Il Myanmar attraverso i cinque sensi
MERCOLEDÌ 03.01.2018
È una fredda mattina di gennaio e le strade della nostra città sono ancora deserte e buie; carichiamo le valigie in auto, e partiamo alla volta di Milano Malpensa accompagnati da una buona dose di agitazione, emozione e grandi aspettative; questa volta la destinazione delle nostre vacanze sarà il Myanmar.
Atterriamo a Bangkok e poi dopo un volo di circa due ore arriviamo a Mandalay nel primo pomeriggio. La città ci accoglie con una leggera pioggerellina, strascico di un forte temporale decisamente fuori stagione. Dopo un breve riposo decidiamo di uscire alla volta di Mandalay centro; il primo approccio con la città ci consiglia però di rientrare in albergo. Siamo stanchi, le strade sono malridotte, sporche, tombini disassati, la luce è fioca. Ceniamo e poi dopo un caffè in camera andiamo subito a dormire
GIOVEDÌ 04.01.2018
Dormiamo profondamente fino alle due di notte, poi, causa fuso orario ci svegliamo; riusciremo ad addormentarci solo alle cinque di mattina.
All’uscita dell’albergo ci aspetta il nostro autista che oggi ci porterà alla scoperta dei dintorni di Mandalay; peccato non parli inglese e quindi ci è impossibile comunicare con lui salvo pochissime parole.
Prima tappa nel quartiere degli orafi dove ci viene data dimostrazione del lavoro duro e paziente che devono svolgere queste persone per ottenere quelle sottilissime foglie d’oro che andranno a rivestire le statue raffiguranti il Buddha. Da piccoli frammenti di oro, si passa alle lavorazioni successive che consistono nel picchiare per circa tre ore le lamine fino a farle diventare impalpabili. E lo stesso procedimento viene riservato ai fogli su cui verranno poste queste lamine. In questo caso si tratta di bambù lasciato ad essiccate per oltre tre anni e poi lavorato con procedimento simile per ottenere dei fogli sottilissimi. Vediamo alcune donne sedute che preparano queste foglie d’oro che poi saranno vendute ai fedeli nei vari luoghi sacri.
Proseguiamo alla volta del Mahamuni Paya dove si trova una statua di Buddha seduto alta 4 metri; nel corso degli anni le numerose foglie d’oro applicate dai fedeli hanno reso la superficie spessa oltre 15 cm., eccetto il volto che risulta dorato e splendente.
Solo gli uomini si possono avvicinare alla statua per poterla ricoprire, mentre le donne sono in preghiera proprio di fronte alla statua.
In questo complesso e così nei prossimi, l’accesso è possibile solo senza scarpe e senza calze e noi a questo non siamo pronti. I primi passi sono timidi, abbiamo il timore di sporcarci, di trovarci sassolini sotto i piedi, ma poi dopo alcune pozze di acqua e fango non ci facciamo più caso e la nostra giornata proseguirà in un continuo metti e togli scarpe e calze; per le prossime uscite prevederemo sicuramente ciabatte molto più comode.
Un giovane monaco si ferma a parlare con noi forse più incuriosito lui di noi che contrario. Il suo sorriso trasmette molta calma e pace.
Risaliamo in auto e percorriamo una strada su cui si affacciano numerosi laboratori artigianali di marmisti. Qui abili mani scolpiscono statue di Buddha. Le condizioni di lavoro sono precarie; oltre alle poche attrezzature elettriche, gli operai non hanno scarpe e mascherine per proteggersi dalle polveri che annebbiamo i laboratori. Ma peggio ancora per noi è vedere ragazzi in tenera età già alle prese con questo faticoso lavoro.
Raggiungiamo il ponte U-ben costruito in legno di teak e lungo circa 1200 metri che attraversa le acque del lago Taungtha-man. Siamo nel periodo della stagione secca e le acque sono poco profonde ma piene di vita quotidiana. Infatti vediamo numerose barche di pescatori e donne che lavano i panni in queste acque non proprio cristalline. Passeggiamo sul ponte già affollato di bancarelle, di persone che mangiano, di turisti. Tra poco ritroveremo tutti i turisti al Maha Ganayon Kyaung, un enorme monastero che ospita monaci sin dalla tenera età. Qui, intorno alle 10 si assiste a uno spettacolo unico nel suo genere. I monaci escono in strada per raggiungere la mensa dove gli verrà servito il pasto. Dapprima in fila di due vediamo passare monaci in erba, avranno 6 o 7anni e le loro vesti sono bianche; l’aria è seria e composta ma appena il capo Monaco si volta ecco che queste creature ritornano ad essere bimbi con la voglia di scherzare e di giocare. È poi la volta dei monaci più grandi nelle loro vesti arancioni; il colpo d’occhio sulla via è molto bello e suggestivo. Ci chiediamo se sia il caso o no di assistere a tale evento quotidiano; cerchiamo in tutti i modi di non oltraggiare la loro privacy,di fotografare il meno possibile e con particolare riservatezza. Purtroppo molta gente si avvicina a loro pur di scattare primi piani ed immortalare attimi della loro vita religiosa. Siamo comunque contenti di aver potuto assistere a tale evento.
