Impressioni su Zanzibar
Una pennellata su quanto mi ha colpito...
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Zanzibar è un caldo abbraccio che ti prende alle spalle quando scendi dall’aereo; non aggressivo e prepotente come quello d’Egitto, ma avvolgente, lento, suadente… E’ la strada asfaltata, eppure polverosa, che si perde dritta ed uguale tra palme, eucalipti, alberi di spezie profumate; che sorpassa casupole dal tetto di lamiera, e si lascia a destra e a sinistra sentieri sterrrati che si inoltrano nel verde dove donne accucciate intrecciano foglie di palma. E’ la spiaggia bianca che si allunga nel mare ad ogni cambio di marea e lascia allo scoperto conchiglie granchietti alghe, e sorregge barche scure coricate languide sul fianco, in attesa del ritorno delle onde per riprendere vita. E’ una frotta di bimbi che insegue il “dalla-dalla” del resort, coi piedi nudi, gli occhi scintillanti e l’allegria di un nuovo gioco. E’ il masai, statua d’ebano di un Michelangelo nero, dalle treccine raccolte sul capo- e poi lunghe sulla schiena- che dondolano aggraziate ad ogni movimento, come la coda di un puledro che scalpita nel pomeriggio assolato o contro un tramonto languido di nubi rosse. E’ una donna solitaria che cammina sulla spiaggia, il shari al vento, la cesta ricolma di legna sul capo, il braccio sottile ripiegato a sorreggerla, lo sguardo perso verso l’infinito. E’ il rumoroso, polveroso agitarsi del traffico e della gente di StoneTown, dei vicoli scuri, delle bottegucce ricolme di merce accatastata nelle ceste, dell’incessante offrire qualcosa in cambio di poco. Zanzibar è il sogno di un Paradiso perduto e il rimpianto di non averlo scoperto e vissuto all’inizio della vita.