Il sorriso del Senegal 2
Ore 09.00: suona il telefono in camera. Dall’altra parte una voce maschile in francese mi parla velocissimo, io ancora frastornata dal sonno riesco comunque a capire che la guida è arrivata e ci aspetta… Ok mi preparo velocemente, andiamo a far colazione e alla reception mi presentano la guida e parla (menomale) italiano.
Si parte. Scopro con un po’ di dispiacere che il mezzo che useremo per il tour è lo stesso sgangherato fuoristrada che ieri ci ha portato in albergo. Vabè.
Prima destinazione; isola di Goree. Andando verso il porto traghetti ho la conferma di quella che ieri notte poteva essere solo un’impressione; c’è molta povertà, anche nella città capitale. Le case, ad eccezione di pochi edifici come il nostro hotel, sono per lo più a due piani e decisamente trascurate nella manutenzione, come le strade e tutto ciò che mi circonda. Ai bordi delle carreggiate centinaia di venditori ambulanti ti vogliono rifornire di schede telefoniche ma anche di arachidi, orologi da muro, giochi di società e persino ferri da stiro… sono tantissimi e approfittano della lentezza e del caos del traffico. La povertà è presente in ogni strada, dietro ogni angolo, negli occhi di ogni senegalese, anche se il sorriso non manca mai.
Arriviamo al porto: sul traghetto con noi salgono anche numerose cassette di merci varie, per lo più alimentari, che riforniscono l’isola. La traversata è breve e l’isola davvero carina: ci accoglie una piccola spiaggetta dove alcuni bambini giocano e fanno il bagno vestiti. Le vie del piccolo paese sono molto variopinte: i colori degli intonaci delle case, ad uno o due piani massimo, fanno da sfondo a piante e fiori in abbondanza, e al centro troneggia il tono giallo/rosso della sabbia della strada in terra battuta. Lungo le vie molti “artisti” e artigiani presentano le loro opere e prodotti ai turisti: quadri, statuette in legno, collanine.
L’edificio che visitiamo è la triste testimonianza della schiavitù passata: anche questo è colorato rosso/ rosa, ma una stretta al cuore viene visitando le celle in cui i prigionieri venivano stipati in attesa di un viaggio senza ritorno; le donne divise dagli uomini, dal peso minimo di kg.60: i più gracili, come facciamo coi maiali,venivano messi all’ingrasso in attesa di raggiungere il “peso forma”. Sono contenta che gli italiani, almeno a questo, non abbiano partecipato.
Si riparte, destinazione lago Rosa. Nella sosta per il pranzo ho il primo incontro con il mango (buonissimo) e le mosche (noiosissime), ma per la digestione non c’è problema: ci aspetta un giro in 4×4 (sgangheratissimo anche lui, manco a dirlo!) sulle dune di sabbia stazione d’arrivo della famosa Parigi-Dakar. Un ragazzo tanto giovane quanto spericolato ci fa “volare” da una duna all’altra fino ad una corsa in riva al mare, per poi raggiungere il vicino lago Rosa. A dir la verità aveva appena un accenno di rosa perché, ci spiega la guida, aveva da poco piovuto. Ed eccoci anche al primo incontro con le venditrici ambulanti: due simpatiche signore mi chiedono familiarmente come mi chiamo, da dove vengo, se posso fare loro una foto per poi spedirla… certo… poi mi regala due braccialetti… come si fa a non comprare una collanina? Ok si riparte, destinazione St. Louis.
La guida ci avvisa che capiteremo in città proprio il giorno dedicato ad una festa di una confraternita mussulmana, i Murid: per l’occasione migliaia di discepoli si incontrano per celebrare l’indomani la preghiera delle 5.
Il viaggio è piuttosto lungo e il benvenuto non è dei migliori: all’ingresso della città, ormai al buio della sera, un poliziotto ci fa accostare e ci invita a scendere tutti dall’auto per lavarci le mani in una bacinella di acqua e amuchina. La guida ci spiega che si tratta di una misura di prevenzione al colera, visto che nell’ultima festa si sono verificati alcuni casi. Azz.