Un lungo percorso ci porta adesso a Mingun, un piccolo villaggio situato sulle sponde del fiume.
Dopo aver superato numerose bancarelle ed esserci tolti scarpe e calze risalivano i ripidi scalini della Mingun Paga, la costruzione che avrebbe dovuto essere la più grande pagoda al mondo. La costruzione è stata abbandonata nel 1819 ma possiamo ben immagine come sarebbe divenuta una volta terminata. È enorme nei suoi 140 metri di altezza e 70 di larghezza, ed impressionanti sono anche le profonde fenditure causate dai vari terremoti che hanno danneggiato in modo irreversibile quest’ opera incompiuta.
Qui si trova anche la Mingun Bell, una campana alta 4 metri che fino a poco tempo fa era la più grande al mondo.
Ultima tappa a Mingun è riservata alla Hsinbyume Paga, una pagoda disposta su sette terrazze in marmo bianco dal colore bianco accecante.
Ripercorriamo la strada verso Mandalay e raggiungiamo Sagaing, una zona le cui colline che diradano verso il fiume sono sormontate da stupa che regalano scorci impagabili.
Visitiamo il Pan Ha SHIN paya e lo Umin Thonzeh un tempio buddista che si raggiunge dopo circa 10 minuti di camminata su ripidi scalini.
Da qui in cima il panorama è sorprendente, vediamo la città di Mandalay, il fiume, tutte le colline di Sagaing. Le preghiere di un Monaco ed il profumo di incenso poi aiutano a rendere questo momento ancora più suggestivo.
Rientriamo in albergo dopo aver percorso circa 5 chilometri a piedi e dopo aver iniziato a conoscere questo paese e queste persone che vivono ancora in un periodo delicato, fatti di molta povertà e tante ristrettezze economiche ma pieno di sorrisi
VENERDÌ 05.01.2018
Lasciamo Mandalay alla volta di Bagan; alle 6 di mattina attraversiamo una città ancora buia che si sta lentamente svegliando.
Raggiungiamo il porto da dove, con traghetto, raggiungeremo il famoso sito archeologico. Dopo un’attesa di alcuni minuti ci viene comunicato di spostarci sulla barca adiacente, forse a causa di un malfunzionamento. Con qualche minuto di ritardo si parte; abbiamo preso posto sotto una pensilina in plastica che ci proteggerà dal sole durante la giornata; l’ora prevista dell’arrivo a Bagan è intorno alle 16.00.
Breve sosta per il rifornimento carburante e poi lasciamo Mandalay. Alla nostra destra scorgiamo i vari stupa del sito di Sagaing visti ieri, ma ovviamente dal fiume abbiamo una visione diversa.
Appena passato il ponte che collega Mandalay a Sagain ecco che una leggera nebbiolina inizia a salire dal fiume; dapprima è lieve ma poi diventa sempre più fitta fino ad avvolgere le colline circostanti il fiume Irrawady.
Poi a un certo punto non riusciamo più a vedere le barche e le chiatte circostanti tanto che la nostra e le altre barche si devono fermare. Una sosta di circa un’ora in attesa che la nebbia si diradi.
Si riparte finalmente e il nostro lento navigare ci permette di rilassarci e di goderci il panorama circostante, rappresentato dalla vita e gesti quotidiani di coloro che abitano sulle rive del fiume.
Una vita questa sicuramente molto modesta e dura e con molte privazioni; le case sono semplici baracche di legno e lamiera e questo anche perché la giornata viene vissuta interamente all’aperto; vediamo poi numerosi pescatori e non mancano i simpatici bambini che non perdono l’occasione di farci una saluto al nostro passaggio.
Arriviamo a Bagan che sono quasi le sei di sera e la città ci accoglie con un bellissimo tramonto mentre la nostra barca si appresta ad ormeggiare.
L’arrivo al porto è sicuramente caratteristico, ricorda quasi una scena di “Delitto sul Nilo” ma poi restiamo profondamente delusi al primo approccio con la popolazione. Sicuramente in queste zone il turismo è l’unica fonte di sostentamento ma la nostra impressione è quella che molte persone si approfittano dei turisti per cercare di fare affari. Siamo subito assaliti da venditrici di libri, cartoline, vestiario e da taxisti che approfittando del nostro ritardo e stanchezza ci propongono un passaggio in albergo a prezzi non molto convenienti.
