In cima al mondo
Quando atterriamo all’aeroporto di Kathmandu le più alte vette del mondo ci danno il benvenuto incastonate in cima al mondo. Il sole sbircia tra le nuvole, e pur essendo a 1337 metri, ci sono 27°.
La nostra guida, Jass, ci accoglie con un caloroso saluto. Non perdiamo tempo: è in programma la visita dello stupa di Swayambhunath, grande tempio buddista, posto in cima a un’altura a circa 30 km da Kathmandu, noto come il “tempio delle scimmie” per il folto numero di scimmie che vivono su questa collina. Saliamo una lunga scalinata: all’inizio ci attendono tre Buddha di pietra colorata gialla e rossa, a metà scalinata c’è un gruppo di statue di pietra raffiguranti il Buddha con la madre, e lungo la parte finale notiamo statue di coppie di leoni, elefanti e pavoni. Raggiunta la cima, scorgiamo lo stupa imbiancato a calce: sulla sua sommità un blocco quadrato dipinto in oro raffigura i tre occhi vigili di Buddha che sembra ti seguano ovunque. La base è costellata da una serie di ruote di preghiera che i pellegrini fanno girare con una mano, camminando sempre in senso orario. Coloratissime bandierine di preghiera sventolano sulla guglia dello stupa. Il simbolismo è molto chiaro: i più antichi erano semplici tumuli sepolcrali a cupola per conservare le reliquie di Buddha, ma in seguito furono trasformati in strutture più complesse, simboleggianti i cinque elementi: la base rappresenta la terra, la cupola l’acqua, la guglia il fuoco, l’ombrello l’aria, il pinnacolo l’etere. Il panorama da quassù è maestoso: Kathmandu è posta al centro del Nepal e sembra che le montagne intorno la proteggono dai nemici. Una leggenda racconta che un tempo la valle era occupata da un lago e che questa collina emerse dall’acqua come una foglia di loto. Gironzolando notiamo un tempio in stile pagoda dedicato alla dea della fertilità, alcune colonne con statue di varie divinità e ovunque i doni (fiori, dolci, riso e frutta) che i fedeli lasciano davanti ai tanti piccoli templi disseminati qua e là. Scorgo alcuni monaci tibetani seduti in circolo a meditare, i pellegrini si aggirano lentamente tra i i turisti curiosi che non riescono a distogliere dalla loro preghiera; è un luogo mistico e tranquillo, nonostante la folla, e i negozietti espongono con discrezione le loro merci. Kathmandu: capitale del Nepal, città sconcertante per l’aspetto di metropoli in un paese oggettivamente molto povero, con un inquinamento notevole per effetto del traffico opprimente. Da decenni è il centro da cui partono i viaggiatori che vogliono fare trekking sulle cime più alte del mondo accompagnati dagli sherpa, i famosi portatori che accompagnano le spedizioni alpinistiche ad alta quota.
La parte più caratteristica è la città antica che fa dimenticare lo squallore dei quartieri moderni. Passeggiando a piedi lungo le sue viuzze scopriamo monumenti affascinanti e angoli pittoreschi. Questa città è un vero e proprio museo a cielo aperto in cui può accadere di trovare santuari, templi, sculture nascosti nei posti più impensati. Vediamo dei bambini giocare nel cortile di una scuola intorno a una statua millenaria che molto musei occidentali custodirebbero gelosamente. Percorriamo la Freak Street, strada dei fricchettoni stranieri, frequentata negli anni ’60 dagli hippy che andavano in cerca d’illuminazione spirituale, libertà ed “erba” a poco prezzo. Ora è rimasta soltanto una pallida ombra di quello che era in passato: ci sono ancora alberghi e ristoranti economici e molti turisti la scelgono per la posizione favorevole. Le mode cambiano e attualmente la zona turistica per eccellenza è Thamel con i suoi numerosi negozi di libri, zaini e tutto per il trekking, a prezzi ridotti. Facciamo una sosta alla casa della Kumari Devi, la dea vivente, una fanciulla venerata come dea fino alla pubertà. Poi ne viene scelta un’altra con un rito simile a quello per la ricerca dell’aspirante Dalai Lama in Tibet. Esistono numerose leggende legate alla figura della Kumari: una di queste racconta di un re Malla che ebbe una relazione con una giovane, la quale finì per morirne. Il sovrano ordinò quindi di venerare in eterno una fanciulla come atto di penitenza. Mentre siamo nel cortile quadrato di questa dimora coi balconcini in legno intarsiato, all’improvviso s’affaccia alla finestra il visetto tondo della Kumari che cerco di fissare nella memoria perché è proibito scattare foto. Per lei i contatti col mondo esterno avvengono soltanto in occasione di una mezza dozzina di cerimonie annuali, mentre nel frattempo passa le giornate ad apparire di tanto in tanto alla finestra accanto alla sua “sacerdotessa guardiano”. Dopo un lungo girovagare apparentemente senza meta, sbuchiamo sulla maestosa piazza di Durbar Square, il cuore della città vecchia, dove in passato veniva incoronato e risiedeva il re. In effetti questa piazza è formata da tre piazze collegate fra loro: ci sono ben 23 Templi di varie dimensioni, un palazzo neoclassico in stile europeo del 1908, che ricorda la National Gallery di Londra, assolutamente in contrasto con lo stile nepalese, e il vecchio Palazzo Reale dove viveva il re fino a qualche anno fa.