Ed ecco St. Louis che si prepara al grande evento di domani: i festeggiamenti sono già cominciati e c’è gente, gente e gente dappertutto. Folla di persone che si prepara ai bordi delle strade un giaciglio per la notte (basta una stuoia o un telo ed è fatta), musica o versetti del corano dagli altoparlanti per le strade e gente che va e viene in ogni direzione.
L’albergo per la notte è molto carino, un po’ in stile orientale, ma il condizionatore è un po’ troppo rumoroso.
05/09/07 La mattina è dedicata alla visita della città. Ancora fiumi di persone per le strade: attraversando il lungo e poderoso ponte che collega l’isola alla terra ferma rimango incantata dalla quantità e dalla bellezza dei coloratissimi vestiti tradizionali delle donne senegalesi che mi vengono incontro , come se facessero per me una sorta di defilé. Sarei tentata di comprare un abito come il loro ma sulla mia pelle chiara quei colori non risalterebbero così bene.
Anche qui le strade sono larghe, le case a due piani sempre più trascurate, sui marciapiedi sabbia, e caprette che girano libere rubando cibo un po’ dappertutto. Nelle vie principali il fiume di persone mi travolge ed ho sempre l’impressione di essere contromano; i teli serviti per la notte ora vengono stesi ad occupare un posto dove pregare alle 5. La zona mercato è quasi impenetrabile ma noi ci facciamo strada tra improbabili banchetti e venditori. Siamo due punti bianchi in un mare nero, ma non sono a disagio.
Nel pomeriggio ci aspetta una gita in barca risalendo il fiume Senegal: via calze e scarpe, per salire bisogna entrare in acqua, e inizia il giro sulla coloratissima piroga. Questa parte del fiume è anche parco naturale e possiamo ammirare, oltre alla fitta vegetazione, svariati uccelli tipici del luogo. È l’occasione per usare il 300.
06/09/07 Ecco la giornata più rocambolesca della mia vacanza. Partiamo con destinazione Touba, città sacra dove non si può bere alcolici né fumare, sorta nel deserto e fondata dai Murid, la festeggiata confraternita mussulmana, e sede della più grande moschea del Senegal che ci accingiamo a visitare. Forse. Ho avuto seri dubbi.
Dopo un po’ di km il motore del fuoristrada comincia a fare strani rumori: accostiamo per vedere cosa succede e l’autista arriva alla conclusione che manca olio. Fortunatamente a circa 300 m c’è un paese, e mentre l’autista si incammina pazientemente io e Paolo approfittiamo per fotografare un baobab lì vicino: è un baobab scavato al centro, quindi probabile tomba di un cantastorie di etnia serere. In pochi minuti mi trovo circondata da bambini… ma da dove arrivano? Poco lontano in effetti c’è qualche abitazione. Mi salutano, mi seguono, mi chiedono… ed io mi metto a distribuire quelle caramelle che in effetti avevo comprato proprio per loro.