Speriamo che domani la nostra amarezza e questo senso di delusione scompaia.
SABATO 06.01.2018
Oggi è la giornata in cui visiteremo i templi di Bagan. Con un taxi raggiungiamo la porta principale Tharaba e poi proseguiamo la visita a piedi. Siamo soliti camminare con scarpe sportive o da trekking ma oggi decidiamo di utilizzare sandali in quanto le continue entrate nei templi comportano tempi lunghi dovuti al metti-togli le scarpe.
Ci incamminiamo attraverso strade sterrate polverose; intorno il paesaggio è ricoperto da piante verdi e a volte fiorite.
Ricordarsi tutti i nome dei templi sarebbe impossibile, però riusciamo a visitare tutti i principali. Gli interni sono adorni di statue di Buddha imponenti e tempietti dove la gente si ferma in preghiera; alcuni presentano particolari dipinti murali che raffigurano scene religiose di tempi passati.
Saliamo su un tempio per ammirare il panorama nel suo insieme ed in effetti il colpo d’occhio è sorprendente. Peccato per quei gradini così ripidi e stretti che durante la discesa a piedi nudi creano non poche difficoltà.
Raggiunto il Gawdawpalin facciamo una breve sosta e ci beviamo un succo di frutta fresca all’ombra di un albero.
Poi, anche se questa mattina ci siamo detti che mai avremmo provato una tale esperienza, proseguiamo il giro a bordo di un calesse.
Vorremmo visitare alcuni templi situati nella piana di Bagan e poi fare ritorno in albergo.
Facciamo così la conoscenza di un ragazzo dal volto sorridente reso ancora più caratteristico dai denti rossi dovuti al consumo di foglie di betel.
Ci presenta la sua ronzina Rosie e dopo qualche difficoltà ad accomodarsi dentro il calesse partiamo alla volta dei templi Shwe San Daw con l’unico Buddha sdraiato di tutta Bagan, Dhmayangy con i suoi corridoi misteriosi e da ultimo il Sulanami Pathoo a nostro avviso il più bello visto oggi; non a caso è chiamato anche Gioiello Supremo.
Viaggiare a bordo di un calesse ti permette di scoprire scorci che a piedi non avremmo avuto modo di vedere, di chiacchierare con la gente del posto. Il nostro guidatore ci racconta della sua vita comunque molto povera, del lavoro che manca nelle stagioni di forte caldo e forti piogge.
Vuole provare gli occhiali da sole perché lui non può permettersi che quelli cinesi che fanno ancora più danni che non metterli.
Ci racconta che lui è buddista, che ama sorridere e trasmettere felicità alle persone; per lui addormentarsi la sera vuole dire chiedere al suo Dio di poter avere sempre il sorriso.
Sono parole che ci toccano, mentre attraversiamo stradine sterrate non toccate da turisti, immersi nel verde e nei vari templi che punteggiano il paesaggio, lontani da caos e da rumori assordanti.
DOMENICA 07.01.2018
Quest’oggi il programma prevedeva la visita al Monte Popa, ma a causa di un leggero fastidio di salute siamo costretti ad annullare la visita. Usciamo dell’albergo alle 10.30 circa e visto che siamo in zona Nyanung U decidiamo di fare una passeggiata a piedi.
Visitiamo l’imponente e dorata pagoda Swezeigon, che già da lontano si intravede. Il sito è molto grande e ci piace molto, sono numerosi i luoghi di culto e tante le persone che si apprestano alla preghiera e alla offerte. Usciti proseguiamo la nostra passeggiata senza meta per le vie della città.
Questo ci permette come spesso accade durante i nostri viaggi di vedere la vita reale e quotidiana delle persone. Così attraversiamo stradine sterrate e fangose che portano a case molto fatiscenti, per noi impossibile immaginare si possa vivere in simili condizioni. Non si tratta solo di povertà ma di scarsa igiene e pulizia; tutto è in disordine, sporco, ma la gente comunque vive sonnacchiosa e con lentezza la giornata senza grosse preoccupazioni. Raggiungiamo poi il fiume Irrawady dove alcuni bimbi giocano e si tuffano in acque ben poco cristalline, attirati anche dalla nostra presenza. Per loro questo è comunque un divertimento ed il fiume è parte importante della loro vita, dove anche le donne lavano ancora i panni sporchi e poi li stendono in lunghi filari comuni a tutti gli abitanti della zona. Tutto sommato avere perso la gita al Monte Popa ci ha regalato un momento piacevole in cui abbiamo avuto modo di entrare a contatto con la realtà non sempre positiva degli abitanti di questo Paese che vive ancora in forte arretratezza economica e culturale.
