Impressioni di viaggio di giovane imprenditrice

Quando l’Associazione di giovani agricoltori di cui fai parte organizza un viaggio-studio in California per andare a vedere le realtà produttive della tanto idolatrata, imitata, tecnologicamente avanzata e grandiosa America e tu non puoi parteciparvi causa le solite immancabili ed improrogabili scadenze burocratiche e coincidenze di date...
Scritto da: Giuditta Cantoro
impressioni di viaggio di giovane imprenditrice
Partenza il: 27/01/2005
Ritorno il: 04/02/2005
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
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Quando l’Associazione di giovani agricoltori di cui fai parte organizza un viaggio-studio in California per andare a vedere le realtà produttive della tanto idolatrata, imitata, tecnologicamente avanzata e grandiosa America e tu non puoi parteciparvi causa le solite immancabili ed improrogabili scadenze burocratiche e coincidenze di date varie… Quando dei produttori di vino italiani ti propongono di accompagnarli in una fiera di Zinfandel a San Francisco per promuovere il loro vino… Quando tiri le somme e scopri che, non solo la data della fiera coincide con i giorni di permanenza del gruppo dei tuoi amici nella città più famosa della California, ma anche che venti di loro prolungheranno il viaggio negli Stati Uniti (un po’ meno “studio” ma un po’ più ludico) lungo il deserto ed i canyon fino a Las Vegas…Tu che faresti????? Io ho optato per l’organizzazione del viaggio veramente “last minute”: in una settimana prenotazione del biglietto aereo, richiesta del passaporto e di una nuova carta di credito, qualche dollaro contante, valigia e via….SI PARTE.

Certo, partire da Brindisi all’alba con due ore di sonno alle spalle, venire sottoposta a tutti i controlli del caso sulla tua persona e sul tuo bagaglio, rispondere agli interrogatori di terzo grado al check-in a Roma, passare le varie dogane americane, sopportare 10 ore di volo fino a Philadelphia e poi altre 6 per San Francisco, cambiare due fusi orari e quindi arrivare la sera dello stesso giorno in cui sei partita (anche se sono passate 30 ore) potrebbe un po’ sbandare, ma l’adrenalina ha il sopravvento e poi questi americani sono proprio simpatici!!!!! Ingannare l’attesa all’aeroporto innevato di Philadelphia con una birra offerta da una ragazza americana conosciuta d’avanti al metal detector, entrare a San Francisco di notte con il Golden Gate illuminato ed una leggera pioggia vista dal finestrino di un comodissimo shuttle tutto per me, scendere d’avanti all’ingresso del Sir Francis Drake Hotel a Union Square con il maggiordomo in livrea ed una limousine di fianco e il cable car dietro, fa decisamente passare il sonno. Ma una domanda sorge spontanea: è tutto vero? La sensazione netta è quella di essere nel jet set di un film. Ti aspetti di vedere Sharon Stone o Robert Redford da un momento all’altro. Quelle immagini nella vita le hai viste una miriade di volte e ti sembra di averle già vissute se non fosse per le dimensioni e la grandiosità che sono inimmaginabili. Superflua è la descrizione della pomposità della hall di ingresso dell’albergo, superflua è l’osservazione della varietà di gente che si incontra: tutte le razze, tutte le forme, tutti i colori, ma ancora più superflua è la constatazione che tutto si rivela solo apparenza quando entri nella stanza un po’ vecchia con la moquette rigorosamente a stelle e strisce e una tua amica trova sotto il suo letto due felpe: questa è la contraddizione degli States!!!!! Ovviamente, da buoni agricoltori, il programma del soggiorno è serratissimo e la sveglia è prevista ogni mattina all’alba. Il primo giorno a San Francisco è da veri turisti: mattina giro della città in autobus con autista di colore che, preso da un momento di euforia, ridendo da solo a squarciagola, prende la rincorsa su una delle ripidissime strade in salita di Notting Hill, che si usano nei polizieschi come sfondo agli inseguimenti, e si lancia in un salto del dosso lasciandoci tutti stupiti ma estremamente divertiti (…Tranne il malcapitato che era nella toilette…); pranzo sul porto di Fisherman alle bancarelle per “sbranare”, rigorosamente in piedi e rigorosamente con le mani, un bel granchione; pomeriggio giro in battello lungo la baia di San Francisco. Il secondo giorno mi sono staccata dal gruppo per andare alla fiera dello Zinfandel accompagnata da due “folli” esportatori americani, o diventati tali, e mi sono ritrovata dietro ad un banchetto a mescere vino italiano ai locali incuriositi, affascinati ma sempre scettici causa forte nazionalismo, e ad assaggiare innumerevoli bicchieri di vino californiano che, lasciatemi dire, non rispecchia i parametri del nostro palato.