In mattinata ci rechiamo al tempio Pashupatinath, il più importante tempio hindu del Nepal consacrato a Shiva, che attira migliaia di fedeli e sadhu (asceti hindu). Ovviamente noi non possiamo entrare e quindi ci accontentiamo di dare una rapida occhiata all’interno del tempio dalla terrazza panoramica sulla riva opposta. Scorgiamo la pagoda centrale a due livelli con un enorme tridente dorato, la figura del re inginocchiato e dietro il tempio si intravvede una raffigurazione di Shiva a tinte vivaci. Sulla collina si trova il parco del Cervo, un luogo ricco di significati simbolici dato che, secondo le scritture, Shiva assunse qui le sembianze di un cervo dorato. Questo tempio sorge sul fiume Bagmati, fiume sacro per le cremazioni come il Gange lo è in India. I ghat (gradinate) per le cremazioni posti di fronte al tempio sono riservati alla famiglia reale. Dopo il massacro del 2001 compiuto dal principe ereditario Dipendra, ubriaco e sotto l’effetto di droghe, i dieci membri della famiglia reale da lui assassinati sono stati cremati qui. La ragione di questo massacro si fa risalire al divieto da parte dei genitori del principe di accettare la donna che voleva sposare. Purtroppo la verità non è mai stata accertata.
Altri sei ghat di forma quadrata si trovano lungo la riva e sono destinati alla gente comune. Su un argine notiamo delle grotte rifugio che, durante le feste sacre, vengono utilizzate da eremiti e sadhu.
Attraversiamo un ponte sul fiume in direzione Bodhnath, dove c’è il più grande stupa del mondo ed è il centro religioso della comunità di esiliati tibetani in Nepal. Effettivamente le strade sono affollate di monaci tibetani, tetti scintillanti ricoprono i monasteri e nelle vetrine dei negozi sono esposti testi tibetani e forme di burro di yak. Questa località costituiva la porta d’accesso a Kathmandu per i mercanti tibetani che si fermavano al tempio per ringraziare le divinità di averli assistiti durante la pericolosa traversata dell’Himalaya.
Nel tardo pomeriggio il luogo torna ad avere l’aspetto di un villaggio tibetano: il sole tramonta e le preghiere risuonano nell’aria. I fedeli percorrono il circuito rituale dello stupa e anche noi respiriamo un’atmosfera spirituale. E’ uno stupa molto grande: sembra una grande torta bianca con 147 nicchie che contengono 4 o 5 ruote della preghiera ciascuna col mantra “om mani padme hum”. In realtà è un cumulo di sabbia coperto di argilla e si dice che nel sottosuolo si conservi un frammento di osso del Buddha. E’ un luogo di grande energia, commovente e mistico allo stesso tempo. I negozietti tutt’intorno vendono articoli religiosi, ruote, e mantra sotto vetro. Visitiamo un gompa, monastero tibetano, e subito ci avvolge il suono dei cimbali, il ritmo delle percussioni tantriche e i canti tibetani in sottofondo mentre l’aroma di burro di yak e d’incenso impregnano l’aria. All’ingresso troviamo un’imponente “ruota della vita”, un diagramma simbolico molto complesso che rappresenta il ciclo continuo di nascita, morte e rinascita dell’uomo. Suggestivi dipinti murali, raffiguranti divinità, Lama del passato e mandala (diagrammi che favoriscono la meditazione), decorano le pareti, e statue di Buddha in diversi atteggiamenti ornano la sala di preghiera principale. Ai lati del corridoio centrale, su cuscini rossi, sono seduti alcuni monaci in preghiera, mentre in fondo alla sala davanti a un altare sono poste ciotole d’acqua, lampade alimentate con burro di yak e offerte di frutta e fiori. Un ritratto del Dalai Lama troneggia su tutto. Nelle cappelle laterali sono esposte alcune feroci divinità a scopo protettivo e dei manoscritti tibetani sono allineati lungo le pareti. L’esperienza è eccezionale, cerchiamo di visitare il luogo con molta discrezione, consci del fatto che è un tempio di preghiera, e non dobbiamo turbare la quiete. In questo villaggio si respira un’atmosfera particolare anche perché è ricco di gompa grandi e piccoli, dove tibetani, nepalesi e buddisti stranieri frequentano diverse scuole di mantra o di arte tibetana.