Il pomeriggio ci viene a prendere l’autista con il cavallo che ieri ci ha accompagnato per i templi di Bagan; vorremmo assistere al tramonto e lui ci porterà in un luogo poco conosciuto e poco frequentato dai turisti. Con lento viaggiare entriamo nelle stradine che probabilmente vedono pochi turisti ma estremamente suggestivi. Stradine sterrate con piccoli templi che punteggiano la piana circostante, silenzio assoluto, per noi veramente un momento di forti emozioni.
Il tramonto lo vedremo da una terrazza di un antico monastero dalla base quadrata; ci arrampichiamo attraverso scalinate interne molto ripide, e poco illuminate ma dopo essere giunti sulla sommità si apre uno spettacolo incredibile. È un’immagine da cartolina, con i templi sparsi qua e là che si possono vedere dai tutte le direzioni noi ci volgiamo.
Il cielo è leggermente nuvoloso ma ad un certo punto il sole pare volerci fare un regalo e si fa spazio tra le nuvole offrendoci colori ed emozioni che ricorderemo sicuramente a lungo e difficili anche da descrivere.
Restiamo qui per poco più di mezz’ora e poi ridiscendiamo le scale che adesso sono illuminate da candele a cera e anche questo è un particolare che rende sicuramente suggestivo il momento. Rientriamo in albergo quando le strade iniziano ad essere buie, contenti e soddisfatti di questa giornata iniziata male ma che ciha permesso di vivere momenti molto emozionanti.
LUNEDÌ 08.01.2018
Lasciamo Bagan con le emozioni che ci ha riservato e proseguiamo alla volta di Kalaw, città che in epoca coloniale era luogo di villeggiatura di inglesi. Da Kalaw partono numerosi trekking di due o tre giorni per raggiungere il lago Inle. La nostra idea è di restare un giorno tranquilli a visitare la città ed un altro magari di fare un trekking in giornata.
Partiamo con un mini bus che trasporta sei turisti e i bagagli che vengono collocati sul tetto del minibus, tenuti fermi da cinghie. È una partenza che ci lascia stupiti e ci fa sorridere; l’autista fa alcune fermate lungo la strada e carica sul tetto del bus taniche di olio, pacchi enormi; si aggiungono a noi turisti anche altre 4 persone del luogo che probabilmente dovranno raggiungere Kalaw o altri paesi lungo la strada.
Prevediamo di arrivare intorno alle 16.00 ma anche in questo caso il viaggio di trasferimento ci permettere di entrare in contatto con la realtà del posto.
La strada è pianeggiante e ai lati possiamo vedere alcuni campi che vengono lavorati ancora a mano, con buoi e aratro che solcano la terra, donne che piantano riso, uomini e donne che preparano il catrame per asfaltare nuove strade, e ancora uomini e bimbi tra montagne di calce che preparano sacchi. La nostra vicina di viaggio, una giovane ragazza birmana ha in mano un cellulare più grande del nostro, messaggia e chatta in continuazione. Questo ci fa riflettere all’enorme divario che esiste in questo periodo storico in Birmania. Forte arretratezza economica, livelli di istruzione e sociali che corrispondono al nostro ante e post guerra, però proiettati verso il futuro come la nostra generazione. È tutto quello che c’è in mezzo? A nostro avviso ci vorranno ancora molti anni prima di poter uscire da questa situazione e poter vedere un futuro economicamente e socialmente avanzato anche se il turismo sicuramente sta dando un aiuto creando nuovi posti di lavoro soprattutto per i giovani. La Cambogia visitata da noi quattro anni fa si presentava sicuramente più avanzata pur avendo avuto anche loro un passato decisamente drammatico; ci è parso però di vedere nel popolo cambogiano più spirito e voglia di migliorare, di avanzare e proiettarsi positivamente verso il futuro, specie i giovani.
Sicuramente la situazione politica del Myanmar é ancora molto instabile però speriamo di cuore che il futuro possa sorridere a questi giovani.
Dopo una pausa in un ristorante lungo il tragitto, la strada inizia a salire, ed anche il paesaggio cambia, di fronte a noi si apre la vista su una catena montuosa e anche la vegetazione è tipica dei nostri luoghi.
Il piccolo bus arranca a fatica, ma non è niente a confronto dei numerosi camion che trasporto pesi enormi; é un continuo sali e scendi e incrociamo molti altri bus che trasportano turisti con il tetto carico di borse, zaini, valigie e pacchi. Per un attimo ci tornano alla mente servizi visti in televisione di viaggi fatti in territorio andino ed himalayano, con furgoni che percorrono strade impervie a volte a strapiombo sulla vallata sottostante.