Finalmente l’autista torna fornito di olio ma… la macchina ancora non và. C’è bisogno di un esperto e l’omino di nuovo pazientemente si incammina verso il paese in cerca di un meccanico. Sotto un sole che non ci dà tregua la rassegnazione avanza: anche il meccanico non riesce a risolvere, proviamo a spingere tutti insieme (bambini compresi) l’auto ma non dà segni di vita. Ok piano B: stavolta è la guida ad avviarsi pazientemente verso il paese alla ricerca di una macchina che ci tolga da lì. Io rimango sempre circondata dai bimbi che continuano a chiedermi di tutto, caramelle, soldi, vestiti, bambole… ma non ne ho! Ma ecco la guida con l’auto più malpresa su cui sia salita in vita mia: è una carcassa a motore, all’interno non ci sono più i pannelli di rivestimento né alle portiere né al soffitto, per aprire devo tirare un fil di ferro, la chiave sul cruscotto è un optional perché quando l’omino la toglie per fare benzina il motore rimane acceso…Incredibile ma con questa raggiungiamo il primo villaggio rurale, l’altra faccia del popolo senegalese. Gli abitanti sono di etnia Peul, e vivono di allevamento: gli uomini si occupano del pascolo e le donne vendono il latte prodotto. La loro è una vita nomade, inseguendo la pioggia, le loro capanne sono circolari con il tetto a cono: all’interno solo due letti, un pentolino, e una zanzariera arrotolata che rappresenta l’alquanto misero impegno dello Stato nell’adottare misure contro il più grande problema di questo paese: la malaria. In questi villaggi la scolarizzazione e quasi inesistente perché dà molta più garanzia di lavoro il bestiame piuttosto che un titolo di studio che spesso genera disoccupati. Una foto con tutta la grande famiglia che subito ci circonda incuriosita e via verso Touba e la sua moschea. Bella. Grande. Riconosco le decorazioni opera dei marocchini, e il marmo rosa e bianco danno luce e maestosità al grandioso edificio. Al ritorno un’altra auto, solo un po’ meno sgangherata, ci porta ad una stazione di noleggio: pulmini, taxi e ogni sorta di auto che da noi non vedi neanche in rottamazione, per terra una distesa di bustine, quelle che usano come contenitore per l’acqua fresca che le donne vendono per strada. Dopo una accesa contrattazione si parte e, un po’ sconvolti (molto) arriviamo finalmente a Kaolack, dove incontriamo il nostro nuovo autista e un nuovo mezzo, stavolta un pulmino nuovissimo, che ci riscatta di tutto ciò che abbiamo passato. Ma io e Paolo infondo abbiamo trovato anche interessante questo tuffo nella realtà dei mezzi di trasporto senegalesi.
Ed eccoci al mercato di Kaolack: strette vie formate da banchetti e baracchette di fortuna che espongono ogni tipo di prodotti alimentari e non, tutti rigorosamente visitati da colonie di mosche. Tra la frutta e la verdura anche un banchetto di … foglie secche che, ci spiega la guida, sono in realtà erbe medicinali che devono essere rigorosamente prescritte da… un indovino.
07/09/07 E questa è la giornata più brutta. Sto male di stomaco e devo partire con l’ansia di aver bisogno di un bagno dove non c’è. Quando ci fermiamo per la visita ad un villaggio wolof la mia nausea mi fa correre fuori con la netta sensazione di vomitare prima di raggiungere l’uscita: mi sarebbe dispiaciuto “esplodere” sul loro campo coltivato… non se lo meritano vista la loro ospitalità. I Wolof hanno capanne in muratura perché sono sedentari, ma la forma è sempre circolare e il tetto in paglia conico. È andata bene e raggiungiamo Toubacouta senza problemi. Io però sto male… la mia fortuna è che nel pomeriggio il tour prevede solo un giro in un mercato e rinuncio volentieri: ho la febbre a 38 e dormo tutto il pomeriggio.
08/09/07 Un ringraziamento speciale alla tachipirina e via! Si parte per nuove avventure! Iniziamo la giornata con un giro in piroga sul fiume Saloum per ammirare le mangrovie che si tuffano nell’acqua formando suggestivi corridoi, per poi sostare nel terzo villaggio rurale: i bambini sono i primi ad accoglierci con un sorriso, una piccolina mi chiede di essere presa in braccio e un altro mi prende per mano… ok li adotterei tutti! Dopo le foto di rito per il pranzo ci aspetta una sorpresina: abbiamo incontrato uno dei pochi italiani che, per la serie “mollo tutto e vado via”, è arrivato in Senegal dal mondo della moda per aprire un ristorante. Mi fa piacere sentire parlare italiano (con accento veneto) ed è buono anche il barracuda alla griglia che mangiamo. Dalle grandi firme ai piatti, allo yogurt fatto in casa, al pesto fatto con gli anacardi… ci vuole un certo coraggio. A lui è arrivato dopo un mistico viaggio in India. Nel pomeriggio si prosegue il viaggio per Mboudiene, dove ci ospita un albergo al di sopra delle nostre aspettative, con camera a due piani e la solita zanzariera sul letto che mi ricorda la minaccia malaria.