La cattiva notizia è che la programmata visita al parco nazionale Chitwan è stata annullata a causa del cattivo tempo che ha bloccato i voli verso questa località. E’ soltanto un volo di venti minuti ma non c’è alternativa perché le strade in Nepal non sono molto buone e occorre parecchio tempo per percorrere brevi distanze. Nel frattempo visitiamo Patan, antica cittadina, conosciuta col nome sanscrito di Lalitpur cioè “Città della bellezza”. Effettivamente la piazza centrale, Durbar Square, (stesso nome della piazza centrale di Kathmandu, forse perché durbar significa “palazzo”) è ricca di templi, cortili, vasche d’acqua e pozzi. Nelle stradine secondarie sono situati oltre 600 stupa e 185 cortili di architettura Newari, etnia di agricoltori e mercanti. Il massimo splendore fu raggiunto all’epoca della dinastia dei Malla dal XIV al XVIII. L’itinerario a piedi, che la nostra guida ci propone, dura un paio d’ore e si snoda attraverso i vicoli pavimentati di lastroni. Strada facendo ci spiega che le città Newari sono costituite da una fitta rete di piazzette e cortili comunicanti, stradine tortuose, templi e laghetti quasi sempre disposti intorno a una grande piazza centrale. Bassorilievi, statue e santuari ornano questa città. Si ha l’impressione di essere in un’altra epoca poiché tutto quello che ci circonda è rimasto fermo nel tempo. La tipica casa Newari è fatta di mattoni, alte fino a cinque piani e con tetti ricoperti da tegole. Il piano terra ospita le botteghe, i laboratori o le stalle. Il primo piano ha un paio di camere per gli ospiti con finestre piccole e protette da grate per la privacy. Il secondo piano è il più attivo della casa: vi si trova il soggiorno, la camera da letto, le stanze per la tessitura o altre attività, e la dispensa. Le finestre di questo piano sono più grandi e dotate di scuri. Nell’attico, definito il piano nobile, si trovano la cucina, la sala da pranzo e la stanza santuario. Sul tetto vi è una terrazza. Una serie di case disposte a quadrilatero formano un cortile dotato di un tempio e di un indispensabile pozzo. Quest’ultimo divenne il centro della vita quotidiana e spesso lo è ancora oggi. Le vasche d’acqua sparse ovunque, e riccamente decorate, consentono agli abitanti di lavarsi e raccogliere l’acqua. Purtroppo in questo periodo notiamo che le fontane sono povere d’acqua, donne e bambini scendono i gradini che portano alla fonte e raccolgono la poca acqua che sgorga dai bocchettoni, a forma di testa d’animale. Continuiamo a camminare, passiamo da porte molto basse (in questo modo ci si inchina in segno di rispetto) e sbuchiamo in cortili interni circondati da colonne intarsiate in legno sal, scuro e molto resistente. In tutti i cortili troviamo un tempietto dedicato a una qualche divinità hindu o buddhista. E’ bello vedere che in Nepal le due principali religioni coesistono pacificamente e che è difficile distinguerle nettamente. Ad un certo punto entriamo in uno di questi cortiletti e vediamo due donne in sari colorati che stanno lavando dei tessuti posti in due bacinelle di metallo. La nostra guida saluta cordialmente e ci dice che una delle due signore è stata la sua balia quando era piccolo e viveva a Patan. E’ un incontro felice e ci presenta come turisti italiani in visita. Si vede che è molto orgoglioso del suo lavoro di guida turistica, ha studiato l’italiano a Urbino e lo parla correttamente. Guadagna circa 400 Euro al mese, che in Nepal è un buon stipendio. Vive con la moglie e due figli piccoli in casa con i suoi genitori perché le abitazioni a Kathmandu sono costose. In altri cortili incontriamo gente che vende le proprie merci, conversa tranquillamente, prega o riposa. E’ piacevole passeggiare a Patan perché il traffico è limitato a poche moto. Tutti qui camminano a piedi e non c’è l’inquinamento di Kathmandu.
Il giorno dopo ci svegliamo con il sole anche se c’è foschia. La meta odierna è Bhaktapur, che significa “città del riso” in nepali o “città dei devoti” in newari.