Arriviamo a Kalaw in anticipo sul tempo e mentre altri passeggeri proseguiranno verso il lago Inle, noi scendiamo dal bus. L’aria è frizzante, i pantaloncini corti sono quasi un azzardo, però la cittadina ci colpisce già per la particolare atmosfera. Da subito notiamo le numerose agenzie che organizzano viaggi e trekking, alcuni ragazzi si fanno incontro e ci propongono il loro taxi per raggiungere il nostro albergo, situato a circa 10 minuti di auto, ai piedi di una collina. E anche quando raggiungiamo l’hotel siamo sorpresi di questa struttura stile inglese periodo colonialismo, che pare una mosca bianca nel mezzo del Myanmar.
MARTEDÌ 09.01.2018
Kalaw ci accogliete con un’atmosfera calma e rilassante; le strade sono piene di verde, l’aria di prima mattina è fresca e le case riprendono molto lo stile coloniale inglese. C’e una simpatica stazione del treno dove passano due convogli al giorno uno in andata e una in ritorno da Yangon.
Il mercato è brulicante di persone e molto colorato; si vende per lo più frutta e verdura fresca.
Saliamo su una piccola collina dove è situato un monastero e poi decidiamo di fare un’escursione fuori zona.
Con un taxi andiamo a visitare le grotte di Pindaya. Il tragitto dura circa un’ora e attraversa un paesaggio più europeo che birmano. Qui i campi sono coltivati a verdure, ci sono anche molte piante di frutta, la terra è rossa.
Con una scalinata raggiungiamo le grotte dove sono stipati oltre 8000 statue di Budda, di varie dimensioni e materiale. L’impatto è impressionante in quanto le statue sono ovunque, anche arroccate su pendii scoscesi. Entriamo nella prima grotta e ci pare siano un’enormità ma poi ci accorgiamo che è solo una piccola parte, in quanto vari sentieri portano a numerose grotte tutte straripanti di statue. Paradossalmente, a fronte di ben 8000 statue non ci sono momenti religiosi o simboli che esprimono particolare spirito religioso.
Il taxi ci porta poi presso la casa-bottega di due signori, marito e moglie che producono ombrelli di carta. Ci spiegano e ci mostrano in pratica tutte le varie fasi, dalla creazione della carta, all’inserimento di fiori e foglie per i decori, alla costruzione dei vari supporti che compiono l’oggetto. Poi il tutto viene assemblato fino a creare degli splendidi ombrellini. Ne acquistiamo due piccoli ad una cifra esageratamente bassa considerato il lavoro artigianale che c’è dietro.
Visitiamo inoltre un monastero anche se a quest’ora i monaci sono a riposo nelle loro camere.
Rientriamo a Kalaw.
MERCOLEDÌ 10.01.2018
Kalaw è rinomata tra i turisti stranieri soprattutto per i trekking; da qui ne partono numerosi di uno o più giorni; in città sono numerose le agenzie che offrono servizi di trekking che vengono svolti da guide del posto. Ieri ne abbiamo prenotato uno semplice che ci condurrà attraverso le colline dei dintorni. Di prima mattina in albergo si presenta una giovanissima ragazza, dal volto sorridente, una borsa semplice a tracolla e scarpe insolitamente da montagna.
Saremo solo noi due a fare il trekking e questo è positivo in quanto l’andatura in montagna non sempre è uguale per tutti e adattarsi a volte diventa problematico.
Lasciamo Kalaw passando a fianco a case nuove e molto moderne, probabilmente di proprietà di persone agiate.
La nostra guida, in un ottimo inglese ci racconta della sua vita di studentessa e di questo lavoro che svolge per quattro mesi l’anno per permettersi gli studi; proviene da un villaggio di tribù della zona ma è tra le poche fortunate che può proseguire gli studi e sperare in futuro migliore.
La strada é abbastanza bella da percorrere anche se non del tutto semplice, con alti e bassi sulle colline. Iniziano a spuntare piantagioni di tè e poi tantissime piantagioni di arance coltivate anche queste come il tè su pendii ripidi che rendono il lavoro degli uomini estremamente pesante e faticoso.
Raggiungiamo un piccolo villaggio delle tribù palaung, abbarbicato su una ripida collina a cui si accede attraverso una strada sterrata rossa e fangosa. Qui l’unico segno di modernità è dato dalle rare parabole installate sui tetti di case in legno e dall’aspetto ancora molto antico. Qui ci sono solamente case, nessun altro servizio e la gente vive solo della raccolta di tè e arance. Già da lontano sentiamo voci squillante di bimbi che ci avvisano che siamo arrivati vicino ad una scuola. In questi villaggi le scuole si fermano alla quinta elementare poi, ci viene spiegato dalla nostra guida, per proseguire gli studi i ragazzi dovrebbero spostarsi a Kalaw con dei costi praticamente insostenibili per i genitori. Così la quasi totalità dei bimbi si ferma con gli studi ed inizia ad affiancare i propri genitori nel duro lavoro dei campi.