Il terzo giorno abbandoniamo la splendida città californiana per volare verso l’Arizona dove ci attende una full-immersion di quattro giorni nella “natura”. Venti ragazzi viaggiano su un vetusto autobus nero accompagnati dal mitico Juan che sei anni fa decise di abbandonare la sua amata Andalucia per trovare fortuna a Las Vegas. È di poche parole e subito ci illumina spiegandoci che normalmente il giro che stiamo per intraprendere si fa al contrario e nella stagione calda perché in questo periodo “non c’è un casso da fare” (scusate la volgarità ma questo è stato il nostro motto per tutta la vacanza). Quindi ci rimbocchiamo le maniche ed iniziamo a goderci il nostro viaggio dal finestrino… Maciniamo tantissimi chilometri ma lo spettacolo che il deserto offre ai nostri occhi non si può esprimere in parole e la nitidezza dei colori che si può godere in questa stagione è unica. Forse la testimonianza del nostro amico “cameraman” può rendere un poco l’idea ma bisogna essere sul luogo per capirne la grandiosità. Arizona: cactus, pick-up e camper lungo la high-way, nessuna rete per i cellulari; Utah: Grand Canyon, giro in elicottero, spaccature profonde 500 m, Colorado, deserto, massicci rossi striati, Monument Valley, Riserva indiana dei Navajos, accampamenti, cavalli pezzati, Sedona, paesino western, Bryce Canyon, formazioni marroncine a piramide, neve, Page, paesino sulla diga, steakhouse, bowling, Lake Powell, campi da golf, Glenn Canyon, 8300 piedi, freddo, stalattiti, Parco di Zyon, animali in letargo; Nevada: piante grasse, casinò, civiltà, costruzioni, ritorna la rete per i cellulari, luci, luci, luci…LAS VEGAS. Siamo arrivati nel posto più folle del mondo, il paese dei balocchi, la città dove tutto è lecito. Las Vegas Boulevard è un’unica strada lunga 20 km in cui si susseguono alberghi con all’interno i casinò, ognuno con un tema diverso che riproduce qualcosa già esistente al mondo. A che serve andare a New York, a El Cairo, a Venezia, a Roma, a Bellagio, a San Remo se qui sono copiate in ogni minimo particolare? A che serve dormire la notte se tutto è aperto e funzionante e le luci illuminano a giorno dei cieli finti e il calore riscalda l’acqua dei mari finti? Ma il tempo per giocare è poco se si vogliono vedere tutti gli spettacoli offerti. Non si può perdere una serata a Down Town, la parte storica di Las Vegas e non si può non salire sulla torre Stratosphere per vedere la città dall’alto e provare le giostre più alte del mondo.

Ma chi lo ha detto che è bassa stagione? Se il periodo maggiormente consigliato è quello in cui bisogna fare le file al botteghino per qualsiasi cosa e girare tra migliaia di turisti affannati sotto i 40 gradi del deserto, io posso ritenermi stra-fortunata. La fortuna sta nell’aver intrapreso un viaggio del genere, in cui si provano emozioni fortissime, con un gruppo di persone che, nonostante le diverse provenienze (N.B. Niente pregiudizi Nord-Sud) e le diverse età, si accontentano di una serata di chiacchiere sul divanetto di fronte al camino della hall di un bell’albergo in mezzo al deserto innevato allo stesso modo in cui folleggiano tra slot machine e discoteche a Las Vegas. Forse tutti accomunati da un’unica grande passione per il nostro lavoro…



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