Priva di traffico, è un luogo senza tempo. Le stradine acciottolate in mattoni rossi a lisca di pesce conduce anche qui alla Durbar square centrale, dove eleganti templi svettano in un disordine geometrico non casuale. Il tempio di Nyatapola, con i suoi 5 piani alti 30 m, è il più imponente: saliamo sulla scalinata ripida per ammirare il panorama dall’alto. Ai lati degli stretti gradini sono poste enormi statue rappresentanti due lottatori, due elefanti, due leoni, due grifoni e due dee. Giunti sulla terrazza in alto giriamo in senso orario e ammiriamo la vista da lassù: templi e statue ovunque, il palazzo reale ha una magnifica porta d’oro e ben 55 finestre. Aveva 99 cortili interni, ma dopo il terremoto del 1934, ne sono rimasti sei e non è possibile entrare perché è in restauro: è consentito soltanto l’accesso alla fontana del serpente (naga). Di fronte al palazzo si erge una colonna raffigurante il re Malla più famoso della storia, seduto a braccia conserte, che contempla il portale dorato. Vediamo due muratori che stanno impastando la malta pigiandola con i piedi e trasportandola in secchi legati all’estremità di un bastone portato a spalla. Sono molto pacati nel fare questo lavoro, pur non avendo attrezzi che li possano aiutare nella fatica. Girovaghiamo senza meta e notiamo dettagli suggestivi: alcuni uomini giocano a carte (uguali alle nostre bergamasche) un gioco a me sconosciuto, le donne sotto un porticato stanno filando la lana, i bambini giocano tra loro senza giocattoli, il riso è steso ad asciugare, tutto è tranquillo, anche se la povertà è palpabile, la serenità è tangibile. Galline, anatre, piccioni, cani, mucche e piccoli cinghiali scorazzano nei cortili. La vita della città è vivace con molti negozi di artigianato, caste di vasai, intagliatori di legno e tessitori. Ci fermiamo ad ammirare anche la famosa finestra del pavone intagliata nel legno risalente al 1400.
Finito questo giro, che potrebbe durare ancora a lungo, andiamo in auto verso un tempio molto antico, Changu Narayan, che sorge in cima a una collina (alta solo 1541 m!) a circa 6 km da Bhaktapur. Percorriamo una strada stretta, piena di buche e di ostacoli, che corre in salita verso Thimi, la quarta città più grande della valle. Non c’è traffico e qui sono numerosi gli artigiani della ceramica e delle maschere di cartapesta con le loro merci in bella mostra sulla strada. Anche questa città newari ha una grande piazza centrale e diversi templi, piccoli santuari e vasche d’acqua.
Il tempio Changu Narayan, ricostruito nel 1700 dopo un incendio, risale però al IV secolo e le sue sculture di pietra sono dell’epoca dei licchavi, popolo proveniente dall’India. Saliamo verso l’ingresso, passando davanti a una vasca d’acqua e a un santuario di Ganesh (dio con la testa di elefante), oltrepassando diversi negozietti che espongono maschere e burattini di legno molto originali. Il tempio a pagoda ha due tetti, è consacrato a Vishnu, creatore dell’universo. Le travi dei due tetti sono scolpite e raffigurano divinità tantriche con tante braccia. Due leoni di pietra montano la guardia davanti al magnifico portale dorato e le due finestre ai lati sono finemente lavorate. Il cortile è disseminato di sculture molto antiche e bellissime raffiguranti le varie divinità. A ogni passo s’incontra una statua del re, una colonna con iscrizioni in sanscrito, un tempio dedicato a una dea, una vasca d’acqua, un altro tempio più piccolo con motivi erotici scolpiti sulle travi del tetto, diversi bassorilievi di divinità, demoni e molti animali. Lasciamo questa città con l’impressione di aver fatto un tuffo in un’altra epoca.
Nel pomeriggio siamo diretti a Bungamati, tipico villaggio newari risalente al XVI secolo. E’ arroccato su uno sperone di roccia che si affaccia sul fiume Bagmati in secca in questo periodo. Ci si arriva da una strada stretta e tortuosa che attraversa campi di riso coltivati a terrazza, grano, soia e ortaggi. Vediamo anche alcune donne in sari che stanno lavorando nei campi e colpisce la loro eleganza innata. In lontananza le alte montagne di 6000 m. Fanno da sfondo a questa bucolica cartolina.
Nel villaggio non si circola in auto e quindi ci incamminiamo per le viuzze dove la gente del posto trascorre la sua vita quotidiana: incontriamo molti intagliatori di legno e donne che tessono stoffe in vendita nei negozi di Kathmandu. I bambini giocano col cerchio e con giocattoli creati da loro e si rincorrono felici.
Anche qui si giunge nella piazza centrale abbellita da un grande tempio dedicato al patrono della valle, Rato Machhendranath. Ha un’alta torre piramidale, vagamente a forma di pannocchia, di forte influenza indiana. L’ultima cosa che ci si aspetterebbe di trovare al centro di questo villaggio newari.
Il nostro breve viaggio termina qui. Domani si ritorna a New Delhi per il ritorno in Italia. Lo sappiamo che è stato un primo approccio a questo paese povero, ma molto interessante da vari punti di vista.