09/09/07 Ed ecco l’ultimo giorno del tour. Dopo un breve viaggio e un lungo ponte di legno raggiungiamo Fadiouth, la così chiamata isola delle conchiglie. Con le conchiglie, in effetti (non solo sull’isola ma lo abbiamo notato in molti posti durante il tour) loro ci ricoprono le strade, come noi usiamo la ghiaia. Sull’isola vive una popolazione per il 90% cristiana e solo il rimanente 10% mussulmana, l’esatto opposto di tutto il resto del Senegal. Il cimitero ospita pacificamente (almeno lì) tombe delle due religioni e sull’isola convivono in modo esemplare i credenti. Ogni “rione” ha la sua piazza coperta “del consiglio” e per ogni problema, ignorando ogni altra autorità, ci si rivolge ancora agli anziani del villaggio, biblioteche viventi della cultura e la saggezza senegalese. Con David, la nostra guida del posto, assistiamo alla messa cristiana cantata in modo assolutamente suggestivo con cori e tamburi: all’uscita della chiesa la festa per una suora ci travolge con balli tradizionali e vestiti coloratissimi. L’ultima tappa del nostro movimentato tour è dedicato alla visita del mercato del pesce: ci accoglie una puzza poco promettente ma ci si abitua subito. Catturano la mia attenzione un gruppo di bimbi che mangiano riso con le mani tutti dallo stesso piatto centrale, come dice l’usanza. Mi sorridono con un “ok” alla fonzarelli e ricambio il sorriso. Un bimbo dalla maglia rossa mi segue durante tutta la visita. All’interno dell’edificio grandi spazi che presto si riempiranno di voci in trattativa: noi andiamo sulla spiaggia dove i pescatori cominciano ad arrivare e a scaricare il pescato: ci sono mucchi di pesce un po’ dappertutto, non molto invitante fra la sabbia e le mosche… ma è tutto, come sempre, molto vivo e colorato.
Ed eccolo arrivati a Saly, il nostro soggiorno mare: via le fatiche del viaggio, ma stop anche alla visita di questo strano paese. All’interno del villaggio turistico si entra in un altro mondo, quello costruito per i turisti: una graziosissima casetta ci ospiterà nei prossimi 5 giorni, ed avremo a disposizione una piscina, la spiaggia con sdraio e ombrellone (in paglia), ristoranti e bar con animazione serale. L’acqua del mare non è limpida per il fondale sabbioso ma è caldissima e non finirei mai i miei bagni. Lungo il chilometrico litorale facciamo delle passeggiate che ci riservano sempre qualche incontro: un gruppo di pescatori che sta ritirando la piroga ci invita a visitare il loro villaggio, ci viene offerto del tè, la moglie del capo villaggio ci regala una collanina… il tutto allo scopo di presentarci il loro banchetto di statuine di legno in vendita, i cui proventi, ci assicurano, andranno a beneficio di tutto il villaggio. Sono abilissimi venditori, come quando con il pretesto di darti una sorta di “carta di identità” per entrare nel villaggio ti regalano un graziosissimo ciondolo in legno che fabbricano lì davanti a te raffigurante una maschera africana con inciso dietro il tuo nome… come rifiutare di visionare poi le loro statuine?! Sì, forse abbiamo anche comprato qualcosa che non avevamo previsto, ma per loro 10 € valgono molto di più che per me. Certo sappiamo tutti che ci sono paesi dove la gente è povera, lo sappiamo ma alla fine la nostra vita si riempie di cellulari, computers, auto nuove, vestiti nuovi anche se magari aspettiamo i saldi e loro, i poveri veri… sembrano confinati lì dentro il monitor del nostro televisore. Quando invece ci sei in mezzo, e fai km e km di strada e intorno a te c’è un mondo diverso, e c’è gente povera, e gente povera, e gente povera… non solo lo sai, ma lo senti intorno a te. È diverso. E anche il nostro mondo occidentale lassù diventa più piccolo, più ricco e fortunato, ma più freddo, in tutti i sensi.