I bimbi ci sorprendono sempre; sono vestiti con abiti consumati, sembrano quasi dei pigiami in pile, a volte molto sporchi. La classe è unica e gestita da tre maestre, ma notiamo l’assenza di banchi e sedie ordinate; tre contenitori dei giochi fungono da tavolo e intorno sono sistemate seggioline in plastica di diversi tipi.
Proseguiamo fino a raggiungere il View Point, un punto panoramico dove faremo pausa pranzo. Qui si trova una sorta di ristorante gestito da nepalesi che ci offrono un pranzo indiano, con pane chapati, insalata di avocado, chatney, salsina piccanti e poi tanta frutta, il tutto in dosi decisamente abbondanti.
La vista da quassù è bellissima e rilassante, spaziamo sulle montagne circostanti coltivate interamente a piantagioni di tè, arance, riso e ortaggi.
Si parte per la via del ritorno, questa volta attraversando una fitta foresta la cui strada è resa irta dalla terra molto scivolosa e dai rami caduti che ostacolano il passaggio.
Dopo la foresta il paesaggio si apre su una bellissima pianura dove regnano le coltivazioni di riso e dove intravediamo numerosi orti disposti in preciso ordine.
Durante la nostra passeggiata, la guida si ferma spesso a raccogliere piante, foglie, bacche e ci spiega i vari usi specialmente officinali.
Sotto un sole cocente e dopo circa 23 km di camminata raggiungiamo così Kalaw, stanchissimi, abbronzati, ma certi che anche questa giornata a contatto con la gente del luogo, attraverso paesaggi incontaminati e di incredibile bellezza ci ha arricchito molto sotto l’aspetto culturale e personale.
VENERDÌ 12.01.2018
Siamo giunti al lago Inle, meta turistica per eccellenza del Myanmar. Largo circa 11 km e lungo 22, si presenta con placide acque contornato da villaggi su palafitte, templi e orti galleggianti.
La caratteristica che l’ha reso famoso in tutto il mondo è forse quella dei pescatori che con grande abilità ma sopratutto equilibrio, muovono le loro lance con un solo remo attaccato alla gamba e con l’altra restano in piedi come dei perfetti equilibristi.
La vita quotidiana corre tutta lungo il fiume ed i numerosi canali che si diramano, attraversando villaggi le cui case su palafitte si presentano spesso diroccate ed in precarie condizioni.
Vediamo così pescatori che gettano le reti, uomini sulle loro barche che attraversano stretti canali per raggiungere i loro orti galleggianti, altri che trasportano merci.
Alcuni villaggi ospitano a rotazione un mercato ogni cinque giorni; oggi è il turno del villaggio di Phaung Daw Ok Paya; qui giungono contadini da varie località circostanti che allestiscono un variegato e coloratissimo mercato di verdura, frutta, uova, pesce essiccato, legumi, tessuti.
Le donne sono vestite nei loro abiti tradizionali e ci colpiscono per i colori, per i loro visi, per i loro sorrisi molte volte sdentati ma simpatici. Così in questo girovagare tra le bancarelle scattiamo numerose foto che testimoniano la vita quotidiana di questo popolo.
Dopo una visita ad un negozio di lavorazione dell’argento, proseguiamo alla volta di Inthein, navigando attraverso stretti canali coperti da una vegetazione rigogliosa e selvaggia. Giunti al villaggio, risaliamo una collina che conduce ad un insieme di 1050 stupra, alcuni dorati ed altri diroccati. Sulla sommità degli stupra sono appesi sonagli che con la leggera brezza diffondono un suono costante e rilassante.
Facciamo ritorno verso l’albergo passando vicino a numerosi orti galleggianti, e qui notiamo le coltivazioni di pomodori e molte altre verdure. È uno spettacolo insolito ma molto suggestivo e dalla struggente bellezza.
SABATO 13.01.2018
Un giorno al lago Inle potrebbe essere sufficiente; noi abbiamo deciso di restare due giorni in quanto ultima tappa del nostro viaggio e quindi dedicato al riposto. Purtroppo in vacanza dobbiamo sempre fare e vedere e di stare fermi non se ne parla proprio. L’albergo offre molte opportunità di svago e relax con SPA, massaggi e piscina ma proprio non rientra nelle nostre corde. Così dopo una colazione abbondante sulla terrazza che affaccia sul canale, cerchiamo un luogo interessante da visitare e la Lomely Planet ci viene in nostro aiuto. Usciamo dell’albergo e ci rechiamo nel paesino adiacente, Phaung Dai nn dove oggi è allestito il mercato settimanale.
