Osaka o Nagoya, quelli si, autentici forzati del lavoro.

Decido di entrare in una bottega che propone simil takoyaki (le famose palle di pastella ripiene di polipo) con il ripieno di carne di manzo locale. Beh, devo dire che i migliori takoyaki che ho mangiato sono qui e non avevano il tako (ossia il polipo). Non fraintendetemi io il polipo in Italia lo mangio volentierissimo ma in Giappone te lo rifilano semicotto (semicrudo dovrei dire), duro e gommoso e non é sto gran piatto, anzi. Qui invece, con dell’ottima carne di manzo tagliata fine e condita e cotta con salsa teriyaki le cose migliorano notevolmente. Dentro le persone che vi lavorano sono simpatiche e provano a scambiare qualche parola in inglese ed anche gli avventori sono gente con qui fraternizzo subito. Il posto deve godere di ottima fama locale visto che il muro é pieno di foto di avventori famosi che si sono fermati ad assaggiare le specialità del locale.

Day 7 – Takayama, il villaggio Hida

Lunedì 11 ottobre

Mi sveglio più tardi del solito e verso le 09.30 vado a verificare l’idea Giapponese di colazione occidentale (loro la chiamano Western Breakfast) scelta perché salmone e riso la mattina mi sembra troppo, infatti mi becco wurstel, patata bollita con maionese, omelette, insalatina, fettona di pane tostato e yogurt. Mah! Poi con calma mi incammino verso la città vecchia. Effettivamente oggi c’è molto meno gente ma comunque sopratutto verso la zona del mercato mattutino Jinya-Mae vicino al tempio Takayama Jinya c’è parecchia gente. Il mercato è abbastanza sparagnino: per lo più ci sono delle anziane signore che vendono quelli che sono i prodotti dei loro orti: radici strane, qualche insalata, sottaceti e sopratutto mele (è stagione dopotutto) a dei prezzaci che a volte sfiorano il ridicolo; qui verdura e frutta sono veramente off limits. Faccio un bel giro esplorativo della parte storica di Takayama e poi torno in stazione dove prendo il bus per il villaggio Hida (Hida no Sato). Da notare che alla biglietteria offrono un biglietto andata e ritorno con ingresso che costa 900 yen e ne fa risparmiare 100. Questo villaggio è un museo a cielo aperto che si trova ad una decina di minuti di bus dalla stazione: sono state prelevate e qui trasportate molte case tradizionali della prefettura di Hida tutte risalenti al XVII° e XVIII° secolo. In molte di queste storiche abitazioni sono inoltre stati installati laboratori di artigianato tradizionale dove maestri delle varie arti insegnano ai visitatori volenterosi la loro arte il che mi sembra un iniziativa veramente degna di lode. Francamente non mi aspettavo un granché da questa attrazione ed invece si è rilevata veramente piacevole; ho fatto più di 170 foto e mi sono ritrovato a pensare: meno male che ho una macchina fotografica digitale e non una tradizionale, se no mi toccava venire con una cartucciera di pellicole stile rivoluzionario messicano. Il giro mi ha preso più di due ore e volendo avrei potuto starci anche di più ma i piedi reclamavano riposo ed ho dovuto dar loro retta. Arrivato in città però decido di sfruttare la luce rimasta e mi dirigo verso la parte nord ovest della città dove in teoria ci dovrebbe essere un altro quartiere con vecchie abitazioni ed un grosso tempio. Effettivamente questa parte della città merita veramente una visita ma mi avvedo che come Miyajima anche qui tutti i negozi chiudono verso le 17.00. Il quartiere allora si spopola e ci ritrova a girare praticamente soli per queste viuzze dal sapore antico.

Visto la giornata fisicamente impegnativa mi concedo un assaggio di sushi di manzo locale. La carne fortunatamente non é proprio cruda ma leggermente scottata ed é piuttosto buona. Consigliatissima agli amanti della carne.

Purtroppo la batteria della mia macchina fotografica provata dalle fatiche della giornata mi lascia proprio quando arrivo nel vialone del tempio e le luci del tramonto lo rendono uno spettacolo favoloso. Provo a scattare qualche foto col telefono ma non è la stessa cosa, mi riprometto di tornare l’indomani mattina anche se la luce non sarà purtroppo la stessa. Mi riposo um’pò e poco prima delle 21.00 esco. Capisco che questa è una città che vive poco di notte: quasi tutti gli esercizi sono già chiusi o stanno per chiudere; riesco comunque a farmi servire da una simpatica signora una succulenta bistecca del famoso manzo di Hida, buona per carità ma costa e non è migliore o più morbida di un buon filetto nostrano, gli amanti della carne nostrana si rassicurino. Il racconto continua nella prossimo puntata. Pubblico qui il viaggio cosi come l’ho scritto sul mio blog (http://ivanmrankov.wordpress.com/2010/10/10/viaggio-in-giappone-2010-day-3-%E2%80%93-nagasaki-nel-profondo-sud-ovest/).

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