Il sussurro dell’Himalaya
A piedi a Muktinath, santuario a 4000 metri
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Seduta nel giardino dello Shanti Lodge stavo facendo colazione insieme al mio compagno di viaggio. Non era una mattina come le altre, nei nostri cuori c’era euforia, ci sentivamo in qualche modo diversi perché da quel momento in poi avremmo dovuto superare una prova. Saremmo partiti a piedi da soli per raggiungere uno dei luoghi più sacri dell’Himalaya: Muktinath, un santuario annidato a 4000 m. Di altezza. Voglia di libertà,desiderio assoluto di perdersi oltre quelle montagne così lontane, all’apparenza irraggiungibili…Misteriose. Il modo migliore per conoscere il Nepal è quello di addentrarsi nel suo interno, nella sua anima, costituita dalla miriade di villaggi disseminati tra le montagne che vanno dalle dolci e rigogliose colline alle aspre e deserte valli di alta quota. Raggiungibili solo a piedi o con l’aiuto di muli, cavalli o yak. In quei luoghi il tempo sembra essersi fermato,in quei luoghi si sente ancora l’imponente presenza di una natura viva, dove l’uomo con riverente umiltà ne rispetta le leggi. In quelle terre, dove regna il silenzio infranto solo dai miracoli della natura, può accadere che il semplice trekking si trasformi in realtà in un viaggio spirituale all’interno di noi stessi: ci troviamo soli, affidati come non mai al nostro destino, senza l’apporto di tutte quelle false certezze che nella vita di tutti i giorni ci fanno sentire invulnerabili e sicuri, chissà poi di cosa. Siamo soli,eppure quelle montagne sussurrano in silenzio la loro presenza e la loro protezione: si ergono impetuose e solenni verso il cielo quasi a toccare con le loro cime l’infinito …Là…In alto. Ma quando il vento inizia a incalzare e da lontano, da dietro le cime, le immense nuvole bianche simili a grossi fiocchi di neve incominciano ad annerirsi e in un gioco di vortici improvvisamente oscurano la vallata, ecco che l’atmosfera cambia: le montagne rivelano ora il loro aspetto minaccioso ma anche esaltante, che senso di calore trasmette l’essere in questi momenti al calduccio dentro a un lodge o semplicemente al riparo, ad aspettare che tutto si calmi. Camminare per giorni e giorni lungo i sentieri himalayani, circondati da scenari incredibili e dal grande silenzio è un’esperienza unica e rara soprattutto per l’uomo occidentale che, preso dal vortice e dalla frenesia della routine quotidiana, in un mondo sempre più caotico memoria di un mondo di vita arcaico, lontano mille anni luce dal frastuono delle metropoli ha perso completamente il contatto con la mente originaria. Un mondo dove l’uomo, plasmato dal paesaggio e dalle forze della natura, a continuo confronto con la propria strategia di sopravvivenza, ha acquisito una sensibilità e un ingegno manuale che da noi purtroppo non esistono quasi più. In questo mondo può verificarsi una strana trasformazione dentro di noi, influenzati da un magico paese quale il Nepal. E’ come se ci sbarazzassimo di un peso dall’anima e le inquietudini e i problemi della vita quotidiana non esistessero più, tranne che in un vago ricordo di cose che hanno perso la loro importanza. La nostra consapevolezza sembra sollevarsi a un livello superiore, si acquistano una sensibilità e una lucidità che nemmeno si pensava di serbare dentro di noi, si riscoprono e risvegliano emozioni ormai assopite nel nostro profondo.Tredici giorni di cammino sono stati necessari per raggiungere Muktinath. Un iter psicologico (e anche fisico ) in cui il mio essere ha sperimentato una dimensione di benessere e unione con sé stesso e con la natura, una natura che in quei luoghi si manifesta con un impeto selvaggio, libero, quasi esplosivo. Giorno dopo giorno, scoperta dopo scoperta, è stato come se ad ogni passo mi fossi liberata dal peso di tutti quei brandelli di inutile sapere che nel vivere quotidiano tengono la mente cristallizzata in quisquilie, per poter poi proseguire più leggera, vuota e pronta ad accogliere in me l’essenza di quei luoghi.Vivevo il presente, non le costruzioni della mia mente. Percepivo la magia della terra, del sole, del vento, dei colori, che divenivano un tutt’uno con me infondendomi un profondo senso di appagamento e gioia di essere viva. Muktinath, la meta, uno dei luoghi più sacri dell’Himalaya, dove ogni anno si recano in pellegrinaggio centinaia di devoti hindu e buddhisti che partono a piedi fin dalle più remote regioni indiane, non è un villaggio, non vi sono che poche case, un paio di lodge e poi solo templi, rifugi per pellegrini, chorten, lunghi muri di preghiera e silenzio. Il tutto all’interno di bastioni di roccia e neve che da secoli ne sono i guardiani impassibili. Che pace! Che commozione! Là in quell’isola di spiritualità incontaminata, nell’aria rarefatta di quel luogo, le sensazioni e le percezioni sono state acutissime. Era tutta una dimensione interiore, c’era nell’etere una strana atmosfera in cui percepivo le forze della natura e potevo così sentirmi in armonia con loro. E’ stato come se all’improvviso mi fossi sintonizzata su una nuova lunghezza d’onda, indisturbata, in cui i messaggi che venivano trasmessi parlavano di pace e di silenzio interiore. Com’è apparsa breve e fragile la vita, come si sono rivelati infantili e stupidi gli obiettivi che la mente razionalista si pone nella realtà ordinaria, di fronte al mistero insondabile della vita e alla magia della natura! Il mondo laggiù sta andando a fuoco: guerre, avidità, odio, egoismo, intolleranza. In nome di un Dio da difendere si compiono i più ignobili scempi. Di fronte al totem sacro del potere del denaro tutto è diventato lecito, tutto, nell’illusione collettiva che ognuno di noi, barricato nelle proprie sicurezze, sia completamente separato dal resto della comunità, dal resto del mondo. In quei luoghi così lontani dal frastuono e dalla confusione generale, si riesce ancora a percepire il profumo e il valore supremo della vita. Basterebbe così poco all’uomo per capire che la vera felicità è trovare la pace, e che la pace alberga in primo luogo nella nostra mente e nel nostro cuore. La natura è una grande maestra. La natura parla direttamente a quella parte di noi più profonda e reale, quella che riesce a percepire il “sussurro”della vita. Eppure sembra così difficile da realizzare, soprattutto per tutti coloro ai quali la coscienza si sta progressivamente addormentando.L’uomo che ha perso ogni genere di interesse rispetto al mistero e alla conoscenza di se stesso e che vive in uno stato di lenta eutanasia dello spirito, non potrà mai sapere cosa significhi uscire dal proprio bozzolo e volare libero nell’aria fresca.