Meno preso d’assalto dai turisti rispetto a quello visto ieri, più piccolo ma sempre molto affascinante e interessante per la bellezza dei visi e per la caotica mescolanza di prodotto presenti.
Troviamo una spartana agenzia che propone gite e chiediamo di portarci al villaggio Dumping Thai situato esattamente sulla riva opposta a dove ci troviamo noi.
Saliamo sulla lancia e piano piano usciamo dal canale per poi trovarci nelle acque , ogni più mosse del lago Inle. Mezz’ ora dopo raggiungiamo questo caratteristico villaggio che in parte è costruito sulla terra ferma ed il resto su palafitte. Il collegamento tra le due zone è possibile tramite un caratteristico ponte in legno lungo oltre 400 metri, a nostro avviso meno turistico ma più affascinante dell’Ubein Bridge.
Il nostro barcaiolo ci consiglia la visita al Forest Monastry, un monastero situato sulle pendici del monte e raggiungibile q piedi o motorino. Ci accompagneranno due simpatici signori di mezza età con i loro motorini rigorosamente senza casco. Prima di partire assistiamo a una scena impensabile per noi occidentali; oggi un folto gruppo di ragazzini (dodici-quattordici anni) sono in gita sul lago Inle; li vediamo seduti su panche sul cassone di un furgoncino, ma quello che ci lascia a bocca aperta è vedere i numerosi ragazzi prendere posto sul tetto del furgoncino. Li guardiamo stupiti, gli facciamo un saluto e ci troviamo con oltre cinquanta ragazzini che ci salutano a voce squillante divertita.
Partiamo alla volta del monastero con il furgoncino proprio di fronte a noi; i ragazzi ci salutano nuovamente mentre il nostro autista tenta un sorpasso sofferente sulla salita a tratti molto irta.
Il monastero ospita alcuni ragazzi che in questo momento sono alle prese con il pranzo quotidiano e quindi non vogliamo disturbarti.
Una piccola salita a piedi ci conduce ad una pagoda dove aleggia un profumo intenso di incenso. La vista d qui spazia su parte del lago Inle anche se la vera essenza la possiamo trovare navigando sulle acque dei canali.
Ci hanno raggiunto anche i ragazzini che pur con molta timidezza,ci stanno sempre intorno e qualcuno ci chiede di farci una foto.
Strano come noi qui fotografiamo sempre i loro volti che ci appaiano più caratteristici dei nostri occidentali, mentre loro ci hanno chiesto spesso di fotografarci. Molte volte, sopratutto le ragazze in gruppo fanno a turno per poter essere fotografate insieme e noi e ancora ci chiediamo quale sia la caratteristica dei nostrivolti che li incuriosisce.
Ridiscendiamo verso il villaggio e poi attraversiamo tutto il ponte in legno che ci permette ancora una volta di spaziare i nostri sguardi sulle palafitte, sugli orti galleggianti, sulla vita che scorre lenta ma faticosa sulle sponde di questo lago.
Rientriamo verso l’albergo ed il sole cocente di oggi ci consiglia un pomeriggio di riposo.
Così ci gustiamo una birra Myanmar e degli snack dalla prua della nostra barca trasformata in stanza di albergo, una piacevole e alternativa sistemazione che abbiamo voluto concederci per questi ultimi giorni di vacanza.
DOMENICA 14.01.2018
Ultimo giorno della nostra avventura in Myanmar; questa notte prenderemo il volo di rientro per l’Italia, ma la giornata è ancora lunga. Trasferimento nel curioso e simpatico aeroporto di Heho, dove la modernità non ha ancora preso piede. Check in rigorosamente fatto a mano, in quanto mancano computer e tutto è improvvisato su vecchissime scrivanie e su block notes in cui vengono appuntati i nomi dei passeggeri. Il metal detector non rileva le nostre scorte di acqua dimenticate negli zaini e la zona di attesa riporta ad anni addietro quando ancora non esistevano i tabelloni con le indicazioni dei voli in arrivo e partenza, ma solo degli impiegati che ogni tanto espongono in cartello con il numero del volo in partenza.
Malgrado questo, atterrano molti aerei a turbo elica che fanno un rumore infernale e ci portano a Yangon a una velocità molto modesta.
Yangon non era prevista nelle nostre mete ma abbiamo deciso di approfittare delle sei ore di attesa per il volo a Bangkok per poter visitare almeno la famosa Shwedagon Paya.
Un autista molto giovane ci attende agli arrivi e così in meno di mezz’ora raggiungiamo la Pagoda.
Dopo il solito rito togli scarpe e calze, raggiamo il sito a mezzo di un ascensore; con nostro immenso piacere anche l’autista dopo aver posteggiato l’auto si aggrega a noi e decide di farci da guida. È un ragazzo che ha studiato fisica all’Università, e per il momento si guadagna qualche soldo facendo l’autista, parla abbastanza bene l’inglese così abbiamo modo di conversare con lui e farci spiegare i molti luoghi di questo posto straordinario.
L’abbiamo immaginata grande, ma quando ci troviamo di fronte ci rendiamo conto che 99 metri di altezza sono veramente tanti; oggi tra l’altro è domenica e tutta la zona è disseminata di famiglie, di monaci e bambini che si prestano alla visita, alle preghiere e alle offerte.
Lo stupa dorato ci entusiasma moltissimo, soprattutto quando veniamo a scoprire la quantità di oro che lo ricopre e le pietre preziose tra cui diamanti, rubini e zaffiri di cui è tempestata la parte superiore.
Intorno si ergono numerose pagode minori e punti planetari che rappresentano i giorni della settimana suddivisi tra mattina e sera; qui i fedeli versano l’acqua sulla statua del buddha nel punto che corrisponde al loro giorno di nascita. E’ un insieme di rituali sacri, di profumo di incenso, di immagini che si fondono insieme e rendono questo luogo molto spirituale e suggestivo.
Da ultimo visitiamo una bellissima mostra fotografica con foto in bianco e nero della pagoda risalenti agli anni del colonialismo.
Il tempo stringe, non vorremmo perdere il volo per Bangkok e anche la nostra guida pare essere in agitazione; però ci affidiamo a lui per condurci nei luoghi più importanti della città.
Raggiungiamo una bella piazza dove si trova un parco, Mahabandoola Garden in cui l’elemento di maggior spicco è il Monumento all’indipendenza. Oggi il parco è affollato di gente essendo giornata di festività. Di fronte e ai lati vediamo poi degli edifici ben ristrutturati, risalenti al secondo scorso che sono la sede del municipio e della corte suprema.
Risaliamo in macchina e procediamo verso la zona coloniale, dove edifici in buono stato si alternano a strutture in decadenza che sono oramai in uno stato di abbandono.
Da ultimo vediamo scorrere di fronte a noi la chiesa St. Mary Cathedral, risalente al 1909 e poi l’imponente Ministers Office un enorme complesso in fase di ristrutturazione che era la sede del governo birmano. Qui nel 1947 furono assassinati il generale Aung San e alcuni suoi uomini.
Rientriamo verso l’aeroporto e attraversiamo vie molte trafficate e piccoli ingorghi stradali, ma riusciamo comunque ad arrivare in tempo per la partenza.
Siamo partiti per questa vacanza convinti di trovare un luogo simile alla Cambogia visitata quattro anni fa.
La situazione politica e la storia di questo Paese ci ha invece mostrato una faccia molto diversa, inaspettata e forse proprio per questo ci ha entusiasmato.
Bagan doveva essere la meta per eccellenza, ma per noi è stata quella che ci ha sorpreso di meno; belli i templi, belli tramonti ma un giorno è stato più che sufficiente per visitarlo. Il turismo anche se non ancora a forti livelli, ci è parso che stia i iniziando a rovinare i luoghi e la gente, portata già alla ricerca di piccoli inganni e furbizie per raggranellare qualche spicciolo in più.
Per il resto abbiamo trovato la vera autenticità del paese, quella fatta dei sorrisi dei bimbi sporchi e timidi, delle donne con i loro abiti tradizionali, dei monaci pazienti e curiosi.
Mai come in questo viaggio abbiamo avuto la possibilità di assistere a numerose scene di vita quotidiana, molte delle quali appartenenti anche alla nostra cultura, ma da anni scomparse e superate dalla tecnologia e modernizzazione.
Mai come questa volta, abbiamo avuto la possibilità di visitare un luogo con tutti cinque i sensi; non solo abbiamo visto luoghi e volti particolari e affascinanti, ma abbiamo sentito i canti e le preghiere dei monaci, i campanelli sulle cime delle pagode; abbiamo gustato i piatti tipici e, in particolare, riso e noodles con le spezie tipiche.
Gli odori dell’Oriente per noi sono profumi che solamente qui troviamo e ci rincuorano ogni volta che tocchiamo suolo nel sud est asiatico. Sono i profumi del cibo di strada mescolati all’incenso dei templi; a volte sono odori forti difficili da sopportare ma a cui ci si abitua facilmente.
E poi quel rito di togliersi le scarpe e le calze all’entrata di ogni tempio che inizialmente ci ha reso restii a calpestare luoghi non del tutto immacolati ma alla fine ci ha permesso di essere coinvolti con tutti i nostri